Analogamente a quanto effettuato dall’art. 6 nel caso di reati dei soggetti apicali, l’art. 7 dà completezza al novero dei criteri soggettivi e oggettivi di imputazione nel caso in cui la persona fisica autrice del reato-presupposto sia un soggetto «sottoposto alla direzione o alla vigilanza204 di uno dei soggetti di cui alla lettera a) (del comma I, art. 5,
n.d.r.)».
L’art. 7 introduce un modello di responsabilità più snello rispetto a quello disciplinato dall’art. 6 205, precisando, come abbiamo già
anticipato206, dal punto di vista sostanziale il criterio di imputazione
previsto dall’art. 5, comma I, lett. b)207.
202 O. DI GIOVINE, op. cit., p. 96. 203 G. LASCO, op. cit., p. 106.
204 O. DI GIOVINE, op. cit., p. 109, definisce i concetti di vigilanza e controllo come «obsoleti nell’ottica dell’aziendalistica moderna».
205 Alla cui disciplina si può ricorrere, in via interpretativa, per dare maggiore contenuto all’art. 7.
206 V. supra, cap. II, par. 3, p. 40.
207 A. BERNASCONI, Reati dei dipendenti e modelli di organizzazione, in Manuale della responsabilità degli enti, cit. p. 175.
Dalla lettera della norma208 si desume come la responsabilità
dell’ente si configuri come una responsabilità per fatto proprio, trovando il proprio momento genetico nella omessa vigilanza e direzione209.
La negligenza della persona giuridica viene esclusa nel caso in cui, come previsto dal comma 2 dell’articolo in esame, «l'ente, prima della commissione del reato, (abbia) adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi». L’adozione e l’efficace attuazione di un modello di organizzazione risulta, quindi, condizione necessaria e sufficiente perché l’ente possa andare esente da responsabilità: se provata, si ha l’automatica esclusione dell’inosservanza degli obblighi di direzione e controllo210.
Il comma 2 richiede l’attuazione di un modello di organizzazione, gestione e controllo211, introducendo, claris verbis, un elemento di
differenziazione212 rispetto al «modello di organizzazione e gestione»
disciplinato dall’art. 6. Ci si è chiesti, dunque, in dottrina, se l’ente debba necessariamente adottare due modelli diversi, uno idoneo a prevenire i reati degli apicali e uno idoneo a prevenire i reati dei sottoposti, o se sia
208 «Nel caso previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera b), l'ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza».
209 O. DI GIOVINE, op. cit., p. 109. 210 G. LASCO, op. cit., p. 118.
211 Il cui contenuto viene delineato dal Comma 3 del suddetto articolo: «Il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell'organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio.».
Il comma 4 prevede che l’efficace attuazione del modello discenda da «a) una verifica periodica e l'eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell’attività; b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello». Sono palesi gli elementi di differenza (soprattutto a livello di completezza della previsione) rispetto al comma 2 dell’art. 6.
212 A. BERNASCONI, Reati dei dipendenti e modelli di organizzazione, cit., p. 176 afferma che il sostantivo “controllo” «letto unitamente a «gestione» declina la vocazione prevenzionistica in rapporto al rischio del mancato assolvimento del dovere di direzione e vigilanza»
sufficiente l’adozione di un unico modello, volto a prevenire la commissione di fatti illeciti da parte di entrambe le categorie previste dal comma I dell’art. 5.
Si contrappongono, in questa ottica, una concezione monistica213 e
una concezione dualistica214 dei modelli organizzativi.
A detta di chi scrive, sembra maggiormente fondata la concezione monistica dei modelli organizzativi, soprattutto per la complessità delle strutture societarie moderne in cui sembra maggiormente sfumata la differenza fra le categorie richiamate dal comma 1 dell’art. 5215, nonché
per una questione meramente economico-aziendalistica: si configurerebbero in capo alla società costi ed oneri maggiori nel caso in cui dovesse, obbligatoriamente, procedere alla realizzazione di modelli organizzativi differenti a seconda della loro finalità di contrasto alla commissione di reati da parte di soggetti apicali o di soggetti sottoposti216.
Adottando la concezione monistica, si riconosce in capo all’ente piena discrezionalità nella scelta di adottare due documenti formalmente diversi o procedere alla predisposizione di un unico modello che valga sia per il caso delineato dall’art. 6 che per quello delineato dall’art. 7217.
Anche con riguardo al caso di reati commessi dai sottoposti, la dottrina si è divisa sulla configurazione dell’onere della prova e sulla questione del rischio della mancata prova dell’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza.
213 Concezione sostenuta, tra gli altri, da T.E. EPIDENDIO, L’illecito dipendente da reato, cit., p. 196 e ss. L’autore, però, utilizza strumentalmente questa visione anche per affermare l’onere della prova in capo alla difesa anche nel caso di reati commessi dai sottoposti. V. infra.
214 Le cui ragioni si basano per lo più su una diversa previsione della legge delega e su una diversa qualificazione dell’adozione del modello organizzativo: obbligo nel caso dei sottoposti, onere nel caso degli apicali. Si veda D. PULITANÒ in La responsabilità da reato degli enti: i criteri di imputazione, cit., pp. 431-433 e in La responsabilità amministrativa per i reati delle persone giuridiche, cit., par. 7.
215 O. DI GIOVINE, op. cit., p. 109.
216 T.E. EPIDENDIO, L’illecito dipendente da reato, cit., p. 202. 217 Ivi, p. 204. M. RIVERDITI, op. cit., p. 266.
Sulla base di quanto affermato dalla Relazione ministeriale218, nonché alla luce delle risultanze del precedente paragrafo, si può affermare che, anche nel caso di reati commessi dai soggetti sottoposti, sembrerebbe maggiormente ragionevole e rispettoso dei principi del processo penale che sia l’accusa a dover dimostrare, non solo la commissione del reato-presupposto nell’interesse o a vantaggio dell’ente da parte di un soggetto appartenente alla categoria della lett. b) dell’art. 5, nonché l’omessa direzione o vigilanza e il collegamento fra questa e il reato219, ma anche la mancata adozione del modello o la sua
inidoneità o inefficienza220.
Da tale configurazione dell’onere probatorio discende che in caso di prova insufficiente o contraddittoria (anche sulla mancanza o inidoneità o inefficienza del MOG), dovrà essere pronunciata sentenza di esclusione della responsabilità dell’ente ai sensi dell’art. 66 del d.lgs 231221.
218 «È opportuno sottolineare come, a differenza che nel caso di reato commesso da persona in ruolo apicale, qui l'onere di provare la mancata adozione ovvero la mancata attuazione del modello da parte dell'ente gravi sull'accusa. La ragione è chiara (nulla poena sine culpa) e - lo si ribadisce - discende dalla gravità delle conseguenze suscettibili di prodursi in capo all'ente sul piano sanzionatorio».
219 Elemento, come visto, richiesto dal comma 1 dell’art. 7.
220 G. LASCO, op. cit., p. 117 (l’autore, però, nella pagina seguente afferma che il comma 2 pone a carico della difesa l’onere della prova) e O. DI GIOVINE, op. cit., p. 109. Di diverso avviso è l'ordinanza 26 giugno 2007, del G.I.P. Trib. Napoli, in www.rivista231.it, secondo cui «Siffatta conclusione non appare, invero, condivisibile, posto che, poiché la valutazione che il giudice dovrà compiere sul modello è identica in entrambe le fattispecie (sia che il reato sia commesso da soggetto apicale, sia che sia commesso da sottoposto) e comporta una disamina del suo contenuto – sotto il profilo dell'idoneità – e della sua attuazione – sotto il profilo dell'efficacia – sarà indubbiamente interesse dell'ente che al riguardo risulta obiettivamente dotato di maggiori poteri conoscitivi dimostrare, in ambedue i casi, l'adozione di idonei strumenti comportamentali ma soprattutto dimostrarne l'efficace attuazione attraverso l'effettiva e costante implementazione del modello, così validamente interloquendo sull'istanza di coercizione ovvero sulla contestazione formulata».
221 Diversamente, A. BERNASCONI, Reati dei dipendenti e modelli di organizzazione, cit., p. 176.
CAPITOLO III
IL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE E GESTIONE
NELL’ENTE. Il CASO CONCRETO DI UNIPOLSAI
ASSICURAZIONI S.P.A.
SOMMARIO: 3.1 Premessa. - 3.2 Il procedimento di adozione del modello organizzativo. - 3.3 La parte generale del modello ed il codice etico. - 3.4 La formazione del personale. - 3.5 Il sistema disciplinare. -
3.6 La parte speciale del modello: i protocolli. - 3.7 L’organismo di vigilanza. - 3.8 La tutela del whistleblower.
3.1 Premessa.
I seguenti paragrafi, dedicati alle fasi di adozione di un modello e alle parti che lo compongono, saranno strutturati, ove possibile, secondo una bipartizione concettuale. Dapprima si condurrà un’analisi teorica degli argomenti, sulla base delle indicazioni provenienti dalla dottrina e dalle Linee Guida di Confindustria; successivamente si procederà mediante l’analisi del modello organizzativo 222 di UnipolSai Assicurazioni
S.p.a.223, a valutare se e quanto la pratica si discosti dalla teoria, avendo
sempre ben presente la necessaria caratterizzazione peculiare di ogni modello organizzativo, che si deve adattare come un “abito su misura” alla singola realtà a cui si riferisce224.
222 «Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo (ai sensi del D.Lgs. 231/2001)» approvato dal C.d.A. il 16 febbraio 2005 e aggiornato al 27 settembre 2018; reperibile,
nella sua parte generale, al seguente sito web:
http://www.unipolsai.com/it/governance/sistema-di-corporate-governance/modello- di-organizzazione-gestione-e-controllo-mog. In seguito anche Modello organizzativo. 223 In seguito anche UnipolSai Assicurazioni o UnipolSai.
224 Si rimanda al riguardo a T.E. ROMOLOTTI, Modelli organizzativi e soluzioni applicative, in La responsabilità da reato degli enti. Modelli di organizzazione, gestione e controllo e strategie per non incorrere nelle sanzioni, a cura di L.D. CERQUA, Halley Editrice, 2006, p. 267, secondo il quale «un modello organizzativo è (e deve essere) assolutamente “sartoriale”».