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LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO BIOLOGICO IN SEDE INAIL E RAPPORTI TRA RESPONSABILITA’ CIVILE ED ASSICURAZIONE OBBLIGATORIA

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LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO BIOLOGICO IN SEDE INAIL E  RAPPORTI TRA RESPONSABILITA’ CIVILE ED ASSICURAZIONE 

OBBLIGATORIA 

Dr. Ettore Savino   

     

PREMESSA  

La stagione del danno alla persona si è aperta un quarto di secolo fa ed è stata  una  storia  di  rivoluzioni  che  non  si  sono  ancora  concluse;  infatti,  la  letteratura  su  tale  danno è ormai  a tal punto vasta che la si può richiamare solo attraverso rinvii. 

Negli  anni  settanta  il  tema  del  danno  alla  persona  è  vissuto  ai  margini,  nelle  sentenze  di  merito  e  nelle  riviste  specializzate.  L'inizio  degli  anni  ottanta  ne  ha  segnato il trionfo. Poi sono venuti gli anni delle contese e delle divisioni. 

Oggi, dopo un quarto di secolo, siamo nuovamente di fronte ad una rivoluzione  attesa:  il  progetto  di  riforma  del  codice  civile  ed  il  problema  dell'adeguamento  dell’illecito, previsto dal diritto civile italiano, agli schemi europei. 

 

PERCORSO STORICO 

Negli  anni  settanta  la  dottrina  civilistica,  in  stretto  contatto  con  la  medicina  legale e con alcune Corti di merito, creò le premesse per la soluzione operativa della  risarcibilità del danno alla persona e la conseguente frantumazione della categoria  del danno non patrimoniale. Infatti, fu affermata la distinzione tra le conseguenze  patrimoniali  dell'evento  lesivo  e  la  lesione  dell'integrità  psico‐fisica  in  sé  e  per  sé  considerata. 

La  Corte  Costituzionale  fornì  un  suo  primo  fondamentale  contributo  alla  costruzione  del  nuovo  sistema  risarcitorio  del  danno  alla  persona,  configurando  il 

"diritto  alla  salute",  di  cui  all'art.  32  della  Costituzione,  "come  diritto  primario  ed  assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati" e sostenendo  la piena  risarcibilità  di  tutti  "gli  effetti  della  lesione  al  diritto,  considerato  come  posizione  soggettiva autonoma, indipendentemente da ogni circostanza o conseguenza". 

Nel  1986,  con  un  ulteriore  intervento,  la  Corte  Costituzionale,  tracciò  definitivamente,  per  il  risarcimento  dei  danni  alla  persona,  lo  schema  risarcitorio   caratterizzato da tre distinte categorie: il danno biologico (danno evento risarcibile 

 Dirigente Winterthur, Milano 

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a prescindere da qualsiasi compromissione del reddito), il danno patrimoniale ed il  danno morale  subiettivo (questi ultimi qualificati come danni conseguenza).  

Nella  decisione  in  questione  la  Corte  rilevò,  altresì,  che  il  danno  biologico  non  coincide  con  la  "lesione  della  salute”;  mentre  il  primo  è  l'evento  naturalistico,  da  provare  in  ogni  caso,  la  lesione  della  salute  è    "l'essenza  antigiuridica  dell'intero  fatto realizzativo del danno biologico", che si concretizza nel momento stesso in cui  si genera, in interezza, il fatto costitutivo dell'illecito. 

Nell'ultimo  decennio  si  è  poi  assistito  alla  riconduzione  nella  figura  del  danno  biologico di tutta una serie di voci risarcitorie autonome, elaborate in precedenza,  tra le quali il danno estetico, il danno alla vita di relazione, il danno alla vita sessuale,  l'incapacità  lavorativa  generica:  e  ciò  ha  dato  luogo  al  c.d.  "fenomeno  dell'assorbimento". 

Contemporaneamente  al  fenomeno  dell'assorbimento,  si  è  verificato  un  progressivo  allargamento  del  danno  biologico  ben  al  di  fuori  della  sua  matrice  medico‐legale,  sino  alla  decisione  della  Corte  Costituzionale  del  1994,  n.  372. 

Questa sentenza ha lasciato il segno soprattutto per quanto riguarda l'affermazione  che  "il  danno  biologico,  al  pari  di  ogni  altro  danno  ingiusto,  è  risarcibile  soltanto  come  pregiudizio  effettivamente  conseguente  ad    una  lesione"  e,  pertanto,  deve  essere sempre dimostrata la sussistenza di una patologia. 

 

IL DANNO BIOLOGICO OGGI  

Allo  stato  attuale,  per  danno  biologico  si  intende  ogni  menomazione  dell'integrità  psico‐fisica    della  persona,  apprezzabile  dal  punto  di  vista  medico  legale e risarcibile a prescindere dalle eventuali conseguenze patrimoniali (così si è  espressa la Corte Costituzionale con la sentenza n. 356 del 1991). 

Conseguenza di tale assunto è la definizione di danno biologico, ormai costante  nei precedenti giurisprudenziali, in base alla quale, nel concetto in esame, si intende  ricompresa  "la menomazione arrecata all'integrità psicofisica della persona in sé e  per sé considerata, incidente sul valore umano in ogni sua concreta dimensione, che  non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma  delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell'ambiente in cui la vita si esplica, ed  aventi  non  solo  rilevanza  economica,  ma  anche  spirituale,  sociale,  culturale  ed  estetica". 

Questa  definizione  si  ispira  alla  concezione  "unitaria"  del    danno  biologico  che  mette in evidenza, oltre che l'aspetto statico, anche gli aspetti dinamici del danno  medesimo,  cioè  le  conseguenze  negative  della  lesione  sulla  vita  quotidiana  della  vittima  e,  in  virtù  di  tale  assunto,  si  è  recentemente  assistito  alla  liquidazione  

"personalizzata" del danno alla salute. 

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CRITERI LIQUIDATIVI DEL DANNO BIOLOGICO 

La problematica della liquidazione del "danno biologico", nonostante i tentativi  fatti  anche  recentemente  dal  legislatore  di  regolamentare  in  modo  uniforme  la  complessa  materia  del  risarcimento  del  danno  alla  persona,  rimane  ancora  oggi  affidata  alla  giurisprudenza  di  merito,  fatta  eccezione  per  il  danno  biologico  indennizzato dall’Inail e per quello relativo alle c.d. micropermanenti, limitatamente  alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. 

Occorre  tuttavia  sottolineare    che  i  diversi  metodi  liquidativi  utilizzati  dalla  stessa  giurisprudenza  si  sono  andati,  con  il  trascorrere  del  tempo,  riducendo  ed  uniformando. 

Sino a poco tempo fa si può dire che coesistessero nel nostro Paese  quattro  diversi modi di liquidare il  danno biologico: a) liquidazione in via puramente 

equitativa ; b) liquidazione secondo il metodo genovese (o del triplo della pensione  sociale); c) liquidazione secondo il metodo pisano (o del calcolo a punto); d) 

liquidazione secondo il metodo milanese (o del punto tabellare). 

Nell'ultimo  periodo,  la  giurisprudenza  ha  optato  decisamente  per  il  criterio  del  calcolo  a  punto  e,  all'interno  di  questa  categoria,  sono  compresi    i  casi  in  cui  i  magistrati hanno fatto ricorso ad uno strumento tabellare. 

Le tabelle del Tribunale di Milano, oltre ad essere le prime ad introdurre questo  metodo  risarcitorio,  sono  anche  quelle  che  hanno  avuto  maggiore  diffusione  sull'intero territorio nazionale e sono odiernamente applicate dai seguenti fori: Asti,  Biella,  Como,  Ferrara,  Firenze,  Foggia,  Genova,  Gorizia,  Imperia,  Ivrea,  Lecco,  La  Spezia, Messina, Monza, Napoli, Novara, Parma, Pinerolo, Pavia, Potenza, Teramo,  sez. lav. Torino, Trapani, Udine, Varese. 

Le tabelle liquidative sono state predisposte in modo che il valore del punto ‐ e  quindi  il  risarcimento  ‐  venga  determinato  seguendo,  da  un  lato  un  criterio  progressivo,  in  relazione  alla  gravità  della  menomazione  permanente  e,  dall’altro,  un criterio regressivo, in relazione all'età del danneggiato. 

Il criterio progressivo, in pratica, fa variare il risarcimento in modo non uniforme,  ma  più  rapidamente  all'aumentare  della  gravità  delle  menomazioni,  sul  presupposto  che  il  danno  diventa  sempre  più  pesante  secondo  una  progressione  geometrica  e  non  aritmetica;  il  criterio  regressivo  trova  la  sua  ratio  nella  considerazione  che,  tenuto  conto  della  vita  media  probabile  di  ciascun  danneggiato,  il  soggetto  leso  in  giovane  età  dovrebbe  sopportare  più  a  lungo  l'incidenza della menomazione nella vita quotidiana, rispetto al soggetto leso in età  avanzata. 

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Le tabelle, ovviamente, forniscono sempre valori puramente indicativi, dai quali  il giudicante ben può discostarsi, adottando, in tal caso, una congrua motivazione. 

Oggi,  il  grosso  problema  nel  nostro  paese  è  quello  di  avere  ancora  tabelle  con  valori differenti, adottate presso le varie sedi giudiziarie, fatta eccezione per quella  relativa alle c.d. micropermanenti, di recente adozione legislativa. 

Le tabelle, infatti, se sono servite ad ottenere l'omogeneità all'interno dei singoli  Palazzi di giustizia, tuttavia non sono riuscite a conseguire il medesimo risultato nel  Paese, ove le differenze liquidative sono rimaste molto marcate da zona a zona. 

Negli  ultimi  anni  vi  sono  stati  vari  tentativi  del  legislatore  di  regolamentare  in  modo uniforme la complessa materia del risarcimento del danno alla persona, ma  gli stessi sono tutti puntualmente falliti, eccezion fatta per il d. lgs. 28.02.2000, n. 38  e per la legge 20.03.2001, n. 57, sui contenuti dei quali ci soffermeremo più avanti. 

 

IL DECRETO LEGISLATIVO 28 FEBBRAIO 2000, N. 38 

Il  processo  di  riforma  dell’assicurazione  obbligatoria  contro  gli  infortuni  sul  lavoro e le malattie professionali prende il via con la legge 17 maggio 1999, n. 144,  nella  quale  è  prevista  la  delega  del  Parlamento  al  Governo  per  il  riordino  della  normativa che disciplina l’Inail. 

In  particolare,  l’art  55,  comma  1,  delega  il  Governo  ad  inserire  il  danno  biologico  quale  oggetto  dell’assicurazione  obbligatoria,  imponendo,  giocoforza,  una definizione normativa di tale danno. 

In  attuazione  di  tale  delega,  il  governo  ha  emanato  il  d.  lgs.  38/2000,  contenente  “disposizioni  in  materia  di  assicurazione  contro  gli  infortuni  e  le  malattie professionali”.  

Le  principali  novità  contenute  nel  decreto  riguardano  non  solo  l’indennizzo  del  danno  biologico,  ma  anche  la  definizione  di  infortunio  in  itinere  e  l’estensione  della garanzia assicurativa ad altre categorie di lavoratori. 

 

1) L’INDENNIZZO DEL DANNO BIOLOGICO DA PARTE DELL’INAIL 

L’esigenza  di  riforma  dell’assicurazione  obbligatoria  contro  gli  infortuni  sul  lavoro  nasce  dai  ripetuti  interventi  della  Corte  costituzionale  e  della  Corte  di  Cassazione. 

Il  sistema  delineato  dal  T.U.  del  1965  era  stato  pensato  in  un’epoca  storica  nella  quale,  a  fronte  della  lesione  subita  dall’individuo,  si  riteneva  che  potessero  essere  individuate  esclusivamente  due  voci  di  danno  effettivamente  risarcibili:  il  danno patrimoniale, nella doppia accezione di danno emergente e lucro  cessante,  nonché  il  danno  non  patrimoniale  (morale),  in  presenza  di  fatto  integrante  gli  estremi di un reato (art. 2059 c.c.).  

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L’indennizzo da parte dell’Inail del danno patrimoniale, consentiva all’Istituto  l’esercizio dell’azione di rivalsa, ex articolo 1916 c.c., nei confronti del responsabile  del  danno,  atteso  che  le  somme  erogate  al  lavoratore  coincidevano  sostanzialmente con il danno patrimoniale civilisticamente inteso. 

La  nascita  del  tertium  genus,  rappresentato  dal  danno  biologico,  pur  dando  diritto al lavoratore di essere risarcito dal datore di lavoro a tale titolo, non trovava  nella sostanza una tutela giuridica autonoma per la lesione  del bene salute e per i  riflessi della stessa nei rapporti interpersonali. Infatti l’Inail, agendo in regresso nei  confronti  del  datore  di  lavoro  o  in  rivalsa  nei  confronti  del  terzo  responsabile,  aggrediva,  di  fatto,  le  somme  spettanti  al  lavoratore  a  titolo  di  risarcimento  del  danno  biologico  spettantegli  in  conseguenza  delle  lesioni  subite.  La  Corte  Costituzionale,  con  la  sentenza  356/91,  statuì  la  possibilità  che  l’azione  di  surrogazione  fosse  limitata  alle  sole  somme  dovute  al  lavoratore  a  titolo  di  risarcimento  dei  danni  rientranti  nella  copertura  assicurativa  (patrimoniali),  escludendo, quindi, la possibilità di aggredire le somme spettanti al danneggiato a  titolo di risarcimento del danno biologico. 

 Se  la  pronuncia  della  Corte  riuscì  a  garantire  il  risarcimento  del  danno  alla  salute,  non  si  può  negare  che  aprì  la  strada    ad  una  duplicazione  risarcitoria  in  presenza  di  uno  stesso  danno,  privo  di  compromissione  di  reddito  da  un  punto  di  vista  civilistico,  ma  indennizzato  dall’Inail  a  titolo  di  danno  patrimoniale,  in  forza  della  presunzione  iuris  et  de  iure  della  perdita  dell’attitudine  al  lavoro,  qualora  residuassero  postumi permanenti superiori al 10%. E, quale ulteriore conseguenza,  l’Inail, nella fattispecie in esame, vedeva preclusa la possibilità di agire in rivalsa nei  confronti  del  responsabile.  Nemmeno  la  sentenza  della  Corte  di  Cassazione  605/1998, sez. III, riuscì a risolvere il problema. Sebbene la Corte stessa avesse più  volte  affermato  che  la  “lesione  della  capacità  lavorativa  generica”  era  da  ricomprendersi nel concetto di danno alla salute in sede di responsabilità civile, ben  difficilmente  si  riusciva  a  non  far  rientrare  nel  danno  biologico  quell’attitudine  al  lavoro  di  cui  all’art.  74  D.p.r.  1124/65,  allorquando  lo  stesso  veniva  indennizzato  dall’Inail  anche  in  mancanza  della  prova  di  riduzione  del  reddito  o,  addirittura,  in  presenza di crescita dello stesso. 

Ecco,  quindi,  il  perché  della  riforma,  la  quale,  estendendo  la  copertura  assicurativa dell’Inail al danno biologico, dovrebbe consentire di evitare il rischio di  duplicazioni risarcitorie da un lato e, dall’altro, che il lavoratore infortunato debba  rivolgersi al responsabile del danno per ottenerne il risarcimento. 

Si  impone  a  questo  punto  una  considerazione  in  ordine  alla  portata  attuale  della sentenza della Corte Costituzionale 356/91. Infatti, alla luce della normativa in  esame, è legittimo chiedersi se ed in quale misura possa ritenersi ancora operante il 

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dispositivo della sentenza citata, giacchè, nell’ipotesi affermativa, l’Inail, una volta  indennizzato al lavoratore infortunato il danno biologico, si troverebbe preclusa la  possibilità  di  agire  in  rivalsa,  al  fine  di  ripetere  dal  responsabile  le  somme  corrisposte  all’assicurato.  Si  pone,  quindi,  il  quesito  se  l’Inail  debba  investire  nuovamente  la  Corte  Costituzionale,  al  fine  di  far  dichiarare  la  legittimità  costituzionale  dell’art.1916  c.c.,  anche  per  quella  parte  dell’azione  di  rivalsa  afferente  somme  dovute  al  danneggiato  a  titolo  di  danno  biologico.  Il  tema  sarà  ancora  una  volta  oggetto  di  dibattito  tra  coloro  che  sono  favorevoli  al  perseguimento  di  questa  strada  e  coloro  che,  al  contrario,  affermano  la  sopravvenuta  legittimità  costituzionale  della  norma,  che  consentirebbe  all’Istituto  assicuratore  di  poter  legittimamente  operare.  Né  può  escludersi  che  la  Corte  costituzionale,  chiamata  a  decidere  sul  punto,  possa  parzialmente  confermare  il  contenuto  della  sentenza  356/91,  per  l’ipotesi  in  cui  dovesse  ritenere  che  la  definizione di danno biologico contenuta nell’art. 38/2000 abbia natura statica, con  ciò  consentendo  all’Inail  di  agire  in  regresso  solamente  per  quella  parte  di  danno  biologico non avente natura funzionale. In tal caso il lavoratore potrebbe agire nei  confronti del datore di lavoro, per ottenere il risarcimento di quella parte di danno  biologico,  non  indennizzato  dall’Inail,  relativa  ai  riflessi  negativi  della  lesione  alla  salute  sulla  vita  quotidiana  del  soggetto  infortunato.  Ma  di  questo  aspetto  e  dell’effettiva sussistenza del diritto al risarcimento di un presunto danno biologico  differenziale, parlerò più oltre. 

 

2) INFORTUNIO IN ITINERE 

  Un’altra importante novità è stata introdotta dal decreto in esame attraverso  l’art. 12, il quale ha definito in modo puntuale il concetto di infortunio in itinere, fino  ad  oggi  affidato  alla  valutazione  discrezionale  del  magistrato,  che  spesso  lo  ha  interpretato  in  senso  difforme  e  contraddittorio  nelle  varie  pronunzie  sin  qui  emanate. La norma estende la tutela del lavoratore “durante il normale percorso di  andata  e  ritorno  dal  luogo  di  abitazione  a  quello  di  lavoro,  durante  il  normale  percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e,  qualora  non  sia  presente  un  servizio  di  mensa  aziendale,  durante  il  normale  percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale  dei  pasti.  (omissis)  L’assicurazione  opera  anche  nel  caso  di  utilizzo  del  mezzo  di  trasporto privato, purchè necessitato”. 

  Ai  fini  dell’indennizzo,  il  lavoratore  infortunato  dovrà  dimostrare  il  nesso  di  causalità tra il percorso seguito (che dovrà essere quello abitualmente effettuato tra  l’abitazione  ed  il  luogo  di  lavoro)  e  l’evento  dannoso.  Il  lavoratore  non  potrà  scegliere  l’itinerario  per  ragioni  personali  e  dovrà  dimostrare  che  il  fatto  si  è 

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verificato  durante  l’orario  ricollegabile  al  tempo  necessario  per  recarsi  al  lavoro  o  per ritornare a casa. 

  Quanto all’utilizzo del mezzo privato, è necessario accertare l’incompatibilità  dell’utilizzo  dei  mezzi  pubblici,  coniugando  tale  circostanza  con  quella  della  ragionevolezza  della  distanza  tra  abitazione  e  luogo  di  lavoro.  Altro  elemento  a  favore  può  essere  rappresentato  dalle  condizioni  fisiche  dell’infortunato,  tali  da  renderne precario o precluso l’uso dei mezzi pubblici.  

  E’ di tutta evidenza l’importanza di questa disposizione, che dovrebbe evitare  (o,  quantomeno,  ridurre  considerevolmente)  sia  il  contenzioso  promosso  dal  lavoratore  nei  confronti  dell’Istituto  al  fine  di  veder  riconosciuto  il  diritto  all’indennizzo  in  presenza  di  circostanze  infortunistiche  da  lui  assunte  come  rientranti  nell’ambito  del  lavoro,  sia  quello  instaurato  tra  l’Inail  e  la  Compagnia  di  assicurazione,  allorquando  quest’ultima  negava  che  il  sinistro  stradale  potesse  configurarsi quale “infortunio in itinere”, escludendo in tal modo il diritto dell’Inail di  rivalersi nei confronti del responsabile civile e della di lui Compagnia assicuratrice. 

 

3) ULTERIORI CATEGORIE ASSICURATE 

  Un terzo rilevante elemento di novità introdotto dal decreto, degno di analisi  sia  con  riferimento  alla  normativa  in  esame,  che  a  quella  concernente  la  responsabilità  civile    coperta  da  assicurazione  obbligatoria,  è  rappresentato  dall’estensione della copertura assicurativa a tutti i lavoratori dell’area dirigenziale,  agli  sportivi,  oltre  che  ai  collaboratori  coordinati  e  continuativi.  Ritengo  che  l’innovazione  odiernamente  introdotta  costituisca  un  primo  ed  importante  passo  verso  l’estensione  della  copertura  assicurativa  a  tutti  i  lavoratori  ed  a  tutti  i  lavori  svolti,  anche  alla  luce  della  recente  legge  che  include  le  casalinghe  nel  novero  dei  soggetti tutelati dall’Inail. 

 

L’ART. 13 DEL DECRETO LGS. N. 38/2000 

Il  primo  comma  dell’art.  13  del  d.lgs.  38/2000  così  recita:  “in  attesa  della  definizione  di  carattere  generale  di  danno  biologico  e  dei  criteri  per  la  determinazione  del  relativo  risarcimento,  il  presente  articolo  definisce,  in  via  sperimentale,  ai  fini  della  tutela  dell’assicurazione  obbligatoria  contro  gli  infortuni  sul lavoro e le malattie professionali, il danno biologico come la lesione all’integrità  psicofisica,  suscettibile  di  valutazione  medico  legale,  della  persona.  Le  prestazioni  per  il  ristoro  del  danno  biologico  sono  determinate  in  misura  indipendente  dalla  capacità di produzione del reddito del danneggiato”. 

Quella  contenuta  nell’articolo  in  esame  rappresenta  la  prima  regolamentazione  legislativa  del  concetto  di  danno  biologico  e,  quindi,  il  punto  di 

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partenza  per  una  riforma  di  carattere  generale,  con  l’avvertenza  che  le  regole  contenute nel decreto de quo sono peculiari al sistema previdenziale, caratterizzato  dalla logica indennitaria. 

 La  definizione  di  danno  biologico  formulata  nel  citato  art.  13,  non  sembra  contenere  alcun  riferimento  a  quel  concetto  di  danno  alla  salute  più  volte  richiamato  nelle  sentenze  della  Corte  Costituzionale  (  Corte  Cost.  27.10.1994,  n. 

372) e della Corte di Cassazione (Cass. 29.05.1996, n. 4991), le quali, superando la  vecchia nozione di danno‐evento, propugnata con la sentenza n. 184/86, affermano  che  il  danno  biologico  va  identificato  con  il  quantum  di  concrete  attività  cui  la  vittima sarà costretto a rinunciare per effetto della menomazione.  

Sembrerebbe, cioè, che il legislatore, con la nozione di danno biologico così  come  formulata  nella  norma  in  esame,  abbia  identificato  il  pregiudizio  alla  salute  con  la  lesione  in  sé  e  per  sé  considerata,  escludendo  così  l’aspetto  dinamico  del  danno  biologico  stesso.  Ovviamente,  in  tale  contesto,  viene  a  cadere  il  principio  dell’assorbimento,  che  consente  di  ricondurre  nell’alveo  del  danno  biologico  il  danno alla vita di relazione, il danno estetico, ecc.  

Penso,  invece,  che  il  concetto  di  danno  biologico  contenuto  nel  d.lgs. 

38/2000,  possa  far  supporre  che  il  legislatore,  nella  stesura  dell’art.  13,  non  abbia  potuto  o  voluto  dimenticare  l’interpretazione  ormai  unanime  data  dalla  giurisprudenza  e  dalla  dottrina  al  danno  biologico,  inteso,  cioè,  come  danno  alla  persona considerata nella sua globalità e, quindi, come menomazione dell’integrità  psicofisica  del  soggetto,  che  si  ripercuote  su  tutte  le  sue  attività  e  capacità,  compresa  quella  lavorativa  generica.  Credo  che  si  possa  trovare  conferma  della  bontà  di  questa  interpretazione  attraverso  l’esame  della  relazione  al  ddl.  S.  4093  (“Nuova  disciplina  in  tema  di  danno  alla  persona”),  il  quale  contiene  la  medesima  dizione  di  danno  biologico  presente  nell’articolo  in  esame.  Orbene,  in  detta  relazione  si  evidenzia  che  la  definizione  di  danno  biologico  mira  a  ricondurre  ad  unità le varie figure di danno elaborate dalla giurisprudenza, al fine di garantire un  risarcimento  anche  in  assenza  di  danni  patrimoniali  (danno  alla  vita  di  relazione,  danno  alla  capacità  sessuale,  danno  estetico).  Dunque,  sia  pure  per  relationem,  si  può  concludere  che,  nella  formulazione  dell’art.  13,  il  legislatore  ha  elaborato  una  nozione funzionale, dinamica del danno alla salute e non strutturale o statica. 

 

LE TABELLE DEL D.M. 12 LUGLIO 2000 

Dopo aver definito il concetto di danno biologico, il legislatore ha stabilito che  la menomazione conseguente alla lesione dell’integrità psicofisica sia indennizzata  con  una  prestazione  economica  sostitutiva  della  rendita  per  inabilità  permanente  prevista dall’art. 66 del Testo Unico.  

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In primo luogo la legge de qua prevede che le lesioni di grado inferiore al 6% 

non  siano  oggetto  di  indennizzo  e  non  siano  quindi  meritevoli  di  tutela  sociale,  in  considerazione  del  fatto  della  loro  lieve  entità.  Tali  menomazioni  sono  pertanto  assorbite da franchigia.  

Per  le  invalidità  permanenti  comprese  tra  il  6%  ed  il  15%  l’indennizzo  viene  erogato  sotto  forma  di  capitale,  nella  misura  indicata  nell’apposita  “Tabella  indennizzo danno biologico” di cui al D.M. 12 luglio 2000. 

Se  per  le  menomazioni  comprese  tra  il  6%  ed  il  15%  l’indennizzo  viene  corrisposto sotto forma di erogazione una tantum (capitale), per quelle superiori a  tale grado viene corrisposta una rendita atta a garantire nel tempo un sostegno di  tipo economico. In questo caso, una quota della rendita viene assegnata a titolo di  danno biologico ed un’ulteriore quota a titolo di danno patrimoniale. 

L’applicazione  dei  criteri  di  indennizzo  si  è  concretizzata  attraverso  le  tre  Tabelle  previste  dall’art.  13,  comma  2,  punti  a)  e  b),  approvate  con  il  d.m.  del  12  luglio 2000, pubblicato sul supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale n. 172 del  25 luglio 2000. 

 

1) La “Tabella delle menomazioni” stabilisce il grado di invalidità, espresso in punti  percentuali, corrispondente alla singola menomazione. Detta tabella elenca le  singole voci afferenti menomazioni conseguenti a lesioni e/o malattie, 

comprendendovi gli aspetti dinamico‐relazionali. Il grado indicato nella tabella  rappresenta la base per determinare sia la misura dell’indennizzo del danno  biologico, sotto forma di capitale o di rendita secondo la bipartizione sovra 

descritta, sia l’ulteriore quota di rendita per l’indennizzo del danno patrimoniale. La  nuova tabella sostituisce quelle dell’industria e dell’agricoltura di cui al Testo Unico,  contenenti solo menomazioni con incidenza sulla capacità lavorativa. Per tale 

motivo si è, quindi, passati da 59 a 387 voci di danno. 

2) La “Tabella indennizzo danno biologico” contiene il valore monetario del punto di  invalidità  in  base  al  quale  viene  indennizzata  tale  voce  di  danno:  sotto  forma  di  capitale,  per  invalidità  comprese  tra  il  6%  ed  il  15%,  sotto  forma  di  rendita  per  invalidità  dal  16%  al  100%.  Tre  sono  i  criteri  guida  della  tabella  relativa  all’indennizzo del danno biologico sotto forma di capitale: 

a) l’indennizzo è areddituale, in quanto la menomazione cagiona un pregiudizio  all’integrità  psicofisica  uguale  per  tutti  gli  individui,  a  prescindere  dalla  retribuzione del lavoratore infortunato; 

b)  l’indennizzo è crescente, in misura più che proporzionale, in funzione della  gravità della lesione. A fronte di una menomazione che comporta un maggior 

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grado di invalidità, aumenta il valore economico di ciascun punto percentuale  aggiuntivo; 

c) l’indennizzo è variabile in funzione dell’età, in modo inversamente  proporzionale alla durata della vita residua, nonché del sesso, in 

considerazioni delle più ampie aspettative di vita del genere femminile. Viene  così recepito il criterio adottato dalla maggior parte dei Tribunali per il 

risarcimento del  danno biologico conseguente a fatto illecito civile.  

Il  valore  del  punto  base  unitario  è  pari  a  £.  1.600.000  ed  è  riferito  al  grado  di  invalidità  ed  alla  classe  di  età  iniziali.  Gli  importi,  fatto  riferimento  all’età,  sono  suddivisi  in  undici  classi  quinquennali  (la  prima  fino  a  20  anni),  desunte  dai  dati  dell’Inail relativi alle aspettative di vita media degli infortunati garantiti dall’Istituto. 

La  tabella  relativa  all’indennizzo  del  danno  biologico  sotto  forma  di  rendita,  prescinde  dalla  distinzione  per  fasce  di  età  e  di  sesso  e  riporta  un  solo  valore  di  rendita annua corrispondente a ciascun grado di menomazione. Tali parametri sono  ricompresi  nella  Tabella  dei  coefficienti,  la  quale  è  stata  redatta  sulla  base  del  complesso  delle  attività  adeguate  al  patrimonio  bio‐attitudinale‐professionale  e,  quindi,  oltre  all’età  ed  al  sesso,  anche  la  cultura,  la  condizione  psicofisica,  le  esperienze lavorative, ecc. In altre parole, tali specificità consentono di diversificare  automaticamente  l’importo  dell’indennizzo,  in  quanto  incidono  direttamente  sulla  durata della rendita vitalizia. 

3) La “Tabella dei coefficienti” consente di moltiplicare, per i coefficienti stabiliti, la  percentuale della retribuzione percepita dall’infortunato (nei limiti del minimale e  del massimale di legge), al fine di determinare la quota di rendita atta a ristorare il  danno da ridotta capacità produttiva, conseguente a menomazioni superiori al 16%. 

Tale percentuale è correlata sia alla categoria lavorativa alla quale appartiene 

l’infortunato, sia alla ricollocabilità dello stesso, cioè alle potenziali residue capacità  lavorative del soggetto. 

La norma in esame contiene, altresì, una puntuale disciplina per la 

valutazione degli aggravamenti, dei miglioramenti, delle invalidità plurime e per  l’ipotesi di morte del lavoratore. 

La  nuova  disciplina  indennitaria  prevista  dal  decreto  in  esame,  innova  esclusivamente le “menomazioni conseguenti alle lesioni dell’integrità psico‐fisica”,  mentre rimane inalterato il regime relativo all’inabilità temporanea, coperta, al pari  delle invalidità inferiori al 6%, da franchigia.  

C’è  infine  da  osservare  che  non  muta  neppure  il  regime  relativo  alle  prestazioni  economiche  erogate  ai  superstiti  dell’assicurato  deceduto  per  cause  di  lavoro,  atteso  che  il  danno  biologico,  alla  luce  della  giurisprudenza  costituzionale  (Corte  Cost.  372/1994)  e  di  legittimità  (Cass.  1998/6404),  è  la    conseguenza  della 

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violazione  del  diritto  alla  salute  e  presuppone  l’esistenza  in  vita  del  lavoratore  infortunato. 

 

LA RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO 

L’esame  delle  fonti  della  responsabilità  civile  del  datore  di  lavoro  ci  porta  immediatamente all’art. 38 della Costituzione, laddove, al secondo comma si recita: 

“I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro  esigenze  di  vita  in  caso  di  infortunio,  malattia,  (omissis)”.  Devono  essere,  altresì,  richiamati,  gli  artt.  10  e  11  del  d.p.r.  30  giugno  1965,  n.1124,  con  i  quali  vengono  stabiliti i casi di esonero del datore di lavoro dalla suddetta responsabilità e sancito  il diritto di regresso dell’Istituto assicuratore nei confronti di quest’ultimo, per i casi  in cui detto esonero sia escluso. L’art. 2087 del codice civile, che tutela le condizioni  di  lavoro  e  l’art.  41  della  Costituzione  che  tutela  la  lesione  della  libertà  e  della  dignità  umana,  nell’ambito  dell’iniziativa  economica,  costituiscono  altri  due  capisaldi  delle  fonti  oggi  esaminande.  Da  ultimo  annoveriamo  la  legge  222/84,  nonchè il più volte citato d.lgs. 38/2000 e il d.m. 25 luglio 2000.  

Passando all’esame delle fonti della responsabilità penale del datore di lavoro  ricorderemo l’art. 589 c.p. (omicidio colposo) e l’art. 590 c.p. (lesioni colpose). 

Il datore di lavoro è responsabile quando l’infortunio sia perseguibile d’ufficio  e  ne  sia  derivata  condanna  penale  a  carico  dello  stesso  o  degli  incaricati  della  direzione e sorveglianza o di un qualsiasi altro suo dipendente, nonché nel caso di  condanna  per  violazione  delle  norme  antiinfortunistiche.  Solo  nel  caso  di  lesioni  lievi, dalle quali non sia derivata alcuna invalidità permanente, il datore di lavoro è  esonerato dalla responsabilità civile. 

A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 38/2000, il datore di lavoro, qualora  sia  ritenuto  civilmente  responsabile  per  l’infortunio  sul  lavoro,  dovrà  risarcire  le  seguenti voci di danno: 

a) danno patrimoniale.  

All’Inail  andranno  corrisposti  il  valore  capitale  della  rendita  erogata  in  presenza di invalidità permanente superiore al 16%, la somma pagata a titolo  di  inabilità  temporanea,  nonché  le  spese  per  accertamenti  diagnostici,  cure,  apparecchi protesici, ecc. 

 All’infortunato  andrà  risarcita  la  somma  eventualmente  risultante  dalla         differenza tra la rendita costituita dall’Inail ed il danno patrimoniale calcolato  secondo i criteri civilistici; 

b) danno morale. 

Vige  il  combinato  disposto  di  cui  agli  artt.  185  c.p.  (restituzione  e  risarcimento del danno) e 2059 c.c. (danno non patrimoniale); 

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c) danno biologico.  

La  rivalsa  Inail  verrà  ora  effettuata  anche  per  il  danno  biologico,  erogato a titolo di capitale per le invalidità comprese tra il 6% ed il 15% ed a  titolo  di  rendita  per  quelle  eccedenti  tale  grado.  Il  datore  di  lavoro  sarà,  altresì,  tenuto  a  risarcire,  ex  art.  2043  c.c.,  il  danno  biologico  da  inabilità  temporanea,  il  danno  biologico  da  invalidità  permanente  fino  al  5%  e  l’eventuale  differenza  tra  il  danno  biologico  indennizzato  dall’Inail  per  invalidità permanenti tra il 6% ed il 100% e quello ottenuto tramite il calcolo  effettuato secondo i principi civilistici.  

Come ho avuto già modo di dire, il diritto al risarcimento del danno biologico  differenziale da parte del lavoratore infortunato, si configura come una realtà  astratta,  che  ben  difficilmente  potrà  trovare  riscontro  nelle  pronunzie  giurisprudenziali. La tutela indennitaria garantita dall’assicuratore sociale non  dovrebbe, nei fatti, discostarsi da quella risarcitoria e, pertanto, in presenza di  identica valutazione in ordine alla natura dei postumi residuati, il lavoratore si  troverebbe preclusa la possibilità di agire nei confronti del responsabile civile,  atteso che l’indennizzo ottenuto dall’Inail a titolo di danno biologico coincide  con  la  voce  di  danno  ripetibile  a  titolo  di  risarcimento.  Infatti,  la  nozione  di  danno  biologico  ha  natura  unitaria  e  a  nulla  rileva  la  differente  quantificazione  economica  adottata  dall’Istituto  sociale,  rispetto  a  quella  prevista nell’ambito risarcitorio. 

 

LA POLIZZA R.C.D. 

Al  fine  di  proteggere  il  patrimonio  aziendale  e,  talora,  quello  personale,  il  datore  di  lavoro  stipula  un  contratto  di  assicurazione  che  lo  tenga  indenne  dalle  pretese di risarcimento avanzate dal lavoratore a seguito di infortunio, o dall’Inail a  titolo  di  rivalsa.  Si  tratta  ora  di  comprendere  quali  sono  le  garanzie  prestate  dalle  Compagnie  presenti  sul  mercato  e,  soprattutto,  in  quale  chiave  dovranno  essere  modificati  i  contratti  assicurativi,  al  fine  di  garantire  al  datore  di  lavoro  una  copertura  adeguata,  sia  alla  luce  della  nuova  legge  Inail,  sia  alla  luce  di  alcune  decisioni giurisprudenziali recenti.  

La  maggior  parte  delle  Compagnie  assicuratrici  del  mercato  hanno  inserito  tra le garanzie di polizza quella relativa al risarcimento del danno biologico, anche  per  invalidità  biologica  inferiore  all’11%,  che  rappresentava,  prima  del  D.  Lgs. 

38/2000,  il  limite  per  la  rivalsa  da  parte  dell’Inail.  Detta  garanzia  è  talora  prestata  attraverso l’applicazione di franchigie di importo fisso predeterminato o pari ad un  minimo grado percentuale di invalidità (normalmente il 3%). 

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La  garanzia  fornita  dalla  polizza  è  estesa,  limitatamente  alla  rivalsa  Inail,  ai  titolari,  ai  soci  ed  ai  familiari  coadiuvanti  delle  aziende  artigiane  e  ciò  in  virtù  del  carattere peculiare di tali imprese, che impiegano, inevitabilmente, tutto o quasi il  nucleo domestico. L’evoluzione del mercato e la sempre crescente attenzione alla  clientela  potrebbe  legittimare  l’ulteriore  estensione  di  questa  garanzia  anche  alle  altre voci  di danno,  oggi non ancora  comprese nelle condizioni di polizza (morale,  patrimoniale e biologico differenziali). 

IL  D.lgs.  38/2000  ha  sicuramente  contribuito  alla  soluzione  di  alcune  problematiche sollevata dalla giurisprudenza nel corso degli anni, ma ne ha create  altre,  che  dovranno  trovare  presto  una  giusta  soluzione,  a  tutela  del  patrimonio  delle imprese e delle aziende del mercato italiano. Basti pensare alle attività svolte  dai lavoratori temporanei o interinali, nonché dai lavoratori dati o ricevuti in prestito  da altre aziende, per i quali la garanzia non è operante, in quanto addetti ad attività  diverse da quelle per le quali è prestata l’assicurazione. In quest’ultimo caso si pone  il  problema  di  identificare  il  soggetto  civilmente  responsabile  dell’infortunio.  Non  v’è  dubbio  che  quest’ultimo  sia  l’imprenditore  che  abbia  la  direzione  o  il  controllo  dell’attività svolta dal prestatore di lavoro infortunato. Tuttavia, non è da escludersi  che l’Inail possa esercitare sia l’azione di rivalsa, ex art. 1916 c.c., nei confronti del  datore  di  lavoro  che  utilizza  il  lavoratore,  che  di  regresso,  ex  art.  10  e  11  D.P.R. 

1124/65,  nei  confronti  del  datore  di  lavoro  effettivo,  ossia  di  colui  che  eroga  lo  stipendio  al  lavoratore.  In  entrambi  questi  casi  la  garanzia  standard  offerta  dalle  Compagnie  non  fornisce  alcuna  copertura  al  datore  di  lavoro  e  i  motivi  possono  essere facilmente intuibili. 

Il  mercato  assicurativo  è  in  grande  fermento  e  sta  vivendo  una  grande  evoluzione. I criteri di personalizzazione sono sempre di più l’elemento qualificante  e  vincente  per  una  moderna  Compagnia  che  voglia  essere  concorrenziale,  realizzando  sviluppo  e  che,  nel  contempo,  voglia  garantirsi  redditività.  La  rapidità  dell’evoluzione  giurisprudenziale  e  legislativa  potrà  far  cogliere  alle  Imprese  assicurative  più  qualificate  l’opportunità  per  proporsi  come  sicuro  parafulmine  per  le  imprese,  al  fine  di  garantirne  lo  svolgimento  dell’attività  in  modo  sereno  e  sempre più protetto. 

   

LA LEGGE 20 MARZO 2001, N. 57 

La  legge  20  marzo  2001,  n.  57,  entrata  in  vigore  il  4  aprile  2001,  contiene  la  nuova  disciplina  del  danno  biologico  conseguente  a  lesioni  di  lieve  entità. 

Ritroviamo qui, per la seconda volta, la definizione legislativa di danno biologico, in  virtù  della  quale  tale  danno  viene  inteso  come  “la  lesione  all’integrità  psicofisica 

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della  persona,  suscettibile  di  accertamento  medico‐legale”.  La  definizione  data  in  quest’ultimo testo differisce da quella contenuta nel d.lgs. 38/2000, in quanto, nella  legge  57/2001  si  parla  di  accertamento  medico‐legale,  mentre,  nella  prima,  di  valutazione  medico‐legale.  Sia  dal  punto  di  vista  lessicale  che  da  quello  medico‐

legale  è  indubbia  la  differenza  che  intercorre  tra  i  due  termini,  atteso  che  la  valutazione di un danno è pur sempre possibile, mentre l’accertamento può trovare  ostacolo  allorquando  si  proceda  ad  un  esame  di  carattere  obiettivo.  Mi  chiedo,  però, quale valenza abbia un mero accertamento, se allo stesso non faccia seguito  una  valutazione  che  traduca  in  termini  qualitativi,  oltre  che  quantitativi,  le  conclusioni  alle  quali  è  pervenuto  il  medico  professionista  che  ha  visitato  il  danneggiato. Se il legislatore, in luogo dei termini utilizzati, avesse fatto ricorso alla  definizione di “apprezzamento”, “giudizio”, “indagine”, si potrebbe oggi concludere  che siamo in presenza di metodologie cognitive che possono portare a conclusioni  difformi  tra  loro?  Ritengo  che  il  legislatore,  ancora  una  volta,  abbia  usato  tali  vocaboli  in  modo  indifferenziato  e  l’emananda  tabella  dei  barème  prevista  dalla  legge 57/2001 potrà darcene puntuale conferma.  

Riprendendo le considerazioni fatte a proposito dell’art.13 del d.lgs. 38/2000,  possiamo  affermare  che  la  definizione  di  danno  biologico  presente  nel  testo  della  legge 57/2001, ancora una volta non contiene alcun riferimento a quel concetto di  danno alla salute più volte richiamato nelle sentenze della Corte Costituzionale   (Corte  Cost.  27.10.1994,  n.  372)  e  della  Corte  di  Cassazione  (Cass.  29.05.1996,  n. 

4991). C’è quindi da chiedersi se il legislatore abbia voluto ignorare il percorso fatto  in questi anni dalla dottrina e dalla giurisprudenza, assimilando la lesione alla salute  alle conseguenze della lesione medesima e identificando il danno risarcibile con la  vecchia  nozione  di  danno‐evento,  propugnata  con  la  sentenza  della  Corte  Costituzionale n. 184/86. Anche in questo caso non ritengo che il legislatore abbia  omesso  di  prendere  in  considerazione  l’interpretazione  ormai  unanime  data  dalla  giurisprudenza  e  dalla  dottrina  al  danno  biologico.  La  legge  57/2001,  affidando  al  Governo  il  compito  di  varare  una  tabella  delle  invalidità  (barème)  che  serva  a  stabilire  l’entità  effettiva  del  danno,  differisce  ad  un  momento  successivo  la  possibilità  di  dare  senso  compiuto  alla  definizione  di  danno  biologico,  così  come  odiernamente  formulata.  Se  l’emananda  tabella  non  si  limiterà  a  prendere  in  considerazione  solamente  la  disfunzione  anatomopatologica,  ma  farà  riferimento  anche alle concrete conseguenze che la lesione ha avuto sulla vita del danneggiato,  si  potrà  concludere  che,  nella  redazione  dell’art.  5,  terzo  comma,  il  legislatore  ha  elaborato una nozione del danno alla salute funzionale e dinamica, non strutturale o  statica. 

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 Anche  la  possibilità,  introdotta  dalla  legge  57/2001,  di  riconoscere  un  ulteriore risarcimento in funzione delle condizioni soggettive dell’offeso, può essere  di sostegno a questa tesi e può aiutarci a comprendere che la nozione adottata ha  natura dinamica, in quanto, attraverso tale modalità risarcitoria, viene riconosciuta  al giudice la facoltà di adattare il quantum all’effettivo pregiudizio derivato al leso  dalla menomazione subita.  

Tuttavia, la normativa ora esaminata presta il fianco ad alcune considerazioni  che, ad avviso dello scrivente, non possono non essere evidenziate. 

In  primo  luogo,  onde  porre  fine  alle  disparità  di  trattamento  derivanti  dai  diversi  criteri  adottati  dai  magistrati,  sarebbe  stato  opportuno  fissare  un  limite,  in  melius  o  in  pejus,  entro  il  quale  modificare  i  valori  dei  risarcimenti  attualmente  codificati,  così  da  evitare  la  discrezionalità  assoluta  ed  autonoma  del  potere  giudicante,  che  vanifica  lo  sforzo  di  contenere  il  contenzioso  e  l’obiettivo  di  garantire  risarcimenti  uguali  per  tutti,  in  particolare  con  riferimento  alle  microlesioni.  

In  secondo  luogo,  emergono  profili  problematici  anche  in  relazione  a  tutte  quelle fattispecie non rientranti nella responsabilità civile per danni cagionati dalla  circolazione  dei  veicoli  a  motore  e  dei  natanti.  Infatti,  l’intento  di  porre  fine  alla  disparità  di  trattamento,  viene  vanificato  allorquando  debba  essere  risarcito  un  danno  biologico  conseguente  a  lesioni  riportate  a  seguito  dell’utilizzo  o  dell’ingerimento di prodotti difettosi, di percosse, di contaminazione con sostanze  infette  o  nocive,  di  aggressione  da  parte  di  animali,  di  cadute  provocate  dalla  presenza  di  insidie  o  trabocchetti,  dell’esercizio  della  pratica  sportiva,  della  circolazione dei mezzi privi di motore, ecc.  

Non  dobbiamo,  infine,    dimenticare  le  lesioni  che  comportino  esiti  permanenti di entità superiore al 9% e quelle riportate anteriormente all’entrata in  vigore della presente legge.  

Dunque,  in  tutti  questi  casi,  potremmo  ancora  assistere  alla  liquidazione  di  importi differenti per gradi di invalidità permanenti assolutamente identici. 

 

DANNO  BIOLOGICO:  VALORI  RISARCITORI  AI  SENSI  DELL’ART.  5  DELLA  L. 

57/2001 

Il secondo comma dell’art. 5 della legge 57/2001, nel disciplinare la misura del  risarcimento, afferma che il danno biologico è liquidato con un importo crescente,  in misura più che proporzionale rispetto ad ogni punto percentuale di invalidità. In  realtà,  l’esame  dei  coefficienti  di  cui  all’Allegato  A  della  legge,  consente  di  affermare che la crescita è lineare e raddoppia allorquando si passa dal 4% al 5%  di  invalidità.  Il  valore  del  punto  viene  poi  abbattuto  nella  misura  dello  0,5%  per  ogni 

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anno  di  età  a  partire  dall'undicesimo.  La  norma  riconosce  inoltre,  a  differenza  dell’art.  38/2000,    un  valore  monetario  per  ogni  giorno  di  inabilità  temporanea  assoluta,  pari  a  £.  70.000.  Il  quadro  di  riferimento  viene  completato,  attraverso  il  quarto comma dell’art. 5, con la previsione di quell’ulteriore risarcimento  che tiene  conto delle condizioni soggettive del danneggiato, di cui si è già detto. 

In occasione dell’illustrazione dei criteri di liquidazione previsti dall’art. 13 del  d.lgs.  38/2000,  si  è  fatto  cenno  ai  valori  monetari  dello  stesso  rispetto  a  quelli  presenti  nella  legge  57/2001,  così  come  si  è  disegnata  la  nuova  definizione  di 

“infortunio  in  itinere”  e  si  sono  declinate  le  nuove  categorie  di  lavoratori  che  beneficiano della disciplina prevista dalla novellata legge Inail. Il richiamo a queste  tre  fattispecie  è  più  che  mai  necessario,  giacchè  la  legge  57/2001,  così  come  approvata  dal  Parlamento,  pone  non  pochi  problemi  quando  si  deve  procedere  al  risarcimento del danno biologico conseguente a lesioni riportate in occasione di un  sinistro stradale, qualificabile come infortunio in itinere. 

  In  tale  caso,  la  Compagnia  assicuratrice  del  responsabile  civile  dovrà  innanzitutto  accertare,  attraverso  un’indagine  medico‐legale,  l’entità  dei  postumi  residuati al danneggiato, i quali saranno valutati secondo le barèmes medico‐legali  comunemente adottate in materia di responsabilità civile. La divergenza tra i valori  indicati nella “Tabella della menomazioni” di cui al d.lgs. 38/200 e quelli previsti in  materia di responsabilità civile, potrebbe portare ad una serie di conseguenze che  cercheremo di illustrare sinteticamente qui di seguito. 

In  primo  luogo,  in  presenza  di  postumi  invalidanti  inferiori  al  5%,  secondo  i  parametri  civilistici,  l’assicuratore  potrà  senz’altro  procedere  alla  liquidazione  del  danno,  coperto  dalla  franchigia  prevista  dall’art.  13  cit.,  pur  in  presenza  di  una  valutazione  più  elevata  da  parte  dell’Inail.  La  sussistenza  di  tale  franchigia  impedisce all’Istituto di agire nei confronti dell’assicuratore del responsabile civile,  salvo  il  caso  in  cui  l’Inail  non  ritenga  di  accertare  giudizialmente  l’esistenza  di  postumi civilistici di grado superiore, acquisendo, nel caso affermativo, il diritto ad  agire in rivalsa nei confronti del responsabile civile e del suo assicuratore, al fine di  recuperare le somme pagate al lavoratore infortunato a titolo di danno biologico. 

In secondo luogo, qualora i postumi residuati siano superiori al 5%, l’Inail potrà agire  in rivalsa nei confronti del responsabile civile e del suo assicuratore, ma questi, nel  caso in cui i postumi accertati in sede civile siano inferiori a quelli valutati secondo il  d.lgs.  38/2000,  potranno  opporre  il  limite  dell’importo  effettivamente  dovuto  al  danneggiato a titolo di risarcimento. 

In terzo luogo, ben può accadere che l’infortunato, dopo aver ottenuto l’indennizzo  dall’Inail, tanto sotto forma di capitale (solo danno biologico), quanto sotto forma di  rendita  (danno  biologico  e  danno  patrimoniale  nell’ipotesi  di  invalidità  superiori  al 

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15%), si rivolga al responsabile civile, al fine di ottenere il risarcimento del maggior  danno  biologico  ed  eventualmente  anche  di  quello  patrimoniale,  non  coperti  dall’indennizzo  corrisposto  dall’Inail.  La  mancanza  di  un’identica  tabella  che  determini l’entità dei postumi ed il quantum degli stessi o, comunque, che consenta  di riparametrare i valori erogati dall’Inail a quelli liquidati secondo i criteri adottati in  materia di responsabilità civile, potrebbe esporre il responsabile civile alla richiesta  di  ulteriori  somme  per  voci  di  danno  già  erogate  dall’Inail,  qualora  il  danneggiato  assuma  di  aver  subito  un  pregiudizio  superiore  a  quello  accertato  dall’Istituto  assicuratore.  Ma  di  questo  argomento  e  della  impraticabilità  di  fatto  di  questa  strada si è già detto. 

   

CONCLUSIONI 

Nel corso degli ultimi mesi abbiamo assistito alla realizzazione di un grande  paradosso normativo: la disciplina del danno biologico, da un punto di vista logico e  secondo l’unanime orientamento giurisprudenziale, avrebbe dovuto seguire un iter  esattamente  opposto,  rispetto  a  quello  effettivamente  percorso.  Infatti,  sarebbe  stato opportuno procedere dapprima ad una compiuta regolamentazione del danno  biologico nell’ambito del diritto civile e, solo successivamente,  favorirne l’ingresso  nel  campo  previdenziale.  In  tal  caso,  le  scelte  normative  avrebbero  più  facilmente  potuto consentire un’armonizzazione dei due sistemi, attraverso l’adozione di una  medesima tabella delle menomazioni. 

Ma  non  tutto  il  terreno  è  perduto.  Infatti,  ci  sono  di  conforto  sia  l’art  13,  comma 1, del d.lgs 38/2000,  laddove si afferma che la nuova disciplina indennitaria  del danno biologico di origina lavorativa ha carattere “sperimentale”, in attesa della  definizione  di  carattere  generale  di  danno  biologico  e  dei  criteri  per  la  determinazione del relativo risarcimento, sia l’art. 5, comma 2, della Legge 57/2001,  il quale indica i criteri e le misure di risarcimento del danno biologico conseguenti a  lesioni di lieve entità, precisando che ciò avviene in attesa di una disciplina organica  sul  danno  biologico.  Sia  il  legislatore  del  2000  che  quello  del  2001  sembrano  aver  voluto  o,  forse,  più  propriamente,  dovuto  aprire  una  strada,  “in  attesa”,  l’espressione  è  utilizzata  da  entrambi,  che  la  materia  sia  regolata  in  modo  più  organico e compiuto, al fine di eliminare tutte le incongruenze e le problematiche  che oggi rischiano di scontentare tutti, alimentando un massiccio contenzioso che  danneggerebbe ulteriormente sia l’immagine europea ed internazionale del nostro  Stato, sia il diritto dei danneggiati ad essere risarciti in tempi brevi. 

 Va  comunque  detto  che  resteranno  notevoli  differenze  tra  il  sistema  indennitario pubblico e quello risarcitorio privato, pur essendo comune l’oggetto da 

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regolamentare, cioè il danno biologico. L’Inail, infatti, assolve una funzione sociale e  l’indennizzo, secondo l’art. 38 della Costituzione, deve garantire mezzi adeguati alle  esigenze di vita del lavoratore, mentre il sistema civilistico deve tendere a risarcire il  danno  effettivamente  cagionato,  ossia  deve  garantire  la  restitutio  in  integrum  del  patrimonio  della  persona  danneggiata.  In  definitiva,  il  sistema  assicurativo  previdenziale ha carattere automatico, trova fondamento in principi e meccanismi  solidaristici, è oggetto di valutazione rivedibile nel tempo e fornisce prestazioni di  varia natura (protesi, cure mediche, assistenza sociale, ecc.). Il secondo ha, invece,  carattere puntuale e si risolve con l’erogazione di una somma capitale che definisce  ogni rapporto.  

Tuttavia,  la  sostanziale  ed  ineliminabile  differenza  tra  i  due  sistemi  poteva  essere colmata  con la individuazione di  un comune denominatore, che consentisse  di  superare  i  problemi  di  coordinamento  tra  i  due  ambiti  (v.  doppio  risarcimento). 

Ebbene  l’identificazione  di  tale  comune  denominatore  nella  nozione  di  danno  biologico,  è  un’operazione  sicuramente  condivisibile  e  sostanzialmente  corretta. 

Ma così come si è venuta delineando non ha consentito, a causa delle incongruenze  illustrate, di risolvere i problemi oggi affrontati. Anzi, tutte le tematiche che hanno  accompagnato l’annosa e travagliata vicenda del danno biologico, si ripropongono  ancora una volta.  

 

 

 

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