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Capitolo VI

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Academic year: 2021

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Capitolo VI

Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi: Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, I vostri nati torcano il viso da voi.1

6.1 La nuova menzogna in politica e la distruzione delle verità di fatto.

In un secolo che ha visto l’inferno materializzarsi concretamente sulla terra con i campi di concentramento e l’olocausto la distorsione delle verità di fatto è quanto di più pericoloso e incauto ci possa essere in previsione di un futuro nel quale questo inferno non debba ripetersi. Se, come ci dice la Arendt, la differenza tra la menzogna del passato e quella moderna sta nella distinzione che esiste tra il «nascondere e il distruggere»2 cioè, nel fatto che la prima tipologia interessasse fatti noti a pochi mentre la seconda fatti noti ad interi popoli3, è nel rapporto che l’uomo intrattiene con il proprio passato che dobbiamo ricercare le cause di una tale cattiva evoluzione. L’arte della menzogna moderna e delle sue tecniche di stravolgimento e fabbricazione dei dati di fatto fanno parte dell’imprevedibilità4 propria dell’uomo e ne dimostrano il carattere fondamentalmente libero: se posta in uno scenario incondizionato dalla presenza degli “altri”, che fungano sì da confronto ma anche da limite, l’imprevedibilità dell’azione umana può, attraverso le moderne tecniche di manipolazione, andare a cambiare le carte del passato in proprio favore (o in favore di pochi).

1 Primo Levi, Se questo è un uomo.

2 Hannah Arendt, Verità e politica, op.cit., p. 63.

3 «I fatti che ho in mente sono pubblicamente conosciuti, eppure lo stesso pubblico che li conosce può con

successo, e spesso spontaneamente, proibirne la discussione pubblica e trattarli come se fossero ciò che non sono, cioè dei segreti». Ibidem, p. 41.

4 «Il bugiardo (...) è un attore per natura; dice ciò che non è perché vuole che le cose siano differenti da ciò che

sono, e cioè vuole cambiare il mondo. Egli trae vantaggio dall’innegabile affinità esistente tra la nostra capacità di agire, di cambiare la realtà e questa nostra misteriosa facoltà che ci consente di dire «il sole splende» quando sta piovendo a dirotto». Ibidem, p. 61.

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In altri termini, la nostra capacità di mentire - ma non necessariamente la nostra capacità di dire la verità - appartiene ai pochi chiari e dimostrabili dati che confermano l’esistenza della libertà umana. Se possiamo cambiare le circostanze nella quali viviamo, è perché siamo relativamente liberi da esse, e attraverso la menzogna abusiamo proprio di questa libertà snaturandola.5

Mentire è a tutti gli effetti un’azione frutto della diversità umana: «il guaio è, che il suo opposto, il mero dire i fatti, non conduce ad alcuna azione»6. Il punto d’incontro tra la realtà dei fatti e la volontà del bugiardo di cambiarli secondo il proprio progetto7 sta nell’immaginazione umana: «un tale cambiamento sarebbe impossibile se non fossimo in grado di astrarci mentalmente dal luogo in cui ci troviamo e di immaginare che le cose potrebbero essere diverse da come in effetti sono»8. Ciò che è più allarmante è che la menzogna moderna si è spinta anche oltre il semplice cambiamento delle circostanze fondamentali della realtà, arrivando a distruggere le testimonianze di quest’ultima. Come si potrebbe evitare un simile effetto negativo dell’imprevedibilità dell’azione individuale? Sentiamo di poter rispondere indicando la soluzione in quella memoria custodita dalla pluralità, la quale se da una parte è detentrice del senso comune, al quale il soggetto si rifà anche nel momento in cui dialoga con se stesso, dall’altra deve oggi più che mai fungere da limite al suo agire, poiché quest’ultimo è giunto a stravolgere anche ciò che più di tutto dovrebbe rappresentare un limite alle sue azioni, e cioè la realtà fattuale. Ma prima d’indagare nello specifico la necessità di contrastare la manipolazione dei dati di fatto e di limitare ciò che pure è essenziale nella pluralità umana, e cioè il carattere imprevedibile dell’uomo, vogliamo porre i termini della questione intorno alla menzogna in politica così come la stessa Arendt li predispone all’inizio del saggio Verità e Politica9, scritto durante il periodo seguito

5 Hannah Arendt, Verità e politica, op.cit., pp. 60- 61. 6 Ibidem, p. 61.

7 «Il bugiardo ha il grande vantaggio di sapere in anticipo cosa l’ascoltatore desidera o si aspetta di sentire».

Hannah Arendt, La menzogna in politica, op.cit., p. 13.

8 Ibidem, p. 11.

9 «Truth and Politics e The Conquest of Space and the Stature of Man sono le versioni rivedute di due articoli

apparsi rispettivamente nel 1967 e nel 1963. L’autrice inserì tali versioni nell’edizione del 1968 di una delle sue opere principali, Between Past and Future». Hannah Arendt, Verità e politica, op.cit., p.7.

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alla pubblicazione de La banalità del male e perciò contemporaneo all’aspra polemica creatasi intorno ad esso e alle accuse rivolte alla filosofa10.

La politica dice: «Siate prudenti come serpenti»; la morale aggiunge (come condizione limitativa) «e semplici come colombe». Se questi due precetti non possono coesistere in un unico comando, sorge veramente un conflitto della politica con la morale: ma se essi devono andare congiunti, allora l’idea del contrasto è assurda e la questione di vedere come si può risolvere quel conflitto non può porsi. Per quanto la massima: «L’onestà è la miglior

politica» implichi una teoria, che la pratica purtroppo assai spesso smentisce,

tuttavia la massima parimenti teoretica: «L’onestà è migliore di ogni

politica» è al disopra di ogni obiezione, è anzi la condizione indispensabile

della politica.11

Diversamente da ciò che Immanuel Kant attesta con queste parole presenti nell’appendice allo scritto Per la pace perpetua del 1795, e che indicano come direttiva suprema per ogni politica che si rispetti l’onestà, Hannah Arendt precisa che «le menzogne sono sempre state considerate dei necessari e legittimi strumenti non solo del mestiere del politico o del demagogo, ma anche di quello dello statista»12. Alla base dell’opinione della filosofa troviamo il principio secondo il quale non sempre la menzogna è utilizzata per un fine negativo, soprattutto nella vita quotidiana. Se infatti dovessimo dar ragion totalmente a Kant e al suo primato della ragione pratica sul resto, dovremmo allora credere che nascondere in casa un uomo inseguito da un assassino (o un’intera famiglia di ebrei al tempo del regime nazista) al quale in seguito non diremo la verità circa la nostra azione, sia da ritenersi un gesto indegno perché implicante una menzogna: ma Kant ci risponderebbe probabilmente con le parole di

10 Riportiamo a questo proposito alcune delle frasi provenienti dal carteggio tra la Arendt e il filosofo e teologo

israeliano Gershom Sholem: «Cara Hannah, ho ricevuto il tuo libro sul processo Eichmann sei settimane fa (...) temo che il tuo libro non sia privo di errori e distorsioni. (...) Il tuo libro oscilla tra due poli: gli ebrei e il loro comportamento al tempo della catastrofe e la responsabilità di Adolf Eichmann. (...) Su ogni punto decisivo, tuttavia, il tuo libro parla soltanto della debolezza della posizione degli ebrei nel mondo. Sono abbastanza disposto a riconoscere questa debolezza; ma ritengo che la tua insistenza su questo punto comprometta l’oggettività del resoconto e assuma quasi toni di malevolenza. (...) Proprio per il profondo rispetto che ho per te, avrò il coraggio di non tacere la mia risposta (...) Mi offende quel tono d’insensibilità, spesso quasi beffardo e malevolo, con cui queste questioni, che ci toccano nel vivo sono trattate nel tuo libro». «Eichmann a Gerusalemme» Uno scambio di lettere tra Gershom Scholem e Hannah Arendt, in Ebraismo e modernità, op.cit., pp. 215-216.

11 Immanuel Kant, Sulla discordanza tra morale e politica in ordine alla pace perpetua, in Antologia degli scritti politici di Immanuel Kant, Il mulino, Bologna, 1961, p. 136.

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Ferdinando I, fiat iustitia, pereat mundus13. A tal proposito la Arendt sottolinea come ne La

pace perpetua il filosofo di Könisberg intenda ridurre la drammaticità di tale frase precisando che «la giustizia deve prevalere anche se come risultato dovessero perire nel mondo tutti i furfanti», ma ciò non basta secondo la filosofa a ridurre le maglie troppo larghe di questo principio, in relazione alle diverse attenuanti che un caso concreto potrebbe presentare: esistono troppe e diverse situazioni che potrebbero smentire questo precetto dimostrando che mentire sarebbe l’unico modo per preservare l’umanità e la giustizia della situazione14. Alla base dell’antica diatriba tra verità e politica c’è l’importante questione del primato da attribuire o alla «verità del filosofo» e alle «opinioni della piazza»15. Questa frase ci conduce direttamente a rappresentarci da una parte il pensiero platonico che respinge la doxa 16 in favore della verità assoluta detenuta dal filosofo, e dall’altra la lezione di Lessing sulla necessità di respingere le verità ultime per facilitare il continuo dibattito tra uomini17: «Possiamo notare, tra parentesi, che l’idea stessa di «una nazione di filosofi» sarebbe stata una contraddizione in termini per Platone, la cui intera filosofia politica, inclusi i suoi espliciti tratti tirannici, si basa sulla convinzione che la verità non può né essere ottenuta né essere comunicata tra i molti»18. In fin dei conti non è propriamente della verità e della menzogna tradizionalmente conosciute e del loro utilizzo in politica che la filosofa intende principalmente trattare in questo scritto:

13 «Tale principio non vuol dire altro, se non che le massime politiche non devono muovere dalla considerazione

del benessere e della felicità, che ogni Stato può aspettarsi dalla loro esecuzione, e neppure dalla considerazione dello scopo che ogni Stato pone a oggetto del volere, come se tale scopo fosse il supremo (ma empirico) principio della sapienza politica, ma devono muovere dal concetto puro dell’obbligo giuridico (dal dovere, il cui principio a priori è dato dalla ragion pura), quali che possano essere le conseguenze fisiche che ne derivano.» Immanuel Kant, Sulla discordanza tra morale e politica in ordine alla pace perpetua, op.cit., pp. 146-147.

14 « La disumanità, legata al concetto di un’unica verità, emerge con particolare chiarezza nell’opera di Kant

proprio perché egli ha tentato di fondare la verità sulla ragion pratica; come se Kant, che tanto inesorabilmente aveva fissato i limiti cognitivi dell’uomo, non avesse potuto evitare di pensare che nell’azione l’uomo può comportarsi come un dio». Hannah Arendt, L’umanità in tempi bui, op.cit., pp. 90-91.

15 Hannah Arendt, Verità e politica, op.cit., p. 41.

16 «L’opposizione tra verità e opinione fu certamente la conclusione più antisocratica che Platone trasse dal

processo di Socrate. Socrate, non essendo riuscito a convincere la città, aveva mostrato che la città non è un posto sicuro per un filosofo, non solo nel senso che la sua vita non è sicura a causa delle verità che possiede...» Hannah Arendt, Filosofia e Politica,

17 «Lessing aveva delle opinioni ben poco ortodosse sulla verità. Rifiutava di accettare una verità quale che sia,

fosse anche quella fornitagli dalla provvidenza; non si sentiva mai costretto dalla verità, che essa fosse imposta dai ragionamenti propri o altrui, Se lo si fosse messo a confronto con l’alternativa platonica della doxa e della aletheia, dell’opinione e della verità, la sua decisione non avrebbe lasciato dubbi. Era felice - per usare la parola della sua parabola- che l’anello autentico, se pure mai esistito, fosse andato perduto; se ne rallegrava per amore dell’infinità delle opinioni in cui si riflette il dialogo degli uomini sulle questioni di questo mondo. Se l’anello autentico fosse esistito, ciò avrebbe comportato la fine del dialogo, quindi dell’amicizia e, in ultimo

dell’umanità». Hannah Arendt, L’umanità in tempi bui, op.cit., p. 88.

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La storia del conflitto tra verità e politica è antica e complessa, e la semplificazione o la denuncia morale non sarebbero di alcun aiuto.19

Volendo per un momento accantonare la verità insita in principi morali o scientifici il cui contrario è ravvisabile nell’«errore, nell’illusione e nell’opinione»20, la Arendt intende piuttosto spostare l’attenzione su ciò di cui non si dovrebbe neppure poter discutere il grado di veridicità, tanto che chiunque dovrebbe poter affermare con sicurezza “é così e non altrimenti” e cioè la “verità di fatto” il cui contrario è identificabile nella «falsità deliberata»21: essa «concerne eventi e circostanze in cui sono coinvolti in molti» ed «esiste nella misura in cui se ne parla»22. Nonostante la sua natura essenzialmente politica23 la verità di fatto dovrebbe porsi aldilà di qualsiasi accordo tra le parti24 e perciò essere esente da qualsiasi manipolazione umana, in questo senso è possibile affermare che essa «contiene un elemento di coercizione»25. Nonostante ciò le verità fattuali sono «più vulnerabili di tutti i tipi di verità razionali presi insieme»26 e la «probabilità» che esse «sopravvivano»27 intatte alla contraffazione è davvero ridotta nonostante la testimonianza di una collettività presente al loro accadimento. Se i russi non fossero arrivati a impedire la distruzione totale atta nei campi di sterminio e successivamente dei campi di sterminio per ordine dei loro stessi creatori, e se i sopravvissuti ai lager non avessero raccontato quanto accaduto all’interno di essi28,

19Hannah Arendt, Verità e politica, op.cit., p. 32. 20 Ibidem, p.59.

21 Ivi.

22 Hannah Arendt, Verità e politica, op.cit., p. 44.

23 Di contro la natura della verità filosofica sostenuta da Platone è di natura profondamente impolitica:«Dal

momento che la verità filosofica concerne l’uomo nella sua singolarità, essa è impolitica per natura. Se, ciò nonostante, il filosofo desidera la la sua verità prevalga sulle opinioni della moltitudine, egli subirà una sconfitta, ed è probabile che da questa sconfitta giungerà alla conclusione che la verità è impotente». Ibidem, p. 55.

24 Allo spazio pubblico è richiesto solo un riconoscimento non un atto creativo al riguardo. 25 Ibidem, p. 46.

26 Ibidem, p. 35. 27 Ivi.

28 Dalle parole di David Rousset citate a tal proposito dalla Arendt «Qui la notte è scesa sul futuro. Quando non

rimangono più testimoni, non ci può essere testimonianza». Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, op.cit., p. 618.

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nonostante la loro mostruosità, questi inferni sarebbero stati cancellati dalla storia29. Proprio i regimi totalitari novecenteschi i quali, abbattendo lo spazio pubblico fra gli uomini e inducendoli all’isolamento e all’estraniamento hanno potuto ingabbiarli in una realtà ideologica e artefatta, sono da ritenersi tra i primi distruttori delle verità di fatto30. Per quanto nulla possa essere “teoricamente” più incontrovertibile del passato, quindi di “ciò che è stato” e non può più essere cambiato, “concretamente” le dittature hanno osato rimuovere questo veto scoprendo che non vi è nulla di più manipolabile, insieme alle verità di fatto, della ricezione che di esse ha la mente umana, soprattutto nel momento in cui quest’ultima non è circondata da una pluralità che funga da custode alla memoria: «perché i fatti non hanno alcuna ragione decisiva per essere ciò che sono; essi avrebbero sempre potuto essere altrimenti, e questa fastidiosa contingenza è letteralmente illimitata»31. A questo proposito non possiamo non citare una situazione simbolo di questa procedura, presente nel libro 1984 di George Orwell 32. Winston Smith, il protagonista, vive in un superstato chiamato Oceania e amministrato da quella che può essere a tutti gli effetti definita una dittatura totalitaria guidata dal Grande Fratello. Winston lavora (neanche a farlo apposta) al Ministero della Verità organo preposto all’informazione del popolo, ma di fatto operante nel distruggere le prove materiali che andrebbero a contraddire ciò che di volta in volta il partito afferma:

Se il partito poteva ficcare le mani nel passato e dire di questo o quell’avvenimento che non era mai accaduto, ciò non era forse ancora più terribile della tortura o della morte? Il Partito diceva che l’Oceania non era mai stata alleata dell’Eurasia. Lui, Winston Smith, sapeva che appena quattro anni prima l’Oceania era stata alleata dell’Eurasia. Ma questa conoscenza, dove si trovava? Solo all’interno della sua coscienza, che in ogni caso sarebbe stata presto annientata. E se tutti quanti accettavano le menzogna

29 «Nelle ultime settimane di guerra la burocrazia delle SS si occupò soprattutto di fabbricare carte d’identità

false e di distruggere le montagne di documenti che attestavano sei anni di sistematico sterminio». Hannah Arendt, La banalità del male, op.cit., p. 227.

30 In questo senso anche il gergo burocratico è importante che stravolgere la realtà «Inoltre, tutta la

corrispondenza relativa alla questione doveva rispettare rigorosamente un determinato “gergo”, e se si eccettuano i rapporti degli Einsatzgruppen è raro trovare documenti in cui figurino parole crude come “sterminio”, “liquidazione”, “uccisione”. Invece di dire uccisione si dovevano usare termini come “soluzione finale”, “evacuazione” (Aussiedlung) e “trattamento speciale” (Sonderbehanhandlung); invece di dire deportazione bisognava usare parole come “trasferimento” o “lavoro in oriente” (Arbeitseinsatz im Osten), oppure se si parlava di persone dirette a Theresienstadt (il cosiddetto “ghetto dei vecchi”, per categorie privilegiate di ebrei), si doveva dire “cambiamento di residenza”, in modo da dare l’impressione che si trattasse di provvedimenti temporanei». Ibidem, p. 93.

31 Hannah Arendt, Verità e politica, op.cit., p. 50. 32 Scritto nel 1948 ma pubblicato l’anno seguente.

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imposta dal Partito, se tutti i documenti raccontavano la stessa favola, ecco che la menzogna diventava un fatto storico, quindi vera. “Chi controlla il passato” diceva lo slogan del Partito “controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato”. E però il passato, sebbene fosse per sua stessa natura modificabile, non era mai stato modificato. Quel che era vero adesso, lo era da sempre e per sempre. Era semplicissimo, bastava conseguire una serie infinita di vittorie sulla propria memoria. Lo chiamavano “controllo della realtà”.33

Prima abbiamo affermato che la menzogna moderna è ben più terribile di quella tradizionale perché va a stravolgere, se non a distruggere, dati di fatto noti a più persone che rappresentano testimonianze di quegli eventi: è chiaro che questi divengono ancora più delicati e camuffabili nel momento in cui di essi si potrebbe ritrovare traccia solo attraverso delle immagini34 o delle opere scritte35. Si può avere un opinione su un dato di fatto36 ma non si dovrebbe poter trasformare un dato fatto in un’opinione: che durante la rivoluzione Russa sia esistito un influente rivoluzionario di nome Lev Trotzky37 in seguito escluso per decisione di Stalin non è un opinione ma è un fatto, così come l’esistenza dei capi di concentramento durante il regime nazista, benché correnti quali il negazionismo ancora oggi tendano a rinnegarli, è un fatto e non un’opinione. Se possiamo distinguere tra questi due poli è perché tra i sopravvissuti ai lager in tanti, benché durante la prigionia («senza più forza per ricordare»38) avessero dovuto scegliere la via dell’oblio per rimanere in vita, da liberi hanno deciso d’interrompere la dimenticanza per “rivelare” ciò che hanno subito visto e sentito, restituendo al mondo quelle verità di fatto terribili ma concretamente successe. È necessario che ciò 33 George Orwell, 1984, Mondadori, Milano, 2010, pp. 44-45.

34 «Secondo le parole di Montaigne: «Se la falsità, come la verità, non avesse che un volto, sapremmo regolarci

meglio, poiché prenderemmo allora per certo l’opposto di ciò che il bugiardo dice. Ma l’inverso della verità ha mille forme e un campo sconfinato»». Hannah Arendt, Verità e politica, op.cit., p. 70.

35 «Senza un’azione che possa immettere nel gioco del mondo il cominciamento di cui ogni uomo è capace in

virtù della sua nascita, “non c’è nulla di nuovo sotto il sole”, senza il discorso, che rende reali e suscettibili di ricordo, per quanto provvisoriamente, le “nuove cose” che appaiono e risplendono, non sarebbe possibile “la memoria”; senza la permanenza degli artifici umani, non potrebbe esistere “alcuna memoria” delle cose passate e di quelle che verranno”. E senza potere lo spazio dell’apparire mantenuto in vita dall’azione e dal discorso svanirebbe con la stessa rapidità con cui si dileguano gli atti e le parole viventi» Hannah Arendt, Vita activa, op.cit., p. 150.

36 «Il processo stesso di formazione dell’opinione è determinato da coloro al posto dei quali si pensa e si usa la

propria mente, e l’unica condizione di questo esercizio dell’immaginazione è l’essere disinteressati, la liberazione dai propri interessi privati». Hannah Arendt, Verità e politica, op.cit., p. 49.

37«Quando Trockij apprese di non aver mai svolto un ruolo nella Rivoluzione russa, deve aver capito che era

stata firmata la sua sentenza di morte. È chiaro che eliminare una figura pubblica dagli archivi di storia è più facile se, allo stesso tempo, essa può essere eliminata dal mondo dei viventi.» Ibidem, p. 63.

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accada e che il soggetto arrivi a “narrare” la sua storia perché questa venga “riconosciuta” dagli altri e possa esistere nello spazio pubblico: a livello collettivo per restituire al senso comune degli uomini ciò che rischiava di andare perso, preservandone così la memoria in vista di un ammonimento futuro, e a livello individuale per rompere l’oblio e rendere possibile al superstite di ristabilire un contatto di consapevolezza con il proprio passato ma anche con il proprio presente, così da poterlo “padroneggiare” e potergli restituire un senso che valga anche per gli altri:

“Il senso di un’azione si rivela solo quando l’azione si è compiuta e diventata una storia suscettibile di narrazione. “Padroneggiare” il passato è possibile solo nella misura in cui si racconta ciò che è accaduto; d’altra parte, tale narrazione, che dà forma alla storia, non risolve alcun problema e non allevia alcuna sofferenza; non padroneggia nulla una volta per tutte. (...) Finché il senso degli eventi rimane vivente - e ciò può durare molto a lungo - “il padroneggiamento del passato” può assumere la forma di un’incessante narrazione. 39

La memoria così come la vera umanità si crea infra gli uomini testimoni totali o parziali degli eventi. Nel momento in cui le testimonianze vengono a mancare è il ruolo dello storico naturalmente a rivestire un’importanza basilare: «È vero, ci vorrebbe molto di più dei capricci degli storici per eliminare dalla storia il fatto che nella notte del 4 agosto 1914 le truppe tedesche hanno varcato la frontiera del Belgio; ciò richiederebbe non meno di un monopolio del potere sull’intero mondo civilizzato»40. L’abolizione del diritto alla memoria e al martirio come dati di fatto che potessero servire da simulacri per lo sviluppo della pietà tra gli uomini ha rappresentato inoltre, uno dei punti fondamentali della politica dei regimi totalitari, sia dentro che fuori dai lager: «Uno dei metodi più raffinati dei regimi totalitari del nostro secolo consiste appunto nell’impedire agli oppositori di morire per le loro idee, di una morte grande, drammatica, da martiri»41. Il diritto alla memoria e alla conoscenza delle verità fattuali è necessario allo spazio pubblico perché il suo senso comune si basi su fondamenta oneste e reali così da poter costituire negli individui un forte e quanto più veridico senso del giudizio, anche soprattutto quando questi sono posti in solitudine e costretti al dialogo con se stessi: per

39 Hannah Arendt, Vita activa, op.cit., p. 78. 40 Hannah Arendt, Verità e politica, op.cit., p. 45. 41 Hannah Arendt, La banalità del male, op.cit., p. 239.

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quanto un individuo possa disdegnare o ammirare l’utilizzo delle camere a gas nei campi di concentramento nazista, la loro esistenza deve essere posta come un dato imprenscindibile.

È vero che a uno sguardo retrospettivo - cioè in una prospettiva storica - ogni successione di eventi appare come se non sarebbe potuta accadere altrimenti, ma ciò costituisce un’illusione ottica, o piuttosto, esistenziale: nulla potrebbe mai accadere se la realtà, per definizione, non uccidesse tutte le altre potenzialità originariamente inerenti a ogni data situazione.42

A proposito dell’importanza della fattualità e del diritto al ricordo come strumento necessario che concorra a sviluppare la capacità di giudizio collettiva e quindi individuale, la Arendt evidenzia come la concretezza fattuale di un gesto estremo, poi passato alla storia, di fatto possa influenzare più tangibilmente della semplice “persuasione” della verità filosofica. La filosofa prende a modello di questa riflessione proprio il precetto socratico testimoniato da Platone “è meglio subire il male che fare il male”, attestando come pur avendo la forma di una verità filosofica esso sia di fatto entrato a far parte dell’etica universale sin dai tempi antichi grazie al martirio del suo autore:

Socrate decise di mettere in gioco la sua vita su questa verità, per dare l’esempio, non quando è comparso davanti al tribunale ateniese, ma quando ha rifiutato di fuggire la sentenza di morte. E questo insegnamento attraverso l’esempio è, in effetti, l’unica forma di «persuasione» di cui la verità filosofica è capace senza perversione o distorsione; per la stessa ragione, la verità filosofica può diventare «pratica» e ispirare l’azione senza violare le regole dell’ambito politico, soltanto quando riesce a diventare manifesta sotto forma di esempio.43

È più facile che una verità filosofica entri a far parte del senso comune del tessuto plurale attraverso l’esempio concreto nella storia, rispetto ad una verità di fatto che in sé non abbia alcun principio «manifesto»44 da propugnare: in ciò è ravvisabile un’ulteriore elemento di fragilità della realtà fattuale nel momento in cui essa dev’essere difesa da manipolazioni

42 Hannah Arendt, Verità e politica, op.cit., p. 51. 43 Ibidem pp. 56-57.

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esterne, libere di dare il senso che vogliono agli stravolgimenti dei fatti che mettono in pratica. In ultima battuta vorremmo accennare alla particolare condizione di chi45 attua la menzogna ai danni delle verità di fatto: la condizione cioè di chi perpetuando l’inganno ai danni della realtà deve necessariamente arrivare ad autoingannare anche se stesso per avere successo. A differenza del bugiardo tradizionale infatti quello moderno, che intenda distruggere le prove “della realtà” per sostituirle con quelle “di un’altra realtà”, deve necessariamente autoingannarsi per completare l’opera di sostituzione, e questo perché la sua stessa coscienza sdoppiata tra verità e falsità costituirebbe una prova della sua colpevolezza e una contraddizione in termini del suo operato. Il manipolatore deve “essere” (e non “sembrare”) sincero per poter mettere in pratica ciò che ha cominciato, tanto da arrivare a vivere la stessa condizione di chi è ingannato dalla sua menzogna:

Un aneddoto medioevale illustra quanto può essere difficile mentire agli altri senza mentire a se stessi. È una storia che narra ciò che accadde una notte in una città sulla cui torre di guardia una sentinella era in servizio giorno e notte per avvertire la popolazione dell’approssimarsi del nemico. La sentinella era un uomo incline agli scherzi e quella notte suonò l’allarme giusto per far prendere un piccolo spavento alla popolazione della città. Il suo successo fu travolgente: tutti si precipitarono alle mura e l’ultimo a precipitarsi fu la sentinella stessa.46

6.2 La menzogna contemporanea e il problema degli arcana imperii.

Nello scritto del 1972 La menzogna in politica incentrato sulle riflessioni circa il caso dei Pentagon Papers47, la Arendt arriva a distinguere nello specifico due tipologie di menzogna contemporanee, figlie della società dei consumi e dei mass media: quella delle «public relations»48 e quella dei «problem-solvers»49. I primi hanno origine con la pubblicità e hanno

a che fare solamente con “opinioni”, devono infatti, attraverso indagini di mercato, carpire il 45 «Essi generalmente appartenevano alla ristretta cerchia degli uomini di Stato e dei diplomatici». Ibidem, p. 64. 46 Hannah Arendt, Verità e politica, op.cit., p. 65.

47 «Quei documenti segreti, conosciuti come i Pentagon Papers, erano il resoconto completo delle teorie , delle

strategie, delle valutazioni interne, dei processi decisionali dei cosiddetti esperti del Pentagono, una sorta di memorandum ad uso interno lungo 47 volumi, voluto dall’allora segretario della Difesa Robert S. McNamara, per fare il punto sulla catastrofica piega che la guerra in Vietnam aveva preso». Olivia Guaraldo, Prefazione a La menzogna in politica, op.cit., p. IX.

48 Hannah Arendt, La menzogna in politica, op.cit., p. 15. 49 Ibidem, 19

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modo d’ influenzare l’opinione politica della collettività attraverso la pubblicità: «l’unica limitazione a ciò che l’uomo delle pubbliche relazioni può fare si ha quando egli scopre che le stesse persone che possono forse essere “manipolate” poiché acquistino una determinata marca di sapone non possono essere manipolate a “comprare” opinioni e convinzioni politiche»50. I problem-solvers51 invece sono figure nascoste ma di alto livello all’interno degli apparati governativi: costoro da buoni «innamorati della teoria»52, sono coloro che cercano continuamente d’inquadrare la contingenza della realtà entro dei modelli teorici che ne azzerino l’imprevedibilità, disdegnando spesso così la realtà fattuale. L’oggetto di questo saggio ruota intorno alla vicenda seguita alla pubblicazione da parte del “New York Times” di resoconti segreti, i Pentagon Papers, portati alla luce da un ex membro del Pentagono: dietro a queste riflessioni ci sono per l’appunto i problem-solvers. All’interno di questi documenti top secret risulta chiara la convinzione da parte di questi “tecnici” dell’inutilità della guerra del Vietnam e il fatto che essa venisse perpetuata per non scalfire l’immagine della superpotenza americana.

Che la dissimulazione, la falsità e il ruolo della menzogna deliberata siano diventati i temi principali dei Pentagon Papers, piuttosto che l’illusione, lo sbaglio, l’errore di calcolo e simili, è principalmente dovuto al fatto che le decisioni errate e le affermazioni menzognere hanno sistematicamente violato gli accuratissimi resoconti fattuali prodotti dai servizi segreti, almeno stando a quanto riportato nell’edizione Bantam. Il punto cruciale qui non è semplicemente il fatto che la politica della menzogna sia stata solo di rado rivolta contro il nemico (questo è uno dei motivi per cui i Papers non contengono rivelazioni circa i segreti di Stato che l’Espionage Act avrebbe coperto), ma che sia stata destinata principalmente, se non esclusivamente, ad un uso interno, alla propaganda nazionale, e con l’obbiettivo primario di ingannare il Congresso. (...) Ancor più interessante è il fatto che la stragrande maggioranza delle decisioni in questa disastrosa impresa sono state prese con la piena consapevolezza che, verosimilmente, esse non

50Hannah Arendt, La menzogna in politica, op.cit., p. 15.

51 «convocati al governo dalle università e dai vari think tanks, alcuni dei quali già esperti di game theories e

analisi di sistema (...) Un significativo numero di quelli che presero parte all’indagine voluta da McNamara appartiene a questo gruppo, formato da diciotto ufficiali militari e diciotto civili provenienti da vari centri studio, dalle università e dagli organismi governativi». Ibidem,p. 19.

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avrebbero potuto venir attuate: perciò gli obiettivi dovevano mutare continuamente.53

In un’epoca dove l’immagine è tutto, soprattutto in relazione al delicato momento storico seguito alla fine della seconda guerra mondiale e all’inizio della guerra fredda, l’America necessita di trovare nuovi espedienti per continuare una conflitto in fin dei conti inutile ma che non può “perdere” agli occhi del mondo54: «L’obiettivo era diventato l’immagine stessa, come risulta evidente anche dallo stesso linguaggio adottato dai problem-solvers, con i loro “scenari” e il loro “pubblico”, termini presi a prestito dal teatro». Ciò che la Arendt ritiene interessante è che la preoccupazione dei problem-solvers, non era tanto quella di trovare concretamente una via efficace per porre fine ad una guerra che di fatto stava mietendo vittime inutilmente55 e che resoconti dettagliati dell’intelligence in tal senso testimoniava, ma di trovare il modo per far uscire la rispettabilità dell’America il più vittoriosamente possibile dal conflitto: è in ciò la filosofa ravvisa una certa somiglianza con la politica di menzogne sistematiche dei regimi dittatoriali. La menzogna in politica di tipo moderno che disdegna la realtà fattuale vede la propria evoluzione da scopi folli ma concreti, quali “la conquista del mondo” nazista, a «la battaglia per aggiudicarsi il favore della gente» da parte di una superpotenza già dominante all’interno del panorama internazionale, e che per tal motivo altrettanto follemente e comparabilmente ai regimi dittatoriali, appronta sistemi e strategie noncuranti della realtà fattuale.

Abbiamo voluto accennare, senza approfondire ulteriormente in senso storico, alle argomentazioni di Hannah Arendt intorno a questa vicenda dei Pentagon Papers per indurre ad una possibile e più attenta riflessione futura in merito alla politica strategica e segreta dei sistemi governativi contemporanei. Tale riflessione dovrebbe trarre ispirazione, senza andare troppo lontano, direttamente dalla presente quotidianità che vede da una parte collettività

53 Hannah Arendt, La menzogna in politica, op.cit., p. 27.

54 «Tutti questi obiettivi erano presenti allo stesso tempo, quasi alla rinfusa; nessun nuovo scopo doveva

annullare i precedenti. Ognuno di essi, in effetti, si rivolgeva ad un «pubblico» diverso, e per ognuno bisognava creare un diverso «scenario»». Ibidem, p. 31.

55 «Sarebbe interessante sapere cosa ha permesso all’intelligence di rimanere così in contatto con la realtà in

questa «atmosfera da Alice nel paese delle meraviglie», che i Papers ascrivono alle strane operazioni del governo di Saigon ma che, vista retrospettivamente, sembra descrivere in modo più efficace il mondo de-fattualizzato dove gli obbiettivi politici venivano fissati e le decisioni militari venivano prese». Ibidem, p. 39.

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profondamente disilluse da politiche sempre più pubblicamente contraddittorie56, e dall’altra l’incessante controversia a proposito della necessità o meno che i cittadini vengano a conoscenza di una serie d’informazioni top secret che, teoricamente, gli vengono nascoste per il bene del paese: il caso dell’iniziativa partita dell’attivista e programmatore Julian Assange e del suo sito Wikileaks nel quale sono stati resi pubblici migliaia e migliaia di documenti top secret di diversi stati parla chiaro in tal senso, insieme al fatto che l’opinione pubblica si divide circa la colpevolezza o meno dello stesso Assange. In un mondo dove è risaputo che ogni governo detiene dei segreti di stato ai propri cittadini, cosa comporterebbe la pubblicazione totale di questi segreti? In quale grado nelle collettività sarebbe una “massa” e non una “pluralità” a riceverli? Il caso Assange rappresenta solo la più eclatante delle forme di rivolta a questa politica del segreto degli «arcana imperii»57 che sembra essere atta non solo alla difesa delle nazioni tra loro ma anche dei cittadini tra loro (o dello stato rispetto ai cittadini?). La domanda riassuntiva di tutte queste riflessioni, di origine profondamente arendtiana, che secondo noi dovrebbe animare un dibattito futuro in tal senso è: in verità a chi giova la segretezza, se non la menzogna deliberata, della politica contemporanea?

56 Nel più semplice dei casi esse si scandalizzano moderatamente e dimenticano in fretta se un politico arriva a

farsi beffe delle verità di fatto per esempio smentendo da un giorno all’altro azioni e affermazioni proprie dichiarate in pubblico.

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