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Il modello di organizzazione e gestione nelle piccole-medie

Nella analisi fino ad ora effettuata, il soggetto giuridico di riferimento è rappresentato dalla grande impresa, strutturalmente complessa e ampiamente diversificata al suo interno.

La realtà imprenditoriale italiana, però, si caratterizza per la netta prevalenza di piccole-medie imprese650; di conseguenza non è affatto

remoto che una PMI venga coinvolta in procedimenti “penali”.

L’applicazione del d.lgs. 231 anche alle PMI è stata, sin dagli albori della nuova disciplina, una questione discussa e controversa, soprattutto anche a causa della poca flessibilità mostrata dalle disposizioni in esame, in particolare quelle riguardanti i modelli, rispetto alle caratteristiche dimensionali ed economiche delle persone giuridiche651.

Le criticità che sono state evidenziate dagli interpreti riguardano maggiormente due questioni: una più prettamente economica e l’altra di sapore processual-penalistico.

È già stato, nel corso della trattazione, ampiamente sottolineato come il dotarsi di modelli organizzativi e di strutture interne in grado di

648 Si veda il par. 1 di questo capitolo.

649 F. D’ARCANGELO, L’aggiornamento del modello organizzativo tra modifiche normative ed affinamento delle best practices, cit., p. 160.

650 M. CHILOSI, La responsabilità dipendente da reato e il modello 231 nelle piccole imprese. pro e contro e prospettive di riforma, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2018, n. 1, p. 292; G. LASCO, op. cit., p. 100; C. SANTORIELLO, I modelli organizzativi richiesti dal d.lgs. 231/2001 e PMI. Una riflessione alla luce delle indicazioni di Confindustria, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2015, n. 1, p. 184.

prevenire la commissione di reati rappresenti, per l’ente virtuoso, ingenti costi652 sia per la originaria adozione che per il necessario e continuo

adeguamento, senza considerare l’impegno economico derivante dalla costituzione di un organismo di vigilanza con i poteri e le funzioni delineate dal decreto. Questi costi possono costituire un peso consistente, quasi insostenibile, per gli enti di ridotte dimensioni653.

Dall’altro lato, si evidenzia come la compenetrazione tra il soggetto agente che ha commesso il fatto illecito e l’impresa è talmente forte da ridurre gli spazi di esenzione da responsabilità della persona giuridica, giungendo alla configurazione di una responsabilità sostanzialmente oggettiva, rendendo vano ogni sforzo preventivo compiuto dall’ente654,

per il grado di identificazione nella persona fisica della societas.

In dottrina e giurisprudenza si è discusso e si continua a discutere sull’opportunità di introdurre un regime di semplificazione 655 o

comunque diversificazione degli oneri organizzativi e preventivi per le piccole realtà imprenditoriali656.

652 S. BARTOLOMUCCI, Sulla configurabilità del (fantomatico) modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001 dedicato alla P.M.I., in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2010, n. 2, p. 93, afferma che «autodeterminarsi ad adottare un idoneo Compliance program costituisce scelta economicamente impegnativa».

653 A riguardo i dati risultati dall’indagine promossa da Confindustria in collaborazione con TIM, dell’aprile 2017 (Indagine modelli organizzativi 231 e anticorruzione. Aprile 2017. Esiti, in www.penalecontemporaneo.it) , sono chiari nell’evidenziare ancora una refrattarietà delle PMI ad adottare un modello, in quanto «la variabile dimensionale sembra avere rilevanza visto che, nel campione, tutte le imprese di dimensioni maggiori (con oltre 250 dipendenti o con fatturato superiore a 250 milioni di euro) lo adottano; per quanto riguarda le imprese più piccole, tutte quelle con meno di 10 dipendenti sono prive di modello organizzativo e, tra quelle con meno di 2 milioni di euro di fatturato, ne è dotata solo una su sette (14%)» (p. 6).

654 M. CHILOSI, op. cit., p. 292-293; C. SANTORIELLO, I modelli organizzativi richiesti dal d.lgs. 231/2001 e PMI. una riflessione alla luce delle indicazioni di Confindustria, cit., p. 185. L’autore, a tal riguardo, muove una critica nei confronti delle Linee Guida di Confindustria le quali, a suo parere, «in maniera contraddittoria prima evidenziano questo tema e poi affermano che alle piccole imprese è comunque richiesto uno sforzo organizzato e di prevenzione minore».

655 M. CHILOSI, op. cit., p. 291.

656 S. BARTOLOMUCCI, Sulla configurabilità del (fantomatico) modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001 dedicato alla P.M.I., cit., p. 99. L’autore analizza la possibilità di una possibile standardizzazione del modello rivolta agli enti di piccole

Indicazioni in tal senso provengono dal legislatore delegato in materia di salute e sicurezza sul lavoro che, all’art. 30, comma 5-bis, del d.lgs. 81/2008, dispone che «la commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro elabora procedure semplificate per la adozione e la efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese. Tali procedure sono recepite con decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali».

Diversamente, il d.lgs 231, in maniera esigua ed insoddisfacente, prevede solamente, come modalità di riduzione dei costi per gli enti di piccole dimensioni, che «i compiti indicati nella lettera b), del comma 1 (quelli dell’organismo di vigilanza, n.d.r.), possono essere svolti direttamente dall'organo dirigente».

Prima di analizzare le disposizioni e vedere come le “dimensioni” dell’azienda influiscano sulla predisposizione del modello, è necessario andare a specificare a quali enti si faccia riferimento.

Sembrerebbe non sufficiente657, come criterio distintivo, quello

introdotto dal decreto ministeriale 18 aprile 2005, che all’art. 2 procede alla rigida fissazione di soglie numeriche658 per l’individuazione delle

dimensioni; concludendo, però, per l’impossibilità di una tale opzione in quanto «è la stessa norma (artt. 6 e 7) ad escludere in nuce la configurabilità aprioristica di un Modello standard, di un prototipo legale, di un modello elettivo di impronta legale», infatti gli articoli in questione si limitano a delineare alcuni principi organizzativi trasversali essendo impossibile delineare un modello che sia adatto a più realtà imprenditoriali. Di conseguenza «Revocata in nuce la configurabilità “del” Modello- tipo, universalmente valido ed efficace in chiave esimente, ne consegue quale corollario, anche l’impossibile profilazione di un Modello semplificato e standardizzato riservato all’ente collettivo minore».

657 Come rilevato da M. PANUCCI - C. LA ROTONDA, op. cit., p. 333.

658 «1. La categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (complessivamente definita PMI) è costituita da imprese che: a) hanno meno di 250 occupati, e b) hanno un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro. // 2. Nell’ambito della categoria delle PMI, si definisce piccola impresa l’impresa che: a) ha meno di 50 occupati, e b) ha un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 10 milioni di euro. // 3. Nell’ambito della categoria delle PMI, si definisce

PMI659. La variabile quantitativa può rappresentare solo una delle

modalità di individuazione dell’ambito degli enti di piccole dimensioni660.

Sembrerebbero corrette le indicazioni provenienti della dottrina661

che indicano come criterio risolutivo quello basato sull’organizzazione interna, sulla complessità strutturale della società: devono ritenersi enti di piccole dimensioni quelli caratterizzati da un’articolazione interna non fondata su plurimi centri decisionali662.

Il citato art. 6, comma 4, del d.lgs., nel prevedere la possibilità che le funzioni di sorveglianza e controllo siano svolte dall’organo dirigente se da una parte consente alla PMI di ottenere un significativo risparmio in termini di costi, dall’altra potrebbe andare ad minare i necessari caratteri di autonomia ed indipendenza che deve possedere l’organo di

microimpresa l’impresa che: a) ha meno di 10 occupati, e b) ha un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro. […]».

659 A tal riguardo S. BARTOLOMUCCI, Sulla configurabilità del (fantomatico) modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001 dedicato alla P.M.I., cit., p. 97 afferma come, a suo parere, «non ricorra sinonimia tra tale espressione (quella di enti di piccole dimensioni, n.d.r.) e quella di PMI, stante la diversità del criterio distintivo e della ratio che informa le due norme. […] (Per cui) le due espressioni adottano criteri e parametri classificatori e prescrivono effetti giuridici non coincidenti».

660 M. PANUCCI - C. LA ROTONDA, op. cit., p. 333.

661 S. BARTOLOMUCCI, Sulla configurabilità del (fantomatico) modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001 dedicato alla P.M.I., cit., p. 99; G. LASCO, op. cit., p. 100.

662 La pluralità dei centri decisionali è una delle peculiarità maggiormente caratterizzanti le grandi imprese odierne, in cui la complessità degli affari richiede diverse professionalità che siano in grado di effettuare scelte strategiche in via autonoma, ed è anche una delle metodologie più utilizzate per evitare la commissione di reati all’interno della società.

controllo663 o dar adito a comportamenti superficiali nello svolgimento

di tale funzione664.

Rilevata l’impossibilità di procedere ad una standardizzazione dei modelli665, dovuta soprattutto alla eterogeneità di realtà ascrivibili alle

nozioni di PMI e di enti di piccole dimensioni666, a parere di chi scrive

è necessario intervenire su due fronti in particolare per incentivare l’adozione di modelli ex ante667 da parte di questi soggetti giuridici.

Da un lato è necessaria un’opera di incentivazione da parte dell’autorità legislativa mediante l’assicurazione dell’efficacia esimente dei modelli idonei ed efficacemente attuati, accompagnata da una prassi esegetica dell’autorità giudiziaria meno rigida ed restrittiva che non proceda a riconoscere la responsabilità dell’ente a causa della, già detta, stretta correlazione con il soggetto agente668.

Il secondo fronte riguarda, invece, concretamente le modalità di redazione del modello organizzativo e le sue componenti; a riguardo sembra auspicabile l’intervento delle associazioni di categoria che

663 G. LASCO, op. cit., pp. 100-101. L’autore, propone diverse soluzioni volte a contemperare le due necessità di contenimento dei costi e d garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dell’organo di controllo; ad es. suggerisce la possibilità di attribuire le funzioni ad un OdV composto da soci o da comitati di soci, che svolgano controlli «anche tramite professionisti di loro fiducia» (art. 2476, comma 2, c.c.), oppure di nominare un organismo monocratico composto da un consigliere senza deleghe o un amministratore indipendente (che venga assistito da vari professionisti del settore) o da un professionista esterno.

664 C. SANTORIELLO, I modelli organizzativi richiesti dal d.lgs. 231/2001 e PMI. una riflessione alla luce delle indicazioni di Confindustria, cit., p. 184.

665 In senso contrario, si veda M. CHILOSI, op. cit., p. 296.

666 S. BARTOLOMUCCI, Sulla configurabilità del (fantomatico) modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001 dedicato alla P.M.I., cit., p. 95.

667 È già stato anticipato come sia una prassi particolarmente seguita dalle PMI quella di predisporre un modello organizzativo solamente successivamente alla realizzazione di un fatto illecito con conseguente apertura di un procedimento a carico dell’ente. Si veda anche M. PANUCCI - C. LA ROTONDA, op. cit., p. 332.

predispongano non modelli standard bensì schemi di adozione e soluzioni applicative669.

In ultimo, con riferimento alle modalità di redazione del MOG, si deve evidenziare come l’aspetto dimensionale dell’ente ed i ridotti centri decisionali influiscano sul processo di gestione dei rischi670, in

particolare sul procedimento di mappatura dei rischi e sulla elaborazione dei protocolli preventivi. Infatti, ad una ridotta dimensione dell’ente si accompagna una maggiore flessibilità dello schema di elaborazione nonché un minore spettro di reati-presupposto e condotte illecite da esaminare e prevenire, con conseguente semplificazione dei protocolli (che inevitabilmente non prevederanno le azioni di divisione delle scelte e di segregazione dei poteri e delle funzioni come avviene per le grandi imprese).

669 Un contributo in tal senso viene fornito anche da S. BARTOLOMUCCI, in Sulla configurabilità del (fantomatico) modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001 dedicato alla P.M.I., cit., p. 102 e ss.

670 C. SANTORIELLO, I modelli organizzativi richiesti dal d.lgs. 231/2001 e PMI. una riflessione alla luce delle indicazioni di Confindustria, cit., p. 186.