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La negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio

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Academic year: 2022

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La negoziazione assistita in

materia di separazione e divorzio

Le competenze dell’ufficiale dello stato civile

Il testo si rivolge agli ope- ratori dello stato civile chia- mati ad applicare le norme relative all’istituto della negoziazione assistita e a ricevere gli accordi di sepa- razione e divorzio secondo quanto previsto dalla Legge n. 162/2014

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Finito di stampare nel mese di aprile 2015

presso tipolitografia Grafostil snc – Matelica (MC) per conto di

Halley informatica srl

Via Circonvallazione, 131 – 62024 Matelica (MC) Tel. 0737 781211 – Fax 0737 787200

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Indice

pag. 7

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Autrice Introduzione

I – Separazione e divorzio. Nozioni generali 1.1 Introduzione

1.2 La separazione personale tra i coniugi. Cenni 1.3 Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra

i coniugi 1.4 Il divorzio

1.5 Effetti della separazione e del divorzio sui rapporti patrimoniali tra i coniugi

1.6 Modifica delle condizioni della separazione e del divorzio

1.7 Le alternative al conflitto e la negoziazione assistita

II – Convenzione di negoziazione assistita e accordi conclusi innanzi al Sindaco

2.1 Introduzione

2.2 Convenzione di negoziazione assistita

2.3 separazione consensuale, richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione e divorzio innanzi al sindaco

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III – Formule 3.1 Introduzione

3.2 Prima formula di negoziazione assistita in assenza di figli

3.3 seconda formula di negoziazione assistita in presenza di figli

3.4 Accordi conclusi innanzi al sindaco

3.5 Annotazioni delle convenzioni di negoziazione assi- stita

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» 49

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» 59

» 64

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Editore), L’assegno di mantenimento (nuova Giuridica), La filia- zione (Halley Informatica).

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Il 12 settembre 2014 il Consiglio dei Ministri ha emanato il D.L.

n. 132/2014, recante norme destinate a snellire l’attività giuri- sdizionale. Il titolo del provvedimento, infatti, è “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”.

L’intento dell’esecutivo sarebbe, dunque, quello di limitare il controllo del giudice, prevedendo formule alternative di risoluzio- ne delle controversie, al fine di diminuire il carico dei procedimen- ti degli uffici giudiziari.

Inoltre, il testo normativo contiene disposizioni che riguardano altri aspetti legati al processo quali un maggiore rigore in materia di compensazione delle spese processuali; la possibilità del giudice monocratico di disporre d’ufficio il mutamento del rito da ordi-di disporre d’ufficio il mutamento del rito da ordi- nario a sommario di cognizione; infine aspetti riguardanti diret- tamente l’ordinamento giudiziario: il tramutamento dei magistrati e la riduzione del periodo feriale.

Per quello che riguarda la nostra analisi, tuttavia, le norme di rilievo sono contenute nei primi tre Capi, cioè quelli che discipli- nano specificamente forme alternative di risoluzione dei conflitti, nelle quali, a seguito della novella legislativa, l’incidenza dell’orga- no giurisdizionale diviene marginale e, in alcuni casi, assente.

Il Capo I contempla la possibilità di trasferire il contenzioso civile riguardante diritti disponibili in sede arbitrale. si deve trat- tare di cause già introdotte in primo o in secondo grado, ma non ancora introitate per la decisione. Da queste ipotesi sono escluse le controversie di lavoro e previdenza.

Il Capo II, invece, si riferisce a conflitti che non siano già sfo- ciati in un giudizio. si tratta delle ipotesi di negoziazione assistita, mediante la quale due parti possono risolvere i propri dissidi con l’assistenza di uno o più avvocati. In questo caso le parti stipulano

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un accordo risolutivo della controversia a cui giungono collabo- rando con lealtà e buona fede.

La negoziazione assistita può essere:

1) volontaria, nei diritti disponibili;

2) obbligatoria, nei casi espressamente previsti dall’art. 3 (azioni relative a controversie in materia di risarcimento danni da circolazione di veicoli e natanti; domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro, eccezione fatta per le controversie assoggettate alla disciplina della mediazione obbligatoria);

3) facoltativa, nei casi relativi alla materia del matrimonio (separa- zione o divorzio).

Il Capo III, invece, stabilisce che anche innanzi al sindaco si possano concludere accordi di separazione o divorzio.

Invero, un mese e mezzo dopo la sua emanazione, il decreto legge ha subìto le prime modifiche. si è trattato del maxi emenda- mento approvato dal senato che ha innovato non poco l’ambito di cui ci occuperemo in questa sede, estendendo le ipotesi in cui è possibile addivenire a una regolamentazione alternativa del con- flitto coniugale e, al contempo, prevedendo una forma di controllo da parte del Procuratore della Repubblica e un intervento margi- nale del Tribunale.

Allo stato non è possibile affermare se il provvedimento gover- nativo sarà efficace sulla riduzione del carico giudiziario dei nostri tribunali.

Certamente però appare discutibile – quantomeno a chi scri- ve – che aspetti per l’ordinamento giuridico così rilevanti come lo scioglimento del matrimonio, la regolamentazione della crisi coniugale e, più in generale, la disciplina del processo civile, siano stati modificati non già attraverso la legge, provvedimento norma- tivo del Parlamento, ma mediante lo strumento della legislazione di emergenza (il decreto legge), nonostante non vi fosse alcun caso straordinario di necessità e di urgenza per adottare un decreto in materia.

sarebbe stato senz’altro preferibile, perché rispettoso delle norme costituzionali, lasciare all’organo legislativo il potere di assumere provvedimenti a riguardo.

Inoltre, l’adozione di un decreto legge, per quanto ampiamente modificato, ha determinato una frettolosità e spesso poca chiarez-

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za nella formulazione delle norme con la difficoltà nell’interpreta- zione e nell’applicazione dei nuovi istituti.

Per questo motivo, il volume non ha la pretesa dell’esausti- vità e della sistematicità, ma vuole limitarsi ad offrire un primo strumento utile a chi deve per la prima volta cimentarsi con una materia nuova, sino ad oggi esclusivo appannaggio di avvocati e magistrati.

Il decreto legge è stato convertito nella Legge 11 novembre 2014, n. 162 e, per quanto attiene all’accordo dei coniugi o degli ex coniugi raggiunto innanzi al sindaco (art. 12) entra in vigore il trentesimo giorno dopo la sua emanazione, dunque l’11 dicembre 2014.

Di seguito, quindi, verranno esaminate le norme che regolano la negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio, non- ché la disposizione con cui si stabilisce che i coniugi possono con- cludere accordi innanzi al sindaco, e verranno forniti dei modelli di atti per dare una prima lettura concreta delle novità legislative a chi si accinge a misurarsi per la prima volta con questa materia.

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1.1 Introduzione

Preliminarmente, appare opportuno offrire alcune nozioni di ordine generale sui concetti di separazione, divorzio, modifiche delle condizioni della separazione e del divorzio, nonché in merito al mantenimento del coniuge.

Il riferimento al mantenimento della prole, invece, in questa sede appare superfluo perché il sindaco non potrà raccogliere un accordo tra coniugi in presenza di figli minorenni o maggiorenni non autonomi economicamente, né in caso di figli maggiorenni portatori di handicap.

Il diritto dei figli di essere mantenuti, infatti – qualora sussi- stano le condizioni che prevedano il sostentamento economico di questi (minori, maggiorenni portatori di handicap o maggiorenni non economicamente autonomi) – non è rimesso alla disponibilità e alla negoziazione delle parti, per tale motivo non sarebbe stato possibile ipotizzare un patto privo di controllo giurisdizionale che riguardasse anche la prole.

1.2 La separazione personale tra i coniugi. Cenni

Il Capo del Codice Civile dedicato allo scioglimento del matrimo- nio e alla separazione dei coniugi è stato ampiamente modificato dalla Legge n. 151/1975, rubricata “Riforma al diritto di famiglia”, nonché dalla Legge n. 54/2006, intitolata “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso”. Indubbiamente la riforma del diritto di famiglia è stata frutto dell’evoluzione sociale avvenuta in ambito familiare e dell’interpretazione offerta in mate- ria dalla Carta Costituzionale, segnatamente dagli artt. 29 e 30.

Riferimenti normativi

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L’art. 149 C.C., il quale apre la parte del Codice relativa allo scioglimento del matrimonio, stabilisce che esso si scioglie con la mort e di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge.

Il capoverso della norma, invece, dispone che gli effetti civili del matrimonio celebrato con rito religioso, ai sensi degli artt. 82 e 83, e regolarmente trascritto, cessano alla morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge.

Come si vede, il primo comma del citato articolo di legge si riferisce al matrimonio civile, mentre il secondo riguarda il matri- monio concordatario.

Tra le cause di scioglimento del matrimonio va menzionata, oltre al divorzio, l’ipotesi di dichiarazione di morte presunta, mentre non vi rientra la separazione, perché, come meglio si spe- cificherà nel prosieguo, la separazione non fa cessare gli effetti del matrimonio, se non soltanto in parte.

All’art. 150 C.C. è previsto che è ammessa la separazione tra i coniugi e che la stessa può essere giudiziale o consensuale. Il diritto di chiedere la separazione giudiziale o l’omologazione di quella consensuale spetta esclusivamente ai coniugi.

I presupposti della separazione giudiziale, invece, sono enun- ciati al successivo art. 151 C.C., il quale chiarisce che la separa- zione giudiziale può essere richiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole. È dunque la legge a stabilire le cause che consentano di chiedere la separa- zione.

Tuttavia, va rilevato come il primo presupposto, relativo ai fatti che rendano intollerabile la prosecuzione della convivenza, sia dif- ficilmente sindacabile da parte dell’autorità giudiziaria, perché ha una connotazione soggettiva, in quanto è strettamente legato alla sensibilità e alla percezione dei singoli coniugi: ciò che può appa- rire tollerabile da uno è inaccettabile per un altro. nella prassi, poi, è sufficiente che venga dedotta un’incompatibilità caratteriale perché venga pronunciata la separazione.

Maggiormente legato a criteri oggettivi, invece, è il comma 2 dell’art. 151, in quanto si sostanzia in un pregiudizio nell’educa- zione della prole e, quindi, in un comportamento materiale attivo o omissivo facilmente valutabile anche dall’interprete. In dottrina

Art. 149 C.C.:

scioglimento del matri-

monio

Art. 150 C.C.:

separazione personale Art. 151

C.C.:

presupposti della separazione giudiziale

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si è discusso se tale elemento possa costituire causa autonoma della separazione o meno1. sembra preferibile la tesi secondo cui si debba riconoscere indipendenza al presupposto del grave pregiu- dizio all’educazione dei figli quale causa di separazione, atteso che il comportamento dannoso del coniuge rispetto alla prole non può non incidere negativamente anche sul rapporto matrimoniale.

L’art. 151, comma 2, stabilisce che il giudice, pronunciando la separazione, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, dichiara a quale coniuge questa sia addebitabile, in considerazio- ne del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.

Va osservato che, a differenza dell’originaria formulazione dell’articolo in esame, non vi è alcun riferimento alla “colpa” del coniuge, ma si configura l’ipotesi di un addebito a colui il quale abbia tenuto un comportamento contrario ai doveri del matrimo- nio. A tale proposito si deve osservare che non ogni violazione di cui all’art. 143 C.C. (il quale, sostanzialmente, elenca i doveri ed i diritti dei coniugi) può dare luogo all’addebito, che sarà ravvisabile soltanto quando vi sia un nesso eziologico tra l’inadempimento e la richiesta di separazione.

si consideri, inoltre, che, qualora ne sussistano le condizioni e sia richiesta sia dal marito che dalla moglie, l’addebito può essere dichiarato dal giudice nei riguardi di entrambi i coniugi.

Il riferimento all’addebito è particolarmente rilevante con riguardo alle condizioni economiche della separazione, perché il coniuge a cui essa viene addebitata non ha diritto al mantenimen- to, ma soltanto a percepire gli alimenti, sempre che sussistano le condizioni di cui all’art. 433 C.C. Infine l’addebito non dà luogo di per sé al risarcimento del danno extra contrattuale, ai sensi dell’art.

2043 C.C., che è ammissibile soltanto se i fatti che hanno deter- minato tale dichiarazione giudiziale contengano i requisiti dell’il- lecito aquiliano, e quindi vi sia un fatto dannoso per un coniuge collegato causalmente a una condotta dolosa o colposa perpetrata dall’altro coniuge.

1) A favore dell’autonomia del presupposto relativo al comportamento pregiudizievole per la prole, v. santosuosso in Comm. Utet; in senso opposto v. grassetti in Comm. Dir. It.

Fam.

Addebito della separazione

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Per quanto attiene alla negoziazione assistita è bene anticipare che tale procedura non sarà azionabile in caso di separazione giu- diziale, in quanto quest’ultima difetta di un elemento fondamen- tale per accedere all’istituto di cui all’art. 3, D.L. n. 132/2014, che è l’accordo.

Identica considerazione vale per il patto concluso innanzi al sindaco. Anche in questo caso, mancando il totale accordo tra le parti, non sarà azionabile la procedura di cui all’art. 12 del D.L. n.

132/2014, convertito in Legge n. 162/2014.

L’art. 158 C.C., rubricato “separazione consensuale”, dispone che la separazione per solo consenso dei coniugi non abbia effet- to senza l’omologazione del giudice e che quando l’accordo dei coniugi relativamente all’affidamento e al mantenimento dei figli contrasti con l’interesse di questi ultimi, il giudice riconvochi i coniugi indicando le modificazioni da adottare nell’interesse della prole e, in caso di inidonea soluzione, possa rifiutare allo stato l’omologazione.

Il decreto di omologazione del tribunale era l’unico strumento per conferire effetti giuridici alla separazione tra i coniugi. Oggi, con l’entrata in vigore del D.L. n. 132/2014, l’accordo raggiunto a seguito della convenzione di negoziazione assistita, nonché l’ac- cordo concluso innanzi al sindaco, tengono luogo del provvedi- mento giurisdizionale.

L’articolo non fa menzione di eventuali accordi sul manteni- mento del coniuge che siano sperequativi per l’avente diritto o per l’obbligato. Pertanto, si deve ritenere che relativamente a condi- zioni patrimoniali inique che riguardino esclusivamente marito e moglie, l’autorità giudiziaria dovrà valutare soltanto la libertà e la validità in generale del consenso prestato, e che l’accordo raggiun- to tra i coniugi non violi norme imperative o principi di ordine pubblico.

Da quanto si è appena scritto dovrebbe discendere che anche il sindaco dovrà considerare se le decisioni relative al mantenimento di uno dei due coniugi siano state frutto di un libero accordo, cioè senza coartazione della volontà di uno dei due, e che non conflig- gano con norme imperative o con i principi di ordine pubblico.

secondo la previsione dell’art. 157 C.C., la separazione tra i coniugi può cessare per comune accordo espresso dagli stessi mediante una dichiarazione o anche attraverso comportamenti

Accordi sul manteni-

mento Art. 158

C.C.:

separazione consensuale e omologa-

zione del giudice

Art. 157 C.C.:

cessazione separazione

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concludenti incompatibili con lo stato di separazione, come la convivenza e la ritrovata comunanza spirituale, senza che sia necessario l’intervento del giudice. Intervenuta la riconciliazione, la separazione può essere nuovamente pronunciata solo rispetto a fatti e comportamenti successivi.

Come si è detto, la separazione non fa cessare gli effetti del matrimonio; tanto, del resto, si deduce anche dal fatto che la ricon- ciliazione possa avvenire senza alcuna formalità, ma semplicemen- te mediante facta concludentia.

Con la separazione, pertanto, tutti i diritti e doveri previsti dall’art. 143 C.C. restano sospesi, potendo tornare ad essere eser- citati in caso di riconciliazione o cessando di esistere in caso di divorzio.

In particolare, sono sospesi il dovere di coabitazione, quello alla fedeltà coniugale, nonché il dovere di collaborazione che nella separazione si traduce nell’obbligo di mantenimento laddove ne sussistano i presupposti. si discute, invece, se debba perdurare l’obbligo all’assistenza morale e materiale. Quanto meno riguardo al secondo aspetto sembra preferibile propendere per la tesi posi- tiva. Con la separazione, quindi, i coniugi non possono passare a nuove nozze perché i doveri e gli obblighi matrimoniali sono solo temporaneamente “congelati”; inoltre, la moglie continua a conservare il cognome del marito, a meno che il giudice non ne vieti l’utilizzo nell’ipotesi in cui ciò possa comportare pregiudizio al marito stesso.

Per quanto attiene ai profili patrimoniali, va osservato che la comunione legale si scioglie dal passaggio in giudicato della sen- tenza di separazione o del decreto di omologazione; mentre resta- no salvi i diritti successori a meno che la separazione non sia stata pronunciata con addebito nei riguardi del coniuge superstite.

La circostanza che con la separazione non si sciolga il vincolo matrimoniale ha effetti rilevanti anche riguardo al mantenimento, atteso che in base all’orientamento, prevalentemente dottrinario, secondo cui la separazione rappresenterebbe una fase critica e temporanea nell’ambito del matrimonio, non sarebbe ravvisabile alcuna sostanziale soluzione di continuità tra obbligo di contribu- zione di cui all’art. 143 C.C. e obbligo di mantenimento previsto dall’art. 156 C.C. Al contrario, chi propende per la tesi secondo cui la separazione rappresenta l’anticamera del divorzio, fase neces-

separazione:

sospensione diritti e doveri

Effetti sul manteni- mento

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saria e prodromica rispetto alla cessazione definitiva del rapporto coniugale, ravvisa nel mantenimento una funzione differente rispetto a quella della contribuzione reciproca, contenuta tra gli obblighi coniugali2.

1.3 Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi

L’art. 156 C.C. regola gli effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi. In origine la norma si riferiva esclu- sivamente alla separazione giudiziale. Tanto si desumeva dal tenore letterale della legge la quale, al comma 1, disponeva che il giudice, pronunciando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge a cui essa non sia addebitabile, il diritto di ricevere dall’altro quanto è necessario al suo mantenimento. Come si vede, infatti, non vi è alcun riferimento al provvedimento di omologazione dell’accordo consensuale. Inoltre, un ulteriore elemento che dimostrava l’esclusivo riferimento dell’art. 156 alla separazione giudiziale, era rappresentato dalla sua colloca- zione sistematica, in quanto la norma è posta dopo l’articolo che disciplina la separazione giudiziale, ma prima dell’art. 158, dedicato alla separazione consensuale.

si deve precisare, però, che si sono susseguiti diversi arresti della Corte Costituzionale3 che hanno dichiarato illegittimo l’art.

156, comma 6, C.C., nelle parti in cui non prevedeva che la stessa disciplina enunciata nel capoverso in questione potesse adottarsi anche in caso di separazione consensuale. Allo stesso modo, la Consulta4 ha dichiarato illegittimo l’art. 158 C.C., laddove non prevedeva che il decreto di omologazione della separazione con- sensuale costituisse titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai sensi dell’art. 2818 C.C.

Alla luce di tali considerazioni, si deve ritenere che in sede di separazione consensuale, qualora i coniugi nulla dispongano riguardo al mantenimento di quello più debole o, al contrario,

2) sul punto si veda diffusamente m. sesta, Codice della famiglia, I, Giuffrè, Milano, 2007, 604.

3) Vedi Corte Costituzionale, 31 maggio 1983, n. 144; Corte Costituzionale, 19 gennaio 1987, n.

5; Corte Costituzionale, 6 luglio 1994, n. 278 e Corte Costituzionale 19 luglio 1996, n. 258.

4) Vedi Corte Costituzionale, 18 febbraio 1988, n. 186.

separazione consensuale separazione

giudiziale

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stabiliscano una forma di mantenimento palesemente iniqua per il coniuge obbligato, il giudice non potrà rifiutarsi di omologare l’ac- cordo, sempre che però esso non contrasti con norme imperative o con i principi di ordine pubblico e purché il consenso di una delle parti non sia viziato. si consideri, peraltro, che un limite esplicito alla libertà negoziale delle parti è previsto dall’art. 160 C.C., il quale stabilisce che gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio.

Merita di essere sottolineato, inoltre, che mentre per quello che riguarda l’addebito della separazione è necessaria la richiesta al giudice da parte dell’altro coniuge, l’attribuzione del mantenimen- to prescinde da una domanda esplicita e viene valutata dall’auto- rità giudiziaria sulla base di elementi oggettivi che sono specificati nello stesso art. 156 C.C.

nei casi di cui agli artt. 6 e 12 del D.L. n. 132/2014, convertito nella Legge n. 162/2014, nessun sindacato relativo alle scelte sul mantenimento è attribuito all’ufficiale dello stato civile con il limi- te del rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico, come si dirà al capitolo che segue.

La norma non elenca tutti i requisiti che devono ricorrere in concreto affinché venga disposto il mantenimento, sicché il Legislatore lascia al giudice una certa discrezionalità. Tale scelta appare comprensibile e condivisibile dato che non sarebbe stato possibile regolamentare in maniera più dettagliata la disciplina sul mantenimento, perché in tal caso si sarebbe corso il rischio di non prevedere – e, quindi, sostanzialmente, non tutelare – ulteriori ipotesi non espressamente disciplinate dalla legge. Pertanto divie- ne fondamentale un richiamo costante alla giurisprudenza che consente di dare corpo e concretezza alla previsione normativa.

Come già si è avuto modo di illustrare, vi è un contrasto dottrinario riguardo alla natura giuridica del mantenimento.

segnatamente, un orientamento ritiene che esso rappresenti l’ide- ale prosecuzione dell’obbligo di collaborazione nell’interesse della famiglia contenuto nell’art. 143 C.C., mentre un secondo indirizzo ritiene che sussista una differenza ontologica tra i due doveri5.

5) Al primo orientamento accede c.m. bianca, Diritto Civile – La famiglia. Le successioni, Giuffrè, Milano, 2005, 211; mentre al secondo sesta, Diritto di famiglia, Padova, 2005, 328, nonché, seppure in termini in parte differenti, falzea, “Il dovere di contribuzione” in Riv.

dir. civ., 1977, 609 ss.

natura giuridica del manteni- mento

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Qualunque tesi si voglia prediligere, non vi è dubbio che tra l’obbligo di collaborazione e quello di mantenimento vi sia un unico fil rouge rappresentato dai principi costituzionali di solida- rietà e di uguaglianza tra i coniugi sanciti dall’art. 29 Costituzione:

«La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società natu- rale fondata sul matrimonio.

Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità fami- liare.»

1.4 Il divorzio

Con il termine divorzio si suole indicare lo scioglimento del vin- colo matrimoniale senza distinzione tra matrimonio celebrato con rito civile e matrimonio concordatario. Tuttavia, si deve conside- rare che il termine divorzio non è mai presente nel testo di legge che ne disciplina l’istituto.

segnatamente, il Legislatore distingue l’ipotesi del matrimonio civile da quella del matrimonio concordatario (che produce effetti tanto nel nostro ordinamento quanto per la Chiesa cattolica) defi- nendo “scioglimento del matrimonio” l’ipotesi di scioglimento del vincolo derivante dal matrimonio celebrato con rito civile, e

“cessazione degli effetti civili del matrimonio” il caso della rottura del rapporto coniugale sorto con rito concordatario.

La ratio della legge è chiara: infatti è evidente che, al cospetto di un rapporto matrimoniale sancito da un ufficiale dello stato civile, produttivo soltanto di effetti giuridici, la rottura del vincolo deter- mina la totale cessazione del rapporto che, a ragione, può definirsi

“scioglimento”; al contrario, la frattura del matrimonio concorda- tario – il quale, con la sua celebrazione, produce effetti anche per il diritto canonico – lascia impregiudicati gli effetti religiosi del rapporto che possono estinguersi solo a seguito di declaratoria di annullamento da parte del tribunale rotale.

Per tale ragione, nel matrimonio concordatario il divorzio determina esclusivamente la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ma non si traduce in un suo totale scioglimento attesa la sussistenza degli effetti religiosi. Come è noto, per la

Matrimonio civile

Matrimonio concorda-

tario

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religione cattolica – fatte salve le rare ipotesi in cui sia previsto l’annullamento del vincolo – il matrimonio determina tra i coniugi un legame indissolubile che solo Dio può sciogliere con l’evento della morte (o in casi rarissimi con la dichiarazione di nullità).

Il profondo radicamento della religione cattolica, insieme a una concezione etica che, pur essendo di impronta laica, considerava il vincolo indissolubile del matrimonio come valore necessario per la stabilità della famiglia e della società, costituiscono i motivi che hanno condotto a una legislazione in materia di divorzio sofferta.

La legge istitutiva risale al 1° dicembre 1970, n. 898, ma è stata ulteriormente modificata dalla Legge n. 74/1987.

L’istituto del divorzio è solo apparentemente analogo alla sepa- razione, ma fra le due fattispecie vi è una differenza ontologica.

La separazione rappresenta una fase che può essere anche solo transitoria, nella quale, come si è visto, non cessano di esistere i doveri e i diritti insiti nel vincolo matrimoniale, anche se alcuni di essi si affievoliscono o si sospendono. Il divorzio, invece, deter- mina la cessazione definitiva dei doveri e dei diritti scaturenti dal matrimonio. Ciononostante, anche in questa seconda ipotesi il Legislatore ha stabilito, a determinate condizioni, che sia attribu- ito un assegno a favore del coniuge economicamente più debole.

Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei due coniugi in una serie di casi tassativamente previsti dall’art. 3 della Legge n. 898/1970, ma la fattispecie più frequente di divorzio è rappresentata dall’ipotesi di separazione personale protrattasi per almeno tre anni dalla comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione.

Infine è previsto che i coniugi possano proporre congiunta- mente domanda di scioglimento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili (c.d. “divorzio congiunto”).

Così come si è visto per la separazione consensuale, nella mate- ria oggetto di questa trattazione rileva esclusivamente tale ultima forma di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimo- nio, cioè il divorzio congiunto. Questo perché solo in tale caso vi è un accordo tra i coniugi riguardo alla scelta di definire la frattura coniugale, nonché riguardo alle condizioni con cui regolamentar- ne gli effetti.

Divorzio congiunto Differenza tra divorzio e separa- zione

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Il divorzio deve essere tenuto distinto dall’ipotesi di annulla- mento o di dichiarazione di nullità del matrimonio. A differenza di queste altre ipotesi, infatti, con il divorzio cessano gli effetti del rap- porto coniugale dal momento della sua pronuncia (ex nunc) e non già dall’instaurazione del vincolo come negli altri due casi (ex tunc).

Tuttavia, nell’ipotesi di matrimonio dichiarato nullo, si producono determinati effetti a tutela della prole e dei coniugi o del coniuge in buona fede (art. 128 C.C., matrimonio putativo6). L’art. 129 C.C.

stabilisce, poi, che quando le condizioni del matrimonio putativo si verificano rispetto ad ambedue i coniugi, il giudice può disporre a carico di uno dei due, e per un periodo non superiore a tre anni, l’obbligo di corrispondere somme periodiche di danaro, in propor- zione alle sue sostanze, a favore dell’altro, qualora questi non abbia adeguati redditi propri e non sia passato a nuove nozze.

1.5 Effetti della separazione e del divorzio sui rapporti patrimo- niali tra i coniugi

Come si è accennato, con il divorzio cessano gli obblighi e anche i diritti inerenti al coniugio, tuttavia la migliore dottrina7 ritiene che alla definitiva frattura del vincolo matrimoniale sopravviva un sia pur affievolito principio di solidarietà coniugale, in virtù del quale il coniuge che sia economicamente più debole ha diritto di ricevere assistenza dall’altro coniuge.

nonostante i presupposti, le condizioni e i criteri posti a fon- damento dell’assegno di mantenimento nella separazione e quello divorzile siano differenti, in entrambi i casi la dazione dell’assegno si fonda su quei principi, sanciti dall’art. 29 Costituzione, che non cessano di produrre effetti neppure con il divorzio.

In altri termini, seppure in maniera meno intensa, anche con il divorzio permane il principio dell’uguaglianza tra i coniugi, uguaglianza morale, certamente, ma anche materiale che, in caso

6) Il matrimonio si definisce putativo quando è dichiarato nullo, ma uno o entrambi i coniugi hanno contratto il matrimonio in buona fede (per es. ignoravano che uno dei due fosse già sposato), oppure quando il consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne agli sposi.

7) In questo senso c.m. bianca, op. cit., 284.

Annulla- mento del matrimonio

Principi ex art. 29 Costituzione

(23)

di sperequazioni tra i patrimoni, si persegue attraverso il ricono- scimento di un assegno in favore di quello meno abbiente.

si deve considerare, tuttavia, un orientamento dottrinario secondo il quale l’assegno divorzile non troverebbe la sua origine nel dovere solidaristico scaturente dal matrimonio, ma esclusiva- mente nell’oggettivo deterioramento delle condizioni patrimoniali di un coniuge a seguito del divorzio8. Tuttavia, questo indirizzo sembra limitarsi a descrivere la situazione che si viene a creare dopo il divorzio, senza offrire alcuna spiegazione di quale sarebbe, in alternativa al principio solidaristico tra i coniugi, il fondamento del diritto all’attribuzione di un assegno divorzile.

In merito alle differenze tra le prestazioni economiche previste nella separazione e nel divorzio, si può quindi concludere affer- mando che l’assegno di mantenimento di cui all’art. 156 C.C. e l’assegno determinato a seguito di divorzio sono totalmente diffe- renti. nel primo caso, infatti, permangono tutti i diritti e i doveri inerenti al matrimonio, anche se alcuni di essi sono in parte affie- voliti, sicché il mantenimento del coniuge separato rappresenta l’ideale continuazione del dovere di assistenza materiale sancito dall’art. 143 C.C. nel secondo caso, invece, vengono meno tutti i diritti e i doveri che sorgono con il matrimonio, ma in virtù del precedente rapporto matrimoniale permane il dovere di prestare assistenza materiale al coniuge che ha subito un pregiudizio eco- nomico a seguito del divorzio9. Come si è detto, anche in caso di divorzio, sussistendo determinate condizioni, uno dei due coniugi può avere il diritto a un assegno vitalizio a carico dell’altro.

Tale statuizione normativa, prevista dall’art. 5 della legge sul divorzio, Legge n. 898/1970, è stata oggetto di riforma da parte della Legge n. 74/1987.

8) Così e. quadri, La nuova legge sul divorzio. I. Profili patrimoniali, Jovene, napoli, 1987, 34 e l. barbiera, I diritti patrimoniali dei separati e dei divorziati, Zanichelli, bologna, 2001, 28 ss.

9) La differenza ontologica tra assegno di mantenimento e assegno divorzile è ampiamente condivisa dalla giurisprudenza secondo cui: «L’assegno di divorzio che presuppone lo scio- glimento del matrimonio o la cessazione dei suoi effetti civili, è determinato sulla base di criteri autonomi e distinti rispetto all’assegno spettante al coniuge separato. Quest’ultimo assegno può costituire, nei congrui casi, un utile elemento di riferimento, ma non già il dato cui ancorare necessariamente il riconoscimento dell’assegno di divorzio o parametrarne la determinazione senza possibilità di discostarsene, in assenza di eventuali mutamenti nella situazione economica dei due coniugi» (Cass. Civ., sez. I, 27 agosto 2004, n. 17128).

Assegno di mante- nimento e assegno divorzile

(24)

L’art. 5 citato, infatti, al comma 6 stabilisce che, con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. La dottrina si è inter- rogata in merito al presupposto che è a fondamento dell’assegno divorzile giungendo a conclusioni non univoche. Tuttavia, la tesi più accreditata appare quella secondo cui permanga una solidarie- tà tra i coniugi anche dopo l’estinzione del vincolo, che non è para- gonabile all’affectio coniugalis, stante la cessazione del coniugio, ma che è, comunque, frutto del pregresso rapporto matrimoniale alla luce del quale è necessario garantire uno stile di vita adeguato a un soggetto con cui si era creata una situazione di comunione materiale e spirituale10. L’altra tesi, anch’essa proveniente da fonte autorevole11, è quella secondo cui l’assegno postmatrimoniale discenderebbe soltanto dalle obiettive condizioni di bisogno in cui dovesse trovarsi l’altro coniuge. Tale assunto, però, non spie- ga la ragione per cui sarebbe l’ex coniuge a dover contribuire al mantenimento di quello più debole, né sembra tenere in debito conto il dettato normativo che stabilisce una serie di parametri di valutazione dell’assegno che riconducono alla storia matrimoniale pregressa della coppia.

Pertanto, con l’attribuzione di un assegno divorzile nei riguardi dell’ex coniuge, sembra che il Legislatore abbia voluto rimarcare la forza intrinseca del matrimonio e il fatto che con la sua conclu- sione permangono effetti di ordine personale e patrimoniale, tra i quali, ai nostri fini, va menzionato quello della solidarietà post matrimoniale.

Invero, in caso di accordo concluso innanzi al sindaco, quest’ul- timo non può intervenire in ordine alla scelta dei coniugi di sta-

10) c.m. bianca, op. cit., 284.

11) e. quadri, La nuova legge sul divorzio. Profili patrimoniali, napoli, 1987, 34.

Art. 5, comma 6,

Legge n.

898/1970

Presupposti all’assegno divorzile

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bilire l’an ed il quantum dell’assegno divorzile. Tuttavia, l’ufficiale dello stato civile dovrà verificare che le volontà dei coniugi siano libere e che l’accordo non contrasti con norme imperative né con principi di ordine pubblico.

su accordo delle parti, la corresponsione può avvenire in un’unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di con- tenuto economico. L’art. 5, comma 8, così disponendo, consente alle parti di richiedere, in luogo dell’assegno periodico vitalizio, la somma in un’unica soluzione. si tratta di una prassi molto diffusa quando il divorzio succede a un matrimonio di breve durata, spes- so in assenza di figli.

La prestazione in un’unica soluzione non è la somma delle varie dazioni periodiche, né potrebbe esserlo, considerato che non è possibile prevedere la durata del diritto, nonostante la dazione in questione si configuri quale assegno vitalizio, seppure sino a quando permanga la medesima situazione. Condizioni necessarie affinché la corresponsione del denaro avvenga in un’unica soluzio- ne, è che vi sia in tal senso l’accordo dei coniugi e che il tribunale la ritenga equa sulla base di tutti i criteri di quantificazione stabiliti dallo stesso art. 5, al comma 6.

Va osservato, inoltre, che la corresponsione in un’unica solu- zione può avvenire, comunque, anche attraverso varie tranches, in particolare qualora si tratti di somme cospicue. Il comma 8 dell’art. 5 citato, chiarisce, inoltre, che l’unica dazione inibisce qualsiasi successiva domanda di contenuto economico, di talché il beneficiario non potrà, ai sensi dell’art. 9, proporre domanda di revisione in caso di sopravvenienze. Al fine di tutelare il coniuge che beneficia di un’unica prestazione, la giurisprudenza ha chia- rito che tale corresponsione non si può considerare quale reddito imponibile e, quindi, non è deducibile, ma costituisce un’attribu- zione patrimoniale.

Potrà accadere, perciò, che anche dinanzi al sindaco i coniugi si accordino per tale forma di corresponsione del mantenimento, considerato che si tratta di una modalità adottata in caso di divorzi congiunti e soprattutto in mancanza di figli minori o bisognosi di essere mantenuti.

Infatti, come si è detto e meglio si dirà nel prosieguo, condizio- ne per concludere l’accordo dinanzi al sindaco è che non ci siano figli minori o comunque che abbiano diritto al mantenimento.

Art. 5, comma 8:

correspon- sione del manteni- mento in un’unica soluzione

(26)

nel capitolo che segue ci si soffermerà sui limiti in cui, in caso di divorzio dinanzi al sindaco, potrà essere ammissibile tale tipo di mantenimento.

1.6 Modifica delle condizioni della separazione e del divorzio I provvedimenti assunti in materia di separazione e divorzio si riferiscono a situazioni specifiche suscettibili di modificarsi nel tempo a seguito di eventi nuovi.

si pensi a un figlio divenuto economicamente autonomo e quindi non più bisognevole di mantenimento, a un genitore che non appaia più idoneo a essere il genitore collocatario (quello presso cui la prole vive con continuità), a un ex coniuge che inizia una nuova vita affettiva basata su una convivenza stabile ovvero a un coniuge improvvisamente disoccupato che non possa più man- tenere l’altro coniuge.

In tutti questi casi la sentenza o il decreto di omologazione pronunciato anteriormente al nuovo evento non sarebbero più attuabili e si riferirebbero ad una realtà mutata. si dice, infatti, che i provvedimenti assunti in materia di separazione e divorzio sono emessi rebus sic stantibus, sono cioè basati sulla realtà del momen- to storico in cui vengono adottati.

Le norme che regolano il mutamento delle condizioni di sepa- razione e di divorzio sono, rispettivamente, l’art. 710 C.P.C. e l’art.

9 della Legge n. 898/1970.

Più specificamente, l’art. 710 C.P.C., intitolato “Modificabilità dei provvedimenti relativi alla separazione dei coniugi”, stabilisce che le parti possono sempre chiedere la modifica dei provvedi- menti riguardanti i coniugi e la prole.

La norma fa un generico riferimento soggettivo (coniugi e prole) e non oggettivo, cioè non specifica su quali aspetti possa essere modificato il provvedimento di separazione. Da ciò discen- de che il mutamento può riguardare tanto aspetti personali (ad esempio affidamento, regolamentazione degli incontri) quanto quelli patrimoniali (come revoca del mantenimento, costituzione del diritto al mantenimento o modifica del quantum debeatur).

nei rapporti tra i coniugi la maggior parte delle modifiche avrà carattere patrimoniale. In effetti, col tempo si possono modificare

Art. 710 C.P.C.:

modifica della separazione

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le condizioni economiche per una nuova e più prestigiosa assun- zione, per un licenziamento ovvero per cambiamenti nella vita personale che incidano anche sotto il profilo patrimoniale (si pensi a un coniuge che venga mantenuto e che successivamente instauri una relazione stabile con un altro soggetto).

Pertanto, ai nostri fini rilevano soprattutto i mutamenti di natura economica, considerato che innanzi al sindaco non pos- sono essere modificati provvedimenti relativi alla separazione in presenza di figli minori o che comunque vantino un diritto di mantenimento.

Per quanto riguarda il divorzio, invece, la norma di riferimento è contenuta nell’art. 9 della Legge n. 898/1970, come modificata dai successivi interventi legislativi, soprattutto la Legge n. 74/1987.

L’articolo in questione stabilisce che, qualora sopravvengano giu- stificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la parteci- pazione del pubblico ministero, può su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da cor- rispondere all’ex coniuge o ai figli.

nel nostro caso rileva esclusivamente la modifica del mante- nimento all’ex coniuge in relazione al quantum e alle modalità di corresponsione. si deve, inoltre, ricordare che se i coniugi avevano stabilito la forma del mantenimento in un’unica soluzione, non sarà possibile per l’ex coniuge beneficiario avanzare altre richieste economiche (cfr. paragrafo 1.5).

1.7 Le alternative al conflitto e la negoziazione assistita

negli ultimi anni è sorta e si è andata sviluppando la ricerca di un’alternativa al conflitto. Tale esigenza è stata avvertita per evita- re le lungaggini processuali – a causa delle quali a volte un diritto viene riconosciuto quando ormai non può essere più esercitato – ma anche per evitare che gli animi siano esacerbati dalla lite sca- turita in un procedimento giudiziario.

Tali ragioni riguardano ogni tipologia di procedimento giuri- sdizionale contenzioso, come dimostra l’introduzione della media-

Art. 9, Legge n.

898/1970:

modifiche al divorzio

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zione civile avvenuta con il D.Lgs. n. 28/2010, entrato in vigore il 20 marzo 2011. La mediazione è il procedimento attraverso il quale due parti in contrasto raggiungono un accordo “amichevole”

con l’aiuto di un professionista imparziale.

Tuttavia, la mediazione civile non riguarda i c.d. “diritti indi- sponibili”, tra cui rientrano anche quelli che sorgono dal matri- monio, così definiti in quanto riguardano in maniera pregnante la persona e la sua personalità.

Però, proprio i procedimenti relativi ai conflitti tra i coniugi che attingono la sfera intima ed emotiva dei soggetti coinvolti e spesso dei figli, richiederebbero una particolare attenzione e in essi certamente è più sentita l’esigenza di evitare che il dissidio possa essere troppo lacerante per i coniugi e gli altri componenti della famiglia, cioè la prole.

In questo senso, in passato si erano stabilite delle alternative al conflitto che non avevano la funzione di sostituirsi al sindacato del giudice, ma solo di raggiungere un accordo che potesse sfociare in una separazione consensuale o in un divorzio congiunto.

In questo modo erano fatte salve le volontà delle parti che avrebbero trovato riconoscimento dapprima nel ricorso e poi nel decreto di omologazione della separazione o nella sentenza di divorzio.

Questi rimedi sono la mediazione familiare e il diritto collabo- rativo.

In estrema sintesi, la mediazione familiare è un percorso che le coppie decidono di svolgere per dirimere i loro conflitti. Gli incon- tri si svolgono in un luogo neutro (c.d. “stanza di mediazione”), alla presenza di un professionista della materia terzo e imparziale (il mediatore), che guida i coniugi nell’affrontare il loro dissidio, al fine di trovare serenità e pervenire a un accordo che sia rispettoso dei diritti e delle sensibilità di tutti i soggetti coinvolti.

Il diritto collaborativo, invece, è una pratica relativamente recente in Italia.

In maniera estremamente succinta, può dirsi che la pratica collaborativa consiste nella svolgimento di diversi incontri tra i partner e i loro avvocati. Tutti, lealmente, cooperano perché siano affrontati i problemi precedentemente illustrati ai rispettivi difen- sori dai coniugi.

Mediazione civile ex D.Lgs. n.

28/2010

Mediazione familiare

Diritto collaborativo

(29)

Infine, quando sarà raggiunto un accordo soddisfacente, verrà redatto il ricorso per la separazione consensuale o il divorzio con- giunto.

Come si vede, questi strumenti – per il nostro ordinamento facoltativi – hanno la funzione di risolvere tutte le criticità del conflitto coniugale nei casi in cui il contrasto fosse forte e acceso, ma non prevedono che l’organo giurisdizionale sia sostituito nelle sue funzioni.

Diverso è il caso della negoziazione assistita così come codifi- cata dalla riforma. L’art. 2 del D.L. n. 132/2014, che apre il Capo II del testo normativo, definisce la convenzione di negoziazione assistita come l’accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevo- le la controversia tramite l’assistenza di avvocati iscritti all’albo.

L’accordo raggiunto dalle parti in conflitto non scaturisce in un giudizio innanzi al tribunale, ma si sostituisce al provvedimento del tribunale stesso. Esso non riguarda solo i procedimenti di sepa- razione e divorzio, ma si applica a molte altre controversie, escluse quelle di lavoro e previdenziali.

L’art. 2 predetto stabilisce che le Amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001, devono obbligatoria- mente affidare le convenzioni di negoziazione assistita alla propria avvocatura se presente.

Riguardo al contenuto della convenzione, è previsto che le parti devono stabilire un termine per espletare la procedura, ma, in ogni caso, tale termine non deve essere inferiore a un mese né superiore a tre mesi, prorogabile di altri trenta giorni su accordo delle parti.

Inoltre l’accordo non può riguardare diritti indisponibili o vertere in materia di lavoro, come già si è detto.

L’accordo, che deve essere raggiunto con l’assistenza di uno o più avvocati, deve essere redatto a pena di nullità in forma scritta.

Gli avvocati autenticano le firme delle parti coinvolte nell’accordo.

Infine gli avvocati hanno il dovere di informare i propri clienti della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assi- stita.

Per addivenire a un accordo di negoziazione assistita, una parte formula all’altra un invito a stipulare la convenzione indicando l’oggetto della controversia e contenente l’avvertimento che la mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione o il

Convenzione di negozia- zione assistita ex art. 2, D.L. n.

132/2014

stipula dell’accordo

(30)

suo rifiuto esplicito possono essere valutati dal giudice ai fini delle spese di giustizia, nonché ai fini della valutazione della temerarietà della lite.

si consideri, inoltre, ma non è il caso della separazione e del divorzio, che vi sono materie in cui l’esperimento della proce- dura di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. In altri termini, le parti, prima di promuovere un procedimento giurisdizionale devono tentare di raggiungere un accordo di negoziazione assistita. Tali procedimenti e la procedura necessaria sono contenuti negli artt. 3 e 4 della legge che stiamo analizzando (D.L. n. 132/2014 convertito in Legge n. 162/2014).

L’accordo raggiunto costituisce titolo esecutivo e titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale; inoltre, se con l’accordo le parti concludono un contratto o un atto soggetti a trascrizione, per pro- cedere alla trascrizione dello stesso, la firma del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale auto- rizzato a ciò.

si consideri ancora che dal momento in cui viene comunicato l’invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero della sottoscrizione della convenzione, si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data (comunicazione dell’invito o sottoscrizione) è impedita, per una sola volta, la decadenza, ma se l’invito non è accettato o è rifiutato nei termini di legge, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza che decorre dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati.

La norma non ha una formulazione felice, ma sta a significare che l’accordo o l’invito in tal senso interrompono la prescrizione e impediscono la decadenza.

La negoziazione assistita prevista per i casi di separazione e divorzio all’art. 6 del D.L. n. 132/2014, ha un iter per certi aspetti diverso e sarà illustrato nel capitolo che segue.

Qui è stato esaminato succintamente il procedimento generale che deve essere seguito per raggiungere un accordo di negoziazio- ne assistita, al fine di comprendere il significato di questa nuova forma di accordo molto simile alla transazione.

Limitatamente alla materia dei conflitti coniugali va osser- vato che, a differenza di quanto avviene per le altre forme di

La domanda giudiziale

negoziazione Iter assistita nei casi di separazione e divorzio ex art. 6, D.L. n.

132/2014

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superamento dei conflitti (mediazione familiare e pratica col- laborativa), con la negoziazione assistita non si vuole superare un dissidio in corso, ma trovare un’alternativa ai procedimenti innanzi all’autorità giudiziaria che già si sarebbero risolti in una separazione consensuale o in un divorzio congiunto. si tratta di procedure rapide che non comportavano un carico eccessivo per l’autorità giudiziaria.

Difficile, quindi, immaginare che la negoziazione assistita possa avere una reale funzione deflattiva del contenzioso.

Sintesi

Separazione: non cessano i reciproci diritti e doveri dei coniugi, ma si affievoliscono o si sospendono. I coniugi continuano a chia- marsi e a essere tali, il matrimonio non è sciolto.

Divorzio: si scioglie il matrimonio (se civile) o ne cessano gli effetti civili (se concordatario), ma persistono alcuni doveri come il mantenimento del coniuge economicamente più debole.

Modifica della separazione o del divorzio: se mutano le condi- zioni economiche o personali delle parti, possono essere modifi- cate le condizioni stabilite in precedenza.

Negoziazione assistita: una procedura che le parti in conflitto svolgono mediante l’ausilio degli avvocati per raggiungere un accordo che sostituisca la decisione giurisdizionale.

(32)
(33)

2.1 Introduzione

Il volume è rivolto agli ufficiali dello stato civile dei Comuni, per questa ragione verranno trattati di seguito gli articoli nei quali è previsto l’intervento dei predetti, nonché specificamente del sindaco.

Le norme in questione sono gli artt. 6, contenuto nel Capo II del D.L. n. 132/2014, e 12 che apre il Capo III.

Appare opportuno ribadire che la condizione essenziale per concludere una negoziazione assistita o la procedura innanzi al sindaco consiste nell’effettiva e libera volontà delle parti. In assen- za di tale presupposto non è possibile ricorrere a nessuno dei due strumenti di seguito analizzati.

2.2 Convenzione di negoziazione assistita

L’art. 6, intitolato “Convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio”, consta di 5 articolati commi.

Il primo comma stabilisce che la convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di sepa- razione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all’art. 3, comma 1, n. 2, lett. b), della Legge 1 dicembre 1970, n. 898 e s.m., di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

sul primo comma della norma è opportuno fare alcune consi- derazioni.

Art. 6, comma 1, D.L. n.

132/2014

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In primo luogo va osservato che la legge prescrive la presenza di almeno un avvocato per parte, quindi – a differenza di quanto avviene nelle separazioni consensuali e nei divorzi congiunti cele- brati in tribunale – i coniugi o gli ex coniugi non potranno farsi assistere da un unico legale che li rappresenti entrambi.

In secondo luogo, il ricorso alla negoziazione assistita è una procedura facoltativa che i coniugi potranno scegliere in alterna- tiva a quella innanzi all’organo giurisdizionale, nonché a quella innanzi al sindaco, quest’ultima sempre che non abbiano figli da mantenere. Tanto si evince dall’adozione del verbo potere: «può essere conclusa».

Infine, non ogni tipo di separazione o di divorzio potrà scaturi- re in una negoziazione assistita, ma solo:

1) la separazione consensuale, in cui, cioè, vi sia accordo in merito alla scelta stessa di separarsi;

2) il divorzio congiunto che sia domandato a seguito di separa- zione tra coniugi, anche giudiziale, purché la sentenza sia pas- sata in giudicato, ovvero sia stata omologata una separazione consensuale ovvero ancora sia intervenuta separazione di fatto quando essa sia iniziata almeno due anni prima del 18 dicem- bre 1970 (così è stabilito dall’art. 3, n. 2, lett. b) della Legge n.

898/1970, istitutiva del divorzio e a cui si riferisce espressamen- te l’art. 6, comma 1, del D.L. n. 132/2014).

È bene precisare che il D.L. n. 132/2014 non ha influito sui tempi necessari a ottenere il divorzio, nel senso che solo dopo tre anni dalla separazione è possibile formulare domanda di sciogli- mento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Più specificamente, i tre anni decorrono dall’udienza in cui i coniugi sono stati autorizzati a vivere separatamente.

Anche per addivenire a una negoziazione assistita in materia di modifiche di separazione e divorzio è necessario che sussista un accordo tra le parti riguardo ai mutamenti delle precedenti condizioni.

Il secondo comma dispone che in mancanza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, della Legge n. 104/1992 ovvero economica- mente non autosufficienti, l’accordo raggiunto a seguito di nego- ziazione assistita è trasmesso al Procuratore della Repubblica pres- so il tribunale competente il quale, quando non ravvisa irregolarità

Tempistiche

Art. 6, com- ma 2: nego- ziazione in

mancanza di figli Tipi di separazione o divorzio per cui è possibile la negoziazione assistita

(35)

comunica agli avvocati il nulla osta per gli ulteriori adempimenti (quelli di cui al comma 3). Invece, in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, l’accordo raggiunto deve essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al Procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, il quale, quando ritiene che l’accordo risponde all’interesse dei figli, lo autorizza.

Quando ritiene che l’accordo non risponda agli interessi dei figli, il Procuratore lo trasmette entro cinque giorni al Presidente del tribunale che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizio- ne delle parti e provvede senza ritardo. All’accordo autorizzato si applica il comma 3.

Il secondo comma, quindi, racchiude una parte importante della negoziazione, in quanto affronta le condizioni necessarie per l’effettiva conclusione dell’accordo.

nella stesura originaria del testo non era contemplata la nego- ziazione assistita in presenza dei figli, poi la norma è stata modi- ficata con il maxi emendamento anche se tale innovazione desta non poche perplessità.

Vengono, quindi, differenziati gli accordi a seconda che non ci siano figli minori o da mantenere ovvero che vi siano.

In particolare, vanno distinte due differenti situazioni.

La prima riguarda il caso in cui i coniugi o gli ex coniugi non abbiano figli o comunque non abbiano figli minorenni ovvero maggiorenni, ma incapaci o portatori di handicap gravi oppure maggiorenni, ma non ancora economicamente autosufficienti.

La seconda situazione è quella in cui la coppia abbia figli mino- renni ovvero maggiorenni, ma incapaci o portatori di handicap gravi che, per l’art. 337-septies, comma 2, C.C., sono equiparati ai figli minorenni ovvero figli maggiorenni, ma non indipendenti economicamente.

Invero per questi ultimi si pone un problema che l’articolo in commento non affronta. L’art. 337-septies C.C. stabilisce che il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, un assegno di mantenimento. Il Legislatore lascia, quindi, all’autorità giudiziaria la valutazione in ordine al mantenimento dei figli maggiorenni e, di regola, si stabilisce che essi debbano continuare ad essere man- tenuti sino ad una certa età, se la mancanza di redditi non si possa

Esistenza o meno di fi- gli minoren- ni, o mag- giorenni con handicap o economica- mente non autosuffi- cienti negozia- zione in presenza di figli

Art. 337- septies:

manteni- mento figli maggiorenni economica- mente non autosuffi- cienti

(36)

attribuire a loro inerzia o negligenza. Viene spontaneo chiedersi se sarà possibile concludere una negoziazione assistita in presenza di figli maggiorenni, magari quarantenni, non ancora autonomi economicamente. La lettura della norma dovrebbe far propendere per un’interpretazione restrittiva e, dunque, in tal caso si dovrebbe escludere la possibilità di accedere alla procedura in questione.

Come si è detto, la disciplina delle due ipotesi è differente, per- ché nel secondo caso appare opportuno un controllo giurisdizio- nale maggiormente incisivo. Vediamo di seguito, nel dettaglio, le situazioni che possono venirsi a creare:

a) la coppia non ha figli o non ha figli minorenni ovvero maggio- renni ma incapaci o portatori di handicap gravi ovvero ha figli maggiorenni, ma economicamente autosufficienti: l’accordo di negoziazione assistita è trasmesso dagli avvocati al Procuratore della Repubblica del tribunale competente per territorio, il quale, se non ravvisa irregolarità, comunica agli avvocati il nul- laosta per gli ulteriori adempimenti;

b) la coppia ha figli minorenni ovvero maggiorenni ma incapaci o portatori di handicap gravi ovvero maggiorenni, ma non ancora economicamente autosufficienti, l’accordo è trasmesso al Procuratore della Repubblica entro dieci giorni, il quale, se lo ritiene conforme all’interesse dei figli, lo autorizza. se, invece, il Procuratore ritiene che l’accordo non risponda all’interesse della prole, lo trasmette entro cinque giorni al Presidente del Tribunale che fissa un’udienza entro i successivi trenta giorni e provvede senza ritardo.

In estrema sintesi, quindi, è sempre previsto l’intervento del Procuratore, ma se questi ravvisi un accordo che contrasta con l’interesse dei figli che debbano essere mantenuti, trasmette gli atti al Presidente del tribunale e la procedura si trasforma in una separazione consensuale innanzi al giudice.

La norma appare carente, però, sotto alcuni profili: nulla dice per il caso in cui – in assenza di figli minori o incapaci o maggio- renni non autonomi economicamente – il Procuratore non rilasci il nulla osta, né stabilisce entro quanto tempo esso deve essere comunicato agli avvocati.

Il terzo comma dispone che l’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale,

Art. 6, comma 3

(37)

di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. nell’accordo si dà atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare. si dà anche atto che gli avvocati hanno informato le parti dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori. L’avvocato della parte è obbligato a trasmettere entro il termine di dieci giorni all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, una copia, autenticata dallo stesso, dell’accordo munito delle certificazioni di cui all’art. 5 (autentica delle firme e confor- mità a norme imperative e ordine pubblico).

Il capoverso in commento, quindi, stabilisce che, dopo il nulla osta o l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, la convenzione equivale ad provvedimento giurisdizionale di sepa- razione, divorzio o modifiche delle condizioni di separazione e divorzio.

specifica inoltre alcuni contenuti dell’accordo (che sarebbe stato preferibile inserire al comma 1), quali il tentativo di con- ciliazione, la prospettazione alle parti della mediazione familiare quale strumento per superare il conflitto, nonché, in caso di figli minori, l’importanza per questi ultimi di mantenere il rapporto con entrambi i genitori, anche in relazione al tempo da spendere con ambedue.

Inoltre, il comma 3 pone a carico degli avvocati delle parti l’obbligo di trasmettere entro dieci giorni dal nullaosta o dall’auto- rizzazione del Procuratore, l’accordo all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu trascritto (se concordatario) o iscritto (se civile). La copia, autenticata dall’avvocato, deve essere munita delle certificazioni previste dall’art. 5, cioè, le firme devono essere autenticate dagli avvocati i quali devono certificare la con- formità dell’atto alle norme imperative e all’ordine pubblico.

L’ufficiale dello stato civile per procedere alla trascrizione o all’iscrizione dell’accordo deve verificare che sussistano i seguenti requisiti:

- nullaosta o autorizzazione del Procuratore della Repubblica;

- autenticazione dell’avvocato dell’atto;

Contenuti dell’accordo

Trasmissio- ne con certifica- zione

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