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Capitolo 1

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Academic year: 2021

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Generalità Sugli Additivi

1.1 Definizione

Un additivo è una sostanza diversa dall’acqua, dall’aggregato e dal cemento che viene usato come ingrediente del calcestruzzo o della malta. Esso viene aggiunto all’impasto immediatamente prima o durante la miscelazione. Nel Nord America almeno un additivo viene aggiunto alla maggior parte dei calcestruzzi, e il suo uso è aumentato anche in altri paesi.

Gli additivi sono sostanze chimiche che, unite in piccole quantità all’impasto, migliorano alcune proprietà del calcestruzzo allo stato fresco ed indurito senza modificare la composizione e/o il dosaggio degli ingredienti principali. I più utilizzati servono per :

• migliorare le prestazioni meccaniche del calcestruzzo • modificare la permeabilità

• aumentare la resistenza ai cicli di gelo-disgelo • controllarne la consistenza

• influire sulla cinetica dell’indurimento

1.2 Classificazione

Gli additivi possono essere suddivisi in chimici, pozzolanici e vari (utilizzati per applicazioni speciali in qualità di additivi di cementazione, coloranti, flocculanti, impermeabilizzanti, inibitori della corrosione, ecc.). La maggior parte degli additivi chimici reagisce con il cemento. In commercio ne esistono molti tipi, venduti in polvere, liquido e formulati con uno o più principi attivi e funzioni accessorie (stabilizzanti, antischiuma).

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Tipo A (riduttori di acqua)

Tipo B (Ritardanti)

Tipo C (Acceleranti)

Tipo D (riduttori di acqua e ritardanti)

Tipo E (riduttori di acqua e acceleranti)

Tipo F (riduttori di acqua e additivi ad ampio raggio)

Tipo G (riduttori di acqua ad ampio raggio e ritardanti)

I tipi F e G sono additivi superfluidificanti e vengono usati molto diffusamente nella tecnologia del calcestruzzo.

Gli additivi acceleranti (accelerators) e quelli ritardanti (retarders ) hanno la funzione di modificare il grado di idratazione del cemento solo alle brevi stagionature e modificano quindi le prestazioni del calcestruzzo in corso di esecuzione ma non le prestazioni delle strutture in esercizio.

Gli acceleranti, in particolare, fanno aumentare il grado di idratazione del cemento alle brevi stagionature in modo da accorciare i tempi di presa (acceleranti di presa) o di incrementare la resistenza meccanica nei primi giorni (acceleranti di incrudimento) soprattutto nei climi invernali quando la bassa temperatura rallenta il decorso della reazione iniziale tra l’acqua ed

il cemento.

Gli additivi aeranti (air-entraining agents ), invece, modificano le prestazioni del calcestruzzo in servizio migliorandone la resistenza al ghiaccio.

Questa categoria di additivi, aggiunti in quantita’ piccolissima modificano la tensione superficiale dell’acqua ( e per questo sono detti anche tensioattivi ).

Gli additivi superfluidificanti (superplasticizers), ed in minor misura gli additivi fluidificanti (plasticizers), modificano, a seconda del loro impiego, le prestazioni del calcestruzzo in corso di esecuzione e/o quelle in esercizio (durabilità, resistenza meccanica, ritiro, ecc.).

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1.3 Additivi superfluidificanti

1.3.1 Cenni storici

I superplasticizzanti o superfluidificanti sono una speciale categoria di riduttori di acqua ( water-reducing agents).

Agli inizi degli anni ’70, la famiglia dei fluidificanti a base di ligninsolfonati (residui dell’estrazione della cellulosa dal legno) fu tecnicamente sovrastata da superfluidificanti prodotti per sintesi chimica. Questo perché le loro prestazioni sono circa quattro volte maggiori rispetto a quelle dei fluidificanti [2].

Tutti i superfluidificanti sono basati su polimeri idrosolubili. I primi ad essere immessi sul mercato erano basati su poli-naftalen-solfonati (PNS) o su poli-melammin-solfonati (PMS). Verso l’inizio del 1990 sono stati introdotti i poli-acrilati (PA) o poli-carbossilati (PC) che formano una famiglia molto vasta di nuovi polimeri tutti caratterizati dall’assenza dei gruppi solfonici presenti nei PNS e PMS.

Nella figura 1 sono mostrate le strutture di questi superfluidificanti[3].

Figura 1 - Composizione chimica dei più importanti superfluidificanti.

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1.3.2 Poli-Naftalen Solfonati (PNS)

Questi materiali sono stati alcuni dei primi a comparire in letteratura. Essi vengono prodotti da naftalene (commercialmente noto come naftalina),attraverso solfonazione mediante

oleum o triossido di zolfo, sotto particolari condizioni di temperatura (T> 160 C) ,portando alla formazione di $-solfonato. Successivamente la reazione con formaldeide conduce alla polimerizzazione ed infine l’acido solfonico ottenuto mediante quest’ultima operazione viene fatto neutralizzare con idrossido di sodio. Commercialmente il prodotto finale ha una contenuto in solido che varia dal 25% a 45%.Il processo di ottenimento di un PNS e’ illustrato in figura 2[4] .

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1.3.3 Poli-Melammin-Solfonati (PMS)

Il processo mediante il quale vengono prodotti tali materiali è mostrato in figura 3[5].

Queste tipologie di materiali vengono utilizzate da sole oppure in combinazione con i PNS. Il contenuto in solido si aggira intorno al 20%.

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1.3.4 Poliacrilati (PA)

I vari tipi di polimeri poliacrilati sono ottenuti da opportuni monomeri mediante un meccanismo a radicale libero utilizzando come iniziatori i perossidi. Nella figura 4 vengono illustrati 2 tipi di PA.

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1.4 - Il meccanismo della deflocculazione [6]

Per capire in maniera semplice tale fenomeno si fa riferimento alla figura 5 che illustra l’azione degli additivi sui granuli di cemento.

Una miscela di cemento molto diluita in acqua viene depositata su di un vetro trasparente che illuminato dal basso in alto con una lampada, ed osservata al microscopio ottico, si presenta come nella foto 5A : i granuli di cemento, opachi alla luce, si presentano come macchie nere mentre la parte bianca della foto corrisponde alla presenza di acqua che e’ trasparente alla luce. Salvo pocchissimi granuli, che corrispondono alle macchie puntiformi nere, la maggior parte dei granuli di cemento si presenta in forma di agglomerati di molti granuli di cemento. Questo fenomeno e’ noto con il nome di flocculazione. In presenza dei superfluidificanti, i diversi granuli sono deflocculati, cioe’ dispersi (fig. 5B) a seguito di uno dei due possibili meccanismi :

• Adsorbimento sulla superficie dei granuli di cemento delle molecole di superfluidificante e formazione di cariche elettrostatiche (zeta potential) dello stesso segno (negative) apportate dai gruppi anionici dei superfluidificanti PNS e PMS che provoca una repulsione tra i granuli di cemento come mostrato in figura 6;

Figura 5 - Osservazione al microscopio ottico di una pasta di cemento flocculata (A) e dispersa (B) per la presenza di additivo superfluidificante.

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• Adsorbimento sulla superficie dei granuli di cemento delle molecole di superfluidificante PA che, grazie alla ingombrante presenza delle catene lineari, impedisce ai granuli di cemento di avvicinarsi a causa dell’ impedimento sterico (steric hindrance) e di flocculare come mostrato nella figura 7.

Figura 6 - Deflocculazione per repulsione elettrostatica.

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I gruppi carbossilici (COOG) sono responsabili dell’adsorbimento sulla superficie dei granuli di cemento, mentre le catene laterali impediscono la collisione dei granuli di cemento e quindi la loro flocculazione.

1.5 - Meccanismi di interazione tra particelle solide in fluidi[7]

Le dispersioni di cemento in acqua, si collocano al limite superiore di quelle colloidali e questo rende difficile il compito di defloccularle a causa delle forti interazioni interparticellari, soprattutto tra le particelle più fini.

Possiamo dire che le azioni che si esercitano sulle particelle fini di una dispersione sono di tre tipi:

1. quelle derivanti dal moto browniano (di interesse limitato nel caso dei cementi ) 2. quelle derivanti da interazioni superficiali (di natura elettrica o dipolare )

3. quelle derivanti da effetti idrodinamici ( importanti in sistemi in moto come succede spesso negli impasti cementizi ).

Nella maggior parte dei casi le particelle solide disperse in fluidi ad elevata costante dielettrica portano in superficie cariche elettriche più o meno localizzate.

Se queste cariche sono omologhe, e sono sufficientemente elevate da superare altre interazioni, le particelle cariche tenderanno a respingersi determinando la deflocculazione del sistema. È bene ricordare che le particelle solide possono caricarsi per differenti motivi; per esempio anche un semplice sfregamento tra di loro può generare cariche elettriche superficiali.

Particolare interesse per noi è rappresentato dallo scambio ionico con il liquido disperdente. Nel caso di dispersioni acquose, grazie all’elevato potere solvente dell’acqua verso sostanze ioniche, le particelle solide possono assorbire selettivamente ioni dalla soluzione, oppure cederne, causando uno sbilanciamento di cariche elettriche (ovviamente il sistema resterà complessivamente neutro).

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Una teoria quantitativa per le particelle disperse è stata elaborata indipendentemente da Derjaguin e Landau (1941) nell'allora URSS e da Verwey e Overbeek (1948) in Olanda. Detta teoria, nota come DLVO (dalle iniziali dei suoi teorizzatori) prevede e spiega molti risultati ottenibili sperimentalmente, ma una sua elaborazione per ottenere un maggior accordo con i dati sperimentali è ancora oggetto di studio. Tale teoria è importante perché ci aiuta a capire alcuni dei fenomeni che si possono manifestare nelle dispersioni.

La localizzazione di cariche elettriche nette sulla superficie di una particella, come mostrato in figura 8, respinge le cariche di segno uguale ed attira quelle dello stesso segno all’interno dello strato di liquido ( strato interno ) ad immediato contatto con la particella.

Nello strato adiacente a quello interno ( strato diffuso ) si ha invece una maggior concentrazione di cariche omologhe a quelle localizzate sulla particella. Inoltre abbiamo che la soluzione nella quale la distribuzione di cariche elettriche non risente della presenza della particella e delle sue cariche.

La superficie di separazione tra gli strati interno e diffuso è detto shear plane. Nel modello DLVO si ammette che a partire dallo strato intermedio si generi un potenziale elettrico, R, che

Figura 8 - Distribuzione di cariche elettriche nel modello double-layer.

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d

Dove il potenziale R ovvero il valore di R sullo shear plane, è spesso designato come potenziale zeta (>). Lo spessore dello strato diffuso è pari a 1/6; nelle soluzioni acquose 6 risente della concentrazione ionica : 6~3,3/I.

Nel caso di paste di cemento, a causa dell’elevata concentrazione ionica nell’acqua di

impasto, lo strato diffuso è molto sottile (qualche nanometro in confronto con diametri delle particelle di circa 10 nm) .4

È molto importante notare che, se si trascurano gli effetti idrodinamici, restano da considerare solo le componenti attrattive e repulsive delle forze agenti sulle particelle.

Le prime azioni, ovvero quelle attrattive, possono essere descritte da potenziali del tipo :

Le seconde azioni (repulsive), possono essere descritte dalla seguente relazione :

TOT R A A R

L’effetto globale viene naturalmente ottenuto sommando i due effetti: U =U +U . Se U >U

A R

si avrà che le azioni attrattive prevarranno; se al contrario U <U si avrà la prevalenza delle forze repulsive.

Dalle espressioni sovra esposte si denota che il potenziale repulsivo dipende esponenzialmente dallo spessore dello strato diffuso; di conseguenza, poiché nell’acqua di impasto è presente una elevata concentrazione di ioni, ciò porta a spessori ridotti degli strati diffusi. Come risultato si avrà, quindi, che l’effetto repulsivo si eserciterà solo a distanze molto ridotte.

R

L’esame della dipendenza di U da r mette in evidenza un effetto di grande importanza. Se, a

R

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ionica è elevata, ovvero in presenza di elevate quantità di sali disciolti, lo spessore dello strato diffuso è ridotto e basso è il potenziale di superficie con conseguente modesta entità delle forze repulsive.

La figura 9 mette abbastanza bene in mostra che le sospensioni stabilizzate con meccanismo elettrostatico sono sensibili alla presenza di ioni nella fase disperdente mentre i sistemi stabilizzanti stericamente sono poco sensibili alla presenza di ioni.

Secondo il modello DLVO, la concentrazione ionica al di sopra della quale scompare il massimo del potenziale, dipende dalla quarta potenza del potenziale zeta, secondo la seguente espressione

C

: n %> . Nelle paste di cemento la forza ionica dell’acqua di impasto è elevata, soprattutto nei casi4 di bassi rapporti acqua/cemento, nei quali I può superare il valore di 200 mM. Poichè i valori di potenziale zeta delle particelle di cemento è normalmente inferiore a 20 mV si deduce che la concentrazione critica per sviluppare potenziali efficaci ai fini della deflocculazione è molto inferiore a quella reale. Ciò significa che le paste di cemento sono naturalmente flocculate, ovvero che le particelle tendono a coalescere dando origine ad aggregati che difficilmente si dissolvono sotto l’azione di sforzi di taglio. Le conseguenze più rilevanti sono elevati valori di viscosità delle paste e forte tendenza al bleeding.

Figura 9 - Forze di interazione in funzione della distanza in sospensioni stabilizzate elettrostaticamente (a) e stericamente (b). Si noti come il primo sistema sia sensibile alla

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L’effetto dei riduttori di acqua o dei fluidificanti, alla luce di quanto esposto tramite la teoria DLVO, è quello di aumentare il potenziale elettrico superficiale delle particelle, in particolar modo di quelle più fini che hanno una superficie più elevata, in modo da far aumentare le forze repulsive. A tutti gli effetti, siamo in presenza di acidi polimerici salificati con metalli alcalini o alacalino-terrosi. A causa dell’elevata idrofilicità indotta dalla presenza in catena di gruppi acidi, i fluidificanti sono solubili in acqua.

La figura 10, mostra uno ionomero che quando posto in acqua, si dissocia come fanno i comuni sali inorganici.

Come si può notare si genera un macroanione, su cui sono localizzate tutte le cariche negative, ed un numero elevato di controcationi. É importante notare che, se nella soluzione sono presenti anche delle particelle solide, su di esse vengono adsorbiti in maniera prevalente i macroanioni con conseguente diminuzione di >.

Inoltre, se le particelle sono naturalmente caricate positivamente, come avvienenel caso del cemento, è necessario assorbire una certa quantità di additivo per poter neutralizzare le cariche già presenti, prima di poter portare > a valori sufficientemente elevati (in valore assoluto ) da

Figura 10 - Schema di molecola di ionomero in soluzione acquosa.

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Le forze repulsive che si generano, a prescindere dalla loro origine, sono ovviamente molto piccole, però agiscono su piccole particelle poste a distanza ravvicinata; tutto ciò spiega quindi la loro efficacia.

È bene sottolineare fin da subito, però, che non esiste una correlazione univoca tra il

potenziale zeta e la fluidità delle paste; infatti esistono fluidificanti che lasciano praticamente inalterato > pur influenzando notevolmente la fluidità delle paste. Ciò si spiega ammettendo l’esistenza di un diverso meccanismo di stabilizzazione delle dispersioni denominato sterico. Si tratta praticamente di un meccanismo utilizzato fin dalla antichità, quando si faceva ricorso a prodotti naturali quali caseina, albumina e gomma arabica .

La stabilizzazione sterica differisce profondamente da quella elettrostatica in quanto non risente della forza ionica del liquido disperdente ed agisce anche in ambienti non acquosi. Gli agentidisperdenti più efficaci, sono quelli di natura macromolecolare (come appunto sono molti prodotti naturali ) che possono o esser adsorbiti sulla superficie delle particelle mediante legami deboli oppure stabilmente legati ad essa mediante veri legami (grafting).

Affinchè un disperdente macromolecolare possa efficacemente ancorarsi su di una superficie solida devono potersi stabilire interazioni sufficientemente intense con essa e comunque più intense che con il liquido disperdente. Gli omopolimeri non possono soddisfare tali condizioni; per questo motivo si fa ricorso a copolimeri di struttura via via più complessa di tipo aggraffato o a blocchi. Prodotti di largo impiego, non solo nel campo dei cementi, sono ad esempio :

• copolimeri poli (vinialcole-vinilacetati) • poli (stirene-ossietilene)

• poli (acrilonitrile-stirene) • poli (vinilcloruro-isobutene)

Questi polimeri (non ionizzabili) sono presenti in soluzione in forma random-coiled e vengono adsorbiti sulla superficie di particelle solide assumendo conformazioni diverse, come mostrato in figura 11.

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Da tale figura si evince che l’additivo può essere adsorbito mantenendo la sua struttura

random-coiled (figura 11a). In questo caso l’efficacia dell’additivo è minima sia in termini di

ricopertura della superficie, sia in termini di interazioni particella-particella.

Nella figura 11b, le macromolecole assumono conformazioni estese sulla superficie, assicurando una copertura maggiore.

Infine, nella figura 11c, adottando strutture aggraffate è possibile far sì che la catena polimerica giaccia sulla superficie solida, aderendovi, e che le catene più o meno lunghe dei gruppi laterali si protendano nell’acqua assicurando un effetto sterico di molta maggior efficacia.

L’effetto repulsivo è determinato da due fondamentali meccanismi, entrambi di natura termodinamica.

Il primo è di natura entropica, ed è dovuto al fatto che il numero di conformazioni accessibili alle catene macromolecolari di polimeri adsorbiti su due particelle solide molto vicine, diminuisce a causa del volume escluso.

Ciò comporta una diminuzione di entropia cui il sistema si oppone generando una forza di repulsione.

Il secondo è dovuto all’avvicinamento eccessivo di due particelle ricoperte di additivo che, come conseguenza, comporta un aumento della concentrazione di catene polimeriche, ovvero una diminuzione locale della quantità di acqua. Nasce in questa modo, una pressione osmotica che tende a riportare molecole di acqua nella zona di contatto tra le particelle con conseguente loro

Figura 11 - Schema di conformazioni molecolari di polimeri adsorbiti su di un

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In mezzi acquosi il contributo entalpico alle forze di repulsione è più importante del contributo entropico. L’effetto disperdente sterico è più sensibile alla temperatura di quello

elettrostatico. È importante ricordare, che gli effetti disperdenti migliori si ottengono con additivi ad elevato peso molecolare (per la maggior facilità di ancoraggio), però è bene evitare che si attivi un meccanismo di bridging che ha effetti opposti, come illustrato in figura 12.

Qualunque sia il meccanismo di azione è necessario che le molecole di additivo siano dapprima assorbite sulla superficie delle particelle.

Per descrivere analiticamente il processo di assorbimento, possiamo immaginare che si stabilisca un equilibrio tra la concentrazione di molecole in soluzione, il numero di siti disponibili all’assorbimento ed il numero dei siti già occupati.

In definitiva, possiamo scrivere :

V S

S + M SM

V S

in cui S rappresenta i siti vuoti, M rappresenta l’addiditvo in soluzione ed SM infine rappresenta i siti saturati. Se ipotizziamo che si possa aplicare a questa equazione la legge di

Figura 12 - Catene polimeriche molto lunghe

possono vincolare due particelle impedendone la

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V

Poiché [SM] è proporzionale alla superficie ricoperta dalle molecole assorbite 2, [S ] è

proporzionale alla superficie non ricoperta (1- 2), è possibile riscrivere la relazione precedente in modo diverso :

ovvero :

Questa relazione è nota come equazione di Langmuir ed è utilizzata per studiare tutti i fenomeni di adsorbimento. Nel contesto specifico possiamo scriverla come:

in cui A/B rappresenta la quantità massima di additivo adsorbito.

La figura 13 mostra, qualitativamente, come la quantità di additivo adsorbito aumenta man mano che aumenta la quantità di additivo in soluzione; all’inizio l’assorbimento è molto rapido, con una dipendenza approssimativamente lineare, ma rallenta progressivamente con il crescere della concentrazione di additivo in soluzione fino a raggiungere un valore di equilibrio.

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Infine e’ bene sottolineare, che la condizione necessaria perché un additivo sia efficace in una specifica dispersione è che esso sia adsorbito sulla superficie delle particelle solide; l’additivo, però, per quanto concerne il suo assorbimento, è in competizione con le molecole del solvente anch’esse coinvolte, in modo competitivo nel processo. Nel complesso,quindi, il sistema dovrebbe essere esaminato alla luce di una rete di interazioni come illustrato in figura 14 :

Figura 13 - Dipendenza della quantità di sostanza adsorbita dalla concentrazione di equilibrio in soluzione (andamento qualitativo).

Figura 14 - Interazioni multiple tra i costituenti di una

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Figura

Figura 1 - Composizione chimica dei più importanti superfluidificanti.
Figura 2 - Processo di ottenimento di un PNS.
Figura 3 - Processo di ottenimento di un PMS.
Figura 4 - Strutture di Superfluidificanti di tipo PA.
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