Facoltà di medicina e chirurgia
Corso di laurea in odontoiatria e protesi dentaria
B
IBLIOGRAFIA:
Sbobinature delle lezioni delle lezioni del professor Bani Daniele a.a.
1999/2000 e 2000/2001
Istologia - Rosati, Colombo
Embriologia umana - Larsen
Embriologia medica - Langman
Embriologia ed istologia del cavo orale – Mjor, Fejerskov - Edi.ermes
Anatomia orale - Sicker, E. Lloyd DuBrul - Edi.ermes
Igiene e medicina preventiva - S. Barbuti - Monduzzi editore
Microbiologia odontoiatrica – Landini - Società editrice Esculapio
Sommario 3
SOMMARIO SOMMARIO
SEZIONE DI CITOLOGIA
1. MOLECOLE DI INTERESSE BIOLOGICO 6
CARBOIDRATI 6
PROTEINE 8
LIPIDI 9
ACIDINUCLEICI 11
2. MEMBRANA PLASMATICA 15
GENERALITÀ 15
STRUTTURA 15
COMPOSIZIONE 15
3. CITOPLASMA 19
4. TRASPORTO TRANSMEMBRANA 20
DIFFUSIONE 20
TRASPORTOMEDIATODAPROTEINEINTRINSECHE 20
ENDOCITOSI 23
ESOCITOSI 25
GEMMAZIONE 26
5. CITOSCHELETRO 27
I MICROTUBULI 27
I FILAMENTIINTERMEDI 30
I FILAMENTISOTTILI 33
I FILAMENTISPESSI 33
MECCANISMODELLACONTRAZIONEACTO - MIOSINICA 34
6. SISTEMI DI GIUNZIONE INTERCELLULARE 38
ZONULAEOCCLUDENTES 39
ZONULAEADHAERENTES 39
MACULAEADHAERENTESODESMOSOMI 40
GIUNZIONICOMUNICANTIOGAP 40
7. RIBOSOMI 41
8. RETICOLO ENDOPLASMATICO 43
RETICOLOENDOPLASMATICORUVIDO 43
RETICOLOENDOPLASMATICOLISCIO 45
9. APPARATO RETICOLARE DEL GOLGI 48
ILPROBLEMADELRICICLAGGIODEIMATERIALIDIMEMBRANA 49
ILPROBLEMADELLOSMISTAMENTODEIMATERIALIALL’INTERNODELLACELLULA 50
TRANS GOLGINETWORK 51
10. LISOSOMI ED ENDOSOMI 52
11. PEROSSISOMI 54
12. MITOCONDRI 56
LAMEMBRANAMITOCONDRIALEESTERNA 58
LACAMERAMITOCONDRIALEESTERNA 58
LAMEMBRANAMITOCONDRIALEINTERNA 59
LAMATRICEMITOCONDRIALE 59
PRODUZIONEDIENERGIANEIMITOCONDRI 59
LATEORIADELSIMBIONTE 62
13. INCLUSI CITOPLASMATICI 65
INCLUSIDIGLICOGENO 65
INCLUSILIPIDICI 67
INCLUSIDIMATERIALESECRETORIO 68
INCLUSIDIPIGMENTI 68
14. NUCLEO 70
L’INVOLUCRONUCLEARE 74
ILNUCLEOSCHELETRO 76
LACROMATINA 76
ILNUCLEOLO 81
15. CICLO CELLULARE E DIVISIONE CELLULARE 83
MECCANISMIDICONTROLLODELCICLOCELLULARE 84
LAMITOSI 87
MORFOLOGIADEICROMOSOMI 88
SEZIONE DI ISTOLOGIA
16. INTRODUZIONE 94
17. IL TESSUTO EPITELIALE 95
ILTESSUTOEPITELIALEDIRIVESTIMENTO 95 ILTESSUTOEPITELIALEGHIANDOLARE 110
18. IL TESSUTO CONNETTIVO 125
SOSTANZAINTERCELLULARE 125
COMPONENTECELLULARE 139
CLASSIFICAZIONEDEITESSUTICONNETTIVI 151
Sommario 5 19. IL TESSUTO CARTILAGINEO 155
CARTILAGINEIALINA 155
CARTILAGINEELASTICA 156
CARTILAGINEFIBROSA 156
20. IL TESSUTO OSSEO 158
GENERALITÀ 158
METODIDISTUDIO 158
LASOSTANZAINTERCELLULARE 160
LACOMPONENTECELLULARE 163
ORGANIZZAZIONEARCHITETTURALE 169
MODIFICAZIONIMORFO-FUNZIONALI 171
ISTOGENESIDELL’OSSO 172
ACCRESCIMENTODELLEOSSA 174
FATTORICHEINFLUENZANOLAFORMAZIONEDELL’OSSO 176
21. IL SANGUE 179
GLOBULIROSSI 181
GLOBULIBIANCHI 182
PIASTRINEOTROMBOCITI 192
CENNISULL’EMATOPOIESI 195
22. IL TESSUTO MUSCOLARE 196
TESSUTOMUSCOLARESTRIATO 196
TESSUTOMUSCOLARELISCIO 202
23. IL TESSUTO NERVOSO 204
METODIDISTUDIO 204
NEURONI 205
SINAPSI 208
CELLULEDINEVROGLIA 212
GUAINAMIELINICA 214
CONDIZIONEDIPOTENZIALEDIMEMBRANAARIPOSO 217
CONDIZIONEDISQUILIBRIO 217
FIBRENERVOSE 219
I NERVI 220
TERMINAZIONINERVOSE 222
SEZIONE DI EMBRIOLOGIA
24. PROCESSI MORFOGENETICI ELEMENTARI 232
25. GAMETOGENESI 234
SPERMATOGENESI 234
OOGENESI 237
26. FASE PRE - OVULATORIA O ESTROGENICA 239
FOLLICOLOGENESI 239
CICLOUTERINOETUBARICO 240
27. PRIMA SETTIMANA DI SVILUPPO 242
OVULAZIONE 242
FASEPOST - OVULATORIAOLUTEINICA 243
1° GIORNO 244
2° GIORNO: FORMAZIONEDELLOZIGOTE 246 3° GIORNO: FORMAZIONEDELLAMORULA 246 4° GIORNO: FORMAZIONEDELLABLASTOCISTI 247 5° - 6° GIORNO: SCHIUSADELLABLASTOCISTIEADESIONE 247 6° - 9° GIORNO: IMPIANTOEDANNIDAMENTO 248
REAZIONEDECIDUALE 249
GEMELLARITÀ 251
28. SECONDA SETTIMANA DI SVILUPPO 252
ILDISCOGERMINALEBILAMINARE 252
29. TERZA SETTIMANA DI SVILUPPO 254
FORMAZIONEDELL’ASSEANTERO - POSTERIORE 254
FORMAZIONEDELMESODERMA 255
DELAMINAZIONEDELMESODERMALATERALE 256 SEGMENTAZIONEDELMESODERMAPARASSIALEEDINTERMEDIO 257
NEURULAZIONE 257
L’ALLANTOIDE 259
FORMAZIONEDELMESENCHIMA 259
SANGUEEVASISANGUIGNI 259
SVILUPPODELLECONNESSIONITROFICHEMATERNO - FETALI 260
30. QUARTA SETTIMANA DI SVILUPPO 265
DELIMITAZIONEDELCORPODELL’EMBRIONE 265 DERIVATIDEIFOGLIETTIEMBRIONALI 266 PROCESSIMORFOGENETICIDELTUBONEURALE 269
DIFFERENZIAMENTOISTOLOGICOEDEMBRIOLOGICODELLECELLULENEUROECTODERMICHE 271
SVILUPPODELLATESTAEDELCOLLO 271
SEZIONE SPECIALE
31. ODONTOGENESI 286
STADIODELLACLAVA 287
STADIODICAPPUCCIO 287
STADIODICAMPANA 288
DIFFERENZIAMENTOCELLULAREPRECEDENTELAFORMAZIONEDELTESSUTODURO 290
SVILUPPODELLARADICE 291
STRUTTURAEFUNZIONEDEGLIADAMANTOBLASTIEDEGLIODONTOBLASTI 292
32. PRINCIPALI DIFFERENZE FRA I TESSUTI MINERALIZZATI 293
Sommario 7 33. LO SMALTO DENTARIO 294
CARATTERISTICHEFISICO – CHIMICHE 294
AMELOGENESI 294
EVOLUZIONEDELL’EPITELIOADAMANTINO 298 CARATTERISTICHEDELLACOMPAGINEDELLOSMALTO 298 DIFETTIDELL’AMELOGENESIODELLAMATURAZIONEDELLOSMALTO300 STRUTTURASUPERFICIALEDELLOSMALTOUMANO 302
34. LA DENTINA 304
COMPOSIZIONEDELLADENTINA 304
DENTINOGENESI 305
TEORIAIDRODINAMICADELL’INDUZIONEDELDOLORE 307
STRUTTURADELLADENTINA 307
MINERALIZZAZIONEDELLAMATRICE 308
DENTINASECONDARIAETERZIARIA 309
35. LA POLPA DENTARIA 310
CONCREZIONIDELLAPOLPA 311
INNERVAZIONEEVASCOLARIZZAZIONE 311
36. IL PARODONTO 313
ILCEMENTO 313
ILLIGAMENTOPARODONTALE 316
L’OSSOALVEOLARE 317
LEGENGIVE 318
37. L’ERUZIONE DENTARIA E LA CADUTA DEI DENTI PRIMARI 321
L’ERUZIONEDENTARIA 321
PERMUTADEIDENTIPRIMARIODECIDUI 325 TEMPODIFORMAZIONEDELLOSMALTODEIDENTIPERMANENTI 326
INDICE ANALITICO
327
Sezione di citologia – 1. Molecole di interesse biologico 9
1. 1. MOLECOLE DI INTERESSE MOLECOLE DI INTERESSE BIOLOGICO
BIOLOGICO
C C ARBOIDRATI ARBOIDRATI
I carboidrati, detti anche zuccheri, saccaridi o glucidi, sono i composti organici più diffusi nel regno animale ed in quello vegetale. Essi rappresentano un’insostituibile fonte di energia per il normale svolgimento dei processi vitali ed entrano anche a far parte dei tessuti di sostegno delle piante e di alcune strutture animali.
Da un punto di vista chimico sono composti organici ternari, formati da carbonio idrogeno ed ossigeno in proporzioni costanti avendo infatti la formula generica seguente: Cx(H2O)y. I nomi di questa tipologia di molecole sono accomunati dal fatto che terminano tutti con il suffisso –osio.
Per quanto riguarda la loro struttura, possono essere suddivisi in aldosi, se presentano un gruppo aldeidico (CHO), oppure chetosi, se presentano un gruppo chetonico (C=O). Oltre a tali gruppi, i carboidrati presentano anche numerosi gruppi alcolici e per questo possono essere considerati anche delle poliidrossialdeidi (gli aldosi) o dei poliidrossichetoni (i chetosi).
I carboidrati hanno la tendenza a polimerizzare, cioè a formare delle catene costituite dalla ripetizione di una o più molecole di base che prendono il nome di monosaccaridi. In base al numero di monosaccaridi legati assieme parliamo di disaccaridi (costituiti da due molecole di monosaccaridi), di oligosaccaridi (costituiti da due a dieci monosaccaridi) e di polisaccaridi (costituiti da undici o più monosaccaridi).
M M ONOSACCARIDI ONOSACCARIDI
Oltre che in chetosi e aldosi, possono essere anche classificati in base al numero di atomi di carbonio da cui sono composti: triosi, tetrosi, pentosi, esosi a seconda che contengano rispettivamente tre, quattro, cinque o sei atomi di carbonio.
Come è possibile vedere dalla loro struttura, i monosaccaridi contengono degli atomi di carbonio asimmetrici (chirali) per cui sono otticamente attivi. Per cui di ogni struttura esistono diversi stereoisomeri; ad esempio l’aldoesoso può esistere in 16 stereoisomeri che differiscono l’uno dall’altro dalla posizione dei gruppi ossidrili (-OH).
I monosaccaridi più comuni che si ritrovano in natura sono: il glucosio, il mannosio e il galattosio, che sono tre stereoisomeri dell’aldoesoso, il fruttosio, che è un chetoesoso e il ribosio e il deossiribosio che sono due aldopentosi.
10 Sezione di citologia – 1. Molecole di interesse biologico
Le molecole dei monosaccaridi generalmente non si ritrovano nella forma lineare bensì in una struttura ciclica in quanto termicamente più stabile. Infatti l’ossigeno del gruppo aldeidico o chetonico tende ad interagire con il gruppo ossidrilici del penultimo carbonio posto all’altra estremità della molecola, dando luogo ad una struttura ciclica. Le formule cicliche comportano un’ulteriore classificazione in quanto rendono anche il primo carbonio chirale e in questo senso possiamo distinguere forme α e β che vengono denominate anomeri.
D D ISACCARIDI ISACCARIDI
Due monosaccaridi possono legarsi tra loro per condensazione, con la perdita di una molecola di acqua, dando luogo ad un disaccaride. Questo particolare tipo di condensazione prende il nome di legame glicosidico.
Tra i disaccaridi più comuni ricordiamo:
Il saccarosio. È un disaccaride che viene estratto dalla canna o dalla barbabietola da zucchero ed è costituito da una molecola di α-glucosio legata con un legame glicosidico ad una di β-fruttosio.
Il maltosio. Non è molto comune in natura, lo ritroviamo ad esempio nei semi che contengono amido quanto sono posti a germogliare. È formato da due molecole di α-glucosio legate tra loro, sempre grazie ad un legame glicosidico.
P P OLISACCARIDI OLISACCARIDI
I polisaccaridi sono polimeri naturali derivati dall’unione di numerose molecole di monosaccaridi, mediante legame glicosidico.
I più importanti sono:
L’amido. È la riserva alimentare nelle piante. Esso è infatti presente nei semi, nelle radici e nei tuberi delle piante. È formato da più di mille unità di α-glucosio per cui la sua struttura è uguale a quella del maltosio dal quale differisce solo per il numero di unità di glucosio legate.
Il glicogeno. È un polisaccaride molto simile all’amido ma a differenza di questo presenta numerose ramificazioni. Costituisce la forma di accumulo del glucosio negli animali nei quali viene prodotto e immagazzinato nel fegato e nei muscoli. Sotto adeguati stimoli, le cellule che lo immagazzinano possono ottenere rapidamente glucosio per le varie necessità metaboliche dell’organismo.
La cellulosa. Anche questo polisaccaride è un polimero del glucosio ma, a differenza del glicogeno e dell’amido, è costituito dall’anomero β per cui le catene così generate presentano numerose ramificazioni.
La cellulosa la ritroviamo come componente strutturale nelle piante. Gli uomini e gli animali in genere non possiedono degli enzimi capaci di scindere il legame β-glicosidico per cui essi non sono in grado di
Sezione di citologia – 1. Molecole di interesse biologico 11 metabolizzare la cellulosa ed estrarne l’energia1 ma hanno comunque enzimi capaci di scindere i legami α-glicosidici, necessari per il metabolismo degli amidi e del glicogeno.
P P ROTEINE ROTEINE
Le proteine svolgono una funzione strutturale, sono cioè alla base della struttura stessa degli organismi viventi. Svolgono anche molte altre funzioni grazie ad alcune loro caratteristiche: alcune proteine sono infatti capaci di cambiare la propria forma e possono quindi essere alla base di fenomeni di movimento;
altre svolgono la funzione di catalizzatori biologici ovvero di enzimi: aiutano ad attivare certe reazioni chimiche in determinate condizioni ambientali senza tuttavia fornire energia al sistema in cui avviene la reazione e rimanendo inalterati al termine di questa. Gli enzimi sono anche caratterizzati da una specificità legata non solo ai reagenti della reazione ma alla reazione stessa: possono cioè intervenire per far avvenire, in determinate condizioni, una specifica reazione cui prendono parte specifici reagenti.
Le proteine sono dei polimeri, sono cioè costituite da subunità simili rappresentate dagli aminoacidi.
Tutti gli aminoacidi sono formati da un atomo di carbonio a cui si legano un gruppo amminico, un gruppo carbossilico, un atomo di idrogeno ed un radicale che distingue i vari aminoacidi. Più aminoacidi possono legarsi insieme con un legame peptidico che si forma per condensazione del gruppo amminico di un amminoacido con il gruppo amminico di un altro amminoacido.
Gli aminoacidi sono complessivamente una ventina e la loro combinazione può dare origine a numerosissime proteine; perché si possa parlare di proteina è necessario tuttavia che la catena polipeptidica sia costituita da almeno dieci aminoacidi.
La sequenza di aminoacidi caratterizza le varie proteine e prende il nome di struttura primaria. La funzione della proteina dipende tuttavia dalla sua forma più che dalla sua struttura primaria: la catena polipeptidica può ripiegarsi su se stessa dando origine ad una struttura secondaria. Tale ripiegamento può essere a:
α-elica
β-lamelle
Random coil (ripiegamento casuale)
L’accostamento di più strutture secondarie da origine ad una struttura terziaria.
In alcuni casi la proteina presenta una struttura quaternaria formata da più subunità dette protomeri ognuna con la sua struttura primaria, secondaria e terziaria. La proteina cosi formata ha proprietà emergenti, proprietà cioè che non equivalgono alla somma di quelle del protomeri costituenti ma sono nuove, diverse.
1 Alcuni animali possono comunque digerire la cellulosa grazie alla simbiosi con specie batteriche che producono degli enzimi capaci di scindere il legame β-glicosidico.
12 Sezione di citologia – 1. Molecole di interesse biologico
L L IPIDI IPIDI
I lipidi sono una categoria di molecole chimicamente eterogenea ma accomunate dall’incapacità di sciogliersi in acqua. Sono però solubili nei cosiddetti solventi organici (trielina, piridina), i solventi organici per eccellenza sono miscele di etere e cloroformio, tanto meglio se caldo. I lipidi sono quindi molecole idrofobe. Esistono diverse categorie di lipidi.
T T RIGLICERIDI RIGLICERIDI
I trigliceridi sono costituiti da glicerolo che è una molecola costituita da tre atomi di carbonio, ognuno dei quali porta un gruppo OH che a sua volta si lega con un legame diestere ad un acido grasso.
Costituiscono materiale di accumulo e riserva nutritizia: consentono rimmagazzinamento di una grande quantità di energia in un peso relativamente piccolo. Rispetto ai polisaccaridi sono più lenti da accumulare e da mettere in circolazione. Sono utilizzati per processi come la termogenesi.
C C ERE ERE (C (C ERIDI ERIDI ) )
Sono degli esteri in cui troviamo da un lato un acido grasso e dall’altro un alcol monovalente (con un solo gruppo alcolico -OH). Non cene sono molti nel nostro organismo: sono presenti, per esempio, nel cerume.
S S TERIDI TERIDI
Gli steridi non hanno legame diestere nella loro costituzione. Hanno una molecola formata a una complicata serie di anelli (ciclopentanoperidrofenantrene), tre a sei atomi di carbonio ed uno a cinque atomi di carbonio. Alcuni steridi possono presentare un gruppo alcolico laterale e possono essere quindi coinvolti in legame diestere.
Fra gli steridi troviamo il colesterolo in cui c’è un gruppo alcolico in posizione 3 ed una catena idrocarboniosa in posizione 17. Il colesterolo è un lipide che il nostro organismo utilizza sia come materiale costruttivo di membrana, sia come materiale di partenza per la formazione di alcuni lipidi di questa famiglia che hanno valore informativo e servono a trasferire informazione da una cellula all’altra:
gli ormoni steroidei: alcune cellule hanno delle molecole (recettori) capaci di legarsi a particolari ormoni che innescano modificazioni nelle funzioni della cellula e nel suo comportamento.
C C AROTENOIDI AROTENOIDI
Sono molecole lineari. dei polimeri costituiti da un’unita base: l’isoprene. Si trovano nelle cellule visive e fanno parte di quella sostanza che è il pigmento visivo. materialmente responsabile della ricezione degli stimoli luminosi.
Sono molecole derivate dalla vitamina A e svolgono un’importante funzione regolativa nella proliferazione e nel differenziamento cellulare nella fase embrionale ma anche nella fase post-natale.
Sezione di citologia – 1. Molecole di interesse biologico 13
G G LICEROFOSFOLIPIDI LICEROFOSFOLIPIDI
I glicerofosfolipidi assomigliano molto ai trigliceridi ma il terzo gruppo alcolico forma un legame con un acido fosforico e non con un acido grasso. L’insieme di trigliceride ed acido fosforico si chiama acido fosfatidico. Un altro dei gruppi ionizzabili del fosfato viene a sua volta esterificato da un’altra molecola che pub avere carattere basico: può essere un ammina o un amino-alcol.
La forma della molecola è in realtà molto diversa da quella schematizzata perché i due acidi grassi sono rivolti dalla parte opposta alla zona idrofilica rispetto alla catena carboniosa.
Sono importantissimi come materiale di costruzione di membrane biologiche e cellulari.
Gli acidi grassi che troviamo nei trigliceridi e nei glicerofosfolipidi sono acidi che hanno un numero di atomi di carbonio compreso fra 14 e 24. Alcuni di questi sono insaturi cioè contengono uno o più doppi legami che si possono spostare lungo la molecola.
Es.: acido arachidonico 20 atomi di carbonio 4 doppi legami
Dato che ci sono dei doppi legami queste catene carboniose degli acidi grassi si possono piegare. Fra le molecole che possono andare ad esterificare l’altro gruppo ionizzabile del gruppo fosfato ne troviamo alcune che hanno gruppi alcolici in maniera da formare esteri o gruppi amidici; si può trovare addirittura un amminoacido, la semina, che ha nella catena laterale un gruppo alcolico.
Fra le molecole che possiamo trovare attaccate al fosfato troviamo l’inositolo. È un alcol ciclico in cui troviamo un anello di sei atomi di carbonio ciascuno legato ad un gruppo alcolico; uno di questi andrà a legarsi con il fosfato.
Ad una determinata temperatura gli acidi grassi tendono ad essere più morbidi e fluidi quanto più abbondanti sono i doppi legami. La temperatura di fusione degli acidi grassi sarà tanto più bassa quanto più numerosi sono i doppi legami: l’olio contiene più acidi grassi insaturi del burro ed è infatti fluido.
S S FINGOLIPIDI FINGOLIPIDI
Hanno nella loro costituzione una molecola di sfingosina.
La sfingosina è un amino-alcol: contiene un gruppo alcolico ed un gruppo amminico che può formare un legame amidico con un acido grasso. C’è poi un gruppo fosfato che può esterificare il gruppo alcolico e a cui può essere attaccato un residuo a sua volta ionizzabile: parliamo in questo caso di fosfosfingolipidi.
Possono esserci anche dei residui glucidici: parliamo allora di glicolipidi.
Le catene glucidiche attaccate alla sfingosina hanno lunghezza variabile (ma mai più di 25 monomeri):
possono essere ramificate, possono contenere acido sialico, possono essere solfatate, non contengono invece acidi uronici.
14 Sezione di citologia – 1. Molecole di interesse biologico
Glicolipidi e sfingolipidi in particolare possono trovarsi nello stato di cristalli liquidi. In ambiente acquoso (ma non solo) tendono a disporsi in micelle in cui le zone idrofile stanno a contatto con le zone idrofile e le zone idrofobe stanno a contatto con le zone idrofobe.
I grassi possono essere suddivisi in due grandi categorie: una di queste è rappresentata da quei grassi che tendono a formare delle “goccioline” costituite solo di grasso (grassi di accumulo, grassi usati con significato ormonale) e che formano delle strutture che occupano una porzione di spazio a composizione chimica omogenea ossia hanno fase omogenea. I grassi di questo tipo si dicono lipidi omofasici.
A A CIDI CIDI NUCLEICI NUCLEICI
Gli acidi nucleici sono polimeri: ci sono cioè delle unita elementari che si legano succedendosi regolarmente e sono dette nucleotidi. Un nucleotide è formato da un gruppo fosfato (PO43-). Uno dei tre gruppi ionizzabili è impegnato nel legame con uno zucchero, un monosaccaride con cinque atomi di carbonio è perciò detto pentoso. Al pentoso si lega una base azotata, una molecola basica perché possiede un gruppo NH2.
Una base azotata unita al monosaccaride pentoso costituisce il nucleoside.
Esistono due categorie di basi azotate: le basi puriniche e le basi pirimidiniche. Le basi puriniche sono più grandi delle basi pirimidiniche: sono infatti costituite da un anello a sei atomi di carbonio ed uno a cinque atomi di carbonio; sono anelli eterociclici perché l’anello, in ciclo, è formato da atomi diversi: si alternano azoto e carbonio. Le basi pirimidiniche sono più piccole di quelle puriniche: sono infatti costituite da un singolo anello a sei atomi di carbonio e azoto.
Esistono anche due tipi di nucleotidi a seconda che il pentoso sia il ribosio o il deossiribosio: nel primo caso parleremo di ribonucleotidi, nel secondo parleremo di deossiribonucleotidi. Conseguentemente parleremo anche di due diversi tipi di acido nucleico: l’acido ribonucleico (RNA) formato solo da ribonucleotidi e l’acido deossiribonucleico (DNA) formato solo da deossiribonucleotidi.
In ogni tipo di acido nucleico esistono solo quattro tipi di nucleotidi, ovvero solo quattro tipi di basi azotate:
DNA: adenina, guanina, citosina, timina
RNA: adenina, guanina, citosina, uracile
Le basi azotate possono formare legami a idrogeno (2 o addirittura 3). Ciò che è davvero importante è che possono formarsi legami fra basi puriniche e pirimidiniche con legge di complementarità.
Nel DNA adenina (A) si lega sempre e solo con timina (T) citosina (C) si lega sempre e solo con guanina (G)
Nell’RNA adenina (A) si lega sempre e solo con uracile (U)
Sezione di citologia – 1. Molecole di interesse biologico 15 citosina (C) si lega sempre e solo con guanina (G)
Il DNA si presenta sempre e comunque sottoforma di doppia catena, costituita da due filamenti polinucleotidici complementari l’RNA si presenta sottoforma di singolo filamento anche se, in alcuni tratti, può decorrere doppio avvolgendosi su se stesso. Il DNA, inoltre, avvolgendosi su se stesso forma un’elica.
La zona centrale del doppio filamento è idrofoba perché i ponti a idrogeno delle basi azotate, una volta costituitisi gli accoppiamenti fra le basi, non sono più disponibili. La zona periferica, dove si trovano i gruppi fosfato è invece idrofila.
Gli acidi nucleici rappresentano lo “schema costruttivo” delle proteine. Un acido nucleico è un polimero cosi come lo sono le proteine, ma mentre un acido nucleico può presentare solo quattro monomeri diversi abbiamo visto che i monomeri delle proteine, ovvero gli amminoacidi, sono una ventina. Non può quindi esistere una corrispondenza univoca fra nucleotidi ed amminoacidi: in realtà una sequenza di tre nucleotidi, ovvero una tripletta di basi azotate contiene un’informazione che corrisponde ad un amminoacido.
I due acidi nucleici vengono usati differentemente: il DNA è contenuto nel nucleo delle cellule e contiene l’informazione utile a sintetizzare tutte le proteine necessarie. Tale informazione è trasmissibile di cellula in cellula al momento della proliferazione cellulare e da organismo ad organismo al momento della riproduzione. Il DNA contiene cioè quella che si chiama informazione genetica, ereditabile al momento della nascita di una cellula o di un organismo.
Ogni cellula, abbiamo detto. contiene nel proprio nucleo, nel DNA, le informazioni necessarie per la sintesi proteica: queste istruzioni, o almeno quelle che servono (e inutile, per esempio, che le cellule del tessuto muscolare sintetizzino proteine per produrre lo smalto dentario pur contenendo nel proprio DNA tutte le informazioni per poterlo fare: ogni cellula, nel quadro del differenziamento, si specializza dal punto di vista biochimico e sintetizza solo le proteine necessarie a svolgere la propria particolare funzione), vengono ricopiate in tratti di RNA: la particolarità della complementarità tra basi puriniche e pirimidiniche rende infatti possibile, partendo da un singolo filamento di DNA, la sintesi del filamento ad esso complementare. Il filamento di RNA migra quindi nel citoplasma e viene utilizzato per dirigere la sintesi proteica a livello dei ribosomi.
Esistono diversi tipi di RNA:
RNA messaggero (mRNA): veicola le informazioni genetiche dal nucleo al citoplasma.
RNA ribosomiale (rRNA): interviene al livello dei ribosomi.
RNA transfer o solubile (tRNA): collabora anch’esso alla sintesi delle proteine.
R R EAZIONE EAZIONE DI DI F F EULGEN EULGEN
Una reazione molto utile per studiare l’acido deossiribonucleico è la cosiddetta reazione nucleale o di Feulgen, una reazione in due tempi: c’è un primo tempo che consiste in un’idrolisi con acido cloridrico
16 Sezione di citologia – 1. Molecole di interesse biologico
(HCl) che idrolizza gli acidi nucleici producendo effetti diversi a seconda dell’acido nucleico trattato;
questo dipende non tanto dalle diverse dimensioni dei due tipi di molecola quanto dalla presenza o meno dalla presenza di un atomo di ossigeno nei due diversi pentosi che fa variare la stabilità degli altri legami della molecola.
Nel caso dell’RNA l’acido cloridrico procura l’effetto di staccare i nucleotidi mentre nel caso del l’idrolisi con HCl. oltre al distacco dei vari nucleotidi, causa anche una depurinazione ovvero il distacco delle basi puriniche dalla catena. Questo avviene perché il deossiribosio e le basi puriniche, a seguito dell’idrolisi con HCl, formano un legame più debole di quello fra deossiribosio e gruppo fosfato: ma siccome la base purinica è attaccata al pentoso la dove c’era originariamente il gruppo aldeidico questo si recupera libero e lo zucchero passa dalla forma chiusa ad anello a quella aperta e ci permette di utilizzare il reattivo di Schiff per mettere in evidenza il gruppo CHO e dimostrare di conseguenza la presenza di DNA.
In alcuni casi possiamo avere anche un riscontro semiquantitativo nel senso che dall’intensità del colore possiamo dedurre la concentrazione di DNA.
T T EST EST DI DI B B RACHET RACHET
Un’altra reazione per mettere in evidenza gli acidi nucleici è quella che sfrutta la basofilia e che quindi usa coloranti basici in cui la parte che è capace di legarsi al tessuto e di ripartire il proprio colore è un catione.
Nel nucleo troviamo sia DNA che RNA. entrambi basofili; nel citoplasma oltre all’RNA, troviamo altre strutture basofile. Come fare a distinguere allora se una certa basofilia è dovuta ad un acido nucleico oppure no? Il francese Brachet mise appunto una tecnica che faceva uso di un enzima (isolate dal pancreas di bue proprio negli anni in cui Brachet lavoro), la ribonucleasi, e provò a vedere se si poteva portare via specificamente l’RNA in modo da sapere se una certa basofilia fosse dovuta all’RNA o meno.
Brachet usò una sua colorazione, una miscela di coloranti, la miscela di Unna-Pappenheim, che prevede l’uso di due coloranti: il verde di metile e la pironina (il test di Brachet va bene anche con altri coloranti). Se si colora un tessuto con la miscela di Unna-Pappenheim, osserviamo tante zone rosse (la pironina, colorante basico rosso si attacca prima del verde di metile). Se si prende poi un’altra fetta dello stesso tessuto, lo si tratta con ribonucleasi e, solo dopo, con questa particolare miscela di coloranti, osserviamo che solo il nucleo si colora di verde e tutto ciò che prima era colorato di rosso si perde:
possiamo allora dedurre che quella pironinofilia, ovvero la colorazione rossa, era dovuta all’RNA.
Verde di metile e pironina pur essendo due coloranti basici con le stesse caratteristiche di ionizzabilità in soluzione, danno risultati diversi per quel che riguarda i tempi di colorazione del tessuto.
La pironina è molecola relativamente piccola che diffonde rapidamente nel tessuto, si pone là dove può, competendo con il verde di metile.
Nel caso del DNA la situazione è diversa perché il verde di metile è una molecola abbastanza complessa che possiede da una parte una carica elettrica positiva che quindi può reagire coi gruppi fosfato del DNA.
Sezione di citologia – 1. Molecole di interesse biologico 17 Il resto della molecola ha una forma che ricorda quella di una coppia di basi azotate e che quindi
s’incastra nella zona centrale idrofoba della molecola di DNA. In questo modo il legame del verde di metile con l’acido deossiribonucleico diventa molto più stabile di quello della pironina ed è il verde di metile a cacciare la pironina.
M M ICROSCOPIO ICROSCOPIO A A RAGGI RAGGI UVA UVA
La presenza di acidi nucleici può essere evidenziate anche con un microscopio a raggi ultravioletti perché le basi azotate assorbono selettivamente raggi UVA con una lunghezza d’onda di 260 nm.
T T ECNICA ECNICA DI DI IBRIDAZIONE IBRIDAZIONE IN IN SITU SITU
È basata sulla complementarità fra basi azotate. Per cogliere un certo tratto di DNA si crea in laboratorio una sequenza nucleotidica complementare a quella che vogliamo rivelare. questa sequenza viene poi resa visibile con tecniche diverse.
Si tratta quindi il tessuto, per esempio alzando la temperatura, in maniera da separare i due filamenti di DNA), si aggiunge la “sonda”, si abbassa la temperatura, il DNA si rinatura, ma questa volta è il tratto di DNA creato in laboratorio che entra a far parte del doppio filamento di DNA.
M M ETACROMASIA ETACROMASIA
La basofilia non è una caratteristica specifica degli acidi nucleici. Alcune proteine che presentano nei residui laterali dei gruppi carbossilici sono basofile, così come lo sono i polisaccaridi: sia le glicoproteine, che contengono acido sialico (tanto più se contengono anche acido solforico), che i glicosaminoglicani, (solfatati e non), sono molecole polianioniche: hanno tanti punti in cui si dissociano con formazione di cariche negative. Esistono alcune tecniche che permettono di distinguere queste categorie di molecole sulla base di come la loro basofilia resiste all’abbassamento di pH e, più in generale, alla variazione delle condizioni del bagno colorante. I substrati basofili, in particolar modo le glicoproteine acide e i glicosaminoglicani, possono produrre anche un altro effetto: quello di cambiare il colore di certi coloranti basici (metacromasia = transcolorazione). La metacromasia ci dice anche che i gruppi acidi nel tessuto sono molto vicini tra loro perché questa tecnica ci informa di gruppi acidi distanti non più di mezzo nanometro l’uno dall’altro.
18 Sezione di citologia – 2. Membrana plasmatica
2. 2. MEMBRANA PLASMATICA MEMBRANA PLASMATICA
G G ENERALITÀ ENERALITÀ
La membrana plasmatica o plasmalemma è un sottile involucro che delimita materialmente la cellula, separandola dall’ambiente esterno ed è ciò attraverso cui la cellula effettua gli scambi con l’esterno in entrambi i sensi. Poiché tali scambi avvengono in maniera selettiva, il plasmalemma ha anche la funzione di regolare la composizione interna della cellula.
S S TRUTTURA TRUTTURA
La membrana plasmatica ha uno spessore che oscilla fra 7 e 10 nm e, esaminata al microscopio elettronico, ha un tipico aspetto trilaminare essendo costituita da due regioni elettrondense separate da una zona traslucida chiara. Secondo il modello trilaminare a mosaico elaborato in più riprese da Singer e Lucy e da Singer e Nicholson, la membrana plasmatica è costituita da un bilayer fosfolipidico in cui si trovano più o meno “affondate” delle proteine globulari che si muovono nel plasmalemma. Tali proteine si distinguono in estrinseche ed intrinseche: le prime sono associate solo con la superficie esterna o interna del plasmalemma, le seconde, invece, lo attraversano parzialmente o a tutto spessore. È possibile che molti movimenti delle proteine intrinseche siano mediati da varie componenti del citoscheletro. Tali componenti sono anche in grado di condizionare la posizione di queste proteine determinando un aumento della concentrazione di alcune di esse in una data regione della membrana.
Tale modello è valido per tutte le membrane biologiche.
C C OMPOSIZIONE OMPOSIZIONE
Il film lipidico è essenzialmente costituito da fosfolipidi (fosfatidilserina, fosfatidilcolina, fosfatidiletanolamina e sfingomielina) sfingolipidi, glicolipidi e colesterolo. I fosfolipidi, i glicolipidi ed il colesterolo sono molecole anfipatiche in quanto hanno un’estremità idrofobica ed una idrofila. Questa loro caratteristica fa sì che, in un mezzo acquoso, essi compongano il bilayer fosfolipidico orientando le loro code idrofobiche le une contro le altre e le teste idrofile verso il mezzo acquoso.
Per quanto riguarda le proteine di membrana, esse sono molto eterogenee in peso molecolare, composizione in aminoacidi e mobilità elettroforetica. Esse assolvono diverse funzioni: la maggior parte ha funzione strutturale ed è rappresentata da proteine semplici, non associate a carboidrati. Altre sono glicoproteine con varie funzioni: recettori per ormoni e fattori di crescita, proprietà antigeniche, interazioni cellulari, ecc.). Ci sono infine alcune proteine che possono agire come enzimi o funzionare come pompe trasportando materiali dentro e fuori le cellule e gli organuli.
Sezione di citologia – 2. Membrana plasmatica 19 A proposito del trasporto di materiali attraverso la membrana, dobbiamo sottolineare che, se il volume del
citoplasma cresce troppo, poiché questo aumenta in ragione del cubo delle dimensioni mentre la superficie del plasmalemma aumenta in ragione del quadrato, si arriva ad un punto in cui il la membrana plasmatica non ce la fa a far passare tutto ciò che serve per il metabolismo dell’intero citoplasma e questo è, fra l’altro, uno degli stimoli che possono innescare la divisione cellulare.
Ciononostante la membrana plasmatica può adattare la propria forma per compiere al meglio la funzione che la cellula è deputata a svolgere nell’organismo. Questi adattamenti in genere sono tesi ad aumentare la superficie di scambio tra la cellula e l’ambiente extracellulare e si traducono, dal punto di vista morfologico, in estroflessioni o introflessioni del plasmalemma capaci di determinare un notevole aumento del plasmalemma senza modificare troppo il volume cellulare. L’enorme sviluppo della membrana che si riesce ad ottenere con questo sistema serve, per esempio, ad ospitare pompe o trasportatori di membrana che, in cellule deputate all’assorbimento o alla secrezione di materiali, sono spesso necessari in gran numero.
Le estroflessioni possono essere rappresentate da microvilli, strutture che, per esempio, ritroviamo sul versante luminale delle cellule dell’epitelio intestinale. Ogni microvillo è lungo circa un micron e spesso 0,1 micron. Al microscopio ottico i microvilli non sono quindi distinguibili gli uni dagli altri ed appaiono costituire una sorta d’ispessimento della membrana definito, come vedremo cuticola.
Una struttura analoga ai microvilli la ritroviamo a livello del rene e delle ghiandole salivari là dove le cellule devono provvedere a riassorbire acqua da un prodotto che deve essere invece allontanato e che, nel caso del rene, è rappresentato dall’urina, nel caso delle ghiandole salivari è, ovviamente, rappresentato dalla saliva. In questo caso la specializzazione del plasmalemma riguarda il versante basale e non quello luminale e la specializzazione è rappresentata da introflessioni della membrana, dette infoldings, che suddividono il citoplasma in una serie di colonne citoplasmatiche nelle quali si dispongono numerosi mitocondri che producono tutta l’energia necessaria alle numerose pompe ioniche localizzate sugli infoldings le quali pompano attivamente ioni dall’interno verso l’esterno della cellula. Di conseguenza la cellula perde anche acqua per un fenomeno osmotico ma non si disidrata perché la membrana che guarda il lume è dotata di numerosissimi pori transmembrana attraverso cui l’acqua, abbondante nel secreto (per esempio nella saliva) che si trova nel lume, può rientrare nella cellula. In questo modo si ottiene la condensazione del secreto. La struttura costituita dagli infoldings e dalle colonne citoplasmatiche in cui si localizzano i mitocondri prende il nome di struttura bacillare.
G G LICOCALICE LICOCALICE
È il mantello zuccherino che ricopre il versante esterno della membrana plasmatica comprendente i residui oligosaccaridici che si legano covalentemente sia alle proteine, intrinseche ed estrinseche, formando così glicoproteine, sia alle porzioni idrofobiche dei lipidi, a formare dei glicolipidi.
Gli zuccheri del glicocalice costituiscono il 5% ca. della composizione della membrana e si presentano come una serie di catenelle ramificate oligosaccaridiche (composte da 5-6 residui zuccherini) che formano uno strato più o meno spesso che riveste il plasmalemma. Il più periferico degli zuccheri è
20 Sezione di citologia – 2. Membrana plasmatica l’acido sialico che ha un gruppo carbossilico sul carbonio 6 il quale si presenta ionizzato a pH fisiologico e per questo, l’estremità dei residui zuccherini, si presenta rivestita da cariche negative.
Adeso al glicocalice mediante legami labili, nella matrice pericellulare, ritroviamo uno strato di glicosaminoglicani solforati.
In relazione alla sua componente zuccherina è chiaro che, laddove il glicocalice è particolarmente spesso, è possibile vedere anche una PAS positività delle superficie cellulare.
Le funzioni del glicocalice integrano quelle della componente proteica e lipidica del plasmalemma e sono:
Riconoscimento. Ad esempio ci sono determinati recettori che utilizzano la componente zuccherina per riconoscere il proprio ligando in modo specifico.
Adesione. Il glicocalice può anche mediare l’adesione tra cellula e cellula grazie a tra classi di molecole glicoproteiche:
o CAM (Cell Adhesion Molecules). Sono proteine intrinseche di membrana e fanno parte della famiglia delle immunoglobuline. Hanno un piccolo domino ad α-elica intracitoplasmatico, un dominio composto da aminoacidi idrofobici posto transmembrana e un grosso dominio extracellulare che presenta dei residui oligosaccaridici ed ha una struttura molto simile agli anticorpi. Riescono a far aderire le cellule in tutte le condizioni, indipendentemente dalla concentrazione degli ioni calcio, che sono noti concorrere all’adesione intercellulare.
o Caderine (Cell Aderine). Sono molecole che mediano l’adesione solo in presenza di ioni calcio.
Infatti queste rivestono la superficie della cellula dotandola di cariche negative grazie a residui oligosaccaridici e, gli ioni calcio, essendo cationi bivalenti, fungono da collante interagendo con le loro due cariche positive con due caderine delle due cellule da unire. Se viene a mancare il calcio prevale la repulsione elettrostatica e le cellule si distaccano. Costituiscono le zonule aderenti (vedi oltre)
o Integrine. Sono proteine intrinseche di membrana che funzionano da recettore per molecole della matrice extracellulare che fanno da ponte tra una cellula e l’altra. Ce ne sono molte ma le più conosciute sono la laminina e la fibronectina dove possiamo riconoscere tre domini: uno che costituisce il ligando per l’integrina, un’altro che presenta residui oligosaccaridici e quindi interagisce bene con il glicocalice ed il terzo dominio è affine per le macromolecole della matrice extracellulare come ad esempio le glicoproteine solforate (ad esempio l’eparansolfato).
Le integrine più che mediare l’adesione tra cellula e cellula mediano l’adesione tra cellula e substrato (per l’adesione tra cellule sono deputate le CAM e le caderine).
Questi meccanismi possono crearsi e risolversi nel tempo, sono cioè dei meccanismi di adesione transitori. Più avanti vedremo che nel nostro organismo ci sono specifici dispositivi giunzionali con una struttura morfologica ben più complessa e deputati a sostenere una adesione stabile.
Sezione di citologia – 2. Membrana plasmatica 21
Filtro - Barriera. Ad esempio, a livello dell’epitelio intestinale, il glicocalice impedisce alle molecole più grosse, cioè quelle che non sono state ancora digerite, di venire a contatto con i microvilli per essere riassorbite.
Carica elettrica. Gli zuccheri presentano cariche negative formando un sottile strato carico sulla superficie della cellula che è importante nelle interazioni tra cellule. Per esempio le cellule del sangue devono rimanere ad una certa distanza tra se e dai vasi sanguigni; questa condizione è garantita dalla repulsione elettrostatica che c’è tra la superficie delle cellule (in quanto presentano il glicocalice carico e con lo stesso segno).
Assorbimento.
Catalisi enzimatica. Possono essere importanti sia per riconoscere il substrato che per condizionare le modifiche chimiche.
22 Sezione di citologia – 3. Citoplasma
3. 3. CITOPLASMA CITOPLASMA
Il citoplasma è costituito dal citoplasma fondamentale nel quale si ritrovano numerosi organuli ed inclusi cellulari.
Il citoplasma fondamentale o ialoplasma o citosol comprende tutto ciò che è delimitato dal plasmalemma ma che non abbia densità sufficiente a generare un’immagine. Le analisi biochimiche hanno dimostrato che è composto per il 70% da acqua e per il restante 30% da precursori di macromolecole (ioni, acidi grassi, colesterolo, nucleotidi, vitamine, aminoacidi, proteine, ecc.) e da proteine che possono essere globulari o filamentose e sono responsabili delle caratteristiche di viscosità del citosol.
La viscosità reale del citosol è sensibilmente maggiore di quella teorica (di quella cioè di un fluido con la stessa composizione del citosol riprodotto in laboratorio): questo perché nel citosol le proteine interagiscono formando una sorta di reticolo tridimensionale, definito rete microtrabecolare, tenuto insieme da legami labili. La funzione di questa rete non è solo quella di conferire densità al citoplasma ma soprattutto quella di mettere in relazione proteine funzionalmente correlate, cioè quella di coordinare in qualche misura il metabolismo. Nel citoplasma, infatti, avvengono alcune vie metaboliche, per esempio la glicolisi; gli enzimi che catalizzano le varie reazioni della glicolisi sono disposti in fila, concatenati in una delle travate della rete in modo che tutto il processo avvenga in maniera più veloce e termodinamicamente favorevole. In altri casi la rete microtrabecolare serve da sostegno ad organuli come i ribosomi. I legami che tengono uniti gli organuli o le proteine alla rete sono molto labili e possono quindi essere dissolti e creati in qualsiasi momento con grande facilità: questo costituisce un notevole vantaggio per la cellula che può così decidere se favorire o meno una data via metabolica.
Sezione di citologia – 4. Trasporto transmembrana 23
4. 4. TRASPORTO TRASPORTO TRANSMEMBRANA TRANSMEMBRANA
La membrana plasmatica è la struttura con cui la cellula si mette in rapporto con l’esterno.
Prima di affrontare l’argomento dei meccanismi di trasporto transmembrana è opportuno fare una breve premessa: una determinata massa cellulare è critica per quel determinato tipo cellulare perché, dato il suo metabolismo, l’estensione superficiale del plasmalemma può riuscire a far passare ciò che le serve fino ad una certa taglia; se la taglia aumenta troppo, poiché il volume citoplasmatico cresce in ragione del cubo delle dimensioni mentre la superficie aumenta in ragione del quadrato delle dimensioni, si arriva ad un punto in cui il plasmalemma non ce la fa a far passare tutto ciò che serve per il metabolismo dell’intero citoplasma e questo è, fra l’altro uno degli stimoli che possono innescare la divisione cellulare.
D D IFFUSIONE IFFUSIONE
Le sostanze che entrano in rapporto con il plasmalemma si possono dividere in due gruppi: sostanza tendenzialmente idrofobe e sostanze tendenzialmente idrofile.
Data la natura portante a doppio strato lipidico del plasmalemma le sostanze apolari non hanno alcuna difficoltà a passare perché semplicemente si “sciolgono” nel dilayer lipidico per emergere dalla parte opposta. È questo il caso dei:
Gas respiratori. Ossigeno e anidride carbonica diffondono tranquillamente attraverso il plasmalemma perché sono privi di carica. Il movimento dei gas respiratori attraverso la membrana avviene secondo un gradiente di concentrazione: l’ossigeno ha una pressione parziale più elevata nell’ambiente extracellulare in quanto nell’ambiente cellulare ci sono processi che lo consumano; di conseguenza viene continuamente abbassata la concentrazione citoplasmatica e assistiamo ad un continuo flusso di ossigeno dall’interno all’esterno delta cellula. Il discorso opposto vale per l’anidride carbonica, prodotto di scarto dei processi cellulari che consumano ossigeno.
Ormoni steroidei. queste sostanze sono chimicamente apparentate con il colesterolo da cui derivano. Da un punto di vista funzionale sono delle molecole segnale (un esempio di questo tipo di molecole è il testosterone) prodotto da specifiche cellule e riversato nel torrente circolatorio per andare a coordinare l’attività metabolica di altre cellule.
T T RASPORTO RASPORTO MEDIATO MEDIATO DA DA PROTEINE PROTEINE INTRINSECHE INTRINSECHE
Gran parte delle sostanze con cui entra in contatto la cellula sono tuttavia parzialmente o totalmente polari. Perché possa avvenire il passaggio di queste sostanze attraverso la molecola occorre chiamare in
24 Sezione di citologia – 4. Trasporto transmembrana gioco le proteine intrinseche di membrana. Ci sono diversi meccanismi con cui può avvenire il passaggio di molecole idrofile attraverso il plasmalemma.
P P ORI ORI TRANSMEMBRANA TRANSMEMBRANA
Sono strutture dinamiche che si creano al bisogno e possono essere smantellate quando non sono più necessari.
Rappresentano un meccanismo utile per adeguare la permeabilità della membrana alle richieste metaboliche.
I pori transmembrana funzionano per il concorso di più proteine intrinseche transmembrana, che attraversano interamente il doppio strato lipidico e sono costituite da due calotte idrofile e da una banda centrale idrofoba. Queste proteine traslano nel dilayer lipidico e giungono a contatto. Nel momento in cui prendono contatto le une con le altre si assiste ad un fenomeno noto come transizione allosterica che prevede delle modificazioni della struttura terziaria di queste proteine: ciascuna di queste, allo stato di riposo, quando cioè non partecipa alla formazione del poro, ha una banda idrofoba continua ma, a seguito della transizione allosterica, in una zona compresa nello spessore del plasmalemma si forma un canale in cui le proteine in gioco espongono residui aminoacidici idrofili. Di conseguenza quando queste proteine si legano si forma una struttura quaternaria fatta di protomeri labilmente uniti con un canale centrale totalmente idrofilo che attraversa tutto lo spessore del plasmalemma.
Lo spostamento di sostanze polari attraverso il poro avviene secondo un gradiente di concentrazione.
Questo meccanismo è modulabile ma ha lo svantaggio di essere scarsamente selettivo: attraverso un poro qualsiasi sostanza idrofila può attraversare la membrana plasmatica2.
Quando l’utilizzo dei pori per trasportare materiale all’esterno della cellula è massivo, parliamo di secrezione eccrina. È il caso delle ghiandole a secrezione idrosalina come le ghiandole sudoripare e gastriche (vedi sezione istologia – Ghiandole esocrine propriamente dette).
Ci sono però del dispositivi di passaggio transmembrana che permettono alla cellula di attuare una certa selezione delle sostanze.
T T RASPORTATORI RASPORTATORI O O CARRIERS CARRIERS
Sono anche questi delle proteine intrinseche di membrana di quelle che, però, rimangono incluse nello spessore della membrana senza fuoriuscirne: hanno un’estremità idrofila che si porta su uno dei due versanti ed una parte che rimane immersa in una buona meta dello spessore della membrana.
Queste molecole hanno una caratteristica: possono fungere da veri e propri recettori perché hanno una configurazione tale da potersi adattare specificamente ad un dato ligando che la cellula deve introitare. Il legando presente nell’ambiente extracellulare quando trova il suo recettore - carrier vi si incastra; a questo punto il carriers subisce una transizione allosterica: cambia infatti la propria forma chiudendosi attorno al
2 Rimane il fatto che la molecola idrofila che voglia attraversare il poro deve avere le giuste dimensioni e non essere eccessivamente grande.
Sezione di citologia – 4. Trasporto transmembrana 25 ligando. Chiudendosi espone alla superficie residui amminoacidici idrofobi e quindi affonda nel doppio
strato lipidico, fa una rotazione di 180° e si trova disposto sul versante opposto della membrana. A questo punto il carrier si apre e perde la sua affinità per il ligando che si libera e passa nel citoplasma.
Il meccanismo dei carriers è utile alla cellula perché consente una certa selettività. La cellula può variare la quantità di trasportatori presenti nella membrana attivando processi trascrizionali per sintetizzare i carriers.
Si può osservare che aumentando, per esempio, la concentrazione del glucosio nel mezzo aumenta, con una reazione diretta, anche il glucosio intracellulare. Ad un certo punto, però, pur aumentando la concentrazione del glucosio extracellulare quella intracellulare rimane costante.
Ciò indica che il passaggio di glucosio non avviene liberamente ma attraverso un dispositivo saturabile: si arriva ad un certo punto in cui tutti i carriers stanno lavorando al massimo delle loro possibilità.
Anche nel caso dei carriers il passaggio di sostanze transmembrana avviene secondo un gradiente di concentrazione.
M M ECCANISMO ECCANISMO DELLA DELLA PORTA PORTA GIREVOLE GIREVOLE
Un altro meccanismo di trasporto transmembrana può avvenire grazie al concorso di più proteine che lavorano con il meccanismo della porta girevole. Anche in questo caso il ligando si lega in un punto della molecola e induce in questa una transizione allosterica che consiste in una traslazione dei protomeri i quali si chiudono verso l’esterno e si aprono verso l’interno; a ciò segue la perdita di affinità per il ligando che viene rilasciato nel citoplasma.
Anche questo tipo di passaggio avviene secondo un gradiente di concentrazione.
P P ERMEASI ERMEASI
La cellula può però avere la necessita da trasportare qualcosa attraverso la membrana senza che questo sia consentito dal gradiente elettrochimico. Per consentire questo tipo di passaggio la cellula deve consumare energia fornitagli sotto forma di molecole di ATP.
In questo caso le molecole di membrana coinvolte nel passaggio contro gradiente di concentrazione sono le permeasi. Sono proteine intrinseche (monomere o polimere) che espongono su uno dei loro versanti una porzione che fa da recettore; il ligando si incastra nel recettore ed induce una transizione allosterica nella molecola che cosi fa una sorta di giravolta e si rivolge verso l’ambiente intracellulare. Poiché la concentrazione del ligando e, in questo caso, maggiore all’interno che all’esterno della cellula la molecola non ha nessuna tendenza a rilasciarlo; perché avvenga il distacco occorre somministrare alla cellula energia proveniente dall’idrolisi di molecole di ATP.
Quando si trova nella sua conformazione attiva (con il ligando che sporge sul versante dove ha maggiore concentrazione) la permeasi ha anche attività ATPasica. Espulso il ligando la permeasi ritorna nella sua conformazione nativa: subisce una rapida transizione allosterica e ritorna nella condizione di partenza.