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L’ INVOLUCRO INVOLUCRO NUCLEARE NUCLEARE

L’INVOLUCROINVOLUCRO NUCLEARENUCLEARE

È chiamato anche membrana nucleare ma impropriamente perché questa struttura, visibile con il microscopio elettronico, è formata da due membrane concentriche: una membrana nucleare interna che guarda al versante nucleare è una membrana nucleare esterna che guarda invece lo ialoplasma. Tra le due membrane è compreso uno spazio definito cisterna perinucleare. L’involucro nucleare può essere considerate nel suo insieme come una particolare specializzazione del reticolo endoplasmatico ruvido: sul versante citoplasmatico, sulla membrana nucleare esterna sono infatti adesi dei poliribosomi e se andiamo a valutare il contenuto della cisterna perinucleare vi troviamo delle proteine neosintetizzate; esaminando nelle tre dimensioni l’involucro nucleare si possono scorgere inoltre, in tratti distinti della sua superficie, dei punti di connessione tra la cisterna perinucleare e le normali cisterne di reticolo endoplasmatico ruvido. A rinforzare ulteriormente questa stretta parentela c’è il fatto che all’inizio della divisione cellulare l’involucro nucleare che va scomparendo si risolve in cisterne di reticolo, si scompone in tante “toppe” assimilabili a cisterne del reticolo endoplasmatico ruvido.

L’involucro nucleare è quindi un sistema membranoso in connessione morfologica e dinamica con gli elementi del reticolo endoplasmatico granulare L’involucro nucleare deve consentire il passaggio di materiali di vario genere e dimensioni dal nucleo al citoplasma e viceversa: si possono infatti apprezzare

Sezione di citologia – 14. Nucleo 75 sulla superficie dell’involucro nucleare delle aperture di connessione tra nucleo e citoplasma definite pori

nucleari: i pori nucleari sono punti in cui la membrana nucleare esterna si riflette nella membrana

nucleare interna definendo un profilo circolare. A livello di queste strutture ci sono dei complessi che regolano il traffico tra nucleo e citoplasma e viceversa detti complessi del poro: i complessi del poro sono costituiti da un’architettura piuttosto complessa che deriva dalla combinazione di una cinquantina di proteine diverse definite complessivamente nucleoporine.

La densità del pori nucleari sull’involucro nucleare dipende in buona misura dall’attività metabolica della cellula: nelle cellule attivamente impegnate in attività funzionali ci sono fino a quaranta pori per micron mentre nelle cellule quiescenti ce ne sono una decina. I pori sono quindi strutture dinamiche che la cellula può montare e smontare a seconda delle necessita.

I complessi del poro sono dei “manicotti” incastrati nel lume del poro di dimensioni rilevanti: il loro diametro è infatti di circa 100 nm; ciononostante la pervietà del poro è libera soltanto per molecole molto piccole che non superino i 10-15 nm. Questo è stato dimostrato con particelle di oro colloidale: l’oro può esser fatto globulare formando delle sferette di calibro controllato. Facendo precipitare sferette di dimensioni crescenti e iniettandole nel nucleo possiamo vedere quali passano nel citoplasma: le più piccole passano, ma particelle di oro colloidale di diametro superiore ai 15 nm rimangono nel nucleo. Questo esperimento ci ha permesso di fissare il limite di pervietà del poro a 15 nm.

Il complesso del poro forma due anelli: un primo anello proteico è rivolto verso il citoplasma ed e detto

anello citoplasmatico: da esso si dipartono otto filamenti di 30-50 nm che si connettono con le proteine

del citoscheletro. Dalla parte opposta c’è un altro anello detto anello nucleare da cui si dipartono dei filamenti di 50-100 nm che convergono e si uniscono ad un’altra struttura anulare di 30-50 nm detta

anello terminale. Anello terminale e filamenti nucleari prendono il nome, nel loro insieme, di canestro.

Al centro del pertugio delimitato dalle nucleoporine dei due anelli c’è una massa la cui natura chimica è ancora controversa che è chiamata trasportatore perché si ipotizza che, per la sua posizione al centro del canale porale, abbia un ruolo nel condizionare il trasporto da e verso il nucleo.

Fra citoplasma e nucleo c’è un continuo flusso di molecole: verso il nucleo passano tutte le proteine sintetizzate dai ribosomi liberi dello ialoplasma e che svolgono la loro funzione all’interno del nucleo: ci sono proteine associate al DNA con un ruolo strutturale, ci sono altre proteine che svolgono vari ruoli nei meccanismi di traduzione e trascrizione del DNA (sia proteine enzimatiche che attivatori e repressori di determinati geni), ci sono proteine strutturali come quelle del citoscheletro, proteine contrattili utili nello spostamento dei cromosomi, ecc.

Si è visto che, in analogia a quanto avviene per le proteine sintetizzate dai ribosomi del reticolo endoplasmatico ruvido e che devono essere inserite nelle cavità del reticolo stesso, anche le proteine ialoplasmatiche destinate al nucleo hanno un segnale che deriva da una specifica sequenza di amminoacidi codificata dai proprio gene: questo segnale viene indicate come NLS (Nuclear Localization

Signal) ed è una sequenza di 7 - 8 amminoacidi. Una proteina con questa sequenza viene riconosciuta da

una proteina lettrice detta importina α e si forma un complesso proteico che si avvicina al poro nucleare in prossimità del quale c’è un importina β che si lega al complesso proteina con NLS - importina α e si

76 Sezione di citologia – 14. Nucleo lega anche ad una molecola di GTP (guanosintrifosfato). Quando si forma questo nuovo complesso l’importina β acquista attività GTPasica: scinde quindi il gruppo fosfato terminale del GTP, si carica dell’energia che si libera da questa scissione e opera la traslocazione del complesso attraverso il poro nucleare dal citoplasma al nucleo. A questo punto l’importina β si stacca e l’importina α perde affinità per la proteina con l’NLS la quale si trova dalla parte del nucleo.

Più oscuro è il meccanismo con il quale ciò che è contenuto nel nucleo fuoriesce nel citoplasma: questo percorso lo fanno gli RNA (messaggeri, di trasferimento, ribosomiali) i quali sono sempre complessati a delle proteine a formare, per esempio, degli assiemi ribonucleoproteici se siamo alle subunità ribosomiali dove l’impalcatura di RNA serve per sorreggere le numerose proteine che concorrono alla formazione delle due subunità: non si sa bene, quindi, se ci siano dei dispositivi che riconoscono la componente proteica ovvero la componente di RNA e decidono che queste strutture sono destinate ad essere traslocate nel citoplasma. È stata identificata per certi acidi nucleici virali28 che si formano nel nucleo e che poi vanno nel citoplasma (dove formano le subunità virali complete) una proteina presente nel nucleo è definita fattore REV che sembrerebbe in grado di legarsi all’RNA grazie ad una particolare sequenza detta NES (Nuclear Exportation Signal). Il ruolo di questa NES nella traslocazione ai due lati dell’involucro nucleare non è ancora chiaro.

I

ILL NUCLEOSCHELETRONUCLEOSCHELETRO

Il nucleoscheletro può essere distino in tre parti: una prima parte è formata da proteine fibrillari che formano un feltro continue che incrosta il versante interno della membrana nucleare interna e che viene detta lamina fibrosa. La lamina fibrosa è formata da proteine definite lamine. È stata precisata la struttura biochimica, la sequenza primaria è la conformazione delle tre principali lamine che sono state definite “a”, “b” e “c”. Alle lamine è affidato il compito di mantenere l’involucro nucleare o di scomporlo quando necessario: si è visto infatti che quando si avvia la divisione cellulare le lamine vengono fosforilate e questo comporta, per meccanismi non ancora del tutto chiari, la scomposizione dell’involucro nucleare in cisterne isolate; mentre alcune lamine, quando avviene questo processo si staccano dall’involucro e se ne vanno nello ialoplasma, la lamina “b” vi rimane sempre attaccata e sembra essere importante anche nel condizionare il successivo riassemblaggio dell’involucro nucleare al termine della divisione cellulare. Durante l’intercinesi le lamine formano un’impalcatura di sostegno che può essere responsabile anche delle variazioni di forma del nucleo: molto importante quindi il ruolo della lamina fibrosa nel consentire al polimorfonucleato di assumere le tipiche lobature che lo contraddistinguono.

La seconda componente del nucleoscheletro è definita rete fibrillare ed è formata anch’essa da proteine (con una notevole analogia strutturale con le proteine dei filamenti intermedi) che formano un feltro tridimensionale a maglie piuttosto larghe che occupa tutta quanta l’estensione del nucleo. Questo feltro è una sorta di archivio in cui vengono riposti i cromosomi secondo un criterio ben precise: in una determinata maglia della rete troviamo sempre determinate porzioni di determinati cromosomi. In questo modo è facile per la cellula riunire insieme geni funzionalmente correlati che appartengono a cromosomi

Sezione di citologia – 14. Nucleo 77 diversi o a parti lontane dello stesso cromosoma. Un esempio tipico è dato dalla presenza del nucleolo: la

formazione del nucleolo, che è la sede dove avviene la produzione dei ribosomi, si avvia dai geni che codificano per l’RNA ribosomiale i quali sono presenti su cinque coppie di cromosomi: le coppie 13, 14, 15, 21 e 22. In potenza quindi la cellula ha la capacita di formare almeno 10 nucleoli, uno per ogni gene ribosomiale; di norma però le cellule hanno un solo nucleolo perché tutti i geni ribosomiali dei dieci cromosomi diversi vengono a concentrarsi in una zona distinta in cui si accumula tutto il loro trascritto proprio ad opera del nucleoscheletro. Questo vale anche per altri tipi di geni che debbano essere trascritti nello stesso momento e che vengono incasellati in porzioni molto prossime della rete fibrillare.

La rete fibrillare si infittisce a livello dell’impalcatura che sorregge il nucleolo e per questa zona di maggior addensamento si usa anche il nome di matrice nucleolare che potrebbe essere definita come la terza componente del nucleo scheletro anche se da un punto di vista funzionale la matrice nucleolare non differisce in modo sostanziale dalla rete fibrillare se non per il fatto che è più fitta e che a livello di questa sono organizzati i geni per la produzione degli RNA ribosomiali.

L

LAA CROMATINACROMATINA

Il termine cromatina indica una proprietà istologica basilare di questa componente ovvero la colorabilità: se si usano le colorazioni routinarie, quelle che fanno uso di un colorante acido e di un colorante basico, la cromatina si presenta sempre è comunque basofila. Di norma la colorazione della cromatina non è uniforme ma avviene sotto forma di zone più colorabili definite zolle di cromatina distinguibili le une dalle altre. La porzione di cromatina intercalata tra le zolle, quella cioè che apparentemente prende meno il colore, viene anche definita matrice nucleare29. A livello della cromatina è localizzato il DNA: ci sono dei metodi istochimici molto semplici e di comune applicazione per comprovare questo e li abbiamo già trattati parlando degli acidi nucleici quando abbiamo fatto riferimento alla miscela di Unna - Pappenheim, formata da verde di metile e pironina e alla reazione di Feulgen.

L’aspetto della cromatina può variate a seconda del tipo cellulare: la forma, la grandezza è la distribuzione delle zolle di cromatina sono piuttosto variabili ma in linea di massima sono anche specifiche per un determinato tipo cellulare. Lo studio della costituzione molecolare della cromatina si è avvalso soprattutto della sua osservazione in microscopia elettronica. Se si guarda un nucleo al microscopio elettronico possiamo vedere qualcosa di analogo a quello che vediamo al microscopio ottico: la cromatina si presenta sotto forma di zolle e di matrice nucleare e le zolle si trovano sempre localizzate alla periferia del nucleo, a ridosso della lamina fibrosa e intorno al nucleolo a formare una sorta di guscio continue intorno ad esso; nel resto del volume nucleare le zolle sono distribuite in modo apparentemente casuale. Quello che si vede al microscopio elettronico e che non era possibile percepire con il microscopio ottico è che anche nelle parti che erano apparentemente vuote di zolle ce ne sono invece di più piccole e se ingrandiamo queste porzioni si vede che a questo livello sono presenti dei sottili filamenti di 20 nm di calibro. Andando a questo punto a riesaminare le grosse zolle notiamo che anche queste sono costituite da filamenti di 20 nm: l’unica differenza quindi tra la porzione della matrice e la porzione della 29 Se si va ad analizzare la struttura molecolare della cromatina si nota pero che non ci sono ragioni per distinguere la matrice nucleare dalle zolle di cromatina perché sono fatte dello stesso materiale anche se questo si presenta più o meno denso a seconda che si considerino rispettivamente le zolle o la matrice.

78 Sezione di citologia – 14. Nucleo zolle è data dal grado di compattazione, di convoluzione di queste fibre. La fibra di 20 nm viene definita

fibra cromatidica. È proprio a livello della fibra cromatidica che è possibile documentare, attraverso

tecniche istochimiche di microscopia elettronica, la presenza del DNA.

Da un’analisi chimica della cromatina risulta che essa è costituita oltre che da DNA da altre macromolecole: il DNA rappresenta in peso non più del 50% della cromatina; il restante 50% è costituito da altre molecole soprattutto da proteine.

MOLECOLE FRAZIONI PERCENTUALE DI OGNI FRAZIONE

DNA A singola copia dal 5% al 6% Mediamente ripetitivo più del 30%

Altamente ripetitivo dall’1% al 40% RNA A basso peso molecolare 0,5%

PROTEINE Istoni ca. 30%

Proteine non istoniche dal 20% al 30%

Le proteine associate al DNA a formare la cromatina sono di due tipi fondamentali: proteine basiche dette istoni e proteine non istoniche che non hanno caratteristiche di spiccata basicità. Una piccola quota di cromatina è dovuta alla presenza di RNA. L’RNA cromatinico può essere di due forme distinte in base al peso molecolare: la più abbondante è quella ad alto peso molecolare rappresentata dall’hnRNA (heterogeneous nuclear RNA) che è il precursore dell’RNA messaggero. Una certa quantità di RNA associate alla cromatina è invece costituito da snRNA (small nuclear RNA) cioè da piccole molecole di RNA che hanno un ruolo strutturale o funzionale: alcuni di questi sono precursori degli RNA transfer. Gli istoni, in virtù delle loro caratteristiche chimiche formano con il DNA degli stretti legami salini e sono presenti in rapporti stechiometrici ben definiti rispetto alla molecola di DNA. Dalla cromatina possono essere isolati più tipi di istoni: gli istoni H2A, H2B, H3, H4 formano un aggregate plurimolecolare ottamero detto nucleosoma formato da otto subunità perché ogni tipo di istone è presente in duplice copia. Oltre a questi istoni, detti istoni nucleosomici, ce n’e un altro chiamato H1 che non rientra nella costituzione del nucleosoma ma che si associa comunque alla molecola di DNA.

Le altre proteine, definite proteine non istoniche, costituiscono una categoria eterogenea e svolgono funzioni molto diverse: alcune di queste proteine si legano a determinati tratti di DNA e fungono da attivatori ovvero da repressori dell’espressione di determinati geni; altre proteine non istoniche sono enzimi che, per esempio, presiedono a fenomeni di duplicazione (DNA polimerasi DNA dipendente, DNA ligasi, ecc.) o trascrizione del DNA (RNA polimerasi DNA dipendente); infine, tra le proteine non

Sezione di citologia – 14. Nucleo 79 istoniche, ce ne sono alcune con funzione strutturale e contrattile che servono verosimilmente a muovere i

cromosomi.

Come le molecole di DNA si uniscano a formare la cromatina vera e propria è stato oggetto di studio da parte sia dei morfologi che dei biochimici; questi ultimi in particolare avevano notato un fatto: se si digeriva la fibra cromatinica in modo blando con una endonucleasi (una DNAasi che può tagliare il filamento di DNA anche nel suo corso) si ottenevano dei frammenti che erano tutti uguali tra loro; frammenti che risultavano essere costituiti da circa duecento basi di DNA con associate un ottamero di istoni nucleosomiali ed eventualmente un istone H1: dei blocchetti standard che costituivano una sorta di motivo fondamentale della fibra cromatinica. Ulteriori informazioni al riguardo sono venute questa volta dai morfologi i quali esaminarono al microscopio elettronico, dopo averla isolata, la fibra cromatinica: abbiamo detto che anche nelle zone di matrice nucleare si vedono dei filamenti di circa 20 nm di diametro. Se si sottoponeva la fibra cromatinica al trattamento con soluzioni saline molto concentrate (che riuscivano fra l’altro ad allontanare l’H1 dal DNA) si assisteva ad un fatto: la fibra cromatinica sembrava dipanarsi in una subunità più sottile con un tipico aspetto a catena di perle. La morfologia di questa fibra, detta anche fibra nucleosomica, corrisponde in modo molto precise al concetto che già avevano elaborate i biochimici, cioè che l’idrolisi del filamento di DNA avveniva liberando un motivo che si ripeteva per tutta la lunghezza del filamento: questo stesso motivo lo possiamo vedere cadenzato nella fibra nucleosomica. La fibra nucleosomica ha un calibro minore della fibra cromatinica, di circa 11 nm: questa misura corrisponde anche al diametro calcolato per il nucleosoma. Dalla combinazione dei dati che derivano dalle ricerche di biochimici e morfologi si è potuto comprendere che il DNA e gli istoni sono legati insieme nella fibra nucleosomica. Un filamento di DNA di circa 140 paia di basi si avvolge facendo un giro e tre quarti attorno al nucleosoma; un ulteriore continuazione del filamento, della lunghezza di circa una sessantina di paia di basi, corre da un nucleosoma a quello successive e fa attorno a questo un altro giro e tre quarti e cosi via. L’H1 si associa al tratto di congiunzione detto anche tratto linker e svolge una funzione molto importante in quanto, quando viene fosforilato, avvicina i nucleosomi tra loro compattando la fibra nucleosomica secondo un “modello a solenoide” che ha un diametro che corrisponde a quello descritto per la fibra cromatinica. Sembra che la fosforilazione dell’H1 promuova anche ordini superiori di spiralizzazione della fibra cromatinica che la renderebbero talmente compatta da essere di fatto inaccessibile alle RNA polimerasi DNA dipendenti: quindi la fosforilazione dell’H1 è un meccanismo, forse il meccanismo fondamentale, che condiziona l’attitudine di un determinato gene ad essere espresso o meno.

Le zolle di cromatina, secondo questo modello, non sono nient’altro che porzioni di fibra cromatinica particolarmente convolute ed addensate e per questo inattive dal punto di vista della trascrizione, della sintesi degli RNA.

Abbiamo accennato come assieme al DNA ed alle proteine ci siano nella cromatina anche filamenti di RNA: alcuni di questi sono strettamente legati alla fibra cromatinica mentre altri lo sono in modo più labile probabilmente in relazione allo stato di sintesi dell’RNA che sta avvenendo in quel momento. In linea di massima gli RNA possono essere ad alto peso molecolare (gli hnRNA precursori dei messaggeri) o a basso peso molecolare con funzione strutturale: tra questi ultimi ce ne sono alcuni che, associandosi ad un centinaio di proteine, formano delle particelle globulari poco più piccole di un ribosoma (ca., 60

80 Sezione di citologia – 14. Nucleo Svedberg) che si chiamano spliceosomi e che sono visibili come granuli pericromatinici accanto ai filamenti della cromatina.

Gli spliceosomi svolgono un ruolo nella maturazione dell’hnRNA ad RNA messaggero. Questo fenomeno i già stato accennato in qualche modo quando abbiamo detto che la struttura del genoma delle cellule eucariote è ad inserti: quando un gene viene trascritto in una molecola di RNA vengono trascritte parti che hanno un significato intercalate a inserti detti not sense che non hanno nessun significato trascrizionale. Le prime, quelle che codificheranno per la sintesi di una determinata proteina, sono dette

esoni, le seconde, quelle not sense, sono dette introni. L’hnRNA li contiene entrambi; la maturazione

dell’hnRNA a RNA messaggero implica quindi l’esclusione degli introni: dato un certo hnRNA stampato come copia conforme di un gene di DNA il relative messaggero, private degli introni,sarà molto più corto. Il processo di maturazione coinvolge gli spliceosomi i quali si legano alle estremità di due esoni vicini e si avvicinano tra loro facendo in modo che l’introne compreso tra i due esoni faccia una sorta di ansa che si rende esterna rispetto all’asse dell’RNA; degli enzimi specifici staccano quindi l’ansa intronica e saldano tra loro i due esoni vicini. Quando il processo è compiuto e si e formato l’RNA che ha una sequenza di codoni definita, questo finalmente può raggiungere un poro nucleare da cui esce per raggiungere il citoplasma e quindi i ribosomi.

La diversa compattazione della fibra cromatinica condiziona la capacita della DNA polimerasi di legarsi al DNA e di trascrivere un determinate gene. Proprio in base a questo fenomeno si possono distinguere da