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LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO BIOLOGICO IN SEDE INAIL E RAPPORTI TRA RESPONSABILITA’ CIVILE ED ASSICURAZIONE OBBLIGATORIA

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LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO BIOLOGICO IN SEDE INAIL E RAPPORTI TRA RESPONSABILITA’ CIVILE ED ASSICURAZIONE OBBLIGATORIA

Dr. Ettore Savino

PREMESSA

La stagione del danno alla persona si è aperta un quarto di secolo fa ed è stata una storia di rivoluzioni che non si sono ancora concluse; infatti, la letteratura su tale danno è ormai a tal punto vasta che la si può richiamare solo attraverso rinvii.

Negli anni settanta il tema del danno alla persona è vissuto ai margini, nelle sentenze di merito e nelle riviste specializzate. L'inizio degli anni ottanta ne ha segnato il trionfo. Poi sono venuti gli anni delle contese e delle divisioni.

Oggi, dopo un quarto di secolo, siamo nuovamente di fronte ad una rivoluzione attesa: il progetto di riforma del codice civile ed il problema dell'adeguamento dell’illecito, previsto dal diritto civile italiano, agli schemi europei.

PERCORSO STORICO

Negli anni settanta la dottrina civilistica, in stretto contatto con la medicina legale e con alcune Corti di merito, creò le premesse per la soluzione operativa della risarcibilità del danno alla persona e la conseguente frantumazione della categoria del danno non patrimoniale. Infatti, fu affermata la distinzione tra le conseguenze patrimoniali dell'evento lesivo e la lesione dell'integrità psico-fisica in sé e per sé considerata.

La Corte Costituzionale fornì un suo primo fondamentale contributo alla costruzione del nuovo sistema risarcitorio del danno alla persona, configurando il

"diritto alla salute", di cui all'art. 32 della Costituzione, "come diritto primario ed assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati" e sostenendo la piena risarcibilità di tutti "gli effetti della lesione al diritto, considerato come posizione soggettiva autonoma, indipendentemente da ogni circostanza o conseguenza".

Nel 1986, con un ulteriore intervento, la Corte Costituzionale, tracciò definitivamente, per il risarcimento dei danni alla persona, lo schema risarcitorio caratterizzato da tre distinte categorie: il danno biologico (danno evento risarcibile a prescindere da qualsiasi compromissione del reddito), il danno patrimoniale ed il danno morale subiettivo (questi ultimi qualificati come danni conseguenza).

Nella decisione in questione la Corte rilevò, altresì, che il danno biologico non coincide con la "lesione della salute”; mentre il primo è l'evento naturalistico, da provare in ogni caso, la lesione della salute è "l'essenza antigiuridica dell'intero fatto realizzativo del danno biologico", che si concretizza nel momento stesso in cui si genera, in interezza, il fatto costitutivo dell'illecito.

Nell'ultimo decennio si è poi assistito alla riconduzione nella figura del danno biologico di tutta una serie di voci risarcitorie autonome, elaborate in precedenza, tra

Dirigente Winterthur, Milano

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le quali il danno estetico, il danno alla vita di relazione, il danno alla vita sessuale, l'incapacità lavorativa generica: e ciò ha dato luogo al c.d. "fenomeno dell'assorbimento".

Contemporaneamente al fenomeno dell'assorbimento, si è verificato un progressivo allargamento del danno biologico ben al di fuori della sua matrice medico-legale, sino alla decisione della Corte Costituzionale del 1994, n. 372. Questa sentenza ha lasciato il segno soprattutto per quanto riguarda l'affermazione che "il danno biologico, al pari di ogni altro danno ingiusto, è risarcibile soltanto come pregiudizio effettivamente conseguente ad una lesione" e, pertanto, deve essere sempre dimostrata la sussistenza di una patologia.

IL DANNO BIOLOGICO OGGI

Allo stato attuale, per danno biologico si intende ogni menomazione dell'integrità psico-fisica della persona, apprezzabile dal punto di vista medico legale e risarcibile a prescindere dalle eventuali conseguenze patrimoniali (così si è espressa la Corte Costituzionale con la sentenza n. 356 del 1991).

Conseguenza di tale assunto è la definizione di danno biologico, ormai costante nei precedenti giurisprudenziali, in base alla quale, nel concetto in esame, si intende ricompresa "la menomazione arrecata all'integrità psicofisica della persona in sé e per sé considerata, incidente sul valore umano in ogni sua concreta dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell'ambiente in cui la vita si esplica, ed aventi non solo rilevanza economica, ma anche spirituale, sociale, culturale ed estetica".

Questa definizione si ispira alla concezione "unitaria" del danno biologico che mette in evidenza, oltre che l'aspetto statico, anche gli aspetti dinamici del danno medesimo, cioè le conseguenze negative della lesione sulla vita quotidiana della vittima e, in virtù di tale assunto, si è recentemente assistito alla liquidazione

"personalizzata" del danno alla salute.

CRITERI LIQUIDATIVI DEL DANNO BIOLOGICO

La problematica della liquidazione del "danno biologico", nonostante i tentativi fatti anche recentemente dal legislatore di regolamentare in modo uniforme la complessa materia del risarcimento del danno alla persona, rimane ancora oggi affidata alla giurisprudenza di merito, fatta eccezione per il danno biologico indennizzato dall’Inail e per quello relativo alle c.d. micropermanenti, limitatamente alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti.

Occorre tuttavia sottolineare che i diversi metodi liquidativi utilizzati dalla stessa giurisprudenza si sono andati, con il trascorrere del tempo, riducendo ed uniformando.

Sino a poco tempo fa si può dire che coesistessero nel nostro Paese quattro diversi modi di liquidare il danno biologico: a) liquidazione in via puramente equitativa ; b) liquidazione secondo il metodo genovese (o del triplo della pensione sociale); c)

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liquidazione secondo il metodo pisano (o del calcolo a punto); d) liquidazione secondo il metodo milanese (o del punto tabellare).

Nell'ultimo periodo, la giurisprudenza ha optato decisamente per il criterio del calcolo a punto e, all'interno di questa categoria, sono compresi i casi in cui i magistrati hanno fatto ricorso ad uno strumento tabellare.

Le tabelle del Tribunale di Milano, oltre ad essere le prime ad introdurre questo metodo risarcitorio, sono anche quelle che hanno avuto maggiore diffusione sull'intero territorio nazionale e sono odiernamente applicate dai seguenti fori: Asti, Biella, Como, Ferrara, Firenze, Foggia, Genova, Gorizia, Imperia, Ivrea, Lecco, La Spezia, Messina, Monza, Napoli, Novara, Parma, Pinerolo, Pavia, Potenza, Teramo, sez. lav. Torino, Trapani, Udine, Varese.

Le tabelle liquidative sono state predisposte in modo che il valore del punto - e quindi il risarcimento - venga determinato seguendo, da un lato un criterio progressivo, in relazione alla gravità della menomazione permanente e, dall’altro, un criterio regressivo, in relazione all'età del danneggiato.

Il criterio progressivo, in pratica, fa variare il risarcimento in modo non uniforme, ma più rapidamente all'aumentare della gravità delle menomazioni, sul presupposto che il danno diventa sempre più pesante secondo una progressione geometrica e non aritmetica; il criterio regressivo trova la sua ratio nella considerazione che, tenuto conto della vita media probabile di ciascun danneggiato, il soggetto leso in giovane età dovrebbe sopportare più a lungo l'incidenza della menomazione nella vita quotidiana, rispetto al soggetto leso in età avanzata.

Le tabelle, ovviamente, forniscono sempre valori puramente indicativi, dai quali il giudicante ben può discostarsi, adottando, in tal caso, una congrua motivazione.

Oggi, il grosso problema nel nostro paese è quello di avere ancora tabelle con valori differenti, adottate presso le varie sedi giudiziarie, fatta eccezione per quella relativa alle c.d. micropermanenti, di recente adozione legislativa.

Le tabelle, infatti, se sono servite ad ottenere l'omogeneità all'interno dei singoli Palazzi di giustizia, tuttavia non sono riuscite a conseguire il medesimo risultato nel Paese, ove le differenze liquidative sono rimaste molto marcate da zona a zona.

Negli ultimi anni vi sono stati vari tentativi del legislatore di regolamentare in modo uniforme la complessa materia del risarcimento del danno alla persona, ma gli stessi sono tutti puntualmente falliti, eccezion fatta per il d. lgs. 28.02.2000, n. 38 e per la legge 20.03.2001, n. 57, sui contenuti dei quali ci soffermeremo più avanti.

IL DECRETO LEGISLATIVO 28 FEBBRAIO 2000, N. 38

Il processo di riforma dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali prende il via con la legge 17 maggio 1999, n. 144, nella quale è prevista la delega del Parlamento al Governo per il riordino della normativa che disciplina l’Inail.

In particolare, l’art 55, comma 1, delega il Governo ad inserire il danno biologico quale oggetto dell’assicurazione obbligatoria, imponendo, giocoforza, una definizione normativa di tale danno.

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In attuazione di tale delega, il governo ha emanato il d. lgs. 38/2000, contenente “disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali”.

Le principali novità contenute nel decreto riguardano non solo l’indennizzo del danno biologico, ma anche la definizione di infortunio in itinere e l’estensione della garanzia assicurativa ad altre categorie di lavoratori.

1) L’INDENNIZZO DEL DANNO BIOLOGICO DA PARTE DELL’INAIL L’esigenza di riforma dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro nasce dai ripetuti interventi della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione.

Il sistema delineato dal T.U. del 1965 era stato pensato in un’epoca storica nella quale, a fronte della lesione subita dall’individuo, si riteneva che potessero essere individuate esclusivamente due voci di danno effettivamente risarcibili: il danno patrimoniale, nella doppia accezione di danno emergente e lucro cessante, nonché il danno non patrimoniale (morale), in presenza di fatto integrante gli estremi di un reato (art. 2059 c.c.).

L’indennizzo da parte dell’Inail del danno patrimoniale, consentiva all’Istituto l’esercizio dell’azione di rivalsa, ex articolo 1916 c.c., nei confronti del responsabile del danno, atteso che le somme erogate al lavoratore coincidevano sostanzialmente con il danno patrimoniale civilisticamente inteso.

La nascita del tertium genus, rappresentato dal danno biologico, pur dando diritto al lavoratore di essere risarcito dal datore di lavoro a tale titolo, non trovava nella sostanza una tutela giuridica autonoma per la lesione del bene salute e per i riflessi della stessa nei rapporti interpersonali. Infatti l’Inail, agendo in regresso nei confronti del datore di lavoro o in rivalsa nei confronti del terzo responsabile, aggrediva, di fatto, le somme spettanti al lavoratore a titolo di risarcimento del danno biologico spettantegli in conseguenza delle lesioni subite. La Corte Costituzionale, con la sentenza 356/91, statuì la possibilità che l’azione di surrogazione fosse limitata alle sole somme dovute al lavoratore a titolo di risarcimento dei danni rientranti nella copertura assicurativa (patrimoniali), escludendo, quindi, la possibilità di aggredire le somme spettanti al danneggiato a titolo di risarcimento del danno biologico.

Se la pronuncia della Corte riuscì a garantire il risarcimento del danno alla salute, non si può negare che aprì la strada ad una duplicazione risarcitoria in presenza di uno stesso danno, privo di compromissione di reddito da un punto di vista civilistico, ma indennizzato dall’Inail a titolo di danno patrimoniale, in forza della presunzione iuris et de iure della perdita dell’attitudine al lavoro, qualora residuassero postumi permanenti superiori al 10%. E, quale ulteriore conseguenza, l’Inail, nella fattispecie in esame, vedeva preclusa la possibilità di agire in rivalsa nei confronti del responsabile. Nemmeno la sentenza della Corte di Cassazione 605/1998, sez. III, riuscì a risolvere il problema. Sebbene la Corte stessa avesse più volte affermato che la “lesione della capacità lavorativa generica” era da ricomprendersi nel concetto di danno alla salute in sede di responsabilità civile, ben difficilmente si riusciva a non far rientrare nel danno biologico quell’attitudine al lavoro di cui all’art. 74 D.p.r.

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1124/65, allorquando lo stesso veniva indennizzato dall’Inail anche in mancanza della prova di riduzione del reddito o, addirittura, in presenza di crescita dello stesso.

Ecco, quindi, il perché della riforma, la quale, estendendo la copertura assicurativa dell’Inail al danno biologico, dovrebbe consentire di evitare il rischio di duplicazioni risarcitorie da un lato e, dall’altro, che il lavoratore infortunato debba rivolgersi al responsabile del danno per ottenerne il risarcimento.

Si impone a questo punto una considerazione in ordine alla portata attuale della sentenza della Corte Costituzionale 356/91. Infatti, alla luce della normativa in esame, è legittimo chiedersi se ed in quale misura possa ritenersi ancora operante il dispositivo della sentenza citata, giacchè, nell’ipotesi affermativa, l’Inail, una volta indennizzato al lavoratore infortunato il danno biologico, si troverebbe preclusa la possibilità di agire in rivalsa, al fine di ripetere dal responsabile le somme corrisposte all’assicurato. Si pone, quindi, il quesito se l’Inail debba investire nuovamente la Corte Costituzionale, al fine di far dichiarare la legittimità costituzionale dell’art.1916 c.c., anche per quella parte dell’azione di rivalsa afferente somme dovute al danneggiato a titolo di danno biologico. Il tema sarà ancora una volta oggetto di dibattito tra coloro che sono favorevoli al perseguimento di questa strada e coloro che, al contrario, affermano la sopravvenuta legittimità costituzionale della norma, che consentirebbe all’Istituto assicuratore di poter legittimamente operare. Né può escludersi che la Corte costituzionale, chiamata a decidere sul punto, possa parzialmente confermare il contenuto della sentenza 356/91, per l’ipotesi in cui dovesse ritenere che la definizione di danno biologico contenuta nell’art. 38/2000 abbia natura statica, con ciò consentendo all’Inail di agire in regresso solamente per quella parte di danno biologico non avente natura funzionale. In tal caso il lavoratore potrebbe agire nei confronti del datore di lavoro, per ottenere il risarcimento di quella parte di danno biologico, non indennizzato dall’Inail, relativa ai riflessi negativi della lesione alla salute sulla vita quotidiana del soggetto infortunato. Ma di questo aspetto e dell’effettiva sussistenza del diritto al risarcimento di un presunto danno biologico differenziale, parlerò più oltre.

2) INFORTUNIO IN ITINERE

Un’altra importante novità è stata introdotta dal decreto in esame attraverso l’art. 12, il quale ha definito in modo puntuale il concetto di infortunio in itinere, fino ad oggi affidato alla valutazione discrezionale del magistrato, che spesso lo ha interpretato in senso difforme e contraddittorio nelle varie pronunzie sin qui emanate.

La norma estende la tutela del lavoratore “durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. (omissis) L’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purchè necessitato”.

Ai fini dell’indennizzo, il lavoratore infortunato dovrà dimostrare il nesso di causalità tra il percorso seguito (che dovrà essere quello abitualmente effettuato tra

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l’abitazione ed il luogo di lavoro) e l’evento dannoso. Il lavoratore non potrà scegliere l’itinerario per ragioni personali e dovrà dimostrare che il fatto si è verificato durante l’orario ricollegabile al tempo necessario per recarsi al lavoro o per ritornare a casa.

Quanto all’utilizzo del mezzo privato, è necessario accertare l’incompatibilità dell’utilizzo dei mezzi pubblici, coniugando tale circostanza con quella della ragionevolezza della distanza tra abitazione e luogo di lavoro. Altro elemento a favore può essere rappresentato dalle condizioni fisiche dell’infortunato, tali da renderne precario o precluso l’uso dei mezzi pubblici.

E’ di tutta evidenza l’importanza di questa disposizione, che dovrebbe evitare (o, quantomeno, ridurre considerevolmente) sia il contenzioso promosso dal lavoratore nei confronti dell’Istituto al fine di veder riconosciuto il diritto all’indennizzo in presenza di circostanze infortunistiche da lui assunte come rientranti nell’ambito del lavoro, sia quello instaurato tra l’Inail e la Compagnia di assicurazione, allorquando quest’ultima negava che il sinistro stradale potesse configurarsi quale “infortunio in itinere”, escludendo in tal modo il diritto dell’Inail di rivalersi nei confronti del responsabile civile e della di lui Compagnia assicuratrice.

3) ULTERIORI CATEGORIE ASSICURATE

Un terzo rilevante elemento di novità introdotto dal decreto, degno di analisi sia con riferimento alla normativa in esame, che a quella concernente la responsabilità civile coperta da assicurazione obbligatoria, è rappresentato dall’estensione della copertura assicurativa a tutti i lavoratori dell’area dirigenziale, agli sportivi, oltre che ai collaboratori coordinati e continuativi. Ritengo che l’innovazione odiernamente introdotta costituisca un primo ed importante passo verso l’estensione della copertura assicurativa a tutti i lavoratori ed a tutti i lavori svolti, anche alla luce della recente legge che include le casalinghe nel novero dei soggetti tutelati dall’Inail.

L’ART. 13 DEL DECRETO LGS. N. 38/2000

Il primo comma dell’art. 13 del d.lgs. 38/2000 così recita: “in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, il danno biologico come la lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona. Le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato”.

Quella contenuta nell’articolo in esame rappresenta la prima regolamentazione legislativa del concetto di danno biologico e, quindi, il punto di partenza per una riforma di carattere generale, con l’avvertenza che le regole contenute nel decreto de quo sono peculiari al sistema previdenziale, caratterizzato dalla logica indennitaria.

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La definizione di danno biologico formulata nel citato art. 13, non sembra contenere alcun riferimento a quel concetto di danno alla salute più volte richiamato nelle sentenze della Corte Costituzionale ( Corte Cost. 27.10.1994, n. 372) e della Corte di Cassazione (Cass. 29.05.1996, n. 4991), le quali, superando la vecchia nozione di danno-evento, propugnata con la sentenza n. 184/86, affermano che il danno biologico va identificato con il quantum di concrete attività cui la vittima sarà costretto a rinunciare per effetto della menomazione.

Sembrerebbe, cioè, che il legislatore, con la nozione di danno biologico così come formulata nella norma in esame, abbia identificato il pregiudizio alla salute con la lesione in sé e per sé considerata, escludendo così l’aspetto dinamico del danno biologico stesso. Ovviamente, in tale contesto, viene a cadere il principio dell’assorbimento, che consente di ricondurre nell’alveo del danno biologico il danno alla vita di relazione, il danno estetico, ecc.

Penso, invece, che il concetto di danno biologico contenuto nel d.lgs. 38/2000, possa far supporre che il legislatore, nella stesura dell’art. 13, non abbia potuto o voluto dimenticare l’interpretazione ormai unanime data dalla giurisprudenza e dalla dottrina al danno biologico, inteso, cioè, come danno alla persona considerata nella sua globalità e, quindi, come menomazione dell’integrità psicofisica del soggetto, che si ripercuote su tutte le sue attività e capacità, compresa quella lavorativa generica.

Credo che si possa trovare conferma della bontà di questa interpretazione attraverso l’esame della relazione al ddl. S. 4093 (“Nuova disciplina in tema di danno alla persona”), il quale contiene la medesima dizione di danno biologico presente nell’articolo in esame. Orbene, in detta relazione si evidenzia che la definizione di danno biologico mira a ricondurre ad unità le varie figure di danno elaborate dalla giurisprudenza, al fine di garantire un risarcimento anche in assenza di danni patrimoniali (danno alla vita di relazione, danno alla capacità sessuale, danno estetico). Dunque, sia pure per relationem, si può concludere che, nella formulazione dell’art. 13, il legislatore ha elaborato una nozione funzionale, dinamica del danno alla salute e non strutturale o statica.

LE TABELLE DEL D.M. 12 LUGLIO 2000

Dopo aver definito il concetto di danno biologico, il legislatore ha stabilito che la menomazione conseguente alla lesione dell’integrità psicofisica sia indennizzata con una prestazione economica sostitutiva della rendita per inabilità permanente prevista dall’art. 66 del Testo Unico.

In primo luogo la legge de qua prevede che le lesioni di grado inferiore al 6%

non siano oggetto di indennizzo e non siano quindi meritevoli di tutela sociale, in considerazione del fatto della loro lieve entità. Tali menomazioni sono pertanto assorbite da franchigia.

Per le invalidità permanenti comprese tra il 6% ed il 15% l’indennizzo viene erogato sotto forma di capitale, nella misura indicata nell’apposita “Tabella indennizzo danno biologico” di cui al D.M. 12 luglio 2000.

Se per le menomazioni comprese tra il 6% ed il 15% l’indennizzo viene corrisposto sotto forma di erogazione una tantum (capitale), per quelle superiori a tale

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grado viene corrisposta una rendita atta a garantire nel tempo un sostegno di tipo economico. In questo caso, una quota della rendita viene assegnata a titolo di danno biologico ed un’ulteriore quota a titolo di danno patrimoniale.

L’applicazione dei criteri di indennizzo si è concretizzata attraverso le tre Tabelle previste dall’art. 13, comma 2, punti a) e b), approvate con il d.m. del 12 luglio 2000, pubblicato sul supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale n. 172 del 25 luglio 2000.

1) La “Tabella delle menomazioni” stabilisce il grado di invalidità, espresso in punti percentuali, corrispondente alla singola menomazione. Detta tabella elenca le singole voci afferenti menomazioni conseguenti a lesioni e/o malattie, comprendendovi gli aspetti dinamico-relazionali. Il grado indicato nella tabella rappresenta la base per determinare sia la misura dell’indennizzo del danno biologico, sotto forma di capitale o di rendita secondo la bipartizione sovra descritta, sia l’ulteriore quota di rendita per l’indennizzo del danno patrimoniale. La nuova tabella sostituisce quelle dell’industria e dell’agricoltura di cui al Testo Unico, contenenti solo menomazioni con incidenza sulla capacità lavorativa. Per tale motivo si è, quindi, passati da 59 a 387 voci di danno.

2) La “Tabella indennizzo danno biologico” contiene il valore monetario del punto di invalidità in base al quale viene indennizzata tale voce di danno: sotto forma di capitale, per invalidità comprese tra il 6% ed il 15%, sotto forma di rendita per invalidità dal 16% al 100%. Tre sono i criteri guida della tabella relativa all’indennizzo del danno biologico sotto forma di capitale:

a) l’indennizzo è areddituale, in quanto la menomazione cagiona un pregiudizio all’integrità psicofisica uguale per tutti gli individui, a prescindere dalla retribuzione del lavoratore infortunato;

b) l’indennizzo è crescente, in misura più che proporzionale, in funzione della gravità della lesione. A fronte di una menomazione che comporta un maggior grado di invalidità, aumenta il valore economico di ciascun punto percentuale aggiuntivo;

c) l’indennizzo è variabile in funzione dell’età, in modo inversamente

proporzionale alla durata della vita residua, nonché del sesso, in considerazioni delle più ampie aspettative di vita del genere femminile. Viene così recepito il criterio adottato dalla maggior parte dei Tribunali per il risarcimento del danno biologico conseguente a fatto illecito civile.

Il valore del punto base unitario è pari a £. 1.600.000 ed è riferito al grado di invalidità ed alla classe di età iniziali. Gli importi, fatto riferimento all’età, sono suddivisi in undici classi quinquennali (la prima fino a 20 anni), desunte dai dati dell’Inail relativi alle aspettative di vita media degli infortunati garantiti dall’Istituto.

La tabella relativa all’indennizzo del danno biologico sotto forma di rendita, prescinde dalla distinzione per fasce di età e di sesso e riporta un solo valore di rendita annua corrispondente a ciascun grado di menomazione. Tali parametri sono ricompresi nella Tabella dei coefficienti, la quale è stata redatta sulla base del complesso delle attività adeguate al patrimonio bio-attitudinale-professionale e,

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quindi, oltre all’età ed al sesso, anche la cultura, la condizione psicofisica, le esperienze lavorative, ecc. In altre parole, tali specificità consentono di diversificare automaticamente l’importo dell’indennizzo, in quanto incidono direttamente sulla durata della rendita vitalizia.

3) La “Tabella dei coefficienti” consente di moltiplicare, per i coefficienti stabiliti, la percentuale della retribuzione percepita dall’infortunato (nei limiti del minimale e del massimale di legge), al fine di determinare la quota di rendita atta a ristorare il danno da ridotta capacità produttiva, conseguente a menomazioni superiori al 16%. Tale percentuale è correlata sia alla categoria lavorativa alla quale appartiene l’infortunato, sia alla ricollocabilità dello stesso, cioè alle potenziali residue capacità lavorative del soggetto.

La norma in esame contiene, altresì, una puntuale disciplina per la valutazione degli aggravamenti, dei miglioramenti, delle invalidità plurime e per l’ipotesi di morte del lavoratore.

La nuova disciplina indennitaria prevista dal decreto in esame, innova esclusivamente le “menomazioni conseguenti alle lesioni dell’integrità psico-fisica”, mentre rimane inalterato il regime relativo all’inabilità temporanea, coperta, al pari delle invalidità inferiori al 6%, da franchigia.

C’è infine da osservare che non muta neppure il regime relativo alle prestazioni economiche erogate ai superstiti dell’assicurato deceduto per cause di lavoro, atteso che il danno biologico, alla luce della giurisprudenza costituzionale (Corte Cost.

372/1994) e di legittimità (Cass. 1998/6404), è la conseguenza della violazione del diritto alla salute e presuppone l’esistenza in vita del lavoratore infortunato.

LA RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO

L’esame delle fonti della responsabilità civile del datore di lavoro ci porta immediatamente all’art. 38 della Costituzione, laddove, al secondo comma si recita:

“I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, (omissis)”. Devono essere, altresì, richiamati, gli artt. 10 e 11 del d.p.r. 30 giugno 1965, n.1124, con i quali vengono stabiliti i casi di esonero del datore di lavoro dalla suddetta responsabilità e sancito il diritto di regresso dell’Istituto assicuratore nei confronti di quest’ultimo, per i casi in cui detto esonero sia escluso. L’art. 2087 del codice civile, che tutela le condizioni di lavoro e l’art. 41 della Costituzione che tutela la lesione della libertà e della dignità umana, nell’ambito dell’iniziativa economica, costituiscono altri due capisaldi delle fonti oggi esaminande. Da ultimo annoveriamo la legge 222/84, nonchè il più volte citato d.lgs. 38/2000 e il d.m. 25 luglio 2000.

Passando all’esame delle fonti della responsabilità penale del datore di lavoro ricorderemo l’art. 589 c.p. (omicidio colposo) e l’art. 590 c.p. (lesioni colpose).

Il datore di lavoro è responsabile quando l’infortunio sia perseguibile d’ufficio e ne sia derivata condanna penale a carico dello stesso o degli incaricati della direzione e sorveglianza o di un qualsiasi altro suo dipendente, nonché nel caso di condanna per violazione delle norme antiinfortunistiche. Solo nel caso di lesioni lievi,

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dalle quali non sia derivata alcuna invalidità permanente, il datore di lavoro è esonerato dalla responsabilità civile.

A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 38/2000, il datore di lavoro, qualora sia ritenuto civilmente responsabile per l’infortunio sul lavoro, dovrà risarcire le seguenti voci di danno:

a) danno patrimoniale.

All’Inail andranno corrisposti il valore capitale della rendita erogata in presenza di invalidità permanente superiore al 16%, la somma pagata a titolo di inabilità temporanea, nonché le spese per accertamenti diagnostici, cure, apparecchi protesici, ecc.

All’infortunato andrà risarcita la somma eventualmente risultante dalla differenza tra la rendita costituita dall’Inail ed il danno patrimoniale calcolato secondo i criteri civilistici;

b) danno morale.

Vige il combinato disposto di cui agli artt. 185 c.p. (restituzione e risarcimento del danno) e 2059 c.c. (danno non patrimoniale);

c) danno biologico.

La rivalsa Inail verrà ora effettuata anche per il danno biologico, erogato a titolo di capitale per le invalidità comprese tra il 6% ed il 15% ed a titolo di rendita per quelle eccedenti tale grado. Il datore di lavoro sarà, altresì, tenuto a risarcire, ex art. 2043 c.c., il danno biologico da inabilità temporanea, il danno biologico da invalidità permanente fino al 5% e l’eventuale differenza tra il danno biologico indennizzato dall’Inail per invalidità permanenti tra il 6% ed il 100% e quello ottenuto tramite il calcolo effettuato secondo i principi civilistici.

Come ho avuto già modo di dire, il diritto al risarcimento del danno biologico differenziale da parte del lavoratore infortunato, si configura come una realtà astratta, che ben difficilmente potrà trovare riscontro nelle pronunzie giurisprudenziali. La tutela indennitaria garantita dall’assicuratore sociale non dovrebbe, nei fatti, discostarsi da quella risarcitoria e, pertanto, in presenza di identica valutazione in ordine alla natura dei postumi residuati, il lavoratore si troverebbe preclusa la possibilità di agire nei confronti del responsabile civile, atteso che l’indennizzo ottenuto dall’Inail a titolo di danno biologico coincide con la voce di danno ripetibile a titolo di risarcimento. Infatti, la nozione di danno biologico ha natura unitaria e a nulla rileva la differente quantificazione economica adottata dall’Istituto sociale, rispetto a quella prevista nell’ambito risarcitorio.

LA POLIZZA R.C.D.

Al fine di proteggere il patrimonio aziendale e, talora, quello personale, il datore di lavoro stipula un contratto di assicurazione che lo tenga indenne dalle pretese di risarcimento avanzate dal lavoratore a seguito di infortunio, o dall’Inail a titolo di rivalsa. Si tratta ora di comprendere quali sono le garanzie prestate dalle Compagnie presenti sul mercato e, soprattutto, in quale chiave dovranno essere

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modificati i contratti assicurativi, al fine di garantire al datore di lavoro una copertura adeguata, sia alla luce della nuova legge Inail, sia alla luce di alcune decisioni giurisprudenziali recenti.

La maggior parte delle Compagnie assicuratrici del mercato hanno inserito tra le garanzie di polizza quella relativa al risarcimento del danno biologico, anche per invalidità biologica inferiore all’11%, che rappresentava, prima del D. Lgs. 38/2000, il limite per la rivalsa da parte dell’Inail. Detta garanzia è talora prestata attraverso l’applicazione di franchigie di importo fisso predeterminato o pari ad un minimo grado percentuale di invalidità (normalmente il 3%).

La garanzia fornita dalla polizza è estesa, limitatamente alla rivalsa Inail, ai titolari, ai soci ed ai familiari coadiuvanti delle aziende artigiane e ciò in virtù del carattere peculiare di tali imprese, che impiegano, inevitabilmente, tutto o quasi il nucleo domestico. L’evoluzione del mercato e la sempre crescente attenzione alla clientela potrebbe legittimare l’ulteriore estensione di questa garanzia anche alle altre voci di danno, oggi non ancora comprese nelle condizioni di polizza (morale, patrimoniale e biologico differenziali).

IL D.lgs. 38/2000 ha sicuramente contribuito alla soluzione di alcune problematiche sollevata dalla giurisprudenza nel corso degli anni, ma ne ha create altre, che dovranno trovare presto una giusta soluzione, a tutela del patrimonio delle imprese e delle aziende del mercato italiano. Basti pensare alle attività svolte dai lavoratori temporanei o interinali, nonché dai lavoratori dati o ricevuti in prestito da altre aziende, per i quali la garanzia non è operante, in quanto addetti ad attività diverse da quelle per le quali è prestata l’assicurazione. In quest’ultimo caso si pone il problema di identificare il soggetto civilmente responsabile dell’infortunio. Non v’è dubbio che quest’ultimo sia l’imprenditore che abbia la direzione o il controllo dell’attività svolta dal prestatore di lavoro infortunato. Tuttavia, non è da escludersi che l’Inail possa esercitare sia l’azione di rivalsa, ex art. 1916 c.c., nei confronti del datore di lavoro che utilizza il lavoratore, che di regresso, ex art. 10 e 11 D.P.R.

1124/65, nei confronti del datore di lavoro effettivo, ossia di colui che eroga lo stipendio al lavoratore. In entrambi questi casi la garanzia standard offerta dalle Compagnie non fornisce alcuna copertura al datore di lavoro e i motivi possono essere facilmente intuibili.

Il mercato assicurativo è in grande fermento e sta vivendo una grande evoluzione. I criteri di personalizzazione sono sempre di più l’elemento qualificante e vincente per una moderna Compagnia che voglia essere concorrenziale, realizzando sviluppo e che, nel contempo, voglia garantirsi redditività. La rapidità dell’evoluzione giurisprudenziale e legislativa potrà far cogliere alle Imprese assicurative più qualificate l’opportunità per proporsi come sicuro parafulmine per le imprese, al fine di garantirne lo svolgimento dell’attività in modo sereno e sempre più protetto.

LA LEGGE 20 MARZO 2001, N. 57

La legge 20 marzo 2001, n. 57, entrata in vigore il 4 aprile 2001, contiene la nuova disciplina del danno biologico conseguente a lesioni di lieve entità. Ritroviamo

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qui, per la seconda volta, la definizione legislativa di danno biologico, in virtù della quale tale danno viene inteso come “la lesione all’integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale”. La definizione data in quest’ultimo testo differisce da quella contenuta nel d.lgs. 38/2000, in quanto, nella legge 57/2001 si parla di accertamento medico-legale, mentre, nella prima, di valutazione medico- legale. Sia dal punto di vista lessicale che da quello medico-legale è indubbia la differenza che intercorre tra i due termini, atteso che la valutazione di un danno è pur sempre possibile, mentre l’accertamento può trovare ostacolo allorquando si proceda ad un esame di carattere obiettivo. Mi chiedo, però, quale valenza abbia un mero accertamento, se allo stesso non faccia seguito una valutazione che traduca in termini qualitativi, oltre che quantitativi, le conclusioni alle quali è pervenuto il medico professionista che ha visitato il danneggiato. Se il legislatore, in luogo dei termini utilizzati, avesse fatto ricorso alla definizione di “apprezzamento”, “giudizio”,

“indagine”, si potrebbe oggi concludere che siamo in presenza di metodologie cognitive che possono portare a conclusioni difformi tra loro? Ritengo che il legislatore, ancora una volta, abbia usato tali vocaboli in modo indifferenziato e l’emananda tabella dei barème prevista dalla legge 57/2001 potrà darcene puntuale conferma.

Riprendendo le considerazioni fatte a proposito dell’art.13 del d.lgs. 38/2000, possiamo affermare che la definizione di danno biologico presente nel testo della legge 57/2001, ancora una volta non contiene alcun riferimento a quel concetto di danno alla salute più volte richiamato nelle sentenze della Corte Costituzionale

(Corte Cost. 27.10.1994, n. 372) e della Corte di Cassazione (Cass. 29.05.1996, n.

4991). C’è quindi da chiedersi se il legislatore abbia voluto ignorare il percorso fatto in questi anni dalla dottrina e dalla giurisprudenza, assimilando la lesione alla salute alle conseguenze della lesione medesima e identificando il danno risarcibile con la vecchia nozione di danno-evento, propugnata con la sentenza della Corte Costituzionale n. 184/86. Anche in questo caso non ritengo che il legislatore abbia omesso di prendere in considerazione l’interpretazione ormai unanime data dalla giurisprudenza e dalla dottrina al danno biologico. La legge 57/2001, affidando al Governo il compito di varare una tabella delle invalidità (barème) che serva a stabilire l’entità effettiva del danno, differisce ad un momento successivo la possibilità di dare senso compiuto alla definizione di danno biologico, così come odiernamente formulata. Se l’emananda tabella non si limiterà a prendere in considerazione solamente la disfunzione anatomopatologica, ma farà riferimento anche alle concrete conseguenze che la lesione ha avuto sulla vita del danneggiato, si potrà concludere che, nella redazione dell’art. 5, terzo comma, il legislatore ha elaborato una nozione del danno alla salute funzionale e dinamica, non strutturale o statica.

Anche la possibilità, introdotta dalla legge 57/2001, di riconoscere un ulteriore risarcimento in funzione delle condizioni soggettive dell’offeso, può essere di sostegno a questa tesi e può aiutarci a comprendere che la nozione adottata ha natura dinamica, in quanto, attraverso tale modalità risarcitoria, viene riconosciuta al giudice

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la facoltà di adattare il quantum all’effettivo pregiudizio derivato al leso dalla menomazione subita.

Tuttavia, la normativa ora esaminata presta il fianco ad alcune considerazioni che, ad avviso dello scrivente, non possono non essere evidenziate.

In primo luogo, onde porre fine alle disparità di trattamento derivanti dai diversi criteri adottati dai magistrati, sarebbe stato opportuno fissare un limite, in melius o in pejus, entro il quale modificare i valori dei risarcimenti attualmente codificati, così da evitare la discrezionalità assoluta ed autonoma del potere giudicante, che vanifica lo sforzo di contenere il contenzioso e l’obiettivo di garantire risarcimenti uguali per tutti, in particolare con riferimento alle microlesioni.

In secondo luogo, emergono profili problematici anche in relazione a tutte quelle fattispecie non rientranti nella responsabilità civile per danni cagionati dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. Infatti, l’intento di porre fine alla disparità di trattamento, viene vanificato allorquando debba essere risarcito un danno biologico conseguente a lesioni riportate a seguito dell’utilizzo o dell’ingerimento di prodotti difettosi, di percosse, di contaminazione con sostanze infette o nocive, di aggressione da parte di animali, di cadute provocate dalla presenza di insidie o trabocchetti, dell’esercizio della pratica sportiva, della circolazione dei mezzi privi di motore, ecc.

Non dobbiamo, infine, dimenticare le lesioni che comportino esiti permanenti di entità superiore al 9% e quelle riportate anteriormente all’entrata in vigore della presente legge.

Dunque, in tutti questi casi, potremmo ancora assistere alla liquidazione di importi differenti per gradi di invalidità permanenti assolutamente identici.

DANNO BIOLOGICO: VALORI RISARCITORI AI SENSI DELL’ART. 5 DELLA L. 57/2001

Il secondo comma dell’art. 5 della legge 57/2001, nel disciplinare la misura del risarcimento, afferma che il danno biologico è liquidato con un importo crescente, in misura più che proporzionale rispetto ad ogni punto percentuale di invalidità. In realtà, l’esame dei coefficienti di cui all’Allegato A della legge, consente di affermare che la crescita è lineare e raddoppia allorquando si passa dal 4% al 5% di invalidità.

Il valore del punto viene poi abbattuto nella misura dello 0,5% per ogni anno di età a partire dall'undicesimo. La norma riconosce inoltre, a differenza dell’art. 38/2000, un valore monetario per ogni giorno di inabilità temporanea assoluta, pari a £. 70.000. Il quadro di riferimento viene completato, attraverso il quarto comma dell’art. 5, con la previsione di quell’ulteriore risarcimento che tiene conto delle condizioni soggettive del danneggiato, di cui si è già detto.

In occasione dell’illustrazione dei criteri di liquidazione previsti dall’art. 13 del d.lgs. 38/2000, si è fatto cenno ai valori monetari dello stesso rispetto a quelli presenti nella legge 57/2001, così come si è disegnata la nuova definizione di “infortunio in itinere” e si sono declinate le nuove categorie di lavoratori che beneficiano della disciplina prevista dalla novellata legge Inail. Il richiamo a queste tre fattispecie è più che mai necessario, giacchè la legge 57/2001, così come approvata dal Parlamento,

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pone non pochi problemi quando si deve procedere al risarcimento del danno biologico conseguente a lesioni riportate in occasione di un sinistro stradale, qualificabile come infortunio in itinere.

In tale caso, la Compagnia assicuratrice del responsabile civile dovrà innanzitutto accertare, attraverso un’indagine medico-legale, l’entità dei postumi residuati al danneggiato, i quali saranno valutati secondo le barèmes medico-legali comunemente adottate in materia di responsabilità civile. La divergenza tra i valori indicati nella “Tabella della menomazioni” di cui al d.lgs. 38/200 e quelli previsti in materia di responsabilità civile, potrebbe portare ad una serie di conseguenze che cercheremo di illustrare sinteticamente qui di seguito.

In primo luogo, in presenza di postumi invalidanti inferiori al 5%, secondo i parametri civilistici, l’assicuratore potrà senz’altro procedere alla liquidazione del danno, coperto dalla franchigia prevista dall’art. 13 cit., pur in presenza di una valutazione più elevata da parte dell’Inail. La sussistenza di tale franchigia impedisce all’Istituto di agire nei confronti dell’assicuratore del responsabile civile, salvo il caso in cui l’Inail non ritenga di accertare giudizialmente l’esistenza di postumi civilistici di grado superiore, acquisendo, nel caso affermativo, il diritto ad agire in rivalsa nei confronti del responsabile civile e del suo assicuratore, al fine di recuperare le somme pagate al lavoratore infortunato a titolo di danno biologico.

In secondo luogo, qualora i postumi residuati siano superiori al 5%, l’Inail potrà agire in rivalsa nei confronti del responsabile civile e del suo assicuratore, ma questi, nel caso in cui i postumi accertati in sede civile siano inferiori a quelli valutati secondo il d.lgs. 38/2000, potranno opporre il limite dell’importo effettivamente dovuto al danneggiato a titolo di risarcimento.

In terzo luogo, ben può accadere che l’infortunato, dopo aver ottenuto l’indennizzo dall’Inail, tanto sotto forma di capitale (solo danno biologico), quanto sotto forma di rendita (danno biologico e danno patrimoniale nell’ipotesi di invalidità superiori al 15%), si rivolga al responsabile civile, al fine di ottenere il risarcimento del maggior danno biologico ed eventualmente anche di quello patrimoniale, non coperti dall’indennizzo corrisposto dall’Inail. La mancanza di un’identica tabella che determini l’entità dei postumi ed il quantum degli stessi o, comunque, che consenta di riparametrare i valori erogati dall’Inail a quelli liquidati secondo i criteri adottati in materia di responsabilità civile, potrebbe esporre il responsabile civile alla richiesta di ulteriori somme per voci di danno già erogate dall’Inail, qualora il danneggiato assuma di aver subito un pregiudizio superiore a quello accertato dall’Istituto assicuratore. Ma di questo argomento e della impraticabilità di fatto di questa strada si è già detto.

CONCLUSIONI

Nel corso degli ultimi mesi abbiamo assistito alla realizzazione di un grande paradosso normativo: la disciplina del danno biologico, da un punto di vista logico e secondo l’unanime orientamento giurisprudenziale, avrebbe dovuto seguire un iter esattamente opposto, rispetto a quello effettivamente percorso. Infatti, sarebbe stato

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opportuno procedere dapprima ad una compiuta regolamentazione del danno biologico nell’ambito del diritto civile e, solo successivamente, favorirne l’ingresso nel campo previdenziale. In tal caso, le scelte normative avrebbero più facilmente potuto consentire un’armonizzazione dei due sistemi, attraverso l’adozione di una medesima tabella delle menomazioni.

Ma non tutto il terreno è perduto. Infatti, ci sono di conforto sia l’art 13, comma 1, del d.lgs 38/2000, laddove si afferma che la nuova disciplina indennitaria del danno biologico di origina lavorativa ha carattere “sperimentale”, in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, sia l’art. 5, comma 2, della Legge 57/2001, il quale indica i criteri e le misure di risarcimento del danno biologico conseguenti a lesioni di lieve entità, precisando che ciò avviene in attesa di una disciplina organica sul danno biologico. Sia il legislatore del 2000 che quello del 2001 sembrano aver voluto o, forse, più propriamente, dovuto aprire una strada, “in attesa”, l’espressione è utilizzata da entrambi, che la materia sia regolata in modo più organico e compiuto, al fine di eliminare tutte le incongruenze e le problematiche che oggi rischiano di scontentare tutti, alimentando un massiccio contenzioso che danneggerebbe ulteriormente sia l’immagine europea ed internazionale del nostro Stato, sia il diritto dei danneggiati ad essere risarciti in tempi brevi.

Va comunque detto che resteranno notevoli differenze tra il sistema indennitario pubblico e quello risarcitorio privato, pur essendo comune l’oggetto da regolamentare, cioè il danno biologico. L’Inail, infatti, assolve una funzione sociale e l’indennizzo, secondo l’art. 38 della Costituzione, deve garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore, mentre il sistema civilistico deve tendere a risarcire il danno effettivamente cagionato, ossia deve garantire la restitutio in integrum del patrimonio della persona danneggiata. In definitiva, il sistema assicurativo previdenziale ha carattere automatico, trova fondamento in principi e meccanismi solidaristici, è oggetto di valutazione rivedibile nel tempo e fornisce prestazioni di varia natura (protesi, cure mediche, assistenza sociale, ecc.). Il secondo ha, invece, carattere puntuale e si risolve con l’erogazione di una somma capitale che definisce ogni rapporto.

Tuttavia, la sostanziale ed ineliminabile differenza tra i due sistemi poteva essere colmata con la individuazione di un comune denominatore, che consentisse di superare i problemi di coordinamento tra i due ambiti (v. doppio risarcimento).

Ebbene l’identificazione di tale comune denominatore nella nozione di danno biologico, è un’operazione sicuramente condivisibile e sostanzialmente corretta. Ma così come si è venuta delineando non ha consentito, a causa delle incongruenze illustrate, di risolvere i problemi oggi affrontati. Anzi, tutte le tematiche che hanno accompagnato l’annosa e travagliata vicenda del danno biologico, si ripropongono ancora una volta.

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