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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.18 (1891) n.897, 12 luglio

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L’ECONOMISTA

GAZZETTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, F IN A N Z A , COMMERCIO, BANCHI, F E R R O V IÉ , IN TE R E SSI P R I V A T I

Anno XVIII - Voi. XXII

Dom enica 12 L u glio 1891

N. 897

GLI ERRORI DEL GOVERNO SUL PROGETTO PER LE BANCHE

La T ribuna non ha avuto una buona ispirazione rilevando dal nostro articolo del 5 corr. quella parte che riguarda la tassa di circolazione e cercando di scagionare da ogni colpa il Governo per una con­ dotta, che certamente non fu lodevole. Infatti il gior­ nale di Roma dice: « L'Econom ista parte da una « falsa premessa, quella che la tas a concordata con « gli Istituti fosse dell’ 1 0|o e che ad essi altro « onere non dovesse incombere. In realtà essi si

« erano vincolati a pagare sulla nuova circolazione

« la tassa dell’l 0|0 più la differenza necessaria per « eguagliare la somma che avevano soddisfatto al- « l’erario nel 1890 fra tassa di circolazione e par- « tecipazione agli utili sulle eccedenze abusive.

« Ora, sa l’E conom ista quale percentuale — conti- « nua la T ribuna — gli Istituti soddisfecero all’erario, « in complesso, per quell'anno, e cioè fra tassa del- « 1*1 0[o ed utili? Quellq di 1.4 7 ; nella quale ra- « gione avrebbero dovuto pagare la tassa e quella « differenza sulla nuova circolazione per effetto de-

« gli accord i intervenuti. »

Cominciamo a dire alla T ribuna che non crediamo, nè possiamo credere che fossero avvenuti accordi tra il Governo e gli Istituti intorno alle disposizioni del primo progetto, il quale era un soliloquio del Governo, come lo provarono le critiche universali sorte appena fu reso noto. Potevano essere interve­ nuti accordi tra i Ministri ed il Banco di Sicilia e la Banca Toscana di Credito, a cui veniva tolto il diritto di una .parte della' circolazione legale stabi­ lita dalli legge 1874? Potevano essere intervenuti accordi tra i Ministri e la Banca Nazionale d’Italia, se ad essa si dava un posto inferiore a quello che aveva fino allora occupato nella emissione ? Pote­ vano gli Istituti tutti aver accettati accordi per un progetto che gli obbligava a pagare la tassa, anche per i biglietti che non avessero messo in circola­ zione ?

La Tribuna probabilmente confonde la comunica­ zione all’ ultima ora de! progetto e la accettazione sua ; ed oltre a ciò dimentica che qualche Consi­ glio di Amministrazione ha formulato rimostranze contro il progetto e le ha comunicate a più di un Ministro. E se mai occorresse provare che le Ban­ che non potevano accettare quel mostriciattolo di progetto presentato dal Ministro, basta ricordare quanto dissero alla recente Assemblea Generale della Banca Nazionale alcuni azionisti, per esigere che, nell’ordine del giorno approvante la proroga, fosse

esplicitamente detto « secondo il progetto d ella Com­

missione » riconoscendo così inaccettabile e non

degno nemmeno di discussione il progetto del Mi­ nistero.

La Commissione Parlamentare emendò quanto potè il progetto, non tanto migliorandolo a favore delle Banche, quanto correggendo gli errori che esso con­ teneva.

Ma all’ultimo momento il Governo si lasciò fuor­ viare accettando I’ emendamento dell’ on. Vacchelli, anzi cambiandolo in una proposta ministeriale, certa­ mente senza rendersi conto delle conseguenze.

La T ribuna viene ora a difendere quella dispo­ sizione colle parole che abbiamo sopra riportate, ed è giocoforza mettere i punti sugli i e spiegare le cose.

Per la legge esistente, le Banche dovevano pagare la tassa dell’l 0|0 Siria circolazione legale, cioè quella nei limiti del triplo del capitale, e del 2 0|0 per le eccedenze abusive (abusive per modo di dire, perchè erano, per qualche Istituto, volute dal Governo).

Ora la circolazione legale di ciascun Istituto do­ veva essere la seguente :

Banca Nazionale nel Regno...milioni 450. 00 Banca Nazionale Toscana... » 63. 00 Banca R om an a... » 45.00 Banca Toscana di C redito... » 15. 00 Banco di N a p o li... » 146. 25 Banco di Sicilia... » 36. 00

T o ta le .. . . milioni 755. 25

e quindi essendo su questi 755.25 milioni dell’l 0(0 la tassa di circolazione, essa poteva ammontare a L. 7,552,500.

Ma in media nell’anno 1890 i sei Istituti ebbero la seguente circolazione e quindi la seguente ecce­ denza o deficenza sul limite legale.

media eccedenza circolazione o deficenza

Banca Nazionale nel Regno... 577. 7 127. 7 Banca Nazionale T o s c a n a ... 94. 3 31. 3 Banca R om a n a ... 72. 1 27.1 Banca Toscana di C red ito ... 14. 1 — 0. 9 Banco di N a p oli... ... 258.8 112. 60 Banco di Sicilia... 50. 2 14. 2

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die la eccellenza della circolazione si divideva al- l'incirca così :

Banca Nazionale nel Regno... 86 Banca Nazionale Toscana...12 Banca R om a n a ... 20 Banca Toscana di C red ito...— Banco di N a p oli...76 Banco di Sicilia...—

Gli Istituti sopra questa eccedenza, che era di circa 312 milioni, ma che si riduceva per quanto riguarda la tassa a 118 milioni, pagavano una tassa del 2 0|o e quindi circa L. 2,560,000.

In totale adunque I’ importo della tassa di circo­ lazione doveva essere per i sei Istituti complessi­ vamente presi di circa 9 e mezzo milioni, ripetiamo, in cifra approssimativa. Il criterio fondamentale era che le Banche pagassero l’uno per cento per la circo­ lazione normale ed il due per cento per la circola­ zione eccedente la legale.

Ora che fanno all’ultimo momento i Ministri? Voglia la T ribu n a prestarci la sua attenzione: — calcolano che i nove milioni e mezzo di tassa cor­ rispondono a circa 1’ 1.23 per cento della circolazione avutasi nel 1890 e senza ricordare che tale cifra ò dovuta a due specie diverse di tassa, accettano l’emen­ damento Vacchelli e se ne fanno anzi proponenti.

Ma quaie ne è la conseguenza, certo nemmeno sospettata dalle loro Eccellenze, le quali del resto non hanno l’ obbligo di conoscere li per lì tutto il meccanismo delle nostre leggi, sempre così compli­ cate, ma però avrebbero per questo appunto il d o ­

vere di prendere tempo a studiare, quando si sen­

tono poco illuminati? —

La conseguenza è una ingiustizia, perchè se è vero che i sei istitu ti insieme, pagando ora I’ 1.23 circa per cento, sulla nuova cifra di circolaz one non paghe­ ranno in sostanza gran cosa più di prima, data la stessa circolazione del 1890, alcuni Istituti paghe­ ranno di più ed altri di meno, e precisamente pa­ gheranno di più quelli che hanno osservata la legge e di meno quelli che hanno di più ecceduto nella circolazione abusiva.

La Banca Toscana di Credito ed il Banco di Si­ cilia, ad esempio, che hanno avuto sempre una cir­ colazione inferiore al limite legale, pagheranno 1’ 1.20 per cento invece dell’ uno, e per la prima vorrà dire in media un aggravio di circa 30,000 lire, per il Banco di Sicilia un aggravio di circa 72 mila lire.

Nello stesso tempo il Banco di Napoli, che pagava sulla circolazione legale 1,162,300 lire e sulla me­ dia eccedenza di 76 milioni il 2 0|0, cioè ancora un milione e mezzo circa, pagherà I’ 1.20 per cento su tutta la circolazione, circa 2 . 6 milioni, rispar­ miando all’ incirca 400,000 lire; — la Banca Ro­ mana che pagava per la circolazione legale L. 430,000 e per i 20 milioni di circolazione abusiva altre 400,000 lire, pagherà sul totale sole L. 780,000 ri­ sparmiando circa quelle 70 mila lire che saranno pagate in più dal Banco di Sicilia. Infine la Banca Nazionale, sui 336 milioni di circolazione (media del 1890) pagherà circa L. 200,000 di più.

Ci dirà la T ribu n a che lì per lì i Ministri non potevano far questi calcoli, perchè la Camera aveva urgenza di votare, ma non diremo cose nuove al giornale romano, ricordando che la proposta Vac­ chelli era nota da parecchi giorni, e che ad ogni

modo anche questa volta ai signori Ministri è ap­ plicabile 1’ opor/et studuisse.

Per doppia ragione è quindi biasimevole il con­ tegno dei Ministri proponenti; prima, per aver ri­ presentata alla Camera una proposta a cui già ave­ vano rinunciato in seno della Commissione, secondo, per averla accettata in una forma che, avendo nella sostanza i gravi difetti che aveva nel disegno di legge, consacrava per di più una ingiustizia, spe­ cialmente a danno di due Istituti minori, di nulla altro colpevoli che di aver osservata la legge.

Ci voleva tanto poco, se veramente il Ministro del Tesoro esigeva quella maggiore entrata, di man­ tenere I’ u o per cento di tassa fino al triplo del capitale ed il due per cento per la eccedenza sino al quadruplo!

E giacché trattiamo dell’ argomento correggiamo un errore della Tribuna là dove dice ohe secondo la legge l’ aggravio sulla circolazione risulta del- I’ 1 .4 4 . Esso è dell’ 1 . 4 0 perchè la legge 30 giu­ gno 1891 estende la sovraimposta dei due decimi

a lla tassa annuale dell’ uno p e r cento e questa di­

sposizione è così chiara ed esplicita che occorre un’ altra legge per estendere quei due decimi an­ che ai 20 centesimi di aumento.

Forse l’ intenzione dei Ministri era diversa, ma è questa un’ altra prova che i Ministri non si curano di l'arsi additare le leggi che esistono e studiano poco i progetti che propongono. E infatti la stessa

G azzetta U fficiale N. 131 porta la legge N. 313

che parla della tassa sulla circolazióne dell’ 1 per cento, e la legge N. 314, poche righe sotto, dice la tassa sulla circolazione s a r à dell’ uno e venti p e r

cento oltre i due d e c im i; per cui o l’ articolo 4

della legge N. 314 riferisce i due decimi alla tassa di L. 1 . 2 0 ed allora apparirebbe oziosa la legge N. 313 pubblicata poche righe prima e colla stessa data ; o, come deve essere logico, per non ammettere che i due Ministri abbiano firmate le due leggi senza leggerle, I’ art. 4 della legge N. 314 si riferisce ai due decimi della legge N. 313 ed in tal caso la T ribu n a erra parlando dell’ 1 .4 4 di tassa sulla circolazione.

LA TARIFFA DOGANALE

nei rapporti coll’ industria serica

L’industria serica presenta tale un interesse pel nostro paese che è giusto e doveroso di far cono­ scere ciò che essa spera e domanda al governo ri­ guardo al regime doganale. Abbiamo già riferito le critiche assennate che le Associazioni seriche di Mi­ lano e di Torino muovono alla politica doganale se­ guita nel 1887-88, possiamo aggiungere che l’indu­ stria serica noti segue il sistema, pur tanto usato e abusato, di invocare la libertà in tesi generale per chiedere poi nel caso speciale suo proprio la pro­ tezione ; essa domanda I’ applicazione più larga delle franchigie doganali e consiglia al Governo di atte­ nersi ai dazi più miti che è possibile.

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bersagliata negli ultimi tempi, perchè le malattie come la pebrina, e la concorrenza asiatica, e le peggio­ rate relazioni commerciali hanno contribuito volta a volta a diminuire la produzione, a far abbassare i prezzi della seta, a difficultare la esportazione. Ep­ pure essa ha saputo lottare così da essere additata da un giudice competente, quale il sig. N. Rondot, ai sericultori francesi come imitabile esempio. Invero non ostante tutti i malanni capitati addosso alla indu­ stria serica, solamente nel decennio 1 8 8 0 -8 9 l’espor­ tazione dei prodotti serici ha fruttato all’ Italia un introito netto (eccedenza dei valori esportati sui va­ lori importati) di oltre due miliardi di lire.

Ma come notava giustamente un egregio studioso di questa materia *) « mentre gli industriali serici italiani cominciavano appena a rinfrancarsi dai ter­ ribili pericoli corsi per la malattia dei bachi e per la succeduta concorrenza delle sete asiatiche si ve­ devano precipitati a un tratto, quando meno se lo aspettavano, in un nuovo abisso, ad uscire dal quale non potevano bastare, come di fatto non sono ba­ stati, i lóro sforzi più energici e più coraggiosi. »

L’abisso, non occorre dirlo, si apriva dinanzi alla industria serica in seguito alia rottura dei rapporti commerciali con la Francia, cagionata principalmente dalla tariffa 14 luglio 1887. Stabilito dalia Francia il dazio di L. 1 e 2 per chilogrammo sulla seta greggia italiana, secondoehè sia semplicemente tratta, oppure torta ed addoppiata, andato in vigore colle tariffe differenziali francesi il I o marzo 1888, le no­ stre esportazioni in Francia da cliilog. 2,817,000, nel 1886 e chi log. 2,592,000, nel 1887 scendevano a cliilog. 918,800, nel 1888 e a chilog. 1,006,600 nel 1889. E si noti che il mercato francese importa annualmente più di 4 milioni e mezzo di chilo­ grammi di seta greggia.

In questa condizione di cose non v’ ha dubbio che i dazi di esportazione sulla seta (L. 38.50 per quintale di seta tratta o torta e L. 8.80 sui casca­ mi) ancora in vigore in Italia sono divenuti odiosi e dannosi. Se il dazio di uscita poteva riuscire com­ portabile quando i prezzi erano quasi doppi od al­ meno superiori degli attuali, presentemente, con il ri­ basso sensibile dei prezzi e i dazi francesi il van­ taggio finanziario che lo Stato trae dal dazio di espor­ tazione è cagione di forti danni per una delle pri­ marie industrie nazionali.

Due souo le questioni interessanti la industria se­ rica, una delle quali riguarda il dazio di uscita sulla seta greggia, l’altra il complessivo regime doganale. Sul primo punto è da notarsi come già la relazione della Commissione d’ inchiesta sulla tariffa doganale accogliesse il dazio d’ uscita sulla seta per le sole ragioni finanziarie, fornendo esso all’ erario circa 1 milione e mezzo. È strano che proprio quando si rimaneggiavano con intenti protezionisti le tariffe e da esse si sperava ottenere una maggiore entrata notevole, non si abbia avuto il coraggio di abolire questo tra gli ultimi residui dei dazi di esportazio­ ne. Ma è chiaro che non si volle lasciare la realtà per un ipotetico vantaggio.

Quanto al secondo punto, sta il fatto che della industria serica, come avverte la memoria delL due associazioni di Milano e di Torino, non si

preoccu-*) E doardo G iretti, Per la industria serica italia­ na. Torino, tip. Derossi, 1891.

parono certo troppo i compilatori della tariffa 1887, essi forse non supponevano che la Francia avesse a colpire la seta che per essa è materia prima. La rottura delle relazioni commerciali tra Francia e Ita­ lia giovò di tanto alla concorrenza asiatica di quanto danneggiò la trattura italiana.

La fabbrica francese alle sete italiane sostituì quelle di Brussa e di Siria e le altre di China e Giappone, dove adottati i sistemi di trattura europei, si seppero perfezionare i prodotti a segno da renderli uguali alle migliori sete nostre. Inoltre I’ uso delle sete greggie a telaio per la produzione di seterie tinte in pezza, affatto sconosciuta pochi anni or sono, ha preso tale sviluppo che ai nostri filatoi fa di­ fetto la materia prima, donde ribasso costante e in­ frenabile dei prezzi di lavoranzia. Per di più la Francia appresta ai nostri torcitoi un nuovo e più fiero colpo; perchè sia nella tariffa governativa, sia in quella della Commissione il dazio sulle sete torte è portato da 2 a 3 franchi al chilogrammo, togliendo in pari tempo quello sulle greggie. Queste dunque diserteranno i nostri opifici per attivare i torcitoi francesi. In Francia si vanno pure escogitando premi per la trattura delle sete e non dubitiamo che ad essi si arriverà.

Le associazioni seriche di Milano e di Torino si dichiarano ripugnanti a un tale sistema e solo in­ vocano dal Governo che liberi i setaiuoli da quella odiosa imposta che sono i dazi di esportazione sulle sete e sui cascami. Esse osservano che T industria dei cascami di seta ha in paese un enorme coeffi­ ciente di prosperità nell’abbondanza di materia prima, onde il mantenere il dazio d’ uscita sui cascami a favore di essa (oggidì concentrata in una sola casa) mentre danneggia centinaia di produttori suona come una stridente ingiustizia alla quale è mestieri porre riparo.

Perchè l’ industria serica possa rifiorire è indi­ spensabile che le si riaprano i mercati ora chiusi e che le si mantengano aperti quelli che tuttora io sono. Per ciò ottenere, i setaiuoli domandano che cessino i privilegi accordati a talune industrie, che si riducano o anche si aboliscano taluni dazi, per­ chè dicono « è evidente la necessità di mettere in prima linea la prosperità dell’ industria serica che occupa 200,000 operai, che esporta per ben 300 mi­ lioni annui e che è potente complemento della no­ stra produzione agricola.

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naturale conseguenza lo sviluppo di quella, come dell’altra dell’apparecchiatura delle seterie e delle altre molte che oggidì sono monopolio pressoché esclusivo della fabbrica francese. »

Da ciò emergono chiaramente le domande che le due associazioni di Milano e di Torino nell’ interesse dell’ industria serica rivolgono al governo. Ammesso anche che in qualche particolare possano discutersi, ci pare che in sostanza quelle domande siano giuste e legittime. Niuno potrebbe contestare che le ultime vicende della politica doganale hanno fortemente danneggiato i setaiuoli. Si è voluto proteggere la tes­ situra serica inasprendo i dazi sui tessuti di seta provenienti dall’ estero, e non si è neanche suppo­ sto il caso di rappresaglie per le sete greggie e torte. Quali risultati si siano avuti da una tale condotta è ormai noto a tutti.

Oggi la necessità suprema per l’ Italia è di prov­ vedere a riattivare le correnti dei suoi scambi in­ ternazionali. Importa assai più che di difenderci dalle importazioni, di tutelare la esportazione dei nostri prodotti naturali, di riaprire e di conservare studio­ samente in ogni parte del mondo facili e larghi mercati di consumo. La Commissione doganale che sta proseguendo i suoi studi e della quale 1’ onore­ vole Cambray-Digny continua a far parte, perchè dicesi che essa non pregiudicherà alcuna questione — la Commissione, diciamo, è essa animata dall’ in­ tento di allargare e accrescere le correnti di scam­ bio, oppure coltiva ancora il sofisma della indipen­ denza economica, dell’ isolamento e nutre ancora fiducia nell’ azione dei dazi protettori? È ciò che sapremo meglio fra breve, ma fin d’ ora pare che essa segua le non belle tradizioni della Commissione che l’ ha preceduta nel 1886 nello studio della ma­ teria. In tal caso i setaiuoli avrebbero ben poco da sperare in un regime doganale che non metta ostacoli alle lóro transazioni. Essi farebbero a pro­ prie spese I’ esperienza di una verità inconfutabile, essere cioè ben più difficile di togliere che di mettere un dazio ; ragione per la quale conviene opporsi sempre fin dal principio che il dazio venga imposto. Ed è quello che molti trascurano di fare, salvo a deplorare la cosa e a insorgere contro il dazio quando è più difficile di abolirlo.

LI SOCIETÀ GENERALE DI CREDITO MOBILIARE

In questi giorni nei quali il mondo finanziario è occupato e preoccupato, da voci più o meno esatte ed attendibili che corrouo sulla Società ili Credito Mobiliare, e mentre è già stato deciso il trasporto a Roma della sede della Società, non è senza in­ teresse che mettiamo sott’ occhio ai lettori alcuni dati che valgano a mostrare quale fosse e quale sia la situazione di questo Istituto, che è il primo e più potente di credito ordinario dell’ Italia.

Le considerazioni che si possono fare sulle cifre che presentiamo sono molte ed importanti, e ci pro­ poniamo di discuterne in un prossimo articolo, qui ora, anche perchè il tempo ci mancherebbe ad esaminare ampiamente la situazione del 30 giugno, la quale venne solo ieri pubblicata, ed oggi sol­ tanto ci è pervenuta, limitiamo le nostre osserva­

zioni al rapporto delle cifre più importanti della situazione stessa.

Mettiamo adunque a paragone le voci principali delle situazioni al 30 giugno dei tre anni 1889-1890 e 1891.

Il p ortafog lio che era di 18 milioni scese a 10 mi­ lioni ed ora è di 7.3 milioni ; tali mutamenti tut­ tavia hanno una importanza relativa, perchè non è certamente lo sconto la principale operazione del­ l’ Istituto; è bene però tenere a mente che, suppo­ nendo gli effetti tutti di primo ordine, rappresentano una voce quasi totalmente realizzabile mediante il risconto.

I rip o rti attivi — operazione sicura, lucrosa e perfettamente nell’ indole dell’ Istituto, — sono scesi da 18 milioni, a 9 milioni e mezzo ed oggi sono a 6.8 milioni. Se tali operazioni sono fatte regolar­ mente, cioè in modo che effettivamente possano cessare ad ogni fine del mese, rappresentano una disponibilità che I’ Istituto può acquistare ad ogni breve periodo non rinnovando tale operazione e quindi tenendo in cassa, ove gli occorra, la cifra che rappresenta. La diminuzione della somma im­ piegata in riporti non rappresenta certamente dimi­ nuzione di domanda, ma piuttosto diminuzione nel- l’ Istituti di mezzi per accogliere le domande. Il che apparisce poi dalle cifre dei rip o rti passivi che erano di 12 milioni, diventavano 2-1 ed ora sono a 39 milioni ; dicono queste cifre che l’ Istituto nel 1889 dava in garanzia circa 1|7 dei suoi titoli, nel 1890 circa 1|3, e nel 1891 circa la metà.

1 titoli di proprietà dell’Istituto si dividevano così: 1889 1890 1891 milioni milioni milioni

A debito dello S ta to ...11.2 7.6 11.9 Obbligazioni di corpi m orali.. 0. 3 4. 1 3. 9 Azioni ed obbligaz. di società 72. 2 68. 7 66. 9

83. 7 80. 4 82. 7

Si dà per certo che quasi la metà di questo enorme

stock di titoli sia rappresentato da azioni della Società

delle SS. F F . Meridionali, titolo eccellente e solido, che costituisce certo il forte nucleo dell’ impiego. Il ri­ manente sarebbe composto specialmente di Azioni della Società Immobiliare, della Società del Risana­ mento di Napoli, della Fondiaria Vita. Quale è il prezzo di acquisto di questi titoli ed in quali pro­ porzioni stanno fra loro? È questo quello che non si sa effettivamente e costituisce la parte meno nota dell’azienda.

Viene poi un’ altra voce quella dei conti correnti

diversi, che nel 1889 era di 2 3 . 6 milioni, che salì

a 32.3 nell’ anno successivo, e che nella situazione del 30 giugno u. s. è indicala per 31 milioni. Questi

conti corren ti d iv ersi dovrebbero essere crediti

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sofferenze. Ma anche su ciò non ò possibile alcuna conghietturu fondata.

Vi è poi la voce di debitori d iv e r s i, grande bolgia dove sogliono nei bdanci essere raccolti ogni specie di crediti che non abbiano una designazione particolare. Nel 1889 tali debitori diversi dovevano 47 milioni, nel 4890 erano stati ridotti a 34.3 mi- lioni, nel giugno decorso erano risaliti a 33 milioni. È in quella voce che vengono comprese le sovven­ zioni che l’ Istituto accorda per I' uno o per l’ altro titolo specialmente a quelle Società ed Imprese in­ dustriali e commerciali, colle quali ha più stretti legami.

E naturalmente la consistenza o realizzabilità di tali cifre dipende dalle circostanze generali del mer­ cato e da quelle particolari di qualche Istituto. Og­ gidì si può affermare che se la maggior parte di quelle cifre presenta sufficiente garanzia di realizzabilità non sia però una realizzabilità prossima, giacché pur troppo le Società industriali e le Imprese oggidì possono più spesso aver bisogno di sovvenzioni, che non siano in grado di restituire quelle che hanno ricevuto.

Finalmente all’attivo troviamo la partita: titoli a p ­

p licati a lla riserv a che nel 4 889 era di 4 3.7 milioni,

ed anzi di 44 milioni computando la voce: m aggior

valore sui titoli, si ridusse a 6.8 milioni nel 4 8110

ed ora è di 5 milioni, computando pure i 2 milioni che si trovano al passivo sotto la voce : fon d o p e r

p erd ite eventuali.

Veniamo ora al passivo.

I depositi si dividevano nei tre anni :

1889 1890 1891

milioni milioni milioni

Senza interessi... 8.8 7.4

Fruttiferi... 24.2 20. 7

41.1 33.0 28,1

La diminuzione è molto sensibile, e se può riflet­ tere in qualche piccola parte la minor fiducia del pubblico, in maggior parte rispecchia certo le con­ dizioni del paese e la minore disponibilità di capi­ tali in causa de'la crise.

Però giova osservare che essendo i depositi un de­ bito dell’ Istituto, di cui può essere da un momento all’ altro chiesta la tacitazione, nei momenti difficili è meno pericoloso che la loro cifra sia diminuita, giacché a far fronte agli eventuali rimborsi su larga scala, l’Istituto non può avere che la Cassa, la quale ammonta a 3. 7 milioni, il risconto del portafoglio sette milioni, ed i riporti passivi, dei quali però è da notare che ne esistono per quasi 40 milioni, certo il meglio dello stock dei titoli.

I cred itori diversi dell’ Istituto avevano un conto di 38 milioni nel 4889, di 34 nel 1890 e di 49.8 nel 4894. A torto alcuni meno esperti mettono in corrispondenza questa voce del passivo con quella di debitori diversi dell’ attivo ; si tratta evidente­ mente di persone diverse e di operazioni diverse che non hanno tra loro nulla di comune. Però come per i debitori diversi ci siamo domandati quanta somma si potrebbe realizzare , così per i cred itori diversi dovremmo chiederci di quanta somma possa essere chiesto l’ immediato rimborso. Nulla tuttavia si può rispondere nemmeno approssimativamente, perchè, sebbene si tratti di una cifra molto importante, nes­ sun chiarimento danno in proposito nè i bilanci nè lo situazioni.

I conti correnti d i B an ca sono ridotti da 81 mi­ lioni in cui erano nel 4 889 a 48 nel 1890 ed ora sono a 26 milioni. Anche questa è una operazione che come i rip o rti p assiv i tende a provvedere di fondi l’Istituto, e se vediamo che i riporti passivi da 42 milioni sono passati a 23 e ora a 34 milioni, nasce il dubbio che una parte dei conti correnti passivi si sia trasformata in riporti. La quale tra­ sformazione può avere molti significati: o l’ Istituto non ha trovato sufficiente credito senza dare in ga­ ranzia i titoli; — o la differenza dell’interesse tra le due operazioni ha determinata la trasformazione ; — o tale trasformazione è prodotta da differenza di scadenza. Però il mutamento è avvenuto in van­ taggio od in danno dell’ Istituto? — Ecco un’ altro punto sul quale nulla si può dire di positivo.

Finalmente i profitti e p erd ite dell’ Istituto nelle

tre epoche anzidette erano :

1889 1890 1891 milioni milioni milioni

Rendite e profitti... . . . 2. 9 2 .3 2 .8 Spese e perdite... . . . 2 .4 2 .2 2 .6

Dati questi elementi ora sarebbe utile qualche ap­ prezzamento complessivo; e questo ci proponiamo di fare in un prossimo numero.

L I RIDUZIONE DELLE DUE DI LAVORO ”

III.

Anche in Francia, non appena il sistema della grande industria cominciò ad avere larga applica­ zione si ebbero le prime manifestazioni in favore della riduzione nella durata del lavoro. E qualche voce iso­ lata era sorta anche prima a invocare l’ intervento del potere pubblico, sebbene con intenti differenti daqueili odierni; nell’anno X I (4803) ad esempio Regnault de Saint-Jean d’Angély voleva determinare un minim um di ore di lavoro ; una ordinanza di polizia del 26 settembre 4 806 fissò per Parigi la durata del lavoro e delle ore dei pasti per gli operai d Ile costruzioni * 2 * * * *). Oggi gli operai vogliono fissare un m axim um , mentre un'tempo la classe che fa lavorare cercava di de­ terminare il m in im u m ; questo cambiamento spiega abbastanza come siano mutate le condizioni reci­ proche.

Non molti anni dopo, nel 4844, un industriale al­ saziano, Daniele Legrand, metteva innanzi la proposta di una legislazione internazionale la quale avrebbe dovuto porre dei limiti all’ età di ammissione dei fanciulli nelle fabbriche e alla durata del lavoro per tutti gli operai. La giornata massima di lavoro doveva essere per gli adulti di dodici ore 8).

È però soltanto verso il 4 848 che la limitazione legale de'le ore di lavoro viene accampata energi­ camente dagli operai, o meglio da quella frazione che subiva tutta la influenza del Marx e del Blanc,

*) Vedi i numeri 893 e 895 de\V Econom ista. 2) Guyot, L a S cien ce économ ique. Paris, 1887,

pag-. 321. . .

z ) Adler d r. Georg, D ie F r a g e des in tern ation alen

A rbeiter Schutzes. München, Hirth’ s Verlag, 1888,

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e le cui domande per la protezione legislativa in­ contravano favorevole accoglienza presso i filantropi. Già la legge del 22 marzo 1841 aveva regolato il lavoro dei fanciulli ; essa fissava a otto anni l’età minima alla quale i fanciulli potevano essere impiegati nelle fabbriche, da otto a dodici anni essi non dovevano lavorare che otto ore, e dai dodici ai sedici anni fino a dodici ore. Avvenuta la rivolu­ zione del febbraio 1848 il governo non tardò a sod­ disfare le domande che gli operai gli rivolgevano per mezzo di numerose deputazioni. Così il 2 marzo abolì il « marchandage » ossia fi industria dei sub- appaltatori e fissò la giornata di lavoro degli adulti a IO ore per Parigi e a 11 nei dipartimenti; un altro decreto del 6 aprile stabilì quale sanzione l’am­ menda e in caso di doppia recidiva il carcere per la durata di 1 a 6 mesi.

Se nonché erano appena trascorsi sei mesi che il ministro dell'agricoltura e del commercio indiriz­ zava ai prefetti una circolare nella quale diceva che « il decreto del 2 marzo, come aveva dimostrato la esperienza, era in opposizione colle abitudini e coi veri interessi dell’industria. Quell’atto del potere ese­ cutivo stabiliva una ineguaglianza odiosa fra gli operai di Parigi e quelli dei dipartimenti. Quantun­ que paresse compiuto in favore degli operai, do­ veva avere per essi delle funeste conseguenze, sia inceppando il movimento del consumo interno col rincaro dei prodotti lavorati, sia ponendo il lavoro nazionale in condizioni troppo inferiori di fronte alla concorrenza estera. » Quale notevole confessione! —- L ’ abrogazione pura e semplice del decreto del 2 marzo sarebbe stata tuttavia troppo penosa ; per conseguenza un altro decreto-legge de! 9 settembre prescrisse che la giornata dell’operaio nelle fabbri­ che e nelle officine non potrà eccedere dodici ore di lavoro effettivo. Ma questa disposizione era de­ stinata a restare lettera morta, malgrado le penalità comminate per farla rispettare. Nei periodi di chô­

mage, quando cioè difetta il lavoro, è certo applicata,

ma se la situazione industriale è buona, se gli af­ fari sono prosperi, quel limite cade tosto in dissue­ tudine e gli operai, probabilmente, sarebbero i primi a ribellarsi contro lo Stato che avesse realmente la pretesa di impedire il lavoro.

La Francia ci presenta adunque questa peculiare circostanza, di avere da oltre quarant’anni una legge la quale limita a dodici ore la durata del lavoro per gli adulti e tuttavia essa lascia che sia notoriamente violata.

11 lavoro, come è naturale, ha anche in Francia una durata assai disuguale secondo che si tratta di grande o di piccola industria e più ancora dell’una o dell’altra specie di lavoro. Le otto, le dieci, le dodici perfino le quattordici ore di lavoro si pos­ sono trovare facilmente nelle industrie parigine e in generale francesi. Nessuna uniformità a questi* * il r i ­ guardo, neanche per una stessa industria, la giornata di lavoro variando secondo i luoghi, le stagioni e l’organizzazione dell’industria *).

•) Non si citano esempi perchè questo studio non ha per iscopo di far conoscere lo stato presente della questione delle ore di lavoro, bensì di considerare in generale gli effetti derivanti dalla riduzione delle ore di lavoro. Mancano riguardo alla Francia e agli altri paesi statistiche complete, ma notizie abbastanza co­ piose si possono trovare nell’ H an dw örterbu ch der

La legge francese del 1848 è rimasta adunque senza alcun effetto. Frutto di un movimento politico­ sociale essenzialmente transitorio, essa ripugnava an­ che dopo alcuni anni dalla sua origine all’assetto in­ dustriale, che alla sua volta è il risultato di cause molteplici sulle quali il legislatore ha poca o punta presa. Devesi però avvertire che con decreti vari sopratutto nel periodo 1851-1 8 6 9 vennero stabilite numerose eccezioni alla legge. Il limite delle dodici ore veniva tolto specialmente per quei lavori che sopravvengono al cessare di altri lavori o che de­ vono prolungarsi ancora per qualche tempo dopo che il lavoro principale è cessato, o per altre ra­ gioni inerenti a singole industrie.

Coll’avvento della terza repubblica l’ attitudine del governo francese subì una notevole modificazione. Fino al 1874 la sorveglianza sulle fabbriche non era stata seriamente organizzata, ma in quell’anno quindici ispettori governativi venivano nominati coll’incarico di sorvegliare l’applicazione della legge del 1848 e dei decreti successivi. In quello stesso anno colla legge 19 maggio 1874 *) e poscia con altre disposizioni legislative nel 1885, si credette di ampliare la tutela sui fanciulli e sulle donne, ma riguardo alle ore dì lavoro per gli adulti nulla venne mutalo. Per dare un’ idea approssimativa della estensione pratica della legge che limita le ore di lavoro, i due scrittori in­ glesi già citati danno queste cifre. Nel dipartimento della Senna, che comprende Parigi, nel 1887 si tro­ vavano 83,012 operai adulti, 28,573 donne e 37,650 fanciulli e ragazze assoggettate alla ispezione e im­ piegati in 30,201 stabilimenti. Non più di 3336 di quei stabilimenti erano vincolati al limite legale delle ore di lavoro stabilito dalla legge del 1848 2).

L’ inosservanza di questa legge, la stessa circo­ stanza che vi è una legge, la quale determina la durata massima del lavoro, la diffusione delle idee socialiste, tutto ciò ha contribuito a mantenere viva in Francia l’ agitazione per le otto ore di lavoro, specie dal 1880 in poi quando il p artito op eraio se ne fece un ar­ dente fautore. Nei Congressi, nei meetings , nella stampa, le varie frazioni del partito socialista sono alla riscossa di una riduzione delle ore di lavoro, e frequenti scioperi negli ultimi anni hanno avuto il medesimo scopo con risultati vari e in complesso poco favorevoli agli operai 8).

Degli altri paesi poco vi è da osservare riguardo alla limitazione della giornata di lavoro, per gli adulti. In Germania la democrazia socialista chiede insistentemente la giornata legale di lavoro perchè

Staatsw issen schaften dove alla voce A rbeitszeit sono

passati in rassegna i seguenti paesi: Germania, A u ­ stria, Svizzera, Gran Brettagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Italia, Russia e Stati Uniti d’America — vedi il volume I, pag. 763 e seg. (Mena, 1890).

Q Webb e Cox. — T he eight h o a rs d a y , pag. 58. a) L ’ articolo 23 creò una Commissione di nove membri intitolata: « Commission supérieure du tra­ vail des enfants et filles mineures employés dans l’industrie » Essa pubblica annualmente un rapporto; e di recente, con ottima disposizione, venne stabilito di pubblicare anche i rapporti annuali degli Ispet­ tori divisionari. V. in proposito Mataja, L 'in sp ection

du tra v a il en F r a n c e en 1 8 8 9 nella R evu e d ’ E con o ­ m ie politiqu e {gennaio 1891).

5) Cfr. Tcrquak, L e s grèv es en F r a n c e depuis 1 8 7 4 nell’ E con om iste fr a n ç a is del 22 giugno 1889; A.

Ckouzel, Etude sur les coalitions et les grèves dans

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lo leggi in vigore riguardano solo i fanciulli e le donne. La legge lei 1° giugno 1877 modificata con quella del l o giugno 1887 prescrive un m axim um di dieci ore per gli operai al disotto di 16 anni ma queste e altre leggi sono applicate irregolarmente. La riduzione delle ore di lavoro diede pure in Germania motivo a scioperi specie tra i minatori e dalla conferenza internazionale di Berlino (maggio 1890) è stata consigliata la limitazione delle ore di lavoro nelle miniere insalubri.

Nella Svizzera la legge federale del 1877 limita a 11 ore la giornata ìli lavoro per tutti gli operai adulti nelle fabbriche e il Consiglio federale può anche ridurre quel m axim um quando si tratta di industrie insalubri. Questo largo intervento del po­ tere pubblico è ammesso esplicitamente dalla stessa costituzione federale (art. 51) la (piale dà alla Con­ federazione il dirilto di statuire delle prescrizioni uniformi non solo sul lavoro dei fanciulli nelle fab­ briche, ma anche « sulla durata del lavoro che potrà essere imposta agli adulti. » E poiché gli operai di Ginevra, di Zurigo e di altri centri indu­ striali hanno discussa la questione di ridurre le un­ dici ore a otto, così non sarebbe da meravigliare se la Svizzera riducesse nuovamente la durata del lavoro. Una legge del 1891 l’ha già diminuita a dieci ore per il personale delle strade ferrate.

Negli altri Stati si manifesta pure l’aspirazione a una minor durata del lavoro, nè generalmente vi fanno dilètto le leggi che limitano il lavoro dei fan­ ciulli e delle donne. Ma possiamo tacerne qui, perchè, fuori dei'paesi sui quali ci siamo brevemente intrat­ tenuti, il movimento per la riduzione delle ore di lavoro ha una importanza assai minore. Non è dal­ l’Italia, dal Belgio, dalla Spagna, dall’Austria che possa partire la voee per una riforma radicale nell’ordina­ mento del lavoro. Questi paesi non possono determi­ nare una corrente, ma soltanto seguire quella che al­ trove, cioè negli Stali che hanno I’ egemonia econo­ mica, si va formando; e ad alcuni di essi è tolto per fino di partecipare al movimento economico generale. La storia del lavoro,specie in questo secolo, e ancor più spiccatamente negli ultimi anni, dimostra come la classe lavoratrice lotti in pari tempo e per l’au­ mento dei salari e per l’ attenuazione della durata del lavoro. Le ricerche di statistici imparziali, le os­ servazioni e i confronti anche più comuni provano che varie cause, le quali sono dipendenti dalla evolu­ zione economica naturale, anche quando paiono de­ rivare da illusori interventi legislativi, hanno deter­ minato un miglioramento sia nella rimunerazione, sia nella durata del lavoro. Ma sarebbe stolto credere che al punto in cui si è pervenuti non siano'possibili e ne­ cessari nuovi progressi. Essi sono in via di elaborazione e giungerà anche per essi il momento della esplicita affermazione. Le misure violenti, le affrettate legisla­ zioni e la tendenza insana a una uniformità che ripu­ gna alla varia e mutevole natura delle cose possono compromettere o danneggiare l’ esistenza del delicato organismo industriale. Coloro che invocano la im­ mediata e forte riduzione delle ore di lavoro e par­ lano di giornata legale,normale, di 8 ore di lavoro, di leggi che mirano a inceppare l’umana operosità, se sono in buona fede devono anzitutto com'derare gli effetti economici che le loro proposte possono pro­ durre. La indagine è ardua e complessa, ma non è per questo meno doverosa.

S O V R I M P O S T E

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Con la sospensione del lavoro parlamentare sono rimasti indiscussi, fra molti altri, tre progetti di legge in materia di. sovrimposte; uno, in stato di relazione, per autorizzare vari comuni ad eccedere nel 1891 il noto limite della media delle sovrim­ poste del triennio 1 8 8 1 -8 5 - 8 6 ; un secondo, simile, non ancora riferito; e un terzo, pure pendente, presso la Commissione speciale della Camera, per autorizzare I’ eccedenza della sovrimposta nel bilan­ cio 1891 della provincia di Potenza. Notiamo subito che questa provìncia aveva già invocato tempo ad­ dietro una legge unica di autorizzazione dell’ ecce­ denza, valevole per cinque anni consecutivi e, oltre ad avere provato all’ evidenza la necessità impre­ scindibile di questa misura per gli impegni certi e improrogabili della sua azienda, aveva dimostrato che il Governo e la Camera, risparmiando a sè stessi il lavorio di 5 leggi annuali, risparmiavano ai con­ tribuenti della Basilicata una spesa di 30 mila lire, chè tante e non meno ne occorrono per fare du­ rante cinque anni i ruoli speciali della maggiore sovrimposta provinciale in tutti i comuni. Ma le sue ragioni non trovarono ascolto in Parlamento e, se la memoria non ci tradisce, fu il Senato che rifiutò l’ approvazione della eccedenza di sovrimpo­ sta per cinque anni consecutivi e volle tener fermo il principio della necessità di una legge annuale. Per la sospensione del lavoro legislativo quel principio resta salvo ancora oggi, ma i contribuenti della Basilicata non solo non risparmieranno la spesa dei ruoli speciali che si dovranno fare prima o poi, ma molto probabilmente saranno costretti a pagare in una o due rate al più tutta l’ eccedenza di addizionale pro­ vinciale per l’ intero, anno 1891.

Dal resto, oltre la provincia di Potenza, un mi­ gliaio circa di comuni nel regno oggi si trovano col preventivo 1891 non ancora fissato, perchè il Governo e le Camere non hanno fatto in tempo a licenziare le leggi speciali di autorizzazione della mag­ giore sovraimposta : quei comuni dovranno aspet­ tare, forse per un mese o due ancora, che sia fatto il decreto reale in luogo della legge, e il decreto sarà poi in novembre o dicembre prossimo, cioè, a bilancio consumato, presentato alla Camera per e s ­ sere convertito in legge, così volendo il sistema ora vigente.

Il ministro delle finanze, secondo la notizia datane dai diari politici, aveva preso poco tempo fa una buona iniziativa in codesto argomento di finanza lo­ cale invocando e promuovendo l’ opera e gli studi anche del ministro dell’ interno, per la ricerca dì nuove disposizioni e di un diverso sistema, atti a portar rimedio allo stato di cose derivato dalla legge 1° marzo 1886, il quale si è dimostrato mo­ lesto per il Governo e le Camere, molestissimo per le amministrazioni locali e inefficace a tutelare i contribuenti contro gli aumenti di spesa dei comuni e delle provincia. La interruzione dei lavori del Par­ lamento viene adesso con le sue conseguenze a mettere in maggior luce la necessità di migliori di­ scipline, e noi confidiamo che I* on. Colombo

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seguirà con chiarezza di intenti e fermezza di pro­ positi nell’ opera incominciata.

Le leggi speciali di autorizzazione della eccedenza di sovrimposta sono leggi, per la loro forma esteriore e per il procedimento con cui vengono ad aver vita ; ma sostanzialmente esse sono piuttosto veri atti di gestione e di tutela amministrativa esercitati dal legislatore sui comuni e sulle provincie ; non si può dunque negare una certa tal quale confusione di attribuzioni tra i diversi poteri. Ad ogni modo egli è incontestabile che la nostra assemblea politica va dimostrando ogni giorno più la propria scarsa vo­ lontà di attendere a lavori e a discussioni di indole amministrativa, e quando noi la vediamo riescire appena in tempo nelle ultime ore ad approvare i preventivi dello Stato, avanti l’ apertura dell’ eserci­ zio finanziario, non possiamo, pur troppo, meravi­ gliarci se essa sente poco o nessun interesse per la gestione dei comuni e delle provincie.

La confusione delle attribuzioni genera sovente confusione e spostamento di responsabilità: la re­ sponsabilità politica non si può sostituire, senza dan­ no, alla responsabilità ammiuistrativa, e maggiore è il danno quando questa responsabilità è assunta o dovrebbe essere assunta, da un corpo politico so­ vrano. Agli enti locali è fatto obbligo di comunicare entro otto giorni al prefetto le deliberazioni per l’eccedenza nelle sovrimposte, pena la decadenza dei diritto di far procedere all’esame delle deliberazioni medesime in prefettura, dinanzi la giunta provinciale amministrativa, al ministero e davanti alle camere fino all’approvazione per legge. Ma quando i co­ muni adempiono al precetto della legge negli otto giorni e dopo vedono trascorrere non otto settimane, ma fino a otto mesi senza mai conseguire lo scopo concreto e legittimo delle loro deliberazioni, chi ri­ sponde ad essi del danno e del disordine portato nelle loro aziende e nella gestione dei loro bilanci? A qual pro’crescere il numero dei tutori, se questi sono irresponsabili verso il pupillo delle conseguenze delle proprie omissioni e dei mancamenti nell’eser­ cizio di quelle funzioni che debbono compiere pel maggior bene del tutelato ? E se i comuni, spinti dalle necessità che non ammettono discussioni e non tollerano indugi, attivano in un modo qualunque la riscossione degli addizionali in eccedenza, dove se ne vanno la maestà della legge e le garanzie per i contribuenti ?

Godeste questioni per molti sono piccine e meno degne che il Parlamento se ne occupi e preoccupi : ma intanto che da una parte cresce la trascuranza per gli interessi degli amministrati diminuisce dal­ l’altra la fiducia del paese, il quale aspetta sempre indarno dalla sua rappresentanza e dal governo la correzione degli ordinamenti amministrativi.

L’autorità che si dice maestra dell’ ordine che vuole essere previdente e provvidente e a questo titolo e con tale programma impone freni e controlli agli enti locali e ai cittadini, quando manca alle sue promesse non solamente perde prestigio e non ot­ tiene il rispetto e l’obbedienza che le sono dovuti, ma, diventando essa stessa quasi inconsciamente una causa di disturbo e un ostacolo allo svolgimento re­ golare delle amministrazioni locali e degli interessi dei cittadini suscita la reazione, la quale può anche talvolta manifestarsi con commozioni pericolose, co­ vate in un periodo di bonaccia infida dagli sfrutta­ tori della inerzia e della svogliatezza degli elettori,

quando questi non riescono a bene discernere a chi debbono imputare l’ andamento non soddisfacente della cosa pubblica.

11 Governo che ha spiegato tutta la sua autorità per far approvare in questi ultimi due mesi una legge di indole politica della quale egli dovrà forse valersi soltanto fra tre o quattro anni, non è rie­ scilo ad ottenere dal Parlamento le due o tre leggi aspettate da un migliaio di comuni, i quali ne ave­ vano e ne hanno assoluto bisogno per la gestione del loro bilancio nell’esercizio già in corso da sei mesi: questi enti minori non vanno molto pel sot­ tile a cercare le cause del fatto, essi si trovano a disagio non per causa propria e ne daranno colpa al sistema come alla legge, alle Camere come al Go­ verno, e resteranno col rammarico di un malcon­ tento legittimo, fonte di scetticismo politico.

Alle conseguenze della brusca interruzione dei la­ vori parlamentari oggi non vi è altro rimedio o pal­ liativo che il decreto reale di autorizzazione della eccedenza della sovrimposta, da convertirsi poi in legge; ma i difetti della legge 1° marzo 1886 per­ sistendo sempre, può sempre risorgere in ogni anno il guaio della approvazione dei conti preventivi co­ munali con sei, otto, dieci mesi di ritardo.

Urge dunque avvisare al rimedio; e noi abbiamo fiducia che i ministri della finanza e dell’ interno in questi mesi di vacanze parlamentari ripiglieranno i lavori già iniziati e presenteranno proposte concrete alla ripresa e all'apertura della sessione in novembre.

A. G.

Rivista (Economica

Le co lonie ita lia n e in A fr ic aI l p ro s s im o co ngresso

dei s o c ia lis t i ted esch iLa p a rte c ip a z io n e a g li

u t i l i in In g h ilte r r a .

Le colonie italiane in Africa. — Sotto il titolo « l’Africa italiana» l’ on. Antonelli ha pubblicato nella

Nuova A ntologia un importante studio sulla politica

coloniale italiana. In esso tratta dell’ indirizzo po­ litico, dell’ ordinamento della colonia e dei possibili vantaggi che ora possono venire all’Italia. Noi cre­ diamo far cosa gradita ai lettori riproducendo quella parte dello studio dell’ on. Antonelli che appunto tratta della questione economica, ossia commerciale e doganale attinente ai possedimenti italiani in Africa.

Avvertiamo soltanto che secondo I’ on. deputato di Roma l’indirizzo politico deve mirare all’accordo con Menelik, che vuole mantenuto e ristabilito cor­ diale, e l’ordinamento deve appoggiarsi allo elemento indigeno e foggiarsi all’ indole e alle consuetudini del paese.

Svolte queste tesi l’on. Antonelli discorre a lungo dei vantaggi attendibili dalle colonie:

Prima cosa da conseguire è che la colonia viva di vita propria. Che ciò sia difficile, non credo. E cominciando da Massaua, essa, per confessione dello stesso generale Gandolfi, introita circa un milione fra dogana e tasse; può quindi, astenendosi dalle spese non necessarie, provvedere ai proprii bisogni.

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con-tinuare nell’uso, fatale all’ esistenza morale e mate­ riale della colonia, di essere noi i tributari dei no stri amministrati, privilegio questo che con ragione fa e deve far protestare il contribuente italiano ed i nostri disoccupati involontari.

Quanto infine all’Asmara, tutti possono ricordare che nel 1887 Ras Alida che governava PHamassen e le altre provincie limitrofe, teneva sul ciglio del­ l’altipiano un esercito di 30,000 uomini, il che vuol dire, secondo 1’ organizzazione militare dell’ Etiopia, 30,000 famiglie.

Il tributo dell’Hamassen superava i 100,000 tal­ leri, oltre alle granaglie ed al bestiame. Non e’è ra­ gione perchè col tempo e la pace non si possa ritor­ nare a quello stato di floridezza che i viaggiatori d’allora e di epoche più remote descrissero con tanto lirismo.

Ma la questione va esaminata ancora più addentro. Percorrendo oggi quelle provincie completamente deserte e perciò incolte, tanto incolte da far nascere in alcuni il dubbio se sieno o no refrattarie alla coltivazione, non vuoisi dimenticare che tuttociò è una conseguenza delle lotte civili e della guerra latente che ancora serpeggia, se non a Massaua, certo sull’altipiano italiano e che questo stato d’incertezza potrebbe risolversi anche in un modo più disastroso, ove il governo credesse che l’apatia in Africa giovi meglio dell’attività, e si pascesse d’illusioni sulla im­ potenza dei nostri nemici, invece di approfittare del temporaneo esaurimento per sistemare con facilità quello che in altre condizioni costerebbe sacrifici gravissimi.

Nessuno come l’etiope è geloso delle proprie terre, eppure nessuno trascura queste terre più di quello che faccia l’etiope suddito nostro.

Ciò da che deriva ?

Deriva dal fatto che l’indigeno ragiona e col suo rozzo ragionamento da contadino si persuade che la pace non è stabilita o non ha fede nella sua durata. Preferisce allora di oziare e darsi alla vita del sol­ dato, del portatore, del vagabondo. Non si dà più la pena di coltivare o di domandare un terreno per dedicarsi alla agricoltura. Ciò farebbe soltanto il giorno in cui altri lo coltivasse o quando i grani fossero maturi per reclamare secondo le leggi etio­ piche la sua metà di raccolto. Ma lui non coltiva, sta a vedere, perchè teme il soldato saccheggiatore e prepotente. La scarsa coltivazione è oggi nelle mani degli assoldati e Dio sa se coltivano terre che veramente loro appartengono.

Ripetiamo a costo di essere noiosi ; questo stato di cose non potrà cessare senza la determinazione dei confini che serva a persuadere il contadino che fra l’Italia e l’Etiopia c’ è una propria è vera ami­ cizia e che gl’ italiani non occupano quel territorio perchè sono più forti, ma perchè hanno degli ac­ cordi palesi ed eloquenti come certamente sareb­ bero i segnali fissi e permanenti.

Oggi l’abitante dell’Hamassen teme sempre che il giorno delle laute messi diventi per lui quello delle depredazioni : che il frutto delle sue fatiche, invece di porlo al riparo della fame, attiri la cupidigia de­ gli altri meglio armati di lui i quali vengano ad invadere impunemente il suo terreno, apeilo a tutti perchè non riconosciuto da nessuno e quindi da nessuno protetto.

Un ragionamento analogo a quello del contadino dell’Ham'assen lo deve aver fatto l’ onorevole

Fran-chetti il quale ha scelto sotto i forti i terreni da porre in coltura, sebbene non fossero i più fertili.

Al contrario, se fossero tracciati i confini, ogni dubbio, ogni timore sarebbe più facile a dissiparsi: i contadini invitati dall’ editto che allora dovrebbe essere cura del nostro governatore di promulgare per assicurare loro la-pace e la tranquillità, accor­ rerebbero a rioccupare le loro terre ; e il deserto sparirebbe.

Mi occorse spesso di vedere, nelle spedizioni mi­ litari nelle quali ho seguito il Re Menelik, intere provincie devastate peggio ancora che oggi non sia l’Hamassen, ma, ottenuto l’atto di sottomissione, Me­ nelik invitava immediatamente con editti verbali i contadini e tutti gli abitanti a tornare alle loro terre. E tutti tornavano.

Nel 1883 ricordo di aver preso parte ad una grande spedizione nell’Uarra Kallu: quella provincia fu ridotta cenere dai soldati di Re Giovanni, di Re Menelik, di ras Area Sellassiè, di ras Micael : ru­ bato tutto il bestiame, tutti i pozzi vuotati dove erano stati nascosti i grani, bruciate tutte le case, i pri­ gionieri uccisi tutti. Era opinione comune che quella provincia, almeno per una ventina d’ anni, non sa­ rebbe risorta. A guerra finita Re Giovanni emanò il solito editto del perdono generale, chiamando tutti a tornare alle loro proprietà. Sembrava un’ ironia. Ebbene, essendo io ripassato nel 1889, ossia dopo circa quattro anni, per quella stessa provincia, la trovai ricca di messi e di innumerevoli centri di popolazione : nessuno avrebbe mai detto che fosse il Uarra Kallu dell’83.

Sono fatti, questi, facilmente spiegabili in Etiopia. Colà le ferite di una guerra sono cento volte più presto rimarginate che non da noi. In Etiopia le abitazioni distrutte sono presto rifatte. Non si deve comprare il materiale per fare la capanna, nè la paglia per coprirne il tetto. Bastano due o tre buoni raccolti perchè tutto ritorni in uno stato di relativo benessere da far dimenticare la tristezza dei giorni passati.

Se, come si fece nel Uarra Kallu, noi avessimo fatto nell’ Hamassen non vedremmo alle porte di Massaua quella turba di affamati che scende a mo­ rire alla costa, facendo orrore e pietà.

Avviata una colonizzazione indigena, la produ­ zione in pochi anni potrebbe tornare esuberante come era pochi anni addietro. Inoltre, con questo sistema avremmo il modo di conoscere praticamente le varie terre private e di distinguerle da quelle che vanno di diritto allo Stato, come le terre già coltivate dal capo e dai sotto capi deU’Hamassen e quelle delle stirpi estinta di principi.

Fatta la prima divisione e restituito il paese alla tranquillità ed alla floridezza di prima, allora sol­ tanto sarebbe il caso di tentare su piccola scala una colonizzazione con famiglie di agricoltori italiani. Non troverebbero forse ricchezza, ma non potrebbe loro mancare una buona vita materiale. L’ allevamento del bestiame cavallino, bovino, ovino, darebbe anzi un discreto lucro. Ancora più remunerativi potreb­ bero essere alcuni terreni atti alla coltivazione del tabacco e del cotone : si potrebbe anche, con più calma, tentare l’ innesto dell’ olivo e la coltivazione della vite.

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italiano, che presentemente si trova all’ Asmara, campa colle granaglie delle Indie e colla farina d’ Italia e di Trieste ; quand’anche poi si riuscisse, con grande spesa, a produrre un po’ di grano e si statuisse di sostituire agli attuali agricoltori ufficiali, pagati 2 lire il giorno, dei coloni liberi, quali terre si potrebbe offrir loro? Si sarebbe forse obbligati a prendere arbitrariamente quanto appartiene legittimamente ai nostri amministrati.

Ma un simile atto ingiusto, ci condurrebbe a torbidi ed a rivolte, e però ci troveremmo preclusa la via di sviluppare le imprese pacifiche e veramente produttive.

Ottenuto invece un primo assetto colla colonizza­ zione indigena, gli abitanti che avessero le loro ca se e il loro bestiame sarebbero i veri e primi sosteni- tori della paoe e del governo italiano. Così si pre­ parerebbero le migliori condizioni possibili per un esperimento pratico di emigrazione con coltivatori italiani, facendo arrivare questi in un paese già pro­ duttivo e tranquillo.

Guerre, epidemie, epizoozie, hanno stremata ed esausta tutta I’ Etiopia. Essa ha bisogno assoluto di rifarsi ed il periodo di pace che le occorre non po­ trà essere minore di una diecina di anni.

Perchè non approfittare anche noi di questa so­ sta forzata per organizzarci ?

Altra fonte di benessere, l’ Eritrea potrebbe otte­ nere dai commerci. Fino a pochi anni fa, tutto il commercio del Goggiam e dei paesi Galla al sud di quel regno prendeva la via di Massaua. Il nego­ ziante abissino ama quella strada perchè è sempre iu paesi fertili e salubri e può trasportarvi la sua merce sempre coi medesimi mezzi. Oggi il commer­ cio ha completamente abbandonata tale strada. Nes­ suno osa più attraversare l’Asmara ed il Tigrè.

A questo, più che a noi, dovrà provvedere l’ im­ peratore, ed è nell’ interesse del Ras del Tigrè che ciò avvenga al più presto. La città di Adua che col suo nome suscitò tanti malsani entusiasmi^ è oggi pressoché deserta. Ma Adua ai tempi di Re Giovanni aveva dogana che non fruttava meno di 100,000 talleri all’ anno...

Il prossimo congresso dei socialisti tedeschi. — Il Congresso socialista tedesco, secondo l’appello del Comitato socialista, si terrà il 10 ottobre a Erfurt, e discuterà specialmente il programma del partito, pubblicato dal giornale Vorwaerts.

Questo programma esordisce con delle considera­ zioni teoriche : la separazione fra la classe operaia e i mezzi del lavoro, come il suolo, le miniere, le macchine, gli utensili, i mezzi di trasporti, è una causa d’oppressione per la classe operaia, ed arric­ chisce i capitalisti, che soli possedono i mezzi di la­ voro, e rovina la classe media nelle città e nelle campagne. Lo scopo del socialismo è di rendere gli utensili del lavoro alla classe operaia. Il socialismo tedesco si distingue nettamente dal socialismo di Stato: esso, per contro , riconosce che forma un tutto coi partiti socialisti esteri.

Seguono le rivendicazioni generali e speciali degli operai.

Rivendicazioni generali : Suffragio universale di­ retto, scrutinio nelle domeniche e feste; intervento del popolo nella legislazione mediante diritto di pro­ posta o di veto; il popolo voterà la pace o la guerra; costituzione di un tribunale internazionale di arbi­ traggio; libertà completa di pensiero, di parole d’as- sociàzione e di riunione: separazione della Chiesa

inailo Stato ; Scuola primaria laica, obbligatoria, gra tuita ; sostituzione all’esrcito permanent e del popolo armato; giustizia gratuita; cure mediche gratuite; imposta diretta e progressiva ; soppressione delle im­

poste indirette.

Rivendicazioni particolari : legislazione della pro­ tezione operaia ; giornata di 8 ore ; vietato il lavoro notturno; vietato il lavoro pei fanciulli minori dei 14 anni; sorveglianza reale nelle fabbriche mediante un ufficio imperiale del lavoro; diritto di coazione ; collaborazione degli operai all’amministrazione delle assicurazioni operaie.

La partecipazione agli utili in Inghilterra. —-Il sistema della partecipazione degli operai agli utili dei proprietari ha avuto ora in Inghilterra un note­ vole scacco.

Il l o giugno scorso, a Manchester, l’ assemblea trimestrale dei delegati delle Associazioni coopera­ tive doveva discutere una proposta tendente ad in­ vitare il Comitato direttore ad elaborare un piano, allo scopo di applicare, negli opifici, nei magazzini e nei bureaux delle Associazioni — che occupano più di 1200 persone, e fanno per 200 milioni di franchi d’affari ogni anno — il sistema della parte­ cipazione ; e ciò aiteso che due Congressi coopera­

tivi anteriori avevano approvato questo sistema. Ad onta del patrocinio dei Congressi in cui do­ minano le nozioni teoriche, questa proposta, dopo una lunga discussione, è stata respinta alla enorme maggioranza di 406 voti sopra 419 votanti. Questo muffalo è tanto più significativo in quanto che la gran maggioranza dei delegati apparteneva alla classe operaia, Velemento borghese non entrando che in scarsissima parie nelle Associazioni.

Le principali obbiezioni degli oppositori sono le seguenti: L’ attuazione del sistema della partecipa­ zione è circondata da difficoltà che la rendono ine­ seguibile, o almeno i patrocinatori di questo sistema non hanno mai presentato alle Associazioni un pro­ getto ammissibile. Delle Società cooperative , che hanno fatto delle prove di partecipazione, hanno do­ vuto rinunziarvi. D’ altronde, i veri creatori degli utili che realizzano queste Società, non sono gli im­ piegati, ma bensì i soci medesimi. Sono questi ul­ timi che, di loro iniziativa, hanno fondate ed orga­ nizzate queste istituzioni, che hanno costituito ad esse un capitale d’ esercizio coi loro risparmi, che hanno dato ad esse una clientela sicura e che paga imme­ diatamente. Nessuno di questi elementi di successo è dovuto agli operai ed agli impiegati che le S o ­ cietà fanno lavorare. Ad essi i cooperatori non de­ vono altro che il salario. La Direzione delle Asso­ ciazioni sopra nominate è pronta a provare che i suoi impiegati sono altrettanto o anche meglio pa­ gati di quelli di qual si sia impresa particolare. È, adunque in nome dell’ equità di fronte ai membri delle Società cooperative, che i delegati di Man­ chester hanno respinta l’idea di assegnare agli operai che impiegano una partecipazione agli utili.

Il commercio transatlantico del bestiame

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