• Non ci sono risultati.

L’idoneità e l’efficace attuazione del modello di organizzazione e

Dopo aver esaminato l’iter che porta all’adozione del modello di organizzazione e gestione ed aver approfondito le varie componenti dello stesso, è il momento di volgere lo sguardo alle caratteristiche che devono connotarlo, perché l’ente vada esente da responsabilità, e al tipo di valutazione che il giudice deve compiere.

Il comma 1 dell’art. 6, alla lettera a), prescrive che venga provato in giudizio che «l'organo dirigente (abbia) adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi»434.

Prima di esaminare approfonditamente i concetti di “idoneità” e di “efficace attuazione”, è opportuno procedere a delineare, in via

434 Sulla controversa questione dell’onere probatorio si veda il par. 3 del capitolo 2. Le ulteriori condizioni previste dal comma I dell’art. 6, a cui abbiamo già accennato, si pongono come successive all’adozione ed efficace attuazione di un modello, come rilevato da V. GENNARO, Metodologie di valutazione dell’adeguatezza e dell’efficacia dei protocolli di controllo e del rischio reato residuo, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2011, n. 4, p. 195.

generale, le caratteristiche del modello, la funzione che questo riveste, come pure a fornire delle preliminari indicazioni sulla valutazione giudiziale.

Perché a carico dell’ente non venga riconosciuta una colpa di organizzazione, è necessario che lo stesso proceda ad una auto- normazione interna435, contenuta nel modello ed attuativa, mediante la

predisposizione di regole cautelari, di quelle poche indicazioni che il legislatore fornisce agli artt. 6 e 7436.

Il modello non solo rappresenta l’attuazione del dovere di autocontrollo437 posto dal legislatore in capo alle persone giuridiche, ma

è anche espressione della logica premiale che pervade il decreto legislativo 231. Ciò porta il MOG a rivestire un ruolo fondamentale nel giudizio di responsabilità, venendo a ricoprire la doppia funzione di elemento costitutivo del rimprovero che viene mosso all’ente, nonché di circostanza di esenzione o attenuazione della responsabilità dello stesso438.

Il d.lgs. 231 delinea, quindi, il modello come un prezzo, un costo che la societas deve sopportare se vuole accedere ai benefici sopracitati439.

435 S. MANACORDA, L’idoneità preventiva dei modelli di organizzazione nella responsabilità da reato degli enti: analisi critica e linee evolutive, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2017, n. 1-2, p. 50, definisce il modello come «espressione di un’autoregolamentazione eterodiretta e di un’inedita autonormazione penale nella quale convergono anche fonti privatistiche e di soft law.»

436 D. CIMADOMO, op. cit., p. 201, riconosce nelle «generiche prescrizioni contenute negli artt. 6 e 7 […] (un) atto di indirizzo al quale deve adeguarsi l’ente nella enucleazione di dette regole cautelari, e perciò di prevenzione, poste a presidio del singolo settore operativo.»

437 F. D’ARCANGELO, I canoni di accertamento dell’idoneità del modello organizzativo nella giurisprudenza, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2011, n. 2, p. 131.

438 M. COLACURCI, L’idoneità del modello nel sistema 231, tra difficoltà operative e possibili correttivi, in Diritto penale contemporaneo, 2016, n. 2; S. MANACORDA, op. cit., p. 50; V. MANES - A. TRIPODI, L’idoneità del modello organizzativo, in La responsabilità «penale» degli enti. Dieci proposte di riforma, cit., p. 137.

Condizione per tali risvolti favorevoli, oltre alla semplice adozione440

di un modello, è l’esito positivo della verifica dell’idoneità preventiva e dell’efficace attuazione dello stesso; queste rappresentano clausole generali la cui concretizzazione è un compito che il legislatore ha attribuito all’interprete441.

Il modello deve, inoltre, adattarsi a quelle che sono le peculiarità delle singole società e alla specificità dei contesti442.

Il legislatore delegato ha, claris verbis, introdotto diverse tipologie di modello organizzativo, con la conseguente necessità di differenti modalità di valutazione da parte del giudice: oltre alla divisone fra modelli per reati degli apicali e modelli per i reati dei sottoposti, già esaminata in precedenza, la summa divisio che preme evidenziare è quella che vede contrapporsi i modelli redatti prima della commissione del reato-presupposto443 e i modelli che intervengono sulla scena

successivamente alla realizzazione del fatto illecito444.

440 Questa non può essere surrogata «dalla mera adozione di codici etici […] o dall’istituzione di procedure organizzate che non siano espressamente finalizzati a neutralizzare il rischio della responsabilità da reato dell’ente.» (F. D’ARCANGELO, I canoni di accertamento dell’idoneità del modello organizzativo nella giurisprudenza, cit., p. 132).

441 S. CAVALLINI, Il giudizio di idoneità dei modelli organizzativi: barlumi di colpa nell’eterno meriggio della responsabilità in re ipsa dell’ente?, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2015, n. 4, p. 159; M. PAONE, L’"idoneità” e l’“efficace attuazione” del modello di organizzazione, gestione e controllo, in La prova nel processo agli enti, cit., p.59.

442 V. MANES - A. TRIPODI, op. cit., p. 137 e M. PAONE, op. cit., p. 60, riprendono la definizione, coniata da T.E. ROMOLOTTI, Modelli organizzativi e soluzioni applicative, cit., p. 267, e diffusasi in dottrina, di modello come opera “sartoriale” che si deve adattare alle caratteristiche della singola persona giuridica.

443 A tal riguardo si segnala T.E. EPIDENDIO, Il modello organizzativo 231 con efficacia esimente, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2010, n. 4, pp. 154 -156. L’autore effettua una breve digressione sul concetto di “anteriorità dell’adozione” rapportandolo anche alle diverse categorie di reati (istantanei, permanenti, ad effetti permanenti, abituali e a consumazione prolungata).

444 G. GARUTI, Profili giuridici del concetto di “adeguatezza” dei modelli organizzativi, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2007, n. 3, p. 11. Per la questione “unicità-duplicità” dei modelli, si veda cap. II, par. 4.

La difficoltà pratica di dare consistenza ai concetti di “idoneità preventiva” e di “efficace attuazione” ha comportato, nel primo decennio di vita del “sistema 231” un disinteressamento, o comunque una certa superficialità, di dottrina e giurisprudenza nell’affrontare il tema della valutazione giudiziale dei modelli organizzativi445.

La giurisprudenza, infatti, tendeva a soffermarsi sulla preminente questione dell’interesse o vantaggio, omettendo completamente il tema suddetto446, ovvero tendeva ad effettuare un’equazione tanto semplice

quanto aberrante: se vi era stata commissione del reato, allora il modello era, ipso facto, inadeguato447.

445 M. ARENA, La valutazione giudiziale dei modelli: questa sconosciuta - Nota a Tribunale Milano, sez. IV, 4 febbraio 2013, n. 13976, in www.dirittobancario.it, 2013, p. 5, secondo cui «dalla ricognizione della giurisprudenza che si è soffermata sui Modelli organizzativi si ha l’impressione (forse sarebbe meglio dire: la certezza) che la responsabilità dell’ente venga vista come un quid minoris rispetto a quella delle persone fisiche»; F. D’ARCANGELO, Il sindacato giudiziale sulla idoneità dei modelli organizzativi nella giurisprudenza più recente, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2015, n. 1, p. 52.

446 M. BIANCO - M. MASPERO, Responsabilità penale delle imprese: finalmente una motivazione sulla validità del modello, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2017, n.1, p. 218.

447 Come rilevato anche da A. IANNINI, L’impresa e la crisi economica: analisi e prospettive alla luce delle proposte di modifica della 231/2001, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2011, n. 4, p. 188. Si tratta di un’equazione ben presente alla dottrina. In particolare, si possono, tra gli altri citare T.E. EPIDENDIO, Il modello organizzativo 231 con efficacia esimente, cit., p. 153 («[…] si osservava che la realizzazione dei reati nonostante la sua adozione non poteva ritenersi da sola prova della inidoneità alla prevenzione, in quanto simile tesi avrebbe determinato la pratica inapplicabilità della norma contenuta nell’art. 6 d.lgs. 231/2001»); G. GARUTI, op. cit., p. 12 («va osservato, in via generale, come non sia corretto desumere l’assenza di uno o di entrambi questi requisiti - rispetto a un Modello - dal semplice fatto che sia stato accertato un reato che si voleva impedire con l’introduzione del Modello stesso. D’altronde, ove si reputasse che dall’accertamento del reato dovesse necessariamente discendere l’inadeguatezza del Modello, ci si troverebbe in presenza di un criterio imputativo di “colpa in organizzazione” destinato a trasformarsi in responsabilità oggettiva, la qual cosa non sembra fosse nelle intenzioni del legislatore»); M. PAONE, op. cit., p. 62 («Tale previsione (la lettera c) del comma I dell’art 6, n.d.r.) porrebbe, dunque, l’elusione fraudolenta come unico vulnus accettabile di un modello idoneo creando, nel resto delle ipotesi, un sinallagma inscindibile tra il reato concretizzatosi e l’inidoneità del modello»); A. SERENI, op. cit., p. 99 («l’accertamento del reato o dei reati non significa, è chiaro, automatica deficienza colposa dell’organizzazione»).

Si è visto come un modello organizzativo, idoneo a prevenire i reati della stessa specie di quello verificatosi ed efficacemente attuato, comporti l’esenzione o l’attenuazione della responsabilità dell’ente e come questa responsabilità si configuri come “personale” e derivante da una colpa di organizzazione. Proveremo, brevemente, a delineare i contorni di questa colpa, a specificarne la natura, il grado di diligenza richiesto all’ente, come pure i diversi tipi comportamentali a cui si deve conformare lo stesso.

La dottrina è divisa sulla natura della colpa di organizzazione, una parte di essa propende per una qualificazione in termini di colpa “specifica”448, essendo i criteri a cui l’ente deve conformarsi stabiliti

dalla legge, in particolare dagli artt. 6 e 7 del decreto legislativo449.

Altra dottrina, invece, riconosce nella colpa di organizzazione una forma di colpa “generica”450 , fondando le proprie ragioni sulle

indicazioni vaghe fornite dal legislatore in materia organizzativa, che non sembrano poter costituire delle vere e proprie regole cautelari, limitandosi a richiedere l’idoneità del modello e dando, esclusivamente, flebili direttive sul contenuto del MOG stesso (delineando solamente il perimetro delle regole organizzative che l’ente può/deve predisporre)451.

448 Definita dall’art. 43 c.p. come «inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline».

449 In particolare, M. COLACURCI, op. cit., p. 73 propende per la natura “specifica” della colpa «intesa come un tipo di responsabilità tipica di settori “omogenei”, in cui il comportamento doveroso è modulato sulla base di determinati standard atti a prevenire rischi qualificati». Si veda anche G. GARUTI, op. cit., p. 12 secondo cui è lo stesso legislatore a riconoscere nella colpa di organizzazione una tipologia di colpa specifica.

450 Cioè la colpa che si sostanzia in «negligenza o imprudenza o imperizia», ai sensi dell’art. 43 c.p.

451 S. CAVALLINI, op. cit., p. 171 afferma che il legislatore si è affidato al paradigma della colpa generica, riconoscendo, però, come «non implausibile» il ricorso alla colpa specifica, in quanto «solo per tal via, del resto, potrebbero pacificamente convivere le istanze di mantenimento del controllo giurisdizionale (evitando con ciò deleghe in bianco ad imprecisati enti certificatori), di certezza del diritto e di adeguamento non puramente «cosmetico» al dettame legislativo». V. MONGILLO, Il giudizio di idoneità del modello di organizzazione ex d.lgs. 231/2001: incertezza dei parametri di riferimento e prospettive di soluzione, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2011,

Si possono comunque delineare forme diversificate di colpa organizzativa a seconda del rimprovero che viene mosso all’ente, cioè a seconda che si vada a delineare un’assenza di modello, la mancata previsione di quel rischio che si è poi realizzato o l’inosservanza della cautela predisposta a livello teorico, ovvero la commissione del fatto illecito nonostante la presenza di tutte le cautele richieste alla persona giuridica452.

In giudizio deve quindi essere provato che l’ente abbia o meno predisposto un sistema di autorganizzazione idoneo a prevenire reati e comprensivo di regole cautelari, tali da dimostrare l’impiego di uno standard di diligenza453 stabilito in via eteronoma454.

Tale standard è determinato sulla base di regole organizzative, ritenute efficaci, che devono essere predefinite e quindi conoscibili ex

ante dall’ente455; non solo, il livello minimo di diligenza a cui deve

conformarsi l’ente deve essere predeterminato sulla base dell’entità e della natura del rischio che si vuole evitare456.

n. 3, p. 73, propende per la qualificazione in termini di colpa generica della colpa di organizzazione, nonostante questa, prima facie, «sembrerebbe di natura “specifica”, nella specie per inosservanza di standard doverosi positivizzati a livello legislativo». Diversamente, D. CIMADOMO, op. cit., p. 206, si esprime nel senso della sostanziale impossibilità di tracciare una distinzione, in questa materia, fra colpa generica e colpa specifica, proprio per «l’elasticità delle regole delineate del decreto».

452 V. MANES - A. TRIPODI, op. cit., p. 151. Si veda anche D. CIMADOMO, op. cit., pp. 202-203, secondo cui «l’ente privo di modello idoneo è un ente non diligente per non aver adottato un modello di organizzazione, mentre il comportamento dell’ente che non si è dotato di maglie di controllo sufficientemente ‘resistenti’ al pericolo della commissione del reato è “colposo” per non avere osservato gli specifici precetti cautelari definiti nel modello di organizzazione».

453 V. GENNARO, op. cit., p. 201.

454 F. D’ARCANGELO, Il sindacato giudiziale sulla idoneità dei modelli organizzativi nella giurisprudenza più recente, cit., p. 55.

455 Ivi, p. 58.

456 A. AITA, op. cit., p. 257. Si veda anche S. CAVALLINI, op. cit., p. 168, per il quale «lo standard di diligenza che l’ordinamento impone all’ente non sembra eo ipso sovrapponibile a quello richiesto al singolo, ritagliando il d.lgs. 231/2001 una più severa disciplina della colpa. […] Tuttavia (e specularmente), non è nemmeno consentito pretendere dall’ente una «super-diligenza», impossibile – in positivo – da concretare e pertanto unicamente sagomabile, via negationis (ancora una volta),

Si può, ora, dare contenuto ai requisiti dell’idoneità e dell’efficace attuazione; questi, insieme all’elusione fraudolenta457 (richiesta dalla

lettera c) del comma 1 dell’art. 6458) e alla necessaria presenza di un

organismo di vigilanza (dotato di tutte le caratteristiche richieste dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 6459), costituiscono le condizioni

necessario perché il modello adottato possa dirsi adeguato460.

sull’equazione per cui – se il reato è stato commesso – la società è stata, in parte qua, negligente […]».

457 Si è già fatto riferimento (v. par. 3, Cap. 2, pp. 57-58) alla V sezione penale della Corte di Cassazione, che in occasione della sentenza 30 gennaio 2014, n. 4677, ha riconosciuto nell’elusione fraudolenta un «indice rivelatore della validità del modello». Una visione diversa viene fornita da A. AITA, in op. cit., p. 259 secondo cui «La teorizzata equivalenza (elusione fraudolenta/validità del Modello) […] spesso fornisce una grossolana e forviante trasfigurazione della realtà». Sulla questione si esprime anche M. ARENA, Idoneità del modello e frode del soggetto apicale, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2008, n. 2, p. 52. L’autore rileva come l’elusione fraudolenta debba essere innanzitutto prevenuta, poi deve essere considerata insieme agli altri elementi dell’art. 6. L’elusione fraudolenta, per cui, non è sintomo assoluto di validità del modello, anzi, vi può essere pronuncia di inidoneità del modello anche se vi è stata la fraudolenta elusione, se questa è stata consentita: 1) dalla mancanza dei protocolli aziendali; 2) dall’inefficacia dei protocolli; 3) dall’omessa vigilanza dell’Organismo previsto dall’art. 6; 4) dall’insufficiente vigilanza dell’Organismo stesso.

458 V. cap. II, par. 3.

459 v. infra Capitolo 3, par. 6.

460 Si veda anche S. CAVALLINI, op. cit., p. 161 per il quale l’adeguatezza richiede la predisposizione di cautele procedimentali, sostanziali e di controllo. Inoltre, G. GARUTI, op. cit., p. 11 secondo il quale il raggiungimento dei livelli di idoneità e efficacia è elemento necessario per soddisfare il requisito dell’adeguatezza. Sul tema è intervenuta la Sez. III penale della Corte di Cassazione con la sentenza 12 gennaio 2017, n. 9132, in www.iusexplorer.it, in materia di reati ambientali. La Suprema Corte ha affermato come elemento imprescindibile per affermare l’adeguatezza di un modello organizzativo la presenza di un integrato sistema di deleghe per evitare la commissione dei reati apicali («La mancanza di deleghe di funzioni, nei termini sopra indicati, è fatto che di per sé prova la mancanza di un efficace modello organizzativo adeguato a prevenire la consumazione del reato da parte dei vertici societari». Riprendendo precedenti sentenze della stessa corte, il giudice di legittimità delinea, anche, i caratteri necessari della delega, che sono: «a) la delega deve essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale; b) il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli; c) la delega deve riguardare non solo le funzioni ma anche i correlativi poteri decisionali e di spesa; d) l'esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo»). A tal riguardo sembrano condivisibili le osservazioni critiche sviluppate da C. SANTORIELLO, in Modelli organizzativi,

L’adeguatezza, termine che non viene espressamente previsto dal testo normativo, rappresenta «l’integralità delle condizioni in presenza delle quali può darsi luogo ad un giudizio positivo, richiesto dalla legge e rimesso al giudice penale, di ‘validazione’ del modello di organizzazione, suscettibile di condurre all’esenzione o attenuazione della responsabilità dell’ente, e più in generale al contenimento delle conseguenze avverse suscettibili di derivare all’ente sul terreno penalistico»461.

Gli interpreti hanno cercato di specificare il requisito dell’adeguatezza, riconoscendone però il carattere relativo e non assoluto462, non esistendo criteri risolutivi con cui confrontarsi463. In

particolare, si è affermato che il modello debba presentare i caratteri minimi richiesti dall’art. 6464 ed essere dotato delle qualità di specificità,

dinamicità e attualità. «Il canone della specificità impone di tener conto della tipologia, delle dimensioni, dell’attività dell’ente e della sua storia (anche giudiziaria) ed il canone dell’attualità assicura il costante adeguamento del Modello Organizzativo e Gestionale alle mutate esigenze e dinamiche che si producono nella compagine dell’ente. La dinamicità, per converso, assicura il continuo controllo del sistema

valutazione di idoneità e deleghe di funzione: attenzione alle risposte frettolose, in Riv. resp. amministrativa soc. ed enti, 2017, n. 2. L’autore, in primis, critica la qualificazione del sistema di deleghe come elemento sempre “costitutivo” dell’adeguatezza del modello, propugnando una valutazione che si basi sulla peculiarità del caso concreto, sulle caratteristiche dell’azienda e sulla tipologia del reato («vi potranno essere ipotesi in cui il mancato ricorso a tale modalità di assetto organizzativo rende il relativo Modello assolutamente inefficace, ma sono sicuramente rinvenibili situazioni in cui il mancato esercizio della delega non inficia affatto l’efficacia prevenzionale del Modello medesimo»). Inoltre, viene fatta presente la possibilità di interpretazioni fallaci della sentenza, che possono portare ad affermare l’adeguatezza del modello sulla base di una mera valutazione formale che abbia ad oggetto la verifica della presenza di un sistema di deleghe.

461 S. MANACORDA, op. cit., p. 59.

462 Ivi, p. 64. L’autore evidenzia come alle diverse ipotesi di modello di organizzazione si accompagni un diverso atteggiarsi del requisito dell’adeguatezza, richiedendosi il massimo grado di soddisfacimento nel caso di modello adottato ex ante.

463 G. GARUTI, op. cit., p. 11.

prevenzionale, mediante il ricorso a sistematiche procedure di ricerca ed identificazione dei rischi e controlli periodici sulle attività aziendali sensibili»465.

Occorre, infine, sottolineare, nonostante l’ovvietà di tale constatazione, come il modello adeguato sia un modello che, in termini probabilistici, riduca il rischio della commissione dei reati, secondo il principio di “minimizzazione ragionevole del rischio”, non esistendo, nella dimensione pratica, un sistema di controllo che sia in grado di eliminare ogni fonte di rischio466.

I parametri dell’idoneità e dell’efficacia attengono a due fasi diverse riguardanti il modello organizzativo: il primo si riferisce al momento dell’adozione, il secondo a quello dell’attuazione467.

Passando all’esame del parametro dell’idoneità, bisogna subito evidenziare come la dottrina penalistica, in più occasioni, abbia “denunciato” una profonda indeterminatezza dei parametri normativi che dovrebbero fungere da indicazioni per la valutazione del requisito in esame468; circa il giudizio di idoneità, infatti, il d.lgs. 231 tace,

limitandosi a delineare le componenti strutturali del modello469.

Il parametro dell’idoneità si sostanzia nella capacità del modello organizzativo di «prevenire i reati della specie di quello verificatosi»470

465 F. D’ARCANGELO, I canoni di accertamento dell’idoneità del modello organizzativo nella giurisprudenza, cit., p. 138.

466 G. GARUTI, op. cit., p. 12. 467 Ibidem.

468 P. SFAMENI, Idoneità dei modelli organizzativi e sistema di controllo interno, in Analisi Giuridica dell’Economia: Studi e discussioni sul diritto dell’impresa. Società e modello «231». Ma che colpa ne abbiamo noi?, 2009, n. 2, p. 265

469 V. MANES - A. TRIPODI, op. cit., p. 138.

470 T.E. EPIDENDIO, L’illecito dipendente da reato, in Enti e responsabilità da reato. Accertamento, sanzioni e misure cautelari, cit., p. 216 afferma l'esistenza di due diverse tipologie di valutazioni concernenti l’idoneità: una di tipo astratto e una concreta. La prima, portatrice di una funzione definitoria, concerne l’identificazione dei contenuti essenziali del modello ed è «orientata a diversi obiettivi di volta in volta specificati (idoneità a prevenire genericamente reati o sanzionare la violazione delle misure)». La seconda ha ad oggetto il funzionamento del modello ed è volta a verificare, in concreto appunto, la capacità del modello di prevenire reati della specie di quello verificatosi.

e non in quella di impedire, in via assoluta e definitiva, la commissione di qualsiasi tipo di illecito (si tratterebbe di un’aspirazione utopistica); per utilizzare categorie civilistiche, si potrebbe dire che il modello consiste in un’obbligazione di mezzo e non di risultato471.

Per valutare l’idoneità, non basta attenersi al riscontro delle componenti astratte delineate dal testo normativo, bensì il giudice dovrà verificare in concreto il modello di comportamento a cui si è ispirato l’ente 472 nonché gli strumenti volti a reagire ad un’eventuale