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Il modello di organizzazione e gestione: uno strumento fondamentale per l'ente sotto processo.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea Magistrale in Giurisprudenza

Il modello di organizzazione e gestione:

strumento fondamentale per l’ente sotto processo.

Il Candidato Il Relatore

Nicolò Di Paco Prof.ssa Benedetta Galgani

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INDICE SOMMARIO

INTRODUZIONE ... 7

CAPITOLO I ... 8

IL D.LGS. 231 DEL 2001: GENESI E AMBITO DI APPLICAZIONE ... 8

1.1 Teorie sulla punibilità dell’ente. ... 8

1.2 La normativa italiana: il dibattito sulla conformità con l’art. 27 Cost. e la spinta sovranazionale e comunitaria. ... 11

1.2.1. Premessa ... 11

1.2.2. Il dibattito di conformità con l’art. 27 Cost. ... 12

1.2.3. La spinta sovranazionale e comunitaria. ... 15

1.3 La natura della responsabilità. ... 17

1.4 I destinatari della disciplina. ... 23

1.5 I principi di garanzia e l’efficacia della legge nel tempo e nello spazio. ... 27

1.6 Il principio di autonomia della responsabilità dell’ente. ... 32

1.7 I reati-presupposto. ... 36

(4)

I CRITERI DI IMPUTAZIONE. LA RESPONSABILITÀ DELL’ENTE PER I REATI DEGLI APICALI E DEI

SOTTOPOSTI. ... 39

2.1 I criteri oggettivi di imputazione. Interesse o vantaggio e cause di esclusione della responsabilità. ... 39

2.2 I soggetti in posizione apicale e i sottoposti. ... 45

2.3 I criteri di imputazione soggettivi. L’Art. 6: natura del modello di organizzazione e controllo e l’onere probatorio in caso di reati degli apicali. ... 50

2.4 L’art. 7: i reati dei c.d. sottoposti. Il rapporto con l’art. 6. ... 62

CAPITOLO III ... 66

IL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE E GESTIONE NELL’ENTE. Il CASO CONCRETO DI UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.P.A. ... 66

3.1 Premessa. ... 66

3.2 Il procedimento di adozione del modello organizzativo. ... 67

3.2.1 Il procedimento di adozione del Modello organizzativo di UnipolSai Assicurazioni. ... 74

3.3 La parte generale del modello ed il codice etico. ... 77

3.3.1 Il Modello ed il Codice Etico di UnipolSai. ... 82

(5)

3.4.1 La formazione del personale nel Modello organizzativo di

UnipolSai Assicurazioni. ... 87

3.5 Il sistema disciplinare. ... 88

3.5.1 Il sistema disciplinare nel Modello di UnipolSai. ... 91

3.6 La parte speciale del modello: i protocolli. ... 92

3.7 L’organismo di vigilanza. ... 95

3.7.1 L’organismo di vigilanza di UnipolSai Assicurazioni. ... 106

3.8 La tutela del whistleblower. ... 108

3.8.1 La tutela del whistleblower nel modello di UnipolSai Assicurazioni. ... 113

CAPITOLO IV ... 114

IL CONCETTO DI ADEGUATEZZA DEL MODELLO E LA VALUTAZIONE GIUDIZIALE. IL RUOLO DELLE LINEE GUIDA E LA POSSIBILE CERTIFICAZIONE. ... 114

4.1 L’idoneità e l’efficace attuazione del modello di organizzazione e gestione. ... 114

4.2 La valutazione giudiziale sull’adeguatezza del modello. La perizia all’interno del processo de societate. ... 126

4.3 La funzione delle linee guida. ... 134

4.4 L’eventuale certificazione del modello: commento alla proposta dell’AREL. ... 141

(6)

CAPITOLO V ... 146

L’INDISPENSABILITÀ DI FATTO DEL MOG: IL MODELLO EX ANTE, QUELLO POSTUMO E IL NECESSARIO AGGIORNAMENTO. L’ESPERIENZA DELLE PMI. ... 146

5.1 L'adozione del modello organizzativo: onere o obbligo? La posizione degli organi societari. ... 146

5.2 Il modello post factum e le sanzioni. ... 154

5.3 La messa alla prova nel processo de societate. ... 161

5.4 Il necessario aggiornamento del modello. ... 166

5.5 Il modello di organizzazione e gestione nelle piccole-medie imprese. ... 171

5.6 Conclusioni. ... 177

BIBLIOGRAFIA ... 178

SITOGRAFIA ... 196

(7)
(8)

INTRODUZIONE

Il decreto legislativo 8 settembre 2001, n. 231, recante «Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300», ha dotato il nostro ordinamento di una nuova forma di responsabilità degli enti, destinata a porsi in contrasto con il risalente principio secondo cui

societas delinquere non potest.

Il presente elaborato, dopo un breve excursus sulle fasi che hanno portato all’elaborazione teorica di tale responsabilità per le persone giuridiche, cerca di delineare i contorni della disciplina italiana, riconoscendovi i chiari segni di una responsabilità di tipo penale.

Successivamente alla enucleazione dei principi fondanti il nuovo sistema e il procedimento da questo disciplinato, il lavoro si sofferma sulla controversa questione dell’onere della prova sull’esistenza o meno di una carenza organizzativa dell’ente, così come delineato dall’art. 6 del d.lgs. 231.

L’intento è quello di evidenziare come i modelli di organizzazione e gestione non rappresentino soltanto un mezzo mediante il quale la

societas può dotarsi di una struttura organizzativa idonea alla

prevenzione dei reati-presupposto indicati dal decreto, ma anche uno strumento fondamentale per l’ente interessato da un procedimento a suo carico. E ciò, sia nell’ipotesi in cui l’ente fosse dotato fin dall’inizio di un modello organizzativo, potendo in tal modo profilarsi l’esenzione dalla responsabilità amministrativa, sia nell’ipotesi in cui l’adozione avvenisse a reato compiuto, al fine di fruire delle possibilità di riduzione delle pene previste dal decreto stesso.

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CAPITOLO I

IL D.LGS. 231 DEL 2001: GENESI E AMBITO DI

APPLICAZIONE

SOMMARIO: 1.1 Teorie sulla punibilità dell’ente. - 1.2 La normativa italiana: il dibattito sulla conformità con l’art. 27 Cost. e la

spinta sovranazionale e comunitaria. - 1.3 La natura della responsabilità degli enti. - 1.4 I destinatari della disciplina. - 1.5 I principi di garanzia e l’efficacia della legge nel tempo e nello spazio. - 1.6 Il principio di autonomia della responsabilità dell’ente. - 1.7 I

reati-presupposto.

1.1 Teorie sulla punibilità dell’ente.

Nell’ordinamento italiano, per «Responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato»1 si intende l’ascrizione della

responsabilità amministrativa2 ad enti con personalità giuridica ed a

società e associazioni anche prive di personalità giuridica3, conseguente

alla commissione di determinate tipologie di reato da parte di particolari soggetti, interni alla struttura societaria.

L’introduzione di tale responsabilità nel panorama giuridico nazionale e internazionale ha comportato una netta rottura con i paradigmi classici del diritto penale, da sempre improntato su un dualismo fra individui — aggressore e offeso, criminale e vittima — che rappresentavano i due poli della vicenda.

I vari legislatori nazionali hanno iniziato a rendersi conto dell’insufficienza di un modello punitivo che fosse rivolto solo all’individuo, in un contesto in cui il diffondersi dei “white collar

1 Questa è la dizione utilizzata dal primo comma dell’art. 1 del d.lgs. 231/2001. 2 La natura della suddetta responsabilità è molto dibattuta in dottrina e giurisprudenza; si veda cap.I, par. 3.

(10)

crimes” e della criminalità d’impresa comportava una difficoltà di

individuazione dell’autore del reato o l’utilizzo di soggetti interni alla società come capri espiatori4.

Il superamento della tesi racchiusa nel brocardo latino (anche se la sua formulazione risale al XVIII secolo) “societas delinquere et puniri

non potest”5, andò di pari passo con lo sviluppo tecnologico ed industriale e, in particolare, con l’inizio dell’utilizzo dei grandi mezzi di trasporto a vapore.

I disastri ferroviari avvenuti in Inghilterra a metà XIX secolo, furono un esempio lampante di come le nuove tecnologie comportassero una pericolosità che travalicava i cancelli delle fabbriche per andare ad interessare la collettività. È in occasione di questi che le corti inglesi iniziarono a elaborare una prima forma di responsabilità penale per le persone giuridiche6, una responsabilità sganciata da qualsiasi elemento

soggettivo e configurata, quindi, come una responsabilità oggettiva, (strict liability) espressione del principio del “respondeat superior”.

Questa responsabilità vicaria (vicarious responsibility) non comportava alcun problema di imputazione della responsabilità ove mancasse un particolare intent della persona fisica che avesse commesso il reato; ma qualora la condotta si caratterizzasse per il dolo del soggetto agente, ecco che la responsabilità oggettiva non si configurava più come uno strumento sufficiente per punire l’ente.

Lo sviluppo successivo della giurisprudenza inglese portò all’elaborazione, nel 1944, di una nuova teoria funzionale all’ascrizione

4 M. CERESA-GASTALDO, Procedura penale delle società, G.GIAPPICHELLI EDITORE, 2017, p.1.

5 Tesi che, nel Regno Unito, trovava espressione nell’idea che non fossero punibili penalmente le persone giuridiche in quanto la pena non si poteva applicare a chi non avesse un’anima ed un corpo (“no soul to be damned, no body to be kicked”). Per una breve analisi storica di tale asserzione si veda: A. ALESSANDRI, Diritto penale e attività economiche, IL MULINO, 2010, p. 201.

6 Si utilizzeranno indistintamente, per le ragioni che elencheremo nel par. 4 di questo capitolo, i termini di “persona giuridica”, “ente”, “società” per indicare i soggetti destinatari della disciplina della responsabilità degli enti.

(11)

della responsabilità penale all’ente; si tratta della nota Teoria

dell’immedesimazione7, secondo la quale gli stati mentali dei dipendenti di una società potevano essere attribuiti a quest’ultima per effetto di una sorta di immedesimazione dell’una con gli altri8. La commissione di

determinati fatti illeciti non era espressione di una scelta libera dell’autore, ma era bensì strumentale al raggiungimento di un obiettivo proprio della società: era la società che indirizzava la scelta del soggetto agente.

L’attenzione, a quel punto, si spostò sull’individuare chi potesse rappresentare e quindi impegnare, sul piano penalistico, la società. Se vi furono sentenze di condanna di enti per reati commessi dai propri amministratori, e quindi dai vertici societari, lo stesso non si può dire ove l’illecito fosse commesso da soggetti disposti su gradini più bassi della scala gerarchica.

Nel 1971, la Camera dei Lord annullò una sentenza di condanna di una società9 sostenendo che il soggetto agente (il direttore di una

succursale) non fosse in grado, per la propria posizione all’interno dell’organigramma societario, di rappresentare la volontà dell’ente. Seguirono ulteriori sentenze di assoluzione di società, a seguito di

7 Come evidenzia A. ALESSANDRI, in Diritto penale e attività economiche, cit., p. 204, si tratta di una teoria ampiamente applicata, sia nei paesi di civil law che in quelli di common law, dalla dottrina e dalla giurisprudenza privatistica che, nell’applicazione pratica, erano, di fatto, andate oltre al conflitto teorico fra teoria finzionistica — secondo cui la persona giuridica costituirebbe, appunto, una finzione giuridica che necessita di rappresentanti per l’esercizio delle sue attività — e teoria realistica (o della realtà) — secondo la quale la societas costituirebbe un vero e proprio soggetto di diritto che esprime la propria volontà mediante i suoi rappresentanti — in materia di persone giuridiche, non dubitando della possibilità di riferire all’ente quanto commesso dai suoi funzionari, anche in ottica della affermazione di una responsabilità civile. Per un approfondimento su queste due teorie si veda O. DI GIOVINE, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, in Reati e responsabilità degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, a cura di G. LATTANZI, GIUFFRÈ EDITORE, 2005, pp. 17-21. 8 A. ALESSANDRI, Reati colposi e modelli di organizzazione e gestione, in Analisi Giuridica dell’Economia: Studi e discussioni sul diritto dell’impresa. Società e modello «231». Ma che colpa ne abbiamo noi?, 2009, n. 2, p. 338.

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disastri navali10, in quanto non si riuscì a dimostrare il coinvolgimento

dei vertici societari11.

L’incapacità della Teoria dell’immedesimazione di tener conto delle varie sfaccettature interne alla società, legate alla divisione del lavoro, e, insieme, la sopravvenuta consapevolezza della necessità di porre attenzione su un dato fondamentale delle società stesse, ossia il dato organizzativo secondo cui l’ente è una struttura organizzata con compiti e funzioni ben delineate, condussero all’elaborazione del concetto di

“colpa di organizzazione”.

Si arriva, quindi, a tenere conto di un dato fondamentale, ovvero del dato organizzativo: l’ente era ed è una struttura organizzata con compiti e funzioni ben delineate. Essenzialmente, ponendo al centro della riflessione l’organizzazione, si fa strada l’idea che l’autore sia stato in grado di commettere il reato proprio perché inserito in una struttura societaria che gli ha fornito i mezzi e le opportunità per la commissione dell’illecito. Si prospetta quindi l’esigenza di un sistema normativo capace di prendere in considerazione il dato organizzativo.

1.2 La normativa italiana: il dibattito sulla conformità con l’art. 27 Cost. e la spinta sovranazionale e comunitaria.

1.2.1. Premessa

Dopo questo breve excursus storico sulle varie teorie poste alla base di una possibile responsabilità penale delle persone giuridiche, volgiamo lo sguardo al nostro ordinamento.

10 I disastri di Zeebrugge del 1987 e di Southwall del 1997. Al riguardo si veda, A. ALESSANDRI, Reati colposi e modelli di organizzazione e gestione, cit., p. 339. 11 A. ALESSANDRI, Diritto penale e attività economiche, cit., pp. 202-205; A. BERNASCONI, Societas delinquere (et puniri) potest, in Manuale della responsabilità degli enti, A. PRESUTTI – A. BERNASCONI, GIUFFRÈ EDITORE, 2013, pp. 4-5.

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Solo a partire dal 2001, con il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 23112 attuativo della legge delega 29 settembre 2000 n. 30013, il

legislatore italiano ha introdotto una disciplina compiuta sulla responsabilità “amministrativa” degli enti, andando così finalmente a colmare un’importante lacuna del nostro sistema normativo14.

Come è stato più volte osservato, il corpo normativo contenuto nel d.lgs. 231 costituisce un vero e proprio microcosmo che, affiancandosi al codice di rito e alla legge sulla competenza penale del giudice di pace, va a formare il c.d. «terzo pilastro del sistema»15 processual-penalistico

dell’ordinamento italiano.

1.2.2. Il dibattito di conformità con l’art. 27 Cost.

La l.d. 300 e il d.lgs. 231 hanno seguito un lungo dibattito dottrinale sulla conformità di una responsabilità penale degli enti con l’art. 27 della nostra Costituzione16 e sulle ragioni di un sistema punitivo rivolto agli

enti

12 In seguito d.lgs. 231. 13 In seguito l.d. 300.

14 Lacuna che appariva più che chiara alla luce di un’analisi comparatistica con gli altri ordinamenti continentali e di cui era pienamente consapevole il legislatore, come evidenzia la Relazione Ministeriale al d. lgs. n. 231, secondo la quale «più in generale, la quasi totalità degli strumenti internazionali e comunitari in specie, in una pluralità (eterogenea) di materie, dispone la previsione di paradigmi di responsabilità delle persone giuridiche, a chiusura delle previsioni sanzionatorie. Sicché la riforma appariva oramai improcastinabile. Si aggiunga soltanto che essa interpreta l'esigenza, oramai diffusa, di colmare un'evidente lacuna normativa del nostro ordinamento, tanto più evidente in quanto la responsabilità della societas è già una realtà in molti Paesi dell’Europa».

15 A. GIARDA, Procedimento di accertamento della «responsabilità amministrativa degli enti» (d.lgs. 8 giugno 2001, n.231), in Compendio di procedura penale, a cura di G. CONSO - V. GREVI - M.BARGIS, Wolters Kluwer, CEDAM, Milano, 2016, p. 1150.

16 A. GIARDA, op. cit., pp. 1150-1151, ritiene «tutt’altro che infondato» il dubbio circa la legittimità costituzionale di questi due atti con riguardo all’art 76 Cost. in tema di normativa delegata. In particolare l’autore, sottolinea l’eccessiva ampiezza della delega e la non corrispondenza della normativa delegata ai principi posti dalla normativa delegante.

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La dottrina ostile all’introduzione di un siffatto sistema fondava le proprie ragioni soprattutto sull’asserita non conformità di una responsabilità penale degli enti con l’art 27, comma 1 della nostra Costituzione (secondo cui «La responsabilità penale è personale»), sia nella sua interpretazione più “minimalista”, di divieto di responsabilità altrui17, sia nella concezione di necessaria responsabilità colpevole

(nulla poena sine colpa)18.

Per quanto riguarda il primo aspetto, si affermava che il riconoscere una responsabilità a carico degli enti avrebbe fatto sì che le sanzioni andassero a colpire soggetti (le persone giuridiche) diversi dall’autore materiale del fatto illecito; inoltre, avrebbe comportato un riverbero di effetti pregiudizievoli su soggetti del tutto innocenti come i soci estranei alla gestione della società.

Il contrasto tra la teoria della responsabilità colpevole ed il sistema punitivo rivolto agli enti, invece, si sostanziava nell’impossibilità di riconoscere nell’ente un profilo volitivo colpevole19.

A ciò si aggiungeva l’impossibilità di riconoscere una finalità rieducativa alle sanzioni nei confronti dell’ente20, in quanto quest’ultimo

17 Punto di partenza deve, comunque, essere la considerazione secondo la quale «qualunque forma di addebito di responsabilità ad un soggetto metaindividuale non può prescindere dalla constatazione che si tratta di un fatto altrui: essendo incapace di agire “fisicamente” in prima persona, l’ente viene sempre coinvolto dal fatto di una persona fisica, che è “altra”». H. BELLUTA, L’ente incolpato. Diritti fondamentali e “processo 231”, G. GIAPPICHELLI EDITORE, Torino, 2018, p. 27.

18 M. RIVERDITI, La responsabilità degli enti: un crocevia tra repressione e specialprevenzione. Circolarità ed innovazione dei modelli sanzionatori, JOVENE, 2009, pp. 11-12. Per una analisi più approfondita delle due concezioni dell’art 27 Cost., invece, si veda T. PADOVANI, Diritto Penale, X Ed., GIUFFRÈ EDITORE, 2012, p. 182.

19 M. RIVERDITI op. cit., pp. 12-13; J. De FARIA COSTA, Contributo per una legittimazione della responsabilità delle persone giuridiche, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1993, n. 4, p. 1245; F.C. PALAZZO, Associazioni illecite ed illeciti delle associazioni, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1976, n. 2, pp. 439-441.

20 Prospettandosi, così, un ulteriore profilo di incostituzionalità per contrasto con l’art. 27, in particolare con il comma 3. H. BELLUTA, op. cit., p. 14, riconosce che l’asserita impossibilità di conciliazione fra la struttura dell’ente e il principio di rieducazione configura una delle argomentazioni proposte a sostegno della natura amministrativa

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non sarebbe stato in grado di percepire il significato di disvalore dei propri atti, elemento imprescindibile per la rieducazione.

Le opinioni favorevoli ad una risposta sanzionatorio-punitiva nei confronti dell’ente, invece, trovavano le proprie basi sia nella teoria dell’immedesimazione organica sia in quella della colpa di organizzazione. Alle tesi contrarie fondate su una lettura minimalista dell’art. 27 Cost., infatti, si obiettava che la teoria dell’immedesimazione permetteva di ascrivere il fatto di reato commesso dall’autore persona fisica alla società stessa, superando il limite del divieto di responsabilità altrui; mentre la “colpa di organizzazione” consentiva di superare l’ostacolo della responsabilità necessariamente colpevole, imputando alla persona giuridica un profilo di negligenza nella propria struttura organizzativa21.

Per quanto riguarda le critiche fondate sulla necessaria tutela del socio estraneo22, si obiettava come la commissione di un reato da parte

di un socio rientrasse nel normale rischio d’impresa, cioè si configurasse come un rischio di costo che il singolo socio decideva consapevolmente di accollarsi.

A sostegno di tali concezioni favorevoli all’introduzione di una responsabilità penale per gli enti, si ponevano, inoltre, ragioni di coerenza del sistema normativo: «se la persona giuridica è costruita

della responsabilità dell’ente (v. infra, par. 3). Per un ulteriore approfondimento sulla questione, si veda H, BELLUTA, op. cit., pp. 29-31, secondo il quale, in conclusione, «non è l’estensione del principe rieducativo della pena a non riuscire a contenere il sistema di responsabilità (ma) […] è il congegno predisposto dal d.lgs. n. 231 del 2001 doversi raffrontare con la logica stessa della pena, secondo le istanze della Carta costituzionale, offrendo soluzioni affinché — una volta condannato — l’ente possa trarre qualche beneficio dall’inflizione di una sanzione».

21 A. ALESSANDRI, Riflessioni penalistiche sulla nuova disciplina, in La responsabilità amministrativa degli enti. D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, AA.VV., IPSOA, 2002, pp. 35-36, 43.

22 La l.d. 300, all’art. 11, lett. t, prevedeva, tra l’altro, l’introduzione di un diritto di recesso dei soci estranei «salvo che gli stessi siano stati consenzienti ovvero abbiano svolto, anche indirettamente o di fatto, funzioni di gestione, di controllo o di amministrazione». Tale previsione, però, è stata colpita dalla scure del legislatore delegato che ha ritenuto di non doverla riportare nel decreto legislativo.

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dall’ordinamento come soggetto capace di agire, di esercitare diritti, di assumere obblighi, di svolgere attività da cui trarre profitto, ovviamente per il tramite di persone fisiche agenti per l’ente, è nella logica di un tal istituto che all’ente possa essere ascritto sia un agire lecito che un agire illecito, realizzato nella sfera di attività dell’ente stesso»23.

Una volta riconosciuta la conformità di una siffatta responsabilità con l’ordinamento costituzionale, la scelta del legislatore circa l’opportunità di introdurla nel nostro sistema si riduceva ad una mera scelta di politica criminale24. Il nostro legislatore ha optato per un sistema che avesse ad

oggetto le sole forme di patologia illecita di impresa lecita, escludendo, inizialmente, le forme di criminalità organizzata25.

1.2.3. La spinta sovranazionale e comunitaria.

Come è desumibile dal titolo della l.d. 30026, un forte impulso

all’introduzione della responsabilità delle persone giuridiche è giunto da

23 D. PULITANÒ, La responsabilità amministrativa per i reati delle persone giuridiche, in Enciclopedia del diritto, 2002, App. VI aggiornamento, par. 2. 24 Come aveva anticipato J. De FARIA COSTA in op. cit., p. 1246; troviamo conferma di ciò anche nella Relazione Ministeriale al d. Lgs. n. 231.

25 La Relazione Ministeriale al d. Lgs. n.231 afferma espressamente come il legislatore abbia preferito non disciplinare in tale sede i casi in cui le imprese svolgano in via esclusiva o prevalente attività illecite (si veda comunque l’art. 16, comma 3, d.lgs. 231, che prevede l’applicazione in via definitiva delle sanzioni interdittive «se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità»).

26 «Ratifica ed esecuzione dei seguenti Atti internazionali elaborati in base all'articolo K. 3 del Trattato dell'Unione europea: Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, fatta a Bruxelles il 26 luglio 1995, del suo primo Protocollo fatto a Dublino il 27 settembre 1996, del Protocollo concernente l'interpretazione in via pregiudiziale, da parte della Corte di Giustizia delle Comunità europee di detta Convenzione, con annessa dichiarazione, fatto a Bruxelles il 29 novembre 1996, nonché della Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 26 maggio 1997 e della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annesso, fatta a Parigi il 17 dicembre 1997. Delega al Governo per

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numerosi atti e convenzioni internazionali e comunitarie27 al punto che

è lecito dubitare della effettiva autonomia del legislatore italiano nell’elaborazione di suddetto impianto normativo28: più che scelta

autonoma, l’introduzione della responsabilità degli enti si è configurata come un atto dovuto.

Oltre agli atti citati nella rubrica e nell’art.1 della l.d. 300, un ruolo importante nella scelta del legislatore italiano di dotare il nostro ordinamento di una disciplina riguardante la responsabilità degli enti è stato giocato dalla raccomandazione R (88) 18 del Comitato dei Ministri, adottata nella sessione del 20 ottobre 1988, in cui si raccomandava l’introduzione, ove non ancora prevista, di una responsabilità delle persone giuridiche, indipendentemente da una responsabilità di tipo civile. La raccomandazione si caratterizzava per la previsione di un doppio binario di responsabilità: una di carattere penale quando richiesta dalla natura dell’offesa, dal grado di colpevolezza della società, dalle conseguenze per la società e dalla necessità di prevenzione, e una responsabilità diversa (per esempio, amministrativa) quando non appariva necessario trattare «the offender as a criminal»29.

la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica.»

27 A. BERNASCONI, Responsabilità amministrativa degli enti (profili sostanziali e processuali), in Enciclopedia del diritto, GIUFFRÈ EDITORE, Annali II-2 2008, p. 958; M. OGGERO, Responsabilità delle società e degli enti collettività (profili sostanziali), in Leggi d’Italia, Wolters Kluwer, 2010, p. 1; D. PULITANÒ, La responsabilità amministrativa per i reati delle persone giuridiche, in Enciclopedia del diritto, 2002, App. VI aggiornamento, par. 1; M. RONCO, Responsabilità delle persone giuridiche. Diritto penale, in Enciclopedia Giuridica Treccani, Vol. XXVII, p. 2.

28 A. ALESSANDRI, in Diritto penale e attività economiche, cit., p. 207, parla di «perentoria imposizione di una serie di atti internazionali sottoscritti dall’Italia». Si veda, anche, G. PAOLOZZI, Vademecum per gli enti sottoprocesso. Addebiti “amministrativi” da reato (D.lgs. 231 del 2001), GIAPPICHELLI EDITORE, 2005, pp. 18-20.

29 Per un approfondimento sulla raccomandazione R (88) 18 rinviamo a F. GANDINI, La responsabilità degli enti negli strumenti internazionali multilaterali. 2. Gli strumenti del Consiglio d’Europa, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2009, n. 2, p. 33 e ss.

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Fra gli atti e le convenzioni a cui si è data esecuzione con la l.d. 300, degna di particolare enfasi è la Convenzione OCSE sulla lotta alla

corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, firmata a Parigi il 17 Dicembre 1997. In particolare

all’art. 2 di questa convenzione si prevedeva che ciascuno Stato firmatario dovesse «adottare le misure necessarie, secondo i propri principi giuridici, per stabilire la responsabilità delle persone giuridiche in caso di corruzione di un pubblico ufficiale straniero». È da notare come suddetto articolo non richiedesse espressamente forme di responsabilità e di accertamento penale o amministrativo, limitandosi a chiedere una responsabilità autonoma e un’efficace punizione delle persone giuridiche30.

1.3 La natura della responsabilità.

La questione attorno alla natura della responsabilità degli enti è, forse, una delle questioni su cui si è maggiormente concentrato il dibattito dottrinale negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore del d.lgs 231, senza peraltro che tale dibattito si sia ancora sopito.

Il punto di partenza per addentrarsi in questa vexata quaestio non può non essere la Relazione ministeriale al d.lgs. 231, ove si riconosce come, pur non essendovi «insuperabili controindicazioni alla creazione di un

30 Per un’analisi a riguardo dell’impossibilità materiale del legislatore di attingere a istituti già presenti nel nostro ordinamento — ex multis, l’articolo 197 c.p. («Obbligazione civile delle persone giuridiche per il pagamento delle multe e delle ammende») o l’art. 6, comma 3 della legge 689/1981 («Se la violazione è commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica o, comunque di un imprenditore, nell'esercizio delle proprie funzioni o incombenze, la persona giuridica o l'ente o l'imprenditore è obbligato in solido con l'autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta» ) — per la disciplina della materia in esame si veda G. PAOLOZZI, op. cit., pp. 20-22. L’autore motiva l’impossibilità sulla base di due ragioni: la necessità di introdurre per l’ente una responsabilità autonoma e «non sussidiaria rispetto a quella dell’autore» e «la comprovata inadeguatezza della pubblica amministrazione nella gestione del procedimento predisposto dalla legge n. 689 del 1981 ai fini dell’applicazione di sanzioni di carattere amministrativo».

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sistema di vera e propria responsabilità penale degli enti […] il legislatore delegante [abbia

]

preferito, comprensibilmente, ispirarsi a maggior cautela, ed [abbia] optato per un tipo di responsabilità amministrativa31».

Le alternative che si prospettano all’interprete sono tre: responsabilità formalmente e sostanzialmente amministrativa, responsabilità formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale e una responsabilità “atipica” che coniughi le altre due (un c.d. tertium

genus)32. La prima alternativa sembra trovare, de iure condito, come

elemento cardine a suo favore il nomen iuris scelto dal d.lgs. 231, che parla appunto di «responsabilità amministrativa», nonché l’art. 1 del d.lgs. 23133 (come anche, ad esempio, gli artt. 9 e 27) che fa riferimento

agli «illeciti amministrativi»; viene, inoltre, posto l’accento su alcuni elementi della disciplina del d.lgs. 231 che depongono contro una qualificazione in termini penalistici della responsabilità: in particolare, l’attenzione si concentra sulla disciplina della prescrizione (art. 22) che

31 In proposito il Progetto Grosso di riforma del codice penale, del 1998, prevedeva all’art. 122 l’applicabilità alle persone giuridiche, previa verifica di compatibilità, delle disposizioni dell’ordinamento penale.

32 D. PULITANÒ, op. cit., par. 1 riconduce la disputa sulla natura della responsabilità a mera questione accademica. Mentre A. ALESSANDRI, Riflessioni penalistiche sulla nuova disciplina, cit. pp. 48-51, afferma la sostanziale inutilità della discussione, sostenendo l’impossibilità di ricondurre la nuova responsabilità al circuito penale (in quanto la responsabilità dell’ente «resta fatalmente e fortemente oggettiva» e in quanto il trattamento sanzionatorio in caso di sanzioni pecuniarie e di vicende modificative dell’ente segue norme civilistiche) e a quello amministrativo, soprattutto a causa dell’intrinseca rigidità dei due sistemi. Al contrario, G. DE SIMONE, La responsabilità da reato degli enti: natura giuridica e criteri (oggettivi) di imputazione, in Diritto Penale Contemporaneo, 28 ottobre 2012, p. 5, ritiene che la questione non sia solo accademica o nominalistica «perché qui sono in gioco i referenti costituzionali della disciplina tratteggiata nel d.lgs. n. 231». In ultimo, H. BELLUTA, op. cit., pp. 22-23, afferma che «una volta imboccata la via del processo penale, la natura della responsabilità diviene assolutamente secondaria rispetto alle esigenze dell’accertamento, nel quale interviene un soggetto che, giuridico o no, deve essere destinatario di tutte le garanzie che le fonti sovraordinarie riconoscono — più che alla persona — alla funzione».

33 In seguito l’indicazione di un articolo senza la precisazione della legge o codice di provenienza, ne sottintenderà l’appartenenza al d.lgs. 231.

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risulta delineata come un istituto unico per tutti i tipi di illecito amministrativo, il cui termine di cinque anni inizia a decorrere dalla data di consumazione del reato e si interrompe con «la richiesta di applicazione delle misure cautelari interdittive e la contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’art 59». In quest’ultimo caso la prescrizione resta sospesa «fino al momento in cui non passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio». L’istituto, così delineato, si differenza in non pochi punti dal regime fissato dagli artt. 157 e ss. del codice penale.

Si richiama, infine, a sostegno della tesi della natura amministrativa della responsabilità anche la disciplina prevista in materia di vicende modificative dell’ente34, che sembra ispirata a logiche di derivazione

civilistica35.

Gli elementi a sostegno, invece, della natura sostanzialmente penale della responsabilità sono numerosi e di stampo oltre che logico anche sistematico. Innanzitutto, si potrebbe discutere sul significato della definizione «responsabilità amministrativa dipendente da reato» e si potrebbe affermare che sembrerebbe maggiormente logico e coerente che alla commissione di un reato debba seguire un addebito penale.36

Sicuramente, gli elementi più incisivi a sostegno della natura penale della responsabilità e che ci fanno dedurre come il legislatore abbia voluto che «il modello processuale deputato all’accertamento dell’illecito amministrativo fosse quello penale»37, sono rappresentanti

34 Si veda il Capo II del d.lgs. 231, artt. 28 e ss.

35 A riguarda si rimanda a H. BELLUTA, op. cit., pp. 17-19. L’autore conclude nel senso che l’argomento delle vicende modificative dell’ente e della conseguente disciplina della responsabilità risulta essere «neutro con riguardo allo scopo definitorio». Per un ulteriore approfondimento circa gli elementi che depongono a favore della natura amministrativa della responsabilità, si veda O. DI GIOVINE, op. cit., pp. 9-10.

36 O. DI GIOVINE, op. cit., p. 11.

37 D. CIMADOMO, Prova e giudizio di fatto nel processo penale a carico degli enti. Il difficile equilibrio tra difesa e prevenzione, Wolters Kluwer, CEDAM, 2016, p. 76.

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dagli articoli in apertura del Capo III38 del d.lgs. 231, ossia gli articoli 34, 35 e 36, nonché dagli articoli 2, 3 e 4 che, come vedremo39, ricalcano

le corrispondenti disposizioni del codice penale.

L’art. 34, infatti, prevede l’applicabilità, in quanto compatibili, delle norme del codice di rito penale40, introducendo, così, un ordine

gerarchico fra il d.lgs. 231 e il codice stesso 41 e affermando

l’applicabilità di quest’ultimo solo in via sussidiaria42.

L’art 35 afferma l’applicabilità all’ente, sempre previa verifica di compatibilità, delle disposizioni processuali relative all’imputato»; naturalmente il richiamo, in forza dell’art. 61 c.p.p.43, si estende anche

alle norme che concernono la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini di polizia giudiziaria o la persona sottoposta a indagini preliminari.

In ultimo, l’art. 36 attribuisce la competenza a conoscere degli illeciti amministrativi «al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi dipendono». La ratio di questa norma va oltre le semplici ragioni di economicità o di completezza o di evitare giudicati contrastanti, anche perché la competenza del giudice penale sussiste anche quando, nei casi delineati dall’art 8. del d.lgs. 23144, non si possa procedere nei confronti

della persona fisica.

38 Derubricato «Procedimento di accertamento e di applicazione delle sanzioni amministrative».

39 v. cap. I, par. 5.

40 «Per il procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato, si osservano le norme di questo capo nonché, in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale e del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.»

41 Si veda A. GIARDA, op. cit., p. 1151 e G. PAOLOZZI, op. cit., p. 88.

42 L. CAMALDO, I principi generali del procedimento, in Diritto penale delle società. Tomo secondo: i profili processuali, a cura di G. CANZIO - L.D. CERQUA - L. LAPARIA, CEDAM, 2014, p. 1310.

43 «1. I diritti e le garanzie dell’imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari. 2. Alla stessa persona si estende ogni altra disposizione relativa all’imputato, salvo che sia diversamente stabilito.»

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Altri autori45, inoltre, affermano come il carattere penalistico

dell’impianto introdotto dal legislatore nel 2001 risulti in modo inequivoco dal sistema sanzionatorio ivi previsto46; infatti l’incisività, la

gravità nonché il connotato eminentemente pubblicistico delle sanzioni previste dagli articoli 9 e ss. del d.lgs. 231 sono tratti tipici delle sanzioni penali.

A queste considerazioni si devono aggiungere le importanti direttive provenienti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo47, secondo cui la nozione di accusa in materia penale deve

tenere conto anche della natura dell’infrazione, della natura della sanzione e del grado di severità che questa raggiunge, oltre alla qualificazione interna48.

Alla luce di tutto ciò sembra possibile concludere in maniera netta in favore della natura penale della responsabilità degli enti49, con la

conseguente estensione in capo a questi ultimi di tutte le garanzie (se compatibili) previste dal sistema penale per le persone fisiche. Inoltre, è possibile ritenere legittima la disciplina contenuta nel d.lgs. 231 in rapporto agli articoli 25 (commi 1 e 2) e 27( commi 1,2 e 3), come pure agli articoli 111 e 112 della nostra costituzione. In definitiva, si deve riconoscere nella definizione “responsabilità amministrativa degli enti” solo una prova della mancanza di coraggio del legislatore nell’affermare la vera natura della responsabilità suddetta, con l’intento non dichiarato

45 M. CERESA-GASTALDO, Procedura penale delle società, G. GIAPPICHELLI EDITORE, II ed., 2017, p. 46 e T.E. EPIDENDIO, I principi costituzionali e internazionali e la disciplina punitiva degli enti, in Enti e responsabilità da reato. Accertamento, sanzioni e misure cautelari, A. BASSI - T.E. EPIDENDIO, GIUFFRÈ EDITORE, 2006, p. 454.

46 In senso contrario A. ALESSANDRI, Riflessioni penalistiche sulla nuova disciplina, cit., p. 48.

47 H. BELLUTA, op. cit., pp. 19-20.

48 Si veda in particolare Corte Eur., 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi, ove vengono elaborati i c.d. criteri Engel.

49 In tal senso si esprime la dottrina maggioritaria, come rilevato da L. PISTORELLI, op. cit., p. 8.

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di far accettare il nuovo sistema, trasmettendo un messaggio di minor gravità50.

Un accenno merita anche la tesi che vede nel sistema delineato dal d.lgs. 231 un tertium genus, un sistema a parte, modellato sulle particolarità del soggetto a cui si riferisce51. Esso si distinguerebbe sia

dal sistema penale sia da quello amministrativo, ma che, anche, richiama, in alcuni tratti, entrambi. In tal senso si esprime soprattutto la Relazione ministeriale al d.lgs. 231 secondo cui «tale responsabilità, poiché conseguente da reato e legata (per espressa volontà della legge delega) alle garanzie del processo penale, diverge in non pochi punti dal paradigma di illecito amministrativo ormai classicamente desunto dalla L. 689 del 1981. Con la conseguenza di dar luogo alla nascita di un

tertium genus che coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di

quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni dell'efficacia preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia».

Questa tesi, sicuramente interessante sotto certi aspetti e sostenuta da valida dottrina, presenta l’intrinseco difetto di trattenere la questione nel limbo di una definizione che lascia ampi spazi di interpretazione, non risolvendo i problemi posti dalla prassi applicativa che riguardano appunto l’ambito di tutela da garantire in connessione con questa responsabilità, nonché il rischio di appesantire il sistema giuridico mediante l’introduzione di ulteriori etichette52.

50 H. BELLUTA, op. cit., p. 11 afferma che la scelta è stata dovuta «più da ragioni di opportunità che da reali intenti definitori»; M. RONCO, op. cit., p. 3, riconosce che la qualificazione in termini penali della responsabilità degli enti avrebbe comportato una forte opposizione in «larghi strati dell’universo scientifico e politico nazionale». Sulla questione se si debba vedere nella scelta stilistica del legislatore un tentativo di «frode delle etichette» si veda D. PULITANÒ, op. cit., par. 1.

51 H. BELLUTA, op. cit., p. 21.

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1.4 I destinatari della disciplina.

Ai destinatari della disciplina contenuta nel d.lgs. 231 sono dedicati i commi 2 e 3 dell’art. 153. Il legislatore ha optato per un’elencazione

elastica dei soggetti sottoposti e non al corpus normativo; si tratta di una scelta che, certamente, lascia ampie zone d’ombra alla cui soluzione si dovrà pervenire in via esegetica, ma che è stata vista, anche, come il miglior modo per contemperare varie esigenze, tra cui la necessità di evitare una responsabilizzazione indiscriminata e di assicurare il rispetto del principio di uguaglianza.

Dalla lettura congiunta dei due commi, è possibile ricavare quali sono gli elementi che caratterizzano gli enti destinatari e che permettono loro di distinguersi dalle persone fisiche che per essi agiscono; in particolare, saranno destinatari della disciplina enti che siano portatori di un interesse altro e differente rispetto a quello delle persone che lo costituiscono e che siano altresì dotati di un’organizzazione strutturata e di un patrimonio distinto e separato da quello delle persone fisiche54.

Il comma 2 afferma che le disposizioni «si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica»55. Con «enti forniti di personalità giuridica» si

intende far riferimento alle associazioni, fondazioni o altre soggetti di diritto privato che hanno ottenuto il riconoscimento dello Stato ai sensi

53 Il comma 1, nell’affermare che il d.lgs. 231 «disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato», circoscrive il perimetro dell’oggetto dello stesso decreto. L. PISTORELLI, Articoli 1. Soggetti, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti: commento al d.lgs 8 giugno 2001, n. 231, a cura di M. LEVIS - A. PERINI, G. GIAPPICHELLI EDITORE, 2014, p. 3.

54 M. CERESA-GASTALDO, op. cit., p. 4; G. LASCO, Enti e responsabilità da reato: commento al d.lgs. 8 giugno 2001, n.231, G. LASCO-V. LORIA- M. MORGANTE, G. GIAPPICHELLI EDITORE, Torino, 2017, p. 8.

55 Per un tentativo di elencazione più compiuta dei destinatari si veda G. LASCO, op. cit., pp. 10-14 e A. BERNASCONI, Principi generali, in Manuale della responsabilità degli enti, cit., pp. 38-39.

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dell’art. 12 c.c., nonché alle società che hanno acquisito la personalità giuridica mediante l’iscrizione nel registro delle imprese ai sensi dell’art 2331 c.c.56

Il richiamo alle «società e associazioni anche prive di personalità giuridica»57 evidenzia la volontà del legislatore di estendere il più

possibile l’area di assoggettabilità della disciplina58, in ragione anche

della presenza, in queste ultime, di strutture dotate di maggiori possibilità di sottrarsi al controllo statale e quindi foriere di occasioni per la commissione di reati59.

Il dibattito in dottrina e giurisprudenza si è soffermato sulla possibilità di estendere l’applicabilità del sistema anche alle imprese individuali. Alla discussione ha partecipato, nel 2011, anche la Corte di Cassazione che, nonostante si fosse espressa precedentemente in modo differente60, ha dato risposta affermativa al quesito61 in quanto «una loro

56 L. PISTORELLI, op. cit., p. 13.

57 A. BERNASCONI, Responsabilità amministrativa degli enti (profili sostanziali e processuali), cit., p. 961, afferma che tale formula è finalizzata a «circoscrivere l’applicazione delle disposizioni del d. lg. n. 231 del 2001 agli enti contrassegnati da un’apprezzabile complessità organizzativa».

58 M. RONCO, op. cit., p. 3.

59 v. Relazione ministeriale al d.lgs. 231, par. 2.

60 Si veda Corte di Cassazione, Sezione VI penale, Sentenza 3 marzo 2004, n. 18941, in www.rivista231.it, secondo cui «deve concludersi che correttamente il Tribunale di Roma ha escluso che l'ambito soggettivo di applicazione della recente normativa sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di responsabilità giuridica potesse essere esteso alle "imprese individuali”».

61 La Corte nella sentenza 20 aprile 2011 n. 15657, in www.rivista231.it, ha motivato il riconoscimento dell’assoggettabilità delle imprese individuali alla disciplina del d.lgs. 231, argomentando che l’impresa individuale «ben può assimilarsi ad una persona giuridica nella quale viene a confondersi la persona dell'imprenditore quale soggetto fisico che esercita una determinata attività»; inoltre «è indubbio che la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 231 del 2001, sia senz’altro applicabile alle società a responsabilità limitata c.c. unipersonali, così come è notorio che molte imprese individuali spesso ricorrono ad una organizzazione interna complessa che prescinde dal sistematico intervento del titolare della impresa per la soluzione di determinate problematiche e che può spesso involgere la responsabilità di soggetti diversi dall'imprenditore ma che operano nell’interesse della stessa impresa individuale». In senso critico nei confronti della sentenza si esprime G. AMATO, Anche le imprese

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esclusione potrebbe […] porsi in conflitto con norme costituzionali — oltre che sotto il riferito aspetto della disparità di trattamento — anche in termini di irragionevolezza del sistema», salvo poi, un anno dopo, escludere le imprese individuali dal novero dei soggetti destinatari, affermando, laconicamente che «la normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli soggetti collettivi»62. In ultimo, nel 2017, la stessa

Suprema Corte ha riconosciuto l’applicabilità della disciplina del d.lgs. 231 alle società unipersonali63.

L’esclusione delle imprese individuali dal novero dei soggetti destinatari delle disposizioni del d.lgs. 231 si fonda, in ultima analisi, sulla necessità che quest’ultimi siano un soggetto assolutamente distinto rispetto alla persona fisica che commette il reato e con interessi altri ed autonomi64. In più, il riconoscimento di una responsabilità autonoma in

capo alle imprese individuali comporterebbe una duplicazione delle sanzioni — “amministrativa” e penale — nei confronti dello stesso soggetto, ossia l’imprenditore individuale65.

Il comma 3 dell’art. 1 elenca i soggetti esclusi dal novero dei destinatari della disciplina: lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri

individuali rispondono dell’illecito amministrativo?, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2011, n. 3, pp. 199-202.

62 Corte di Cassazione, Sezione VI penale, Sentenza 23 luglio 2012, n. 30085, in www.rivista231.it.

63 Corte di Cassazione, Sezione VI penale, Sentenza 25 luglio 2017, n. 49056, in www.rivista231.it, «Se, pertanto, il presupposto indefettibile per l'applicazione del diritto sanzionatorio degli enti è l'esistenza di un "soggetto di diritto metaindividuale" […], quale autonomo centro di interessi e di rapporti giuridici, è certamente ascrivibile al novero dei destinatari del Decreto Legislativo n. 231 del 2001 anche la società unipersonale, in quanto soggetto di diritto distinto dalla persona fisica che ne detiene le quote».

64 M. MONTESANO, L’attribuibilità alle imprese individuali ovvero alle società unipersonali della normativa sulla responsabilità degli enti, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti: commento al d.lgs 8 giugno 2001, n. 231, cit., pp. 102-103; A. SCARCELLA, La Cassazione ribadisce l’inapplicabilità del d.lgs. 231/2001 alle imprese individuali: scongiurata la rimessione alle Sezioni Unite?, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2012, n. 4, pp. 180-181.

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enti pubblici non economici e gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale. Andando ad analizzare singolarmente i singoli soggetti, pochi dubbi interpretativi sorgono con riguardo allo Stato66 e agli enti

pubblici territoriali, mentre più problematica è l’individuazione degli enti pubblici non economici. Le complessità interpretative derivano sopratutto dalla difficoltà di giungere ad una definizione unitaria e soddisfacente di ente pubblico economico67.

La stessa Relazione ministeriale al d.lgs. 231 riconosce come la categoria degli enti pubblici racchiuda al suo interno un’ampia gamma di soggetti, tra cui gli enti associativi (ACI, CRI, CAI, ordini professionali, ecc.)68 e gli enti pubblici che svolgono un pubblico

servizio (aziende ospedaliere, università pubbliche, scuole, ecc.). I primi formavano già all’epoca una categoria destinata a scomparire per la forte ondata di privatizzazioni, per cui l’estensione a questi della responsabilità avrebbe comportato maggiori costi che benefici.

Per quanto riguarda gli enti pubblici che svolgono un pubblico servizio, invece, il loro assoggettamento alla disciplina del d.lgs. 231 avrebbe comportato, soprattutto a causa della incisività delle sanzioni interdittive, un forte nocumento alla collettività69.

Sono da riconoscere come destinatari della disciplina, nonostante enti pubblici, gli enti pubblici economici che, in quanto agenti iure

privatorum, sono da equiparare agli enti a soggettività privata; infatti la

natura pubblicistica dell’ente è condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione, essendo elemento dirimente l’agire, o meno, con finalità economico-lucrativa70.

66 Da intendersi in una concezione ampia e comprensiva anche delle articolazioni amministrative centrali e periferiche, come sottolineato da G. LASCO, op. cit., p. 14. 67 L. PISTORELLI, op. cit., p. 24.

68 Come rilevato, tra gli altri, da L. PISTORELLI, op. cit., p. 24.

69 Si noti come, invece, gli enti privati che svolgono un pubblico servizio rientrino nel novero dei destinatari.

70 Si veda Corte di Cassazione, Sezione II penale, Sentenza 9 luglio 2010, n. 28699, in www.rivista231.it. La Suprema Corte, infatti, afferma che «il tenore testuale della norma è inequivocabile nel senso che la natura pubblicistica di un ente è condizione

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In ultimo, sono esclusi dall’applicazione delle disposizioni del d.lgs. 231 gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale71; è opinione

pacifica che con questa espressione si faccia riferimento ai partiti politici e ai sindacati72. Le ragioni a sostegno di una tale esclusione sono da

ricercare soprattutto nella volontà di evitare un uso distorto del sistema punitivo-sanzionatorio (in particolare delle sanzioni interdittive) a fini politici73.

1.5 I principi di garanzia e l’efficacia della legge nel tempo e nello spazio.

Il carattere sanzionatorio-punitivo del sistema nel suo complesso ha indotto il legislatore delegato, benché non vi fossero indicazioni in tal senso da parte della legge delega, all’introduzione di principi di garanzia a tutela dell’ente. In particolare, l’art. 2, nel prescrivere che «L’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto», enuncia, expressis verbis, il principio di legalità — nonostante non vi fosse un’indicazione in tal

necessaria, ma non sufficiente, all'esonero dalla disciplina in discorso, dovendo altresì concorrere la condizione che l'ente medesimo non svolga attività economica», riconducendo nell’alveo dei destinatari anche le società a partecipazione pubblica. Si veda L. PISTORELLI, op. cit., pp. 28-29.

71 Si deve intendere sottinteso l’aggettivo “privati”; infatti gli enti pubblici che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (Parlamento, Corte costituzionale, ecc.) rientrano nella nozione ampia di «Stato».

72 A. BERNASCONI, Responsabilità amministrativa degli enti (profili sostanziali e processuali), cit., p. 961.

73 O. DI GIOVINE, op. cit., p. 31 afferma che è soprattutto la fisiologia della responsabilità a giustificarne l’esclusione; il legislatore ha inteso, infatti, riferirsi a realtà di tipo imprenditoriale mosse da finalità di profitto economico; M. RONCO, op. cit. p. 4, secondo cui l’esclusione è tra i soggetti destinatari di partiti politici e sindacati è giustificata da «rischi di rottura dei fragili equilibri su cui si regge lo Stato democratico»; nello stesso senso, si esprime L. PISTORELLI, op. cit., p. 25.

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senso nella legge delega74 — in tutte e tre le sue forme75: riserva di

legge76, principio di tassatività77 e determinatezza e principio di non

retroattività. Come si desume dalla lettera della disposizione, il principio di legalità concerne il duplice aspetto del precetto e della sanzione e, a monte, investe sia «l’affermazione della responsabilità amministrativa dell’ente» sia «l’assetto penale di disciplina in conseguenza del quale tale responsabilità è prevista»78.

Già da una prima lettura dell’art. 2 non si può non notare come il legislatore delegato si sia ampiamente ispirato79 all’art. 1 del codice

penale80, contingenza che si era già a suo tempo sottolineato81, a

sostegno della natura penale della responsabilità dell’ente.

Come spesso accade nel nostro sistema, lo stesso legislatore ha più volte disatteso le stesse indicazioni da lui poste: infatti, se si scorre l’elenco dei reati-presupposto82, è possibile notare come alcuni di questi,

in particolare le fattispecie di criminalità organizzata, di cui all’art

24-ter, commi 1 e 2, e di terrorismo, di cui all’art 25-qua24-ter, comma 4, siano

suscettibili di «ampliare in maniera indefinita il novero dei reati da cui discende la responsabilità dell’ente» mediante un «rinvio, a carattere aperto, ai “reati mezzo” dell’associazione di stampo mafioso (art.

74 M. MATTALIA, Art. 2. Il principio di legalità, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti: commento al d.lgs 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 113. 75 M. RONCO, op. cit., p. 4.

76 In attuazione dell’art. 25, comma 2, della nostra costituzione, secondo cui: «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso».

77 Secondo cui, la responsabilità dell’ente sorge solo in relazione alla commissione di quei reati per i quali è espressamente prevista. M. MATTALIA, op. cit., p. 115 fa, riferimento, invece, al principio di specialità.

78 Relazione ministeriale al d.lgs 231.

79 L.G. CERQUA, Principio di legalità e responsabilità degli enti in relazione ai delitti di truffa in danno dello Stato e di corruzione, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2008, n. 3, p. 65, riconosce come «la matrice penalistica e il riferimento all’art. 25, comma 2, Cost., (siano) evidenti».

80 «Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite».

81 v. supra p.11. 82 v. infra cap. I, par. 7.

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bis c.p.) e dell’associazione a delinquere (art. 416 c.p.), nel primo caso,

e ad atti internazionali (in particolare, la Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo fatta a New York il 9 dicembre 1999, n.d.r) nel secondo»83.

Proseguendo nell’analisi delle prime disposizioni del d.lgs. 231 ci imbattiamo nell’enunciazione di un principio che è proprio del sistema penale84; il riferimento è al principio di successione di leggi e di

applicazione della legge più favorevole, disciplinato dall’art 385. I

commi 1 e 2 di questa disposizione trattano, rispettivamente, del caso di legge successiva abrogatrice e di legge successiva solamente modificatrice, prevedendo una diversa disciplina con riguardo ai casi di intervenuta pronuncia con forza di cosa giudicata86.

Il comma 1 afferma, infatti: «L’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce più reato o in relazione al quale non è più prevista la responsabilità amministrativa dell’ente, e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti giuridici». La disposizione in esame si applica, dunque, sia alle leggi che prevedono il reato-presupposto e sia quelle che affermano la responsabilità dell’ente, travolgendo anche eventuali pronunce passate in giudicato.

83 G. LASCO, op. cit., pp. 39-40; in termini simili si esprime anche M. MATTALIA, op. cit., p. 118.

84 V. Art. 2 codice penale. Mentre non vi sono riscontri in materia di illeciti amministrativi; per un approfondimento sull’argomento si rimanda a F. D’ARCANGELO, Articolo 3. Successione di leggi, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti: commento al d.lgs 8 giugno 2001, n. 231, cit., pp. 121-122.

85 F. D’ARCANGELO, op. cit., pp. 134-135, afferma la non applicabilità dell’articolo in esame alle norme processuali, dovendosi ritenere vigente il principio del tempus regit actum.

86 O. DI GIOVINE, op. cit., p. 43 riconosce nell’art. 3 una fisionomia bifronte, data soprattutto dal diverso ambito di applicazione dei due commi.

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Per quanto riguarda il momento consumativo dell’illecito amministrativo, si ritiene che questo corrisponda con quello del reato commesso dal soggetto agente87.

Il comma 2, disciplinante i casi di legge successiva modificatrice, individua come limite all’applicazione della legge più favorevole «l’intervenuta pronuncia irrevocabile».

Parte della dottrina88 ha affermato l’applicabilità del comma 2 non

solo alle leggi che prevedono la responsabilità dell’ente ma anche alle leggi che contemplano il reato-presupposto (essendo, però, priva di effetti una modifica dell’apparato sanzionatorio del reato-presupposto, per ovvie ragioni di indifferenza della responsabilità dell’ente dalle sanzioni proprie del reato stesso), contrariamente alle indicazioni provenienti dalla Relazione ministeriale, secondo cui le vicende del reato (diverse dall’abolitio criminis) non investono i profili di responsabilità della persona giuridica.

Il comma 3 dell’art. 3 prevede la non applicabilità dei precedenti commi in caso di leggi eccezionali e temporanee; la ratio di tale disposizione è da ricercare nella volontà di evitare l’effetto criminogeno che deriverebbe dalla consapevolezza dell’effetto temporalmente limitato della norma, non compromettendo l’efficacia generalpreventiva delle stesse89. L’art. 3 non disciplina i casi di decreti legge non convertiti

o di decreti legge convertiti con modifica, in questo caso distaccandosi dall’art 2 c.p.90. Si tratta, però, di una differenza solo formale, in quanto

la stessa Relazione ministeriale, consapevole dell’omissione, afferma l’applicabilità dei principi generali91.

87 F. D’ARCANGELO, op. cit., pp. 124-125.

88 A. BERNASCONI, Principi generali, cit., p. 43; O. DI GIOVINE, op. cit., p. 45. 89 F. D’ARCANGELO, op. cit., p. 133.

90 Il comma VI dell’art 2 c.p. statuisce: «Le disposizioni di questo articolo si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto-legge e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti».

91 «L’avvenuto superamento del quinto comma (ora sesto, n.d.r.) dell’art. 2 c.p. (sui decreti legge) da parte della disciplina e (sebbene in parte) della giurisprudenza costituzionale, ne ha infine sconsigliato la riproduzione in questa sede. Le questioni

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In ultimo, l’art. 492 contiene la disciplina dei reati commessi

all’estero93, prevedendo l’applicazione del d.lgs. 231 nei casi in cui il

reato sia commesso da un ente che ha la propria sede principale in Italia, «nei casi e alle condizioni previsti dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del codice penale […] purché nei loro confronti non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto». La ratio di tale norma è facilmente rinvenibile nella volontà di arginare i possibili fenomeni di elusione

che involgono la normazione attraverso decretazione d’urgenza nonché quelle legate alla dichiarazione di illegittimità costituzionale delle leggi sembrano infatti trovare più agevole soluzione alla luce dei rispettivi principi generali».

92 Secondo A. IANNINI, Articolo 4. Reati commessi all’estero, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti: commento al d.lgs 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 136, afferma che l’art. 4 «testimonia la vocazione internazionalistica della normativa sulla responsabilità degli enti».

93 Non viene, invece, disciplinato il caso di reato commesso in Italia a vantaggio o nell’interesse dell’ente straniero. A riguardo la dottrina e la giurisprudenza hanno affermato l’applicabilità dei principi generali in materia di responsabilità della persona fisica, sulla base anche delle previsioni contenute negli articoli 34 e 35 del d.lgs. 231. Recentemente, la questione è stata affrontata in occasione del processo inerente al disastro ferroviario di Viareggio del 29 giungo 2009; in particolare, il Tribunale di Lucca, Sentenza 31 gennaio 2017, n. 222, in www.giurisprudenzapenale.com, dopo aver riportato le opposte tesi dottrinali in materia, propende per l’estensibilità della disciplina del d.lgs. 231/2001 anche alle imprese straniere con sede all’estero. Per una approfondita analisi della sentenza si rimanda a R. CARLONI - V. GROMIS DI TRANA, La sentenza del tribunale di Lucca relativa al disastro ferroviario di Viareggio: l’applicabilità erga omnes delle norme prevenzionistiche; le posizioni di garanzia; i principi espressi rispetto alla normativa d.lgs. 231/2001, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2018, n. 1, pp. 239-272. Tra i vari principi declinati dal Tribunale (pp. 981-982) e riportati dagli autori (pp. 243-244), rivestono, a parere di chi scrive, particolare importanza quelli secondo cui «le imprese straniere sono soggette alla legge italiana, a prescindere dal fatto che esse abbiano o meno in Italia una sede secondaria o uno stabilimento; locus e tempus commissi delicti della persona giuridica non possono che coincidere con quelli della persona fisica; la qualificazione di un fatto dell’ente come avente natura territoriale o extraterritoriale sarà determinata in toto dal luogo di radicamento della condotta individuale, vale a dire da quello del reato presupposto dell’autore persona fisica». Si veda, inoltre, A. IANNINI, op. cit., pp. 137-139, che segnala la rilevanza delle conseguenze dell’estensione della responsabilità ex d.lgs. 231 agli enti con sede all’estero, circa l’applicazione degli artt. 6 e 7 dello stesso decreto (in materia di adozione dei modelli di organizzazione e gestione).

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della normativa, mediante la commissione del reato-presupposto all’estero94, ipotesi assai diffusa dal punto di vista criminologico.95.

Per stabilire se la sede principale sia o meno situata in Italia, per le imprese si deve fare riferimento alla disciplina contenuta negli articoli 2196 c.c. (secondo cui, al momento dell’iscrizione dell’impresa sull’apposito registro, si deve indicare la sede della stessa) e 2197 c.c. (che al comma 1 stabilisce «L'imprenditore che istituisce nel territorio dello Stato sedi secondarie con una rappresentanza stabile deve, entro trenta giorni, chiederne l'iscrizione all'ufficio del registro delle imprese del luogo dove è la sede principale dell’impresa»). Per quanto concerne, invece, gli enti privi di personalità giuridica, fondamentali sono le indicazioni provenienti dall’atto costitutivo o dallo statuto96.

Il comma 2 dell’art. 4, infine, richiede come presupposto per procedere contro l’ente, nei casi in cui la legge preveda la necessaria richiesta del Ministro della giustizia per punire il colpevole, che la richiesta sia «formulata anche nei confronti di quest’ultimo».

1.6 Il principio di autonomia della responsabilità dell’ente.

La Sezione I del Capo I del d.lgs. 231 si chiude con l’enunciazione, da parte dell’art. 897, del principio di autonomia della responsabilità

dell’ente98, confermando la natura di titolo autonomo e distinto della

94 Relazione ministeriale, par. 3.1.

95 V. A. BERNASCONI, Principi generali, cit., p. 45, che riconosce l’esistenza di una tesi contraria facente leva sul locus commissi delicti.

96 A. IANNINI, op. cit., p. 140.

97 M. RONCO, op. cit., p. 5, riconosce nel principio di autonomia un carattere sostanziale e non processuale, in quanto «orienta il significato complessivo del sistema, imperniato […] sulla responsabilità autonoma della persona giuridica per un fatto corrispondente soltanto al profilo esterno di un reato». D. PULITANÒ, op. cit., par. 9, afferma che si tratta di una autonomia che, comunque, necessita della realizzazione di un reato «integro di tutti gli elementi che ne fondano lo specifico disvalore».

98 F. CONSULICH, Il principio di autonomia della responsabilità dell’ente. Prospettive di riforma dell’art. 8, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2018, n. 4,

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