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I criteri oggettivi di imputazione Interesse o vantaggio e cause d

Come evidenziato nel primo capitolo, l’introduzione del d.lgs. 231 ha comportato il superamento, nel nostro ordinamento, dell’idea racchiusa nel brocardo societas delinquere non potest, mediante la previsione di una responsabilità delle persone giuridiche che trova il proprio momento genetico nella commissione di uno dei reati-presupposto indicati dallo stesso decreto. Questa evenienza rappresenta solo una delle condizioni, oggettive e soggettive, per affermare la responsabilità dell’ente: l’illecito amministrativo, come configurato dal d.lgs. 231, si caratterizza per essere un illecito a struttura complessa115, caratterizzato da una

pluralità di elementi costitutivi116, il cui onere della prova ricade sul

pubblico ministero, che dovrà dimostrare, oltre alla commissione del reato-presupposto, anche che questo sia stato commesso nell’interesse o

115 M. RIVERDITI, op. cit., p. 145 dà conto di come una parte della dottrina evidenzi che l’illecito è strutturato secondo le forme dei reati di agevolazione colposa. 116 T.E. EPIDENDIO, L’illecito dipendente da reato, in Enti e responsabilità da reato. Accertamento, sanzioni e misure cautelari, cit., pp. 161-162.

a vantaggio dell’ente, nonché, nel caso in cui l’autore sia stato identificato117, se questo sia un soggetto apicale o un sottoposto118.

In particolare, è il comma 1 dell’art. 5 che dà conto dei presupposti oggettivi della responsabilità dell’ente, affermando: «L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a)».

Dottrina119 e giurisprudenza120 sono concordi nell’affermare che il

duplice criterio dell’interesse o vantaggio permetta, in prima battuta, di assicurare il rispetto del principio di personalità nella sua misura minima di divieto di responsabilità per fatto altrui, mediante la traduzione in termini normativi dell’idea di immedesimazione organica121, nonché di

riconoscere nell’illecito un’espressione della politica aziendale o, comunque, una conseguenza di una colpa di organizzazione.

La rottura, il venir meno di tale rapporto di immedesimazione, è alla base della causa di esclusione della responsabilità prevista dal comma 2 dell’art. 5 secondo cui «L'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi».

117 Quindi, fuori dai casi delineati dall’art. 8. V. supra, cap. I, par. 6.

118 A. BERNASCONI, La responsabilità dell’ente. I criteri di imputazione. Il gruppo di imprese, in Manuale della responsabilità degli enti, cit., p. 62.

119 G. LASCO, op. cit., p. 58; G. DE SIMONE, op. cit., p. 32.

120 Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 18 febbraio 2010, n. 27735, in www.iusexplorer.it, secondo cui: «Il fatto - reato commesso dal soggetto inserito nella compagine della societas, in vista del perseguimento dell'interesse o del vantaggio di questa, è sicuramente qualificabile come "proprio" anche della persona giuridica, e ciò in forza del rapporto di immedesimazione organica che lega il primo alla seconda: la persona fisica che opera nell'ambito delle sue competenze societarie, nell'interesse dell'ente, agisce come organo e non come soggetto da questo distinto; né la degenerazione di tale attività funzionale in illecito penale è di ostacolo all’immedesimazione.»

Il primo quesito ermeneutico che si è posto all’attenzione della dottrina e della giurisprudenza riguarda il significato da attribuire all’espressione «interesse o vantaggio». In particolare ci si è domandati se le due condizioni avessero o meno valenza alternativa e significati diversi122.

Alcuni autori123, fondandosi anche sulle considerazioni contenute

nella Relazione ministeriale124, considerano l’interesse e il vantaggio

due condizioni separate e differenti tra loro, l’una suscettibile di una valutazione ex ante (che tenga conto del momento in cui è stato commesso il reato-presupposto), l’altra da valutarsi ex post (e quindi volgendo la propria attenzione al momento del risultato)125; la prima

destinata anche a rimanere solo potenziale, la seconda, invece, destinata ad una valutazione dicotomica di esistenza o non esistenza. Altri autori126 ritengono invece che i due termini debbano essere considerati

come un’endiadi 127 che descrive un criterio unitario: quello

dell’interesse dell’ente inteso in senso obiettivo.

122 F. SGUBBI - A. ASTROLOGO, Articolo 5. Responsabilità dell’ente, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti: commento al d.lgs 8 giugno 2001, n. 231, cit., pp. 151-153.

123 Si veda A. BERNASCONI, La responsabilità dell’ente. I criteri di imputazione. Il gruppo di imprese, cit., pp. 62-63 e M. CERESA-GASTALDO, op. cit., p. 16. 124 Secondo cui «il richiamo all'interesse dell'ente caratterizza in senso marcatamente soggettivo la condotta delittuosa della persona fisica e che "si accontenta" di una verifica ex ante; viceversa, il vantaggio, che può essere tratto dall'ente anche quando la persona fisica non abbia agito nel suo interesse, richiede sempre una verifica ex post.»

125 A. BERNASCONI, La responsabilità amministrativa degli enti (profili sostanziali e processuali), cit., p. 964.

126 In particolare D. PULITANÒ, La responsabilità da reato degli enti: i criteri di imputazione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2002, n. 2, p. 425.

127 Al contrario, Corte di Cassazione, sezione V penale, sentenza 28 novembre 2013, n. 10265, in www.iusexplorer.it, secondo la quale: «la formula normativa non contiene un'endiadi, perché i termini hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse "a monte" per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell'illecito, da un vantaggio obiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato ex ante, con la conseguenza che l'interesse ed il vantaggio devono ritenersi criteri imputativi concorrenti, ma alternativi».

Gli elementi richiamati a sostegno della differenziazione delle due condizioni, oltre alla ragione letterale della congiunzione «o», ed in particolare la lettera a) del comma 1 dell’art. 12 (secondo cui si ha una riduzione della pena pecuniaria nel caso in cui «l'autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l'ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo») e il comma 2 dell’art 5 (che, nell’escludere la responsabilità dell’ente nel caso in cui il soggetto abbia agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi, ammette la possibilità che la persona giuridica abbia comunque tratto un vantaggio “fortuito”128 dalla commissione dell’illecito), se da

una parte, evidenziano una differenza fra le due locuzioni, dall’altra disegnano il criterio dell’interesse come il criterio indispensabile per la responsabilità dell’ente, anzi come l’unico criterio rilevante129. A tal

riguardo la previsione della responsabilità dell’ente anche nell’ipotesi di delitto tentato 130 (come previsto dall’art. 26) è espressione

dell’irrilevanza del conseguimento di un concreto vantaggio da parte dell’ente131.

La dottrina si è anche divisa sulle modalità di interpretazione e lettura del criterio dell’interesse: da una parte si propugna una lettura in chiave esclusivamente soggettiva132, dall’altra si afferma che la locuzione

128 O. DI GIOVINE, op. cit., p. 64.

129 G. DE SIMONE, op. cit., p. 34: «il vantaggio costituisce una sorta di variabile causale, che potrà anche darsi, senza che, per ciò solo, si debba ipotizzare una responsabilità da reato della societas». M. RIVERDITI, op. cit., pp. 182-183: «solo l’interesse costituisce il presupposto indispensabile per la responsabilità dell'ente: qualora a mancare sia la concretizzazione del vantaggio perseguito con la realizzazione del reato, infatti, l'ente potrà essere ugualmente considerato responsabile, conseguendo “soltanto” una significativa riduzione della pena pecuniaria comminata»; lo stesso autore, inoltre, afferma come il vantaggio, da solo, non sia elemento insufficiente a radicare la responsabilità dell’ente.

130 Si veda S. BELTRANI, Responsabilità degli enti anche da delitto tentato? (commento a Cass. Pen., Sez. V, n. 7718/200), in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2009, n. 4, p. 125 e ss.

131 D. CIMADOMO, op. cit., p. 111.

132 C. SANTORIELLO, Violazioni delle norme antinfortunistiche e reati commessi nell’interesse o a vantaggio della società, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2008, n. 1, p. 165 e ss.

“interesse” debba essere intesa in senso oggettivo, rifuggendo da ogni riferimento alle mere intenzioni soggettive o al movente a delinquere dell’autore materiale133.

Sicuramente, la questione ermeneutica più complicata che si è posta con riferimento ai presupposti di interesse e vantaggio è quella della loro compatibilità con le fattispecie di natura colposa che, come abbiamo visto, sono state introdotte nel catalogo dei reati-presupposto a partire dal 2007134.

Alcuni autori hanno rilevato come vi sia un’incompatibilità logica fra la non volontà dell’evento sottesa alla natura colposa e il finalismo insito nell’idea di interesse135; anzi, se riferissimo i presupposti di interesse o

vantaggio all’evento naturalistico in sé136, dovremmo paradossalmente

ricondurre la morte o le lesioni, conseguenza delle fattispecie previste dall’art 25-septies, cioè omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, appunto all’interesse o al vantaggio dell’ente. Questa considerazione si scontra, inevitabilmente, con l’evidenza pratica: tali eventi, infatti, non potrebbero che essere svantaggiosi o, addirittura, dannosi per la persona giuridica, soprattutto per le conseguenze a suo

133 T.E. EPIDENDIO, L’illecito dipendente da reato, cit., p. 169; M. RIVERDITI, op. cit., p. 184; G. DE SIMONE, op. cit., p. 36.

134 G. DE SIMONE, op. cit., p. 41, afferma come buona parte della dottrina sostenga che i principi della parte generale e i criteri di imputazione siano stati, ab initio, «geneticamente destinati a coprire anche l’area dei reati colposi», sulla scorta di quella che era l’idea del legislatore delegante (presunta sulla base dell’art. 11, comma 1 lett. c della l.d. 300), secondo cui i criteri dell’interesse o vantaggio fossero del tutto compatibili con la struttura colposa dei reati-presupposto.

135 A. ALESSANDRI, Reati colposi e modelli di organizzazione e gestione, cit., p. 342, riconosce che «l’immaginare che un fatto (illecito) non voluto dall’autore si possa dire commesso nell’interesse di qualcun altro appare una contraddizione in termini». Si veda inoltre, F. D’ARCANGELO, La responsabilità da reato degli enti per gli infortuni sul lavoro, cit., p. 83.

136 G. DE SIMONE, op. cit., p. 43 afferma che l’art 5 riferisce esplicitamente i criteri dell’interesse o vantaggio al reato nella sua interezza, comprensivo di tutti i suoi elementi costitutivi, e quindi anche dell’ente naturalistico.

carico a livello di responsabilità per danni, nonché a livello reputazionale137.

Rebus sic stantibus, la tesi avanzata più radicale è quella della

inapplicabilità di tali criteri di imputazione alle fattispecie di natura colposa, con la conseguente inapplicabilità dello stesso art. 25-septies. In dottrina138 si è rilevato come la giurisprudenza abbia optato per una riformulazione interpretativa dei criteri di imputazione, riconoscendo come tali presupposti debbano essere riferiti alla sola condotta139 dell’autore materiale e non al fatto-reato nella sua interezza: si deve, ossia, considerare il reato a prescindere dall’evento naturalistico conseguente alla condotta. In tal senso, il comportamento omissivo verrebbe a integrare il presupposto del vantaggio, inteso come risparmio di costi140.

È la stessa dottrina, però, a rilevare come si tratti di una interpretazione insoddisfacente in quanto, da una parte, può essere considerata un’interpretazione praeter legem in contrasto con «il divieto di analogia in malam partem»141 e, dall’altra, non è scontato che la condotta omissiva comporti sempre un risparmio dal punto di vista economico, potendo invece risultare indifferente o addirittura svantaggiosa.

137 M. CERESA-GASTALDO, op. cit., p. 17; G. LASCO, op. cit., p. 64; N. MAZZACUVA - E. AMATI, Diritto penale dell’economia. Problemi e casi, Wolters Kluver, CEDAM, 2016, III ed., p. 32.

138 M. CARDIA, La disciplina sulla sicurezza nel luogo di lavoro nella prospettiva del d.lgs.231/2001, cit., p. 120; M. CERESA-GASTALDO, op. cit., p. 17-19; G. DE SIMONE, op. cit., p. 44; N. MAZZACUVA - E. AMATI, op. cit., p. 33-34.

139 Si tratta di una tesi sostenuta anche da C. SANTORIELLO, op. cit., p. 169 e ss., che propone un’analisi diversificata a seconda che si tratti di colpa cosciente o incosciente, avendo, però, come fondamento una visione prettamente soggettivistica del concetto di interesse, da riferirsi quindi alle motivazioni psicologiche dell’agente. 140 F. D’ARCANGELO, La responsabilità da reato degli enti per gli infortuni sul lavoro, cit., p. 84.

Per uscire da tale intricata quaestio ermeneutica 142 occorre considerare il rimprovero che viene mosso all’ente, sia nei reati colposi che in quelli dolosi: l’ente viene considerato responsabile sulla base di una carenza organizzativa, di una colpa organizzativa, da intendersi nel senso di noncuranza per gli interessi che possano subire un pregiudizio143.

Si può ravvisare, così, nei reati colposi, anche ove manchi un concreto vantaggio, un interesse dell’ente a mantenere una carenza organizzativa, un’indifferenza colpevole all’agire contra legem, riscontrabile in lacune organizzative che favoriscono il realizzarsi dell’evento. Naturalmente, per poter affermare la responsabilità dell’ente, è necessario provare che all’interno della struttura societaria vi sia un deficit organizzativo non occasionale e soprattutto che risponda a ragioni di convenienza144.