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Oltre ai cheratinociti in questi tessuti ritroviamo anche altri tipi cellulari.

Ad esempio, i melanociti, sono cellule non cheratinocitarie che ritroviamo a livello dello strato basale o, al massimo, fra le cellule della prima fila dello strato spinoso dell’epidermide. Nonostante la loro localizzazione i melanociti hanno un’origine embrionale completamente diversa dalle altre cellule dell’epitelio perché derivano dal neuroectoderma come le cellule nervose: durante la vita intrauterina migrano a livello dell’epidermide passando la giunzione tra il connettivo e l’epitelio e si insediano tra i cheratinociti dello strato basale.

Mentre le cellule epiteliali tendono a progredire verso la superficie man mano che va avanti il loro differenziamento il melanocita, non essendo collegato tramite giunzioni alle cellule circostanti, rimane fermo.

Il melanocita ha una forma dendritica, cioè ha un corpo cellulare da cui si dipartono un certo numero di prolungamenti che s’insinuano nei pertugi del labirinto intercellulare. Grazie allo sviluppo dei suoi prolungamenti nelle tre dimensioni un melanocita può essere in contatto con un trentina di cheratinociti con i quali costituisce l’unità melanica.

Le informazioni sulla forma, il numero, e le dimensioni dei melanociti possono essere ricavate sfruttando la DOPA reazione, una reazione istoenzimologica diretta verso il processo di sintesi della melanina. La produzione di melanina si avvia da un aminoacido, la tirosina, che viene trasformato in dopamina grazie all’enzima tirosinasi e successivamente polimerizzato a melanina. La spiccata attività di sintesi di queste cellule trova riscontro a livello ultrastrutturale: i melanociti, infatti, presentano un apparato proteosintetico (RER e Golgi) molto sviluppato ma sono privi di filamenti di precheratina; hanno delle strutture microfilamentose ma sono di altre genere, più simili, per certi versi, a quelle dei neuroni. Nel citoplasma, inoltre, sono evidenziabili un certo numero di granuli elettrondensi, definiti melanosomi, che sono la sede di sintesi e di accumulo della melanina.

Il processo di formazione di un melanosoma prende il nome di melanogenesi ed inizia nell’apparato del Golgi quando il melanosoma, detto melanosoma allo stadio I, si forma come vescicola delimitata da membrana di forma rotonda e con una tessitura a medio arresto elettronico. Rapidamente questa vescicola si modifica nella forma e nell’aspetto e si passa al melanosoma allo stadio II: è una vescicola oblunga la cui matrice appare ordinata in lamine sovrapposte. Si ritiene che queste lamine siano dovute all’ordinata successione degli enzimi della catena che produce melanina. Una volta che gli enzimi per la sintesi della melanina si sono ordinati si parla di melanosoma allo stadio III in cui si avvia la produzione di melanina, processo che continua finché il melanosoma non è saturo di melanina. Si arriva cosi al

melanosoma allo stadio IV che troviamo non soltanto in prossimità dell’apparato del Golgi ma anche

Sezione di istologia – 17. Il tessuto epiteliale 107 La distribuzione dei melanosomi nel citoplasma del melanocita può cambiare la tonalità del colore

dell’epitelio come dimostrano gli inscurimenti momentanei della pelle che seguono ad una lunga esposizione al sole e che scompaiono a distanza di poche ore dal termine dell’esposizione stessa: essi sono dovuti ad un processo di ridistribuzione dei melanosomi nei melanociti e non ad una maggiore produzione di melanina, fenomeno che richiede qualche ora per essere indotto. Quando il melanocita è a riposo, infatti, i melanosomi si concentrano nei corpi cellulari, mentre quando si ha uno stimolo, quale quello operato dalla radiazione solare, i melanosomi vengono dislocati alla periferia dei prolungamenti andando ad aumentare la superficie generale dove sono presenti particelle colorate.

I melanosomi si trovano anche nei cheratinociti dell’unita melanica che li captano attraverso un processo particolare detto citocrinia: un certo numero di melanosomi si concentra all’estremità di un prolungamento del melanocita; questa si strozza, si peduncolizza e si distacca dal prolungamento del melanocita. Si forma quindi un sacchetto libero nei labirinto intercellulare che viene endocitato60 dai cheratinociti. È, infatti, comune, osservando un preparato microscopico di cute, vedere i cheratinociti degli strati più profondi dell’epidermide punteggiati di puntini marroni che sono i vacuoli eterofagici contenenti il citoplasma di un melanocita con i suoi melanosomi.

Queste cellule sono responsabili del colore dell’epitelio, soprattutto della cute, ma nonostante il loro numero sia piuttosto elevato, le differenze di colorazione della pelle non dipendono tanto dal numero di melanociti ma dalla quantità di melanina in essi contenuta: tra un individuo con la pelle chiara ed un individuo con la pelle scura non ci sono sostanziali differenze nelle concentrazione di queste cellule. Negli individui di ceppo caucasico, con la pelle chiara, il vacuolo eterofagico contenente i melanosomi si fonde con un endosoma precoce, questo diviene endosoma tardivo il quale a sua volta è fatto segno da parte di vescicole idrolasiche provenienti dall’apparato del Golgi che contengono idrolasi acide: il vacuolo eterofagico si trasforma così in un lisosoma e i melanosomi al suo interno vengono degradati. Di conseguenza il processo di assunzione di melanina da parte del cheratinocita è limitato ai cheratinociti più prossimi al melanocita e via via che si sale verso lo strato spinoso si ha la digestione e degradazione del colore: ciò comporta la colorazione chiara dell’epidermide di questi individui. Nei soggetti di pelle scura, di ceppo camitico, la membrana del vacuolo eterofagico è molto più labile: di conseguenza non può fondersi con le formazioni che ne determinano la digestione e si dissolve. In questo modo i melanosomi persistono liberi nel citoplasma dei cheratinociti fino agli strati più alti perché le vescicole golgiane con le idrolasi acide non possono combinarsi con la membrana dei melanosomi.

La prolungata esposizione al sole determina non una ridistribuzione dei melanosomi ma un aumento della produzione di melanina da parte dei melanociti e, conseguentemente, una maggiore assunzione di questa sostanza da parte dei cheratinociti per i fenomeni appena descritti.

Il processo di sintesi di melanina ha una funzione doppia: produce una sostanza colorata che funziona da filtro per certe lunghezze d’onda della radiazione solare e produce intermedi che funzionano da “spazzini” dei radicali tossici che si formano ogni volta che la cellula consuma ossigeno per le proprie 60 Quindi nel cheratinocita il melanosoma, almeno inizialmente, è avvolto da un doppio involucro membranoso: quello più esterno derivato dall’endocitosi da parte del cheratinocita e quello più interno derivato dal processo di gemmazione dal melanocita.

108 Sezione di istologia – 17. Il tessuto epiteliale attività metaboliche e che si formano a maggior ragione nelle regioni in cui le radiazioni ultraviolette possono interagire direttamente con l’acqua cellulare conferendole energia sufficiente a formare radicali liberi.

Un altro tipo di cellula non cheratinocitaria localizzata a livello degli epiteli pavimentosi composti è rappresentata dalle cosiddette cellule di Langerhans.

Queste cellule, come i melanociti, hanno un’origine embrionale diversa da quella delle cellule epiteliali: sono, infatti, apparentate con le cellule del tessuto connettivo ed in particolare con le cellule del sangue. La loro localizzazione è però diversa da quella dei melanociti: li ritroviamo soprattutto nello strato spinoso alto o, addirittura, nel granuloso. Quelle che eventualmente si trovano più in basso, prossime alla giunzione con il tessuto connettivo, spesso sono elementi immaturi che si stanno differenziando.

Le cellule di Langerhans hanno una forma dendritica simile a quella dei melanociti.

Al microscopio ottico è difficile distinguerle dai cheratinociti anche se, a livello ultrastrutturale sono molto diverse; le cellule di Langerhans per esempio, non hanno tonofilamenti e quindi tonofibrille (cosa che, in effetti, le fa apparire leggermente più chiare dei cheratinociti al microscopio ottico) mentre hanno un apparato proteosintetico molto sviluppato. Sappiamo invece che nei cheratinociti dello strato granuloso i tonofilamenti stanno aumentando e l’apparato proteosintetico si sta riducendo.

Si possono comunque identificare in modo più specifico impiegando tecniche di immunoistochimica: queste cellule, infatti, possiedono un marker di superficie che le identifica in modo inequivocabile: il

CD1A61. L’utilizzo di anticorpi diretti contro il CD1A ci consente di identificare le cellule di Langerhans con precisione. Questo è il marker più specifico ma ce ne sono altri: le cellule di Langerhans hanno sulla membrana un recettore che serve a riconoscere una parte della molecola degli anticorpi. È proprio questa caratteristica, come vedremo parlando specificamente delle cellule del tessuto connettivo e del sangue in particolare, che li accomuna con le cellule del sangue da cui originano.

Ciò che caratterizza in modo specifico le cellule di Langerhans, inoltre, è la presenza di un organulo assente in qualsiasi altro tipo di cellula: i granuli di Birbeck. Il granulo di Birbeck ha la forma di una racchetta e se lo si ingrandisce ulteriormente si nota che ha una tessitura simile ad una cerniera, una membrana che lo avvolge e una serie di lamelle elettrondense disposte perpendicolarmente all’asse maggiore del granulo. Si ritiene che il granulo di Birbeck abbia un ruolo nel ridistribuire a livello del plasmalemma l’antigene CD1A.

Le cellule di Langerhans sono cellule deputate alla sorveglianza immunologica. Si localizzano, infatti, negli strati più alti dell’epidermide attendendo che, per motivi contingenti, sostanze estranee e 61 CD sta per cluster of differentiation. Gli ematologi e gli immunologi che per primi hanno avuto l’esigenza di tipizzare le varie cellule dal punto di vista delle molecole espresse alla loro superficie si sono accorti per primi che virtualmente ogni cellula del nostro organismo è identificata da una sorta di “numero di targa” che definisce in modo più o meno ampio o una singola cellula o una famiglia di cellule strettamente apparentate. Il cluster of differentiation identifica il gruppo cui quella data molecola conferisce la parentela: tutte le cellule apparentate esprimono quella data molecola.

Sezione di istologia – 17. Il tessuto epiteliale 109 potenzialmente dannose riescano a valicare gli strati impermeabili dell’epitelio. Ciò può accadere quando

si entra in contatto con molecole lipofile che, potendo sciogliersi nelle barriere che l’epitelio crea per difendersi, potrebbero raggiungere il tessuto connettivo è da qui, attraverso i vasi sanguigni, diffondere nell’intero organismo. Le cellule di Langerhans, grazie al notevole sviluppo dei loro prolungamenti, costituiscono un filtro in cui si impigliano le sostanze estranee; queste vengono fagocitate da una cellula di Langerhans che si attiva ed comincia a muoversi nel labirinto intercellulare, scende dall’epidermide, valica la giunzione con il tessuto connettivo e raggiunge un capillare linfatico. Tramite il drenaggio linfatico va quindi a localizzarsi a livello dei linfonodi dove trova i linfociti, cellule deputate a reagire contro tutto ciò che è estraneo all’organismo. Tramite un particolare processo la cellula di Langerhans “presenta”62 questa sostanza estranea, questo antigene not-self, a una categoria di linfociti, i linfociti B, che dà l’avvio alla risposta immunitaria: si innesca cioè una reazione nell’organismo mirata all’eliminazione di tutte le molecole simili a quella raccolta dalla cellula di Langerhans che siano riuscite ad entrare nell’organismo. Ulteriori dettagli su questo processo, definito risposta immunitaria cellulo

-mediata, vengono forniti nel capitolo sui tessuti connettivi e sul sangue.

Un altro tipo di cellule che ritroviamo a livello degli epiteli di rivestimento composti è rappresentato dalle

cellule di Merkel. Si trovano intercalate ai cheratinociti dello strato basale dai quali non sono facilmente

distinguibili perché hanno tonofilamenti e, quindi, una colorabilità del tutto analoga. Esse inoltre presentano desmosomi con i cheratinociti circostanti e non sono, quindi, svincolate dal destino di questi ultimi. Nel citoplasma, grazie al microscopio ottico, si possono documentare un gran numero di granuli delimitati da membrana con un core centrale elettrondenso: le indagini di immunoistochimica hanno dimostrato che questo granulo contiene un polipeptide segnale, detto VIP63, che è presente anche in alcuni tipi di cellule nervose che comandano l’attività intestinale: essendo il suo effetto biologico più noto quello di aumentare il calibro dei vasi sanguigni dell’intestino. Nelle cellule del Merkel il VIP è associato ad un altro oligopeptide, la metencefalina, anch’essa impegnata nel mediare le informazioni a livello del sistema nervoso.

Le numerosi giunzioni che le cellule di Merkel contraggono con i cheratinociti fanno sì che uno stimolo meccanico applicato alla superficie dell’epidermide si ripercuota anche su di esse. Quando vengono sottoposte a queste stimolazioni le cellule di Merkel esocitano all’esterno il contenuto dei loro granuli. Poiché somigliano alle molecole che le cellule nervose utilizzano per scambiarsi messaggi si è ipotizzato che le cellule di Merkel svolgano il ruolo di recettori di stimoli che provengono sull’epidermide. A rinforzare questa ipotesi c’e il fatto che la porzione della cellula di Merkel che tocca la membrana basale presenta sempre una connessione con una terminazione nervosa afferente ai centri nervosi. Inoltre, la densità delle cellule di Merkel è massima in zone dove è noto che la sensibilità tattile è particolarmente sviluppata come il vermiglio delle labbra o i polpastrelli delle dita.

Le ricerche di fisiologia mirate a verificare se effettivamente la cellula di Merkel sia un recettore di stimoli tattili hanno dato risultati contrastanti: alcuni studiosi affermano che le cellule hanno il ruolo di 62 Come vedremo, le cellule di Langerhans fanno parte di una categoria di cellule definite “cellule presentanti l’antigene.

110 Sezione di istologia – 17. Il tessuto epiteliale recettori di stimoli, altri affermano il contrario e, sulla base della rivelazione del potenziale evocato al momento dell’applicazione di uno stimolo tattile, sostengono che solo la fibra nervosa è responsabile della ricezione dello stimolo tattile. In ogni modo, quando la cellula di altri studiosi ancora sostengono che il VIP e la metencefalina servano a stimolare e dilatare i vasi sanguigni della zona che circonda la terminazione nervosa apportando metaboliti alla terminazione nervosa stessa che sarebbe cosi messa nelle condizioni migliori per svolgere il suo compito di recettore tattile. Resta il fatto che la presenza delle cellule di Merkel è connessa più o meno direttamente con la percezione degli stimoli meccanici.

Riscontri clinici

La presenza di cellule non cheratinocitarie in questi epiteli ha dei risvolti, potremmo dire, medici. I melanociti possono essere presenti non solo a livello dell’epidermide ma anche a livello dell’epitelio pavimentoso composto corneificato e non corneificato della mucosa orale. Qualora vadano incontro a trasformazioni in senso neoplastico diventano dei pericolosi aggressori dell’organismo, si trasformano cioè in una varietà particolare di tumore che si chiama melanoma e che si manifesta clinicamente come una lesione pigmentata. Il melanoma rimane in una fase di relativa tranquillità, senza cioè andare in metastasi, per un erto tempo: il primo segno che questo pericoloso tumore dà si se è quindi la comparsa di una macchietta pigmentata che può insorgere anche sulla mucosa orale dove è ovviamente meno evidente. Un dentista può essere il primo a notare che è comparsa una macchiolina pigmentata dove era sicuro non ci fosse o che un neo (ce ne sono anche nella mucosa orale) si è improvvisamente messo a crescere, è aumentato di dimensioni e ha assunto margini irregolari ed una colorazione non uniforme.

Per quanto riguarda le cellule di Langerhans esse possono essere le responsabili di processi allergici che, come avvengono a livello dell’epidermide, possono avvenire a maggior ragione a livello della mucosa orale dove l’ambiente umido favorisce la dissoluzione di sostanze, ad esempio, dagli apparecchi protesici.