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INDICE. Introduzione...I. Capitolo I. La definizione del mobbing. 1. Premessa: le cause economico-sociali del mobbing 1

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INDICE

Introduzione………...I

Capitolo I

La definizione del mobbing

1. Premessa: le cause economico-sociali del mobbing……1

2. Il mobbing nelle scienze psicosociali……….….6

3. I tentativi di definizione legislativa………14

4. Il problema definitorio della giurisprudenza…………..22

Capitolo II I principi e le norme del panorama giuridico esistente 1. Il quadro normativo internazionale ed europeo………40

2. Il quadro normativo in Italia………..45

2.1 I principi costituzionali………46

2.2 La tutela civile……….48

2.3 La legislazione speciale………...52

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2.4 I limiti della tutela penale………57

Capitolo III La responsabilità che può invocare la vittima 1. La responsabilità del datore di lavoro………64

2. La responsabilità extracontrattuale del mobber……….77

3. L’onere probatorio……….80

Capitolo IV Il danno risarcibile 1. Il danno patrimoniale……….90

2. Il danno non patrimoniale………..93

2.1 Il danno morale………97

2.2 Il danno biologico………..103

2.3 Il danno c.d. esistenziale………112

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Capitolo V La tutela INAIL

1. Premessa: il sistema di riconoscimento delle malattie professionali………122 2. La Circolare INAIL n. 71/2003 e il D.M. del

27.04.2004………...128 3. La sentenza n. 5454/2005 del TAR Lazio…………...133

Conclusioni………...136

Bibliografia………...143

Giurisprudenza citata………..165

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INTRODUZIONE

Il fenomeno del terrorismo psicologico nei luoghi di lavoro, il cosiddetto mobbing, è un problema tipico delle organizzazioni economiche contemporanee.

L’attuale complessità, delle realtà sociali e delle relazioni intercorrenti fra gli individui, ha influenzato notevolmente le dinamiche del lavoro, portando con sé un numero crescente di situazioni in cui spesso è lesa la dignità personale del lavoratore.

L’impatto delle molestie morali è estremamente avvertito dalla moderna coscienza sociale, per questo da più parti si auspica un’evoluzione civile e culturale verso una tutela della persona del lavoratore considerata nel suo complesso.

In particolar modo, l’accento cade sul rispetto della dignità e della sfera esistenziale del lavoratore, vittima di quei comportamenti vessatori, ostili e non etici, posti in essere in forma sistematica, da uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, volti ad arrecargli danni di vario tipo o gravità.

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La dimensione che ha assunto il fenomeno è a tal punto rilevante, da essere oggetto di studio multidisciplinare, mentre dottrina e giurisprudenza sono tuttora impegnate nella ricerca di garanzie e tutele più forti rispetto a quelle tradizionali.

Il presente lavoro, affrontando un tema di grande attualità, si propone di analizzare il fenomeno del mobbing, sotto il profilo giuridico, allo scopo di individuare gli strumenti di tutela applicabili.

In tale ottica la trattazione è stata suddivisa in cinque capitoli.

Nel primo capitolo, dopo un’introduzione delle cause economico-sociali e l’analisi dei risultati conseguiti in campo sociologico e psicologico, si dà conto, sia dei tentativi forniti dal legislatore, sia del ruolo creativo ed interpretativo della giurisprudenza, nella risoluzione dell’imprescindibile questione definitoria. Attraverso l’analisi comparata delle principali sentenze di merito e di legittimità si cercherà di individuare i caratteri distintivi del mobbing.

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Verificata la rilevanza giuridica del fenomeno, nel secondo capitolo, si passeranno in rassegna le norme e gli istituti giuridici pertinenti alla fattispecie. Il panorama giuridico esistente, sia a livello internazionale sia nazionale offre, pur in mancanza di una normativa volta a disciplinare direttamente il fenomeno del mobbing, tutta una serie di norme e di principi costituzionali, civili, penali e della legislazione speciale, cui poter far riferimento per apprestare alla vittima piena tutela. Un contribuito ad una maggiore diffusione e percezione della gravità del fenomeno in questione, è fornito dalla contrattazione collettiva e aziendale, i cui sforzi sono rivolti verso un lavoro di sensibilizzazione e di attuazione degli strumenti di prevenzione.

Il capitolo successivo è dedicato alla responsabilità del mobber, sia che si identifichi con il datore di lavoro, sia con gli altri autori materiali. L’attenta disamina dell’art. 2087 c.c. e il conseguente confronto tra i due regimi di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, cerca di stabilire il regime più favorevole per il lavoratore.

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Si conclude il capitolo affrontando l’annosa problematica dell’onere probatorio.

La rinnovata attenzione alla tutela del danno alla persona, coerentemente con i dettami della Carta Costituzionale, ha decretato il venir meno di quella logica patrimonialistica di cui era permeato il sistema tradizionale.

Il capitolo quarto, occupandosi della questione risarcitoria, prende in esame la recente evoluzione giurisprudenziale in tema di danno alla persona, basata sulla distinzione tripartita del danno non patrimoniale: danno morale, biologico e danno derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona. Quest’ultima figura di danno, il c.d. danno esistenziale, ben si adatta alla fattispecie del mobbing, poiché riesce a compensare la vittima da tutti i pregiudizi non patrimoniali subiti a prescindere dal danno alla salute.

Completa la trattazione, il quinto e ultimo capitolo, uno specifico approfondimento sulle prospettive di tutela sul piano assicurativo previdenziale, alla luce dell’annullamento della circolare INAIL n. 73/2003.

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Solo l’adeguata comprensione del fenomeno e il suo corretto inquadramento giuridico possono evitare errori interpretativi o l’abuso del termine per corroborare pretese risarcitorie non sempre fondate.

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Capitolo I

LA DEFINIZIONE DEL MOBBING

1. Premessa: le cause economico-sociali del mobbing.

In tutte le società avanzate, negli ultimi dieci anni, il mondo del lavoro ha subito notevoli cambiamenti a causa delle grandi trasformazioni economiche iniziate dagli anni ottanta.

Numerosi sono i fattori che hanno contribuito a creare il terreno fertile, su cui si è sviluppato quel “terrore”

psicologico attuato sul luogo di lavoro che ha preso il nome di mobbing1.

1 Concordemente la dottrina ritiene che il termine mobbing derivi dal verbo inglese “to mob” che significa: accerchiare, circondare, assediare, attaccare, assalire in massa, fare ressa, affollarsi intorno a qualcosa o qualcuno. Negli anni sessanta (in, Das sogenante boese. Zur naturgeschichte der Aggression, Wien, 1963, p. 41), l’etologo Konrad L. utilizzò l’espressione per spiegare l’attacco coalizzato sferrato da un gruppo di animali (nel caso di specie erano uccelli che difendevano il loro nido con manovre di volo minacciose contro gli aggressori) ad un membro dello stesso branco per costringerlo ad allontanarsi dal gruppo, conducendolo alle volte sino alla morte. Il concetto

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Basti pensare alla globalizzazione dei mercati, alle ristrutturazioni/fusioni aziendali e alla corsa esasperata alla riduzione del personale, alla flessibilità e alla progressiva precarizzazione dei rapporti di lavoro, alle nuove forme di organizzazione del lavoro caratterizzate da estrema competitività, alle innovazioni tecnologiche che impongono il loro ritmo incalzante alla vita quotidiana,

del mobbing è stato ripreso successivamente dalla psicologia del lavoro, quando una serie di patologie psico-somatiche, lamentate negli ambienti di lavoro, furono paragonate al medesimo fenomeno d’accerchiamento e d’aggressione. Per altri autori il termine risale al sostantivo mob, dal latino mobile vulgus, che significa invece folla tumultuante, spesso nell'accezione dispregiativa di gentaglia, plebaglia, banda di delinquenti. In tal senso Meucci M., Considerazioni sul “mobbing” ed analisi del disegno di legge n. 4265 del 13 ottobre 1999, in LPO, 1999, 11, p. 1953; Monateri P.G., Bona M., Oliva U., Mobbing: vessazioni sul lavoro, Giuffrè, Milano, 2000, p. 6;

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alla terziarizzazione dell’economia2, ed infine, al massiccio ingresso nel mercato di lavoro di categorie sociali deboli, quali le donne e gli immigrati3 che diventano facile bersaglio di discriminazione. Trasformazioni che hanno travolto anche i modelli culturali e sociali di riferimento, incentrati adesso sull’apparenza, sull’individualismo e la competizione,

Soprani P., La sindrome da mobbing, in AS, 2000, 14, p. 61; Inglese I., Mobbing e certezza del diritto, in MGL, 2005, III, p. 130.

2 Si veda Favretto G. (a cura di), Le forme del mobbing, R. Cortina, Milano, 2005, p. 119 e ss.; Mazzamuto S., Il Mobbing, Giuffrè, Milano, 2004, p. 4 e ss., e in EDP, 2003, p. 627 e ss.; Carrettin S., Recupero N., Il mobbing in Italia. Terrorismo psicologico nei rapporti di lavoro, Dedalo, Bari, 2001, p. 18 e ss.; Taverna N., Il mobbing in ambiente di lavoro, in AS, 2001, 3, p. 32; Monateri P.G., Bona M., Oliva U., La responsabilità civile nel mobbing, IPSOA, Milano, 2002, p. 21; Ascenzi A., Bergagio G.L., Mobbing:

riflessioni sulla pelle…, Giappichelli, Torino, 2002, p. 32 e ss.; Maier E., Gli antecedenti organizzativi del mobbing, in www.digilander.iol.it/emair.

Analoghe considerazioni le troviamo anche nella Risoluzione A5-0283/2001 [2001/2339] del 20.9.2001, avente ad oggetto il “Mobbing sul posto di lavoro”, adottata dal Parlamento Europeo, in www.europa.eu.int. Riguardo alle cause soggettive, che focalizzano l’attenzione sui protagonisti del mobbing, si veda, per tutti, Ege H. Mobbing. Che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Pitagora, Bologna, 1996, p. 133 e ss.

3 Si veda la relazione del Direttore Generale dell’IIMS (Istituto Italiano di Medicina Sociale), al WorkCongress6 2004, in www.romacivica.net/Isd/salute/mobbing.htm, dove si mette in evidenza che il 52% delle donne è vittima di mobbing, ma che nel tempo, il fenomeno, da strumento di discriminazione di genere si è trasformato in una strategia aziendale, “volta ad aggredire tutti coloro che non si conformano alle regole implicite di un’organizzazione”. Anche per, Monateri P.G., I paradossi del mobbing, in Il mobbing, (a cura di Tosi P.), Giappichelli, Torino, 2004, p. 86, le premesse del fenomeno sono ormai diverse dalla realtà operativa: la maggior parte delle cause giudiziarie in Italia, infatti, riguardano soprattutto i dirigenti e non più le categorie deboli.

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favorendo, così, il sorgere di tutta una serie di conflitti e tensioni sui luoghi di lavoro4.

Non sorprende, quindi, che tale termine sia stato assorbito rapidamente nel linguaggio comune5, diffondendosi ben al di là di un fattore “alla moda”.

La parola mobbing ha il pregio d’essere, attraverso la facile pronuncia e la brevità del termine inglese, una categoria unificante che fa cogliere la gravità del fenomeno nella sua interezza. Molte vittime hanno percepito chiaramente la loro situazione di mobbizzati, solo quando gli è stato descritto il fenomeno.

4 Casilli A., Stop mobbing. Resistere alla violenza psicologica sul luogo di lavoro, Derive Approdi, Roma, 2000, p. 66 e ss. Si veda in particolare l’analisi del pensiero di McCarthy P., p. 76, il quale individua come causa oggettiva del mobbing, il contesto economico, la struttura organizzativa delle aziende moderne; Casilli A., Un approccio sistemico al mobbing e logiche di

risposta, in www.sicurezzaonline.it/primop/ppmob/ppmobdoc/aspgiu/aspgiustrtut.htm;

Sechi B., I danni derivanti dal mobbing, in www.dirittoefamiglia.it/Docs/Giuridici/Dottrina/Dannidelmobbing; Benucci F., Il fenomeno del mobbing: preliminari indicazioni nell’ambito della valutazione medico legale, in www.eurom.it/medicina/mobbing. In tale accezione si esprime anche la circolare INAIL 71/2003 traducendo il termine mobbing, con il concetto di “costrittività organizzativa”, per la cui analisi si rinvia al Cap. V, par. 2.

5 Oltre agli articoli apparsi sulla stampa, numerosi sono i siti internet, anche giuridici, che se ne occupano. Si rinvia a titolo di esempio all’elenco in:

Leaci E., Il mobbing (Pt. II), in ISL, 2001, 7, inserto, p. XVIII e ss.

Persino dei films sono stati girati sull’argomento: nel 2004, Mi piace lavorare-Mobbing, della regista Comencini F., e nel 2005, La febbre, del regista D’Alatri A.

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Viene naturale, tuttavia, domandarsi perché se ne sia preso coscienza solo negli ultimi anni, visto che nell’ambiente di lavoro, un certo grado di conflittualità, che sfocia in

“angherie e inurbanità”6 a danno dei lavoratori, è sempre esistito.

L’attenzione crescente nei confronti del mobbing, sia da parte dei mass-media che della dottrina e della giurisprudenza, deriva, oltre che dalla crescente considerazione che sta assumendo la tutela della persona umana, soprattutto nella dimensione non patrimoniale ed esistenziale, anche dalla maggiore consapevolezza7 delle conseguenze che provoca il mobbing sulla vittima8, sulle aziende9 e sulla società10.

6 Pera G., Angherie e inurbanità negli ambienti di lavoro, in RIDL, 2001, I, p. 291 e ss.

7 Non sono mancate tesi, anche se minoritarie, che hanno disconosciuto l’esistenza e la rilevanza del fenomeno definendolo come “straordinario strumento di selezione, l’ordalia medievale che rende forti e seleziona i migliori”, in Merlo F., Il mal d’ufficio ultima trovata della filosofia buonista, in Sette, n. 47, del 26.11.1998, supplemento del Corriere della Sera, in www.corrieredellasera.it/mobbing. Conforme Bracco E., Il mobbing non esiste? Note a margine di una polemica di costume, in www.unicam.it/ssdici/mobbing. Contra, per tutti, Meucci M., Violenza da mobbing sul posto di lavoro, in RCDL, 2000, I, p. 283; Amato F., Casciano M.V., Lazzeroni L., Loffredo A., Il mobbing. Aspetti lavoristici: nozione, responsabilità, tutela, Giuffrè, Milano, 2002, p. 38.

8 E’ il soggetto che subisce le maggiori conseguenze lesive della sfera patrimoniale e/o non patrimoniale. A livello Europeo (in Risoluzione A5- 0283/2001, cit.), ben l’8%, pari a 12 milioni di lavoratori, è stato vittima di mobbing sul luogo di lavoro. In Italia, le vittime, sarebbero circa un milione

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2. Il mobbing nelle scienze psicosociali.

Le prime elaborazioni scientifiche del fenomeno si sono avute grazie agli studi compiuti dalle scienze psicosociali

e mezzo (circa il 6% della forza-lavoro), e non meno di cinque milioni quelle coinvolte nel fenomeno, tra amici, side-mobbers e familiari (In Ege H., I numeri del mobbing. La prima ricerca italiana, Pitagora, Bologna, 1998, p. 8; stesse considerazioni nel Rapporto ILO-1998, La violence sur le lieu de travail – un problem mondial, in www. ilo.org). Il coinvolgimento indiretto della famiglia del mobbizzato (Ege H., Il mobbing in Italia: introduzione al mobbing culturale, Pitagora, Bologna, 1997, p. 97) prende il nome di doppio mobbing, e si viene a creare quando il mobbizzato scarica tutti i suoi disagi sulla famiglia, la quale inizialmente lo aiuta, ma successivamente assume un ruolo essa stessa di mobber, isolando la vittima anche dal nucleo familiare.

Inoltre, il 13% dei suicidi sarebbe riconducibile a questo fenomeno (in Gilioli A., Gilioli R., Cattivi capi, cattivi colleghi. Come difendersi dal mobbing e dal nuovo “capitalismo selvaggio”, Mondatori, Milano, 2000, p. 11; Gilioli R., Adinolfi M., Bagaglio A., Boccaletti D., Cassitto M.G., Della Pietra B., Fanelli C., Fattorini E., Gilioli D., Grieco A., Guizzaro A., Labella A., Mattei O., Menegozzo M., Menegozzo S., Molinini R., Musto D., Paoletti A., Papalia F., Quagliuolo R., Vinci F., Un nuovo rischio all’attenzione della medicina del lavoro: le molestie morali (mobbing),

“Consensus document”, pubblicato su “La medicina del lavoro”, vol. ’92, 1, 2001 e consultabile in www.clik.to/dirittolavoro/mobbing (sezione dottrina).

Molte sono le statistiche in circolazione, ma in generale, mancano, dati statistici attendibili scientificamente, essendo difficile reperire un campione rappresentativo della popolazione lavorativa del paese in cui si svolgono le ricerche (Costa E., Scaramucci G., Prevenire il mobbing. Un vantaggio per le Aziende. Una sicurezza per i Lavoratori, Giappichelli, Torino, 2005, p. 2 e ss.).

9 Il mobbing costituisce un costo in termini di ridotta o azzerata produttività del dipendente, dovuta alle lunghe assenze o al licenziamento della vittima, con conseguenti difficoltà organizzative dell’attività lavorativa. Inoltre l’azienda subisce danni all’immagine e costi derivanti da eventuali cause civili di risarcimento danni (Casilli A., Stop mobbing, cit., p. 40). Si calcola che in Europa, il costo complessivo subito dalle aziende sia stimato in 20 miliardi di Euro (Il Sole 24 ore, 21.10.2002, Quanto “costa” un’angheria”, in www.ilsole24ore.com/mobbing).

10Il mobbing incide anche sul Sistema Sanitario Nazionale: assenze per malattia retribuite dall’INPS, visite mediche erogate dalla ASL, senza pensare poi ad un eventuale pre-pensionamento, che costituisce un costo anticipato per la società. Per tutti, Ege, Mobbing: caratteristiche, conseguenze, soluzioni, in www.mobbing-prima.it/princ.it.htm. A titolo di esempio, si pensi che un lavoratore che va in pensione all’età di 40 anni, costa 620.000 euro in più rispetto ad uno che va in pensione all’età prevista (Mottola M.R., Mobbing e comportamento antisindacale, UTET, Torino, 2003, p. 28).

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quando, dagli anni ottanta, lo psicologo svedese Leymann H.11 iniziò a collegare i problemi psicofisici dei suoi pazienti, con le difficoltà che questi lamentavano nei rapporti personali nell’ambiente di lavoro.

Solo nel 1996 tali studi acquistarono un valore scientifico12, e il termine mobbing venne utilizzato per definire quella

“forma di terrorismo psicologico che implica un atteggiamento ostile e non etico posto in essere in forma sistematica – e non occasionale o episodica – da una o più persone eminentemente nei confronti di un solo individuo, il quale, a causa del mobbing, viene a trovarsi in una condizione indifesa e fatto oggetto di una serie di iniziative vessatorie e persecutorie” 13.

11 Leymann H., psicologo del lavoro e ricercatore tedesco emigrato in Svezia, ha intuito e teorizzato per primo il fenomeno del mobbing. La sua opera più diffusa è: Mobbing, Psychoterror am Arbeitsplatz. Rowohlt Taschenbuch VerlagGmbH, Reinbeik bei Hamburg, 1993. Leymann è venuto a mancare nel gennaio del 1999.

12 La rivista ufficiale della EAWOP (European Association of Work and Organizational Psychology), l’European Journal of Work and Organizational Psychology, pubblicò un intero numero dedicato al mobbing, il 2/96, dal titolo “ The Contente and Development of Mobbing at Work”.

13 Leymann H., The definition of Mobbing at Work, in http://www.Leymann.se/, dove è consultabile la c.d. The Mobbing Encyclopaedia, contenente numerose informazioni sul fenomeno.

Riprendono tale definizione Meucci M., Considerazioni sul “mobbing”, cit., p. 1954; Nunin R., Alcune considerazioni in tema di “Mobbing”, in ILLeJ, II, 1, 2000, in http://www.labourlawjournal.it; Gaspari A., Emergenza mobbing.

Le coordinate del problema, in LPO, 2002, 4/5, p. 410.

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In breve tempo le tesi di Leymann, il più autorevole studioso del mobbing, si diffusero in tutta Europa14.

In Italia, invece, il fenomeno ha cominciato ad essere oggetto di studio solo dagli anni novanta, grazie allo psicologo del lavoro Harald Ege 15.

Ege, adattando le teorie di Leymann al contesto italiano, definisce il mobbing come “una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed in costante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di

14 Per tutti: la psicanalista francese, esperta in vittimologia, Hirigoyen M.F, (Le harcèlement moral – La violence perverse au quotidien, Paris, 1998)

Molestie morali: la violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Einaudi, Torino, 2000, p. 53, descrive il mobbing come una molestia che

“nasce da episodi apparentemente insignificanti e si propaga insidiosamente. In un primo tempo le persone interessate non vogliono formalizzarsi e prendono alla leggera frecciate e scherzi di cattivo gusto. Poi gli attacchi si moltiplicano e la vittima viene regolarmente messa alle strette, in condizione di inferiorità, sottoposta a manovre ostili e degradanti nel corso di un lungo periodo. Esso si concretizza in qualunque condotta impropria che si manifesti, in particolare, attraverso comportamenti, parole, atti, gesti, scritti capaci di mettere in pericolo l'impegno o di degradare il clima lavorativo”.

15 Ha fondato, nel 1996 a Bologna, “PRIMA - Associazione italiana contro il Mobbing e Stress Psicosociali”, che si occupa di assistere le vittime della violenza psicologica sul lavoro (http:// www.mobbing-prima.it/ ), e nel 2002, a Firenze, “A.P.E.M. - Associazione dei Periti e degli Esperti di Mobbing”.

Ege è il primo ricercatore in Italia che ha studiato ed analizzato il problema, anche dal punto di vista statistico. Numerose le sue opere a riguardo: Ege H., Mobbing, cit.; Id., Il mobbing in Italia, cit.; Id., I numeri del mobbing, cit.;

Ege H., Lancioni M., Stress e mobbing, Pitagora, Bologna, 1998; Ege H., Mobbing. Conoscerlo per vincerlo, FrancoAngeli, Milano, 2001; Id., La valutazione peritale del danno da mobbing, Giuffrè, Milano, 2002. Nel 2001 è stato chiamato come c.t.u. nella controversia conclusasi con la sentenza del Trib. Forlì 15.03.2001. Dello stesso autore: Dalle origini del mobbing alla valutazione del danno, in LG, 2003, p. 316 e ss; “Mobbing” aziendale e collettivo, o molestia, in LG, 2002, I, p. 76 e ss.

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azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo o gravità.

Il mobbizzato si trova nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e a lungo andare accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore che possono portare anche a invalidità psicofisiche permanenti di vario genere e percentualizzazione”16.

Molte sono le definizioni in circolazione che tentano di razionalizzare il fenomeno senza purtroppo riuscirvi.

Comunque, in varia misura, quasi tutte si riconducono a tratti peculiari convergenti, che di seguito andremo ad esaminare.

Sotto il profilo soggettivo, la situazione di conflittualità che si viene a creare tra le due parti in gioco17, può essere attuata

16 Ege H., La valutazione peritale del danno da mobbing, cit., p. 39.

17 Prende il nome di mobbizzato (la parte passiva), colui che diventa il bersaglio, la vittima della strategia persecutoria attuata da uno o più mobbers, vale a dire degli aggressori (la parte attiva). I side-mobbers sono invece gli spettatori, che pur non essendo attivamente coinvolti, scelgono di essere i complici silenziosi di cosa sta avvenendo (In tal senso: Matto V., Il mobbing tra danno alla persona e lesione del patrimonio professionale, in DRI, 1999, p. 491 e ss.). Il soggetto passivo coincide di regola con il lavoratore subordinato, anche se si propende, nel diritto, a ricomprendervi anche i lavoratori c.d. para-subordinati, legati al committente da un lavoro a progetto (Ai sensi dell’art. 61 del D.Lvo del 10.9.2003 n.276), che come i lavoratori subordinati, versano comunque in una posizione di inferiorità nell’esecuzione

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da soggetti diversi: dal o dai colleghi di lavoro (c.d. mobbing tra pari od orizzontale)18, dal superiore gerarchico o dalla stessa azienda (c.d. mobbing dall’alto o verticale; bossing o mobbing pianificato),19 o da un gruppo compatto di sottoposti nei confronti del superiore gerarchico (c.d.

mobbing dal basso o ascendente)20, sia in forma individuale che collettiva21.

della prestazione lavorativa (In Scognamiglio R., A proposito del mobbing, in Scritti in onore di G. Suppiej, Cedam, Padova, 2005, p. 998; Trib. Siracusa 25.10.2005, in GuL, 2006, 7, p. 50). Per un approfondimento, invece, dei profili psicopatologici dei vari soggetti a rischio, emersi dalle ricerche svolte dalla Clinica del Lavoro di Milano, che non rilevano, tuttavia, sul piano del diritto, si veda Gilioli A., Gilioli R., Cattivi capi, cattivi colleghi, cit., p. 13 e ss.; Ascenzi A., Bergagio G.L., Il mobbing. Il marketing sociale come strumento per combatterlo, Giappichelli, Torino, 2000, p. 43 e ss.; Ege H., Mobbing, cit., p. 95 e ss.

18 Spesso alimenta il mobbing verticale fornendo informazioni al superiore sulla vittima. Talvolta può essere una dinamica diretta, anche inconsapevole, a scaricare su di un capro espiatorio le tensioni accumulate sul lavoro, oppure colpire colui che altera gli equilibri aziendali già conquistati.

19 Spesso sono usati come sinonimi anche se i due termini differiscono: il primo si ha tra il superiore gerarchico e uno o più sottoposti; il secondo è una forma di terrorismo psicologico programmata dall'azienda o dai vertici dirigenziali, come vera e propria strategia aziendale di riduzione del personale, oppure di semplice eliminazione di una persona indesiderata.

Caso eclatante di bossing è quello della cosiddetta “Palazzina Laf” di Taranto: Trib. pen. Taranto 07.03.2002, confermata in appello dalla sez. pen, di Lecce il 10.08.2005, entrambe in www.clik.to/dirittolavoro/mobbing (sezione giurisprudenza), la cui sentenza d’appello è stata confermata dalla Cass. penale (per la cui notizia: http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it).

Nel documento conclusivo della Commissione Lavoro del Senato, in www.senato.it, il caso è definito come “un esempio plateale di una situazione inaccettabile, perché lesiva dei diritti e della dignità dei lavoratori; il piu' plateale caso di mobbing collettivo mai verificatosi in Italia, con tanto di edificio di raccolta dei confinati, che ha già causato crisi depressive che hanno portato dei lavoratori alla sottoposizione a cure psichiatriche”.

20 La casistica è molto rara e ancora poco studiata: si concretizza di solito, in una sorta di ammutinamento contro il capo: Gilioli A., Gilioli R., Cattivi capi, cattivi colleghi, cit., p. 6 e ss.; Ege H., Sicurezza mobbing e molestie.

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Il mobbing è un fenomeno complesso, imprevedibile e

“democratico”: tutti possono correre il rischio di diventare un giorno delle vittime. Nessun luogo di lavoro è risparmiato dal mobbing, il quale colpisce lavoratori indipendentemente dalle direzioni gerarchiche o dalle caratteristiche personali dei soggetti che lo praticano, manifestandosi sotto diverse forme22.

Occorre innanzitutto precisare, per evitare abusi ed equivoci nell’uso del termine23, che non tutti i conflitti ordinari sono idonei a trasformarsi in una strategia mobbizzante, volta alla distruzione psicologica e professionale del lavoratore: in altre parole “la distinzione tra “conflitto” sul lavoro e

Indagine in ambito FS sul territorio della Regione Toscana. Atti del seminario Firenze, 29 gennaio 2003, Regione Toscana, 2004, p. 35.

21 Ege H., La valutazione peritale del danno da mobbing, cit., p. 17 e ss., critica aspramente la sentenza del Trib. Como 22.05.2001, dove invece si propende esclusivamente per la collettività della condotta, identificandolo come elemento essenziale del fenomeno.

22In tal senso, Ascenzi A., Bergagio G.L., Mobbing: riflessioni sulla pelle…, cit., p. 32; Gilioli R., Definizione della nozione di mobbing in campo clinico- epidemiologico, in www.rassegna.it/archivio/2000/speciali/luglio- dicembre/mobbing.

23 In Ege H., La valutazione peritale del danno da mobbing, cit., p. 6 e ss., si specifica che cosa non è mobbing: “1. Non è una singola azione. Non è un conflitto generalizzato, ma è una strategia, un attacco continuato, ripetuto, duraturo 2. Non è una malattia, ma una situazione, un problema dell’ambiente di lavoro 3. Non è un problema familiare 4. Non è un fenomeno collettivo. Non ha esclusivamente lo scopo di espellere la vittima dal mondo del lavoro. 5. Non è una molestia sessuale, anche se può essere utilizzata come uno di strumento di mobbing 6. Non è solo verticale od orizzontale 6. Non è bullismo 7. Non ci sono vittime designate, ma può

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“mobbing” non consiste su “ciò” che viene inflitto alla vittima e sul “come” viene inflitto, ma piuttosto sulla

“frequenza” e “durata” di qualsivoglia trattamento vessatorio venga inflitto”24.

Il mobbing non si concretizza in una singola ed occasionale azione mobbizzante25, ma in un processo in continua evoluzione, dove i parametri della durata e della frequenza ne stanno alla base.

La psicologia del lavoro ha allora elaborato dei modelli empirici, meramente indicativi, articolati in fasi successive26,

colpire chiunque, indipendentemente dal carattere, dal tipo di lavoro, dalla posizione gerarchica della vittima”.

24In Meucci M., Violenza da mobbing sul posto di lavoro, cit., p. 279.

Conformi Calafà L., Tra mobbing e vero conflitto: un’ipotesi di legittima reazione ad un atteggiamento incivile del datore di lavoro, in RIDL, 2002, II, p. 154 ss.; Nunin R., Alcune considerazioni in tema di mobbing, cit.

Leymann stabilisce una frequenza delle azioni mobbizzanti di almeno una volta alla settimana e in sei mesi la durata minima necessaria e sufficiente per poter diagnosticare una situazione di mobbing. Ege H., in La valutazione peritale del danno da mobbing, cit., p. 57, invece, adotta parametri meno rigidi: per quel che riguarda la frequenza, indica una cadenza di almeno alcune volte al mese, e per ciò che concerne la durata ammette un periodo minore, di soli tre mesi, a patto che la frequenza delle azioni sia quotidiana e che siano appartenenti ad almeno tre delle categorie previste dal “LIPT (Leymann Inventory of Psycological Terrorism) di Ege” (c.d. caso del “Quick Mobbing”).

25 Sulla distinzione tra mobbing e azioni mobbizzanti, si veda Ege H., Il mobbing in Italia, cit., p. 32. Sulla loro divisione in cinque categorie, si veda Ascenzi A., Bergagio G.L., Mobbing: riflessioni sulla pelle…, cit., p. 31 e Casilli A., Stop mobbing, cit., p. 26.

26 Ege H., per una migliore indagine tecnica, oltre ad elencare i “sette parametri fondamentali per l’individuazione del mobbing” (in Ege H., La valutazione peritale del danno da mobbing, cit., p. 47 e ss), elabora, per una maggiore corrispondenza alla realtà italiana, un modello a sei fasi (in Ege H., Mobbing, cit., p. 28), ripreso anche dalla giurisprudenza, in Trib. Forlì

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attraverso i quali ha cercato di tipicizzare lo sviluppo del mobbing per poi valutarne le conseguenze lesive sulla vittima.

L’altro requisito che contraddistingue il mobbing è l’intento persecutorio del mobber: in qualsiasi forma si manifesti, il mobbing, deve essere attivato attraverso un chiaro atteggiamento discriminatorio, ostile e negativo, riconducibile ad un’unica strategia, calibrata sulle capacità, sulle sensibilità e le attese della vittima designata, in modo da arrecargli un danno27.

Da quanto finora esposto, risulta evidente lo sforzo prodotto dalle scienze psicosociali, nella direzione di fornire una definizione teorica, che cerchi di trovare criteri oggettivi di

15.3.2001, in RIDL, 2001, II, p. 728:“Dopo la c.d condizione zero, di conflitto fisiologico normale e accettato, si passa alla prima fase del conflitto mirato,in cui si individua la vittima e verso di essa si dirige la conflittualità generale (…). La seconda fase è il vero inizio del mobbing, nel quale la vittima prova un senso di disagio e fastidio (…). Essa percepisce un inasprimento delle relazioni con i colleghi. La terza fase è quella nella quale il mobbizzato comincia a manifestare i primi sintomi psicosomatici, i primi problemi di salute (…). La quarta fase del mobbing è quella caratterizzata da errori ed abusi dell’amministrazione del personale (…). La quinta fase del mobbing è quella dell’aggravamento delle condizioni di salute psicofisica del mobbizzato che cade in piena depressione ed entra in una situazione di vera e propria prostrazione (…). La sesta fase, peraltro indicata solo e fortunatamente eventuale, nella quale la storia di mobbing ha un epilogo: nei casi più gravi nel suicidio del lavoratore, negli altri nelle dimissioni, o anticipazione di pensionamenti, o in licenziamenti”.

27 Ege H., “Mobbing” aziendale e collettivo, o molestia, cit., p. 76 e ss. Lo scopo delle condotte mobbizzanti, può essere volto, sia ad escludere od

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valutazione, attraverso modelli empirici e strumenti di lettura, che facciano da linee guida, alla presenza delle quali si possa ritenere, molto verosimilmente, di essere davanti ad un caso di mobbing.

3. I tentativi di definizione legislativa.

E’ solo in tempi recenti, che il legislatore italiano si è occupato del fenomeno del mobbing28. Già dalla XIII legislatura29, anche se con approcci un po’ sommari, ha

emarginare il lavoratore oggetto della persecuzione psicologica, ma anche solo ad umiliarlo, screditarlo, bloccargli la carriera.

28 Basti pensare che in Svezia, l’Ente nazionale per la Salute e la Sicurezza, in conformità all'Ordinanza sull'Ambiente di Lavoro (del 1977), ha emanato un provvedimento legislativo ad oggetto “Disposizioni relative alle misure da adottare contro forme di persecuzione psicologica negli ambienti di lavoro”

entrato in vigore già nel 1994, nella cui I sezione recita “queste disposizioni vanno applicate in tutte quelle realtà nelle quali i lavoratori possono essere oggetto di una qualsiasi forma di persecuzione durante il lavoro: per persecuzione si intendono ricorrenti azioni riprovevoli o chiaramente ostili intraprese nei confronti di singoli lavoratori, in modo offensivo, tali da determinare l’allontanamento di questi lavoratori dalla collettività che opera nei luoghi di lavoro”, in www.cgil.it/saluteesicurezza/il_mobbing.htm. Per un commento: De Luise E., Il mobbing. La tutela esistente, le prospettive legislative e il ruolo degli organi di controllo, Finanze&Lavoro, Napoli, 2003, p. 67 e ss.

29 Nella XIII legislatura, terminata nell’aprile del 2001, sono stati presentati alcuni D.d.l. e P.d.l., poi riuniti nel progetto n. 6410 approvato il 20.02.2001 come T.U. Per un esame dei vari progetti si veda Nunin R., Alcune considerazioni in tema di Mobbing, cit.; Caccamo A., Mobiglia M., Mobbing: tutela attuale e recenti prospettive, in DPL, 2000, inserto n. 18, p. XV; Germano T., La tutela psicologica del lavoratore: uno studio secondo i recenti disegni di legge, in LG, 2000, p. 905 e ss.; Rausei P., Il mobbing, in DPL ORO, 2002, inserto n. 3, p. 77 e ss.; Lazzari C., Il mobbing fra norme vigenti e prospettive di intervento legislativo, in RGL, 2001, I, p. 67 e ss.;

Spagnuolo Vigorita L., Il quadro normativo attuale a tutela della dignità del lavoratore ed i profili di illegittimità della condotta di mobbing. I disegni, i progetti e proposte di legge relativi al mobbing, in GuL, 2000, p. 3 e ss.;

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cercato di fornirne una definizione legislativa, incentrando tuttavia l’attenzione sul problema della tutela: a volte a favore di quella di tipo privatistico, altre a favore di quella di tipo penalistico. Nella XIV legislatura30, grazie al contributo di un crescente dibattito dottrinale, le proposte definitorie si sono arricchite di quella casistica esaminata, sia dalle scienze psicosociali, sia dalle decisioni giurisprudenziali, dedicando particolare attenzione all’aspetto della prevenzione e dell’informazione.

Ad oggi, nessun testo legislativo è stato ancora varato forse perché “l’individuazione di uno strumento legislativo adeguato e confacente può risultare difficoltosa in un campo come questo ove diritto e morale si confondono; se da un lato il diritto deve garantire tutela ai lavoratori mobbizzati, dall’altro la richiesta “di aiuto” non deve riguardare

Meucci M., Considerazioni sul “mobbing”, cit., p. 1953 e ss.; De Luise E., Il mobbing, cit., p. 47 e ss.

30 Nell’ultima legislatura, terminata ad aprile di questo anno, i numerosi disegni e progetti di legge presentati, costituiscono in parte la riproposizione di D.d.l. e P.d.l. presentati nella XIII legislatura. Lo schema di testo unificato per i D.d.l., n. 122, è stato presentato il 01.02.2005 e approvato dalla XI Commissione Lavoro del Senato nel luglio 2005 (Consultabile al sito www.senato.it). Si veda: Nunin R., Alcune considerazioni in tema di Mobbing, cit.; Rausei P., Il mobbing, cit., p. 82 e ss.; Monateri P.G., Bona M., Oliva U., La responsabilità civile nel mobbing, cit, p. 208 e ss; Boscati A., Mobbing e tutela del lavoratore: alla ricerca di una fattispecie vietata, in DRI, 2001, p. 287.

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situazioni giuridicamente atipiche che non acquisiscono il crisma di danno ingiusto”31.

Il problema nasce nel momento in cui il mobbing si manifesta attraverso comportamenti atipici non riconducibili ad una norma giuridica specifica. Quando le condotte mobbizzanti si estrinsecano in comportamenti giuridicamente neutri, non è semplice distinguere il mobbing dai comportamenti rientranti nella normale gestione dei rapporti di lavoro32.

Il problema definitorio resta, anche per il legislatore, quello più difficoltoso da risolvere: da un lato occorre tenere di conto degli studi maturati in ambiti extragiuridici, dall’altro porre attenzione al quadro normativo esistente, sia nazionale sia comunitario, cercando di offrire strumenti più efficaci per la tutela dei lavoratori dalle persecuzioni psicologiche.

Sarebbe necessario un intervento che disciplini soprattutto i contorni della fattispecie, e cerchi di risolvere tutti quei profili che ancor oggi risultano problematici: dagli elementi

31 Chisari C., Il mobbing tra inerzia legislativa e supplenza giudiziale, in MGL, 2005, p. 913 e ss.

32 Così Oliva U., Il mobbing: un’occasione per ripensare alle regole della

“ civiltà del lavoro”, in DR, 2001, p. 1145.

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costitutivi, all’onere della prova dei suoi presupposti, alle misure sanzionatorie e di sostegno psicologico, agli strumenti di prevenzione33.

Senza la pretesa di analizzare in questa sede, i singoli disegni di legge presentati, cercheremo di rintracciare quel minimo comune denominatore che li attraversa.

I numerosi tentativi, anche sotto la spinta delle indicazioni dell’Unione Europea34, si sono esauriti per lo più in elencazioni esemplificative delle varie condotte mobbizzanti, o in una definizione generica omnicomprensiva.

La difficoltà maggiore, per quanto riguarda il primo modus operandi, quello attraverso elenchi analitici, deriva dal fatto che questi non possono essere mai esaustivi: il mobbing è una fattispecie variegata e multiforme, che muta continuamente, e il rischio è di escludere proprio quei comportamenti mobbizzanti più subdoli e non definibili a priori che rendono il fenomeno ancora sfuggente35.

33Oliva U., Strumenti giuridici per la disciplina del mobbing, in www.studiolegaleriva.it/public/mobbing-relazione-oliva.asp.

34 Si veda Cap. II, par. 1.

35 In questo senso si veda Santoro R., Mobbing: la prima sentenza che esamina tale fenomeno, LG, 2000, 4, p. 366; Frati P., Montanari V.G., Di Luca N.M., Il Mobbing: evoluzione giurisprudenziale e normativa, in RIML, 2003, XXV, p. 543.

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Problemi, non di poco conto, sorgono anche davanti alle definizioni generiche che si prestano, talvolta, ad interpretazioni estensive e a volte fantasiose da parte dei giudici, ovvero ad interpretazioni restrittive con il rischio di non fornire idonea tutela contro quelle condotte mobbizzanti al confine tra il lecito e l’illecito.

Anche “lo schema di testo unificato per i disegni di legge n. 122 e connessi in materia di tutela dei lavoratori dal fenomeno del mobbing”36, sembra andare nella direzione di una definizione volutamente generica, ponendo l’accento nuovamente su come sia ancora oggettivamente difficoltoso, da parte del legislatore, definire con chiarezza gli elementi peculiari che contraddistinguono questa fattispecie attraverso una disciplina generale ed astratta37.

36Il T.U. sul mobbing, del Comitato della XI Commissione Lavoro Previdenza del 02.02.2005, all’art. 1 (Definizione ed ambito di applicazione) recita che “Ai fini della presente legge, si intende per violenza o persecuzione psicologica ogni atto o comportamento adottati dal datore di lavoro, dal committente, da superiori ovvero da colleghi di pari grado o di grado inferiore, con carattere sistematico, intenso e duraturo, finalizzati a danneggiare l’integrità psico-fisica della lavoratrice o del lavoratore”, consultabile in www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/mobbing. Per un commento si veda Meucci M., Primi passi verso una legge antimobbing, in www.dirittolavoro.altervista.org/considerazioni_legge_antimobbing.html;

Cosio R., Il “mobbing”: alcune riflessioni sul disegno n. S 122, in DPL, 2004, p. 1952.

37 Tosi P., Il mobbing: una fattispecie in cerca d’autore, in ADL, 2003, III, p. 651 e ss.

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Non sono mancate, neppure, le iniziative legislative a livello regionale38 che hanno tentato di dare il loro contributo, allo scopo di prevenire e contrastare il fenomeno del mobbing.

In particolare la regione Lazio39 ha compiuto un primo tentativo di definizione della fattispecie, dichiarato, peraltro, incostituzionale dalla Consulta40 nel 2003, per

38Lepore M., Stop alle molestie in azienda per ora si muovono le regioni, in ASL, 2002, p. 36 e ss.

39 L.R. n. 16 dell’11.07.2002, intitolata “Disposizioni per prevenire e contrastare il mobbing nei luoghi di lavoro”, pubblicata in BURL il 30.07.2002 n. 21. Per un commento: Nunin R., Mobbing: strategie di prevenzione e contrasto nella l. n. 16/2002 della Regione Lazio, in LG, 2002, p. 1032 e ss.; Ghirardi N., Mobbing: le tecniche di tutela del lavoratore, in DPL, 2005, I, p. 15 e ss.; Barboni L., L’illegittimità costituzionale della regione Lazio sul mobbing: perplessità ed equivoci intorno alla distinzione tra le nozioni di “materia” e “fenomeno”, in NLCC, 2004, p. 793 e ss.

40 C. Cost. 19.12.2003 n. 359, in RIDL, 2004, II, p. 239 e ss., con nota di Ghirardi N., La Corte Costituzionale interviene sulla competenza legislativa regionale in materia di lavoro. La Corte definisce il mobbing “un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo”[ Atti persecutori che risultano] “se esaminati singolarmente, anche leciti, legittimi o irrilevanti dal punto di vista giuridico”, [e assumono] “rilievo quali elementi della complessiva condotta caratterizzata nel suo insieme dall’effetto”

[causando]“disturbi di vario tipo e, a volte, patologie psicotiche, complessivamente indicati come sindrome da stress postraumatico”. Per un commento: Perrino A.M., Nota a C. Cost 19.12.2003 n. 359, in FI, 2004, I, p. 1692 e ss.; Parodi C., Mobbing: le regioni non possono legiferare sui principi dettati dall’ordinamento statale, in AS, 2004, 2, p. 62 e ss.; Corso F., Mobbing e competenze legislative in materia di lavoro, in RIDL, 2004, II, p. 484 e ss.; Sorgi C., Ricomincio da tre: riflessioni sulla sentenza n. 359/2003 della Corte Costituzionale, in LG, 2004, p. 450 e ss.; Albi P., La

persona ed il lavoro nel sistema delle fonti dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in RCP, 2004, p. 428 e ss.; Lanotte M., La disciplina del mobbing e la nuova ripartizione di competenze Stato-Regioni, in MGL, 2004, p. 302 e ss.; Nunin R., La consulta boccia la legge anti-mobbing della regione Lazio, in LG, 2004, 4, p. 358 e ss.; Soprani P., Mobbing nazionale o regionale, in DPL, 2004, p. 665 e ss.

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aver invaso la sfera di competenza esclusiva del legislatore nazionale. Anche in questo caso, siamo nuovamente di fronte ad un’elencazione di comportamenti tipici, seppur nutrita, ma meramente esemplificativa.

Diversa sorte è toccata alla legge Regionale Abruzzo41, riuscita a superare l’esame di legittimità costituzionale42, non formulando una propria definizione del fenomeno, diversamente dalla legge della Regione Lazio, ma incentrando lo schema legislativo sulla istituzione di centri di ascolto, osservatori e limitandosi a prevedere degli interventi atti a prevenire e a far conoscere meglio il fenomeno, riferendosi esclusivamente alla già esistente normativa statale.

41 L.R. del 11.08.2004, n. 26, pubblicata sul BUR n. 23 del 27.08.2004. Per un commento: Nunin R., La Consulta “salva”la legge sul mobbing della Regione Abruzzo, in LG, 2006, 3, p. 261 e ss.

Altre due leggi regionali, recependo le indicazioni della Corte, hanno evitato di dare una definizione del fenomeno: la Legge Regionale Umbria n. 18 del 28.02.2005, pubblicata sul BUR n. 12 del 16.03.2005 (Nunin R., La regione Umbria vara una Legge sul mobbing, in LG, 2005, 5, p. 437 e ss.) e la Legge Regionale Friuli Venezia Giulia n. 7 del 08.04.2005, pubblicata sul BUR n. 15 del 13.04.2005 (Nunin R., La legge sul mobbing della Regione Friuli Venezia Giulia, in LG, 2005, 8, p. 742 e ss.), impugnate entrambe con delibera del Consiglio dei Ministri in data 06 e 20.05.2005, di cui peraltro non sappiamo ancora se passeranno il vaglio della Corte.

42 C. Cost. 27.01.2006 n. 22, in www.giurcost.org/decisioni/2006/0022s- 06htlm. Per un commento, De Fazio G., Il mobbing tra competenza statale e regionale, in GuL, 2006, 8, p. 18 e ss.

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A ben vedere, ad oggi, permangono ancora molte difficoltà definitorie che difficilmente porteranno ad una definizione giuridica del fenomeno in breve tempo43.

Molti sono i dubbi sollevati dalla dottrina44 sull’utilità di un intervento da parte del legislatore, anche se l’assenza di una legge ad hoc45, costituisce pur sempre un limite per coloro che “oltre ad avere un naturale e comprensibile freno a denunciare le vessazioni subite, si trovano

43 La stessa Cass. 23.03.2005 n. 6326, in FI, 2005, p. 3880, sottolinea come il mobbing sia una “ fattispecie sussumibile dall’attuale ordinamento giuridico a prescindere dall’adozione del “nomen iuris”, scoraggiando in tal modo un intervento del legislatore.

44 Si ritiene che gli strumenti invocati a tutela e a garanzia del mobbizzato, possano essere rinvenuti nell’ordinamento esistente. In tal senso: Denari P., La responsabilità diretta e personale nel danno da mobbing, in LPO, 2000, I, p. 5; Boscati A., Mobbing e tutela del lavoratore, cit., p. 292; Cantisani D., E’ necessaria una legge che disciplini il fenomeno del mobbing?, in www.mobbing-prima.it/princ.it.htm; Monateri P.G., I paradossi del mobbing, cit., p. 85 “se i diritti oggetto di tutela sono diritti costituzionali, ciò significa che il legislatore ha qui solo poteri limitati di intervento e di regolamentazione”; Scognamiglio R., Mobbing: profili civilistici e giuslavoristica, in MGL, 2006, 1/2, p. 2, dove“spetta al legislatore di regolare i fenomeni, piuttosto che dettarne la definizione, compito quest’ultimo al quale meglio possono assolvere la dottrina e la giurisprudenza”; Banchetti S., Mobbing. Danni alla persona del lavoratore e

strumenti di tutela, in www.personaedanno.it/site/sez_browse1.php?browse_id=1751&campo1=32

&campo2=296, ne dubita poiché nella giurisprudenza si è affermato il danno esistenziale e la conseguente rivisitazione del danno non patrimoniale;

Battista L., Il mobbing quale fattispecie della giurisprudenza, in GuL, 2005, p. 31, per il quale la rilevanza di un’autonoma qualificazione giuridica del mobbing risiederebbe, non tanto nella novità delle condotte concretamente esercitate, quanto nel nome attribuito alla fattispecie; Inglese I., Mobbing e certezza del diritto, cit., p. 132, arriva ad affermare che un intervento legislativo potrebbe risultare addirittura controproducente.

45Il Trib. Venezia 26.04.2001, in RGL, 2002, II, p. 88, con nota di Cimaglia M.C., Riflessioni su mobbing e danno esistenziale, ha negato la rilevanza

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sprovvisti di parametri legislativi, rispetto ai quali valutare la convenienza di agire in giudizio, e di specifici e sperimentati mezzi giudiziari”46.

4. Il problema definitorio della giurisprudenza.

La giurisprudenza ha iniziato ad occuparsi del mobbing solo dal 199947. Prima di allora, si era occupata di tutta una serie di casi giudiziari, che alla luce dei recenti studi, sono inquadrabili nella fattispecie del mobbing, ma che sino a quel momento, mancando quel quadro di insieme, non acquistavano rilevanza giuridica.

Nella giurisprudenza c.d. “pre-mobbing” 48, l’approccio delle corti italiane era quello di sanzionare, tramite i meccanismi della responsabilità civile, solo singoli comportamenti persecutori o provvedimenti illegittimi rientrati nelle fattispecie della dequalificazione o demansionamento,

della fattispecie del mobbing, poiché manca nell’ordinamento una previsione normativa del fenomeno.

46 Amato F., Casciano M.V., Lazzeroni L., Loffredo A., Mobbing, cit., p. 20.

47 Trib. Torino 16.11.1999, in RIDL, 2000, II, p. 102, con nota di Pera G., La responsabilità dell’impresa per il danno psicologico subito dalla lavoratrice perseguitata dal preposto (a proposito del c.d. mobbing).

48Si veda l’ampia casistica citata in: Leaci E., Il mobbing, in ISL, 2001, 6, inserto, p. XVIII e ss.; Monateri P.G., Bona M., Oliva U., Vessazioni sul lavoro, cit., p. 26 e ss.; Matto V., Il mobbing nella prima ricostruzione giurisprudenziale, in DRI, 2000, p. 385 e ss.

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violenza e molestie sessuali, trasferimento illegittimo, licenziamento ingiustificato…, e di non ritenere rilevanti giuridicamente tutti quelli che di per sé non erano illegittimi o illeciti. Un tale approccio ha finito con l’impedire ai giudici di apprezzare nell’interezza, la gravità di tali condotte mobbizzanti, con notevoli ripercussioni sul quantum dei danni o sull’an debeatur49.

Quando il fenomeno del mobbing ha fatto il suo ingresso nelle aule giudiziarie, i giudici di merito erano già pronti ad accoglierlo, perché finalmente “i vari tasselli, che prima rimanevano disgiunti e costituivano fattispecie autonome di responsabilità, [potevano adesso] confluire in un unico mosaico, in cui tutto il circolo vizioso del fenomeno in esame [veniva] ad assumere rilievo, con la conseguenza di permettere un salto qualitativo nella tutela risarcitoria del mobbizzato”50.

49 Boccomino M., Il “mobbing” tra danno biologico e danno esistenziale, in Dalla Disgrazia al danno, (a cura di Braum A.), Giuffrè, Milano, 2002, p. 292.

50 Monateri P.G., Bona M., Oliva U., La responsabilità civile nel mobbing, cit., p. 35.

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Il mobbing diventa un “legal framework” 51, un “concetto contenitore”52, che consente di risolvere il problema della rilevanza giuridica delle singole azioni mobbizzanti: sia di quelle già di per sé illegittime, ma che ora acquisiscono una valenza giuridica più pesante, sia di quelle che di per sé sono legittime53, ma che ricondotte all’interno di una cornice giuridica assumono un carattere illecito54.

Al fine di inquadrare sistematicamente il fenomeno, in assenza di una definizione legislativa, la dottrina e la giurisprudenza hanno cercato di risolvere, in primo luogo, i

51 Monateri P.G., Bona M., Oliva U., Il mobbing come “legal framework”:

una categoria unitaria per le persecuzioni morali sul lavoro, in RCDP, 2000, p. 550 e Morozzo della Rocca P., Responsabilità civile e mobbing, in DF, 2001, p. 1109. Impostazione non condivisa da Nunin R., Alcune considerazioni in tema di Mobbing, cit.; D’Aponte M., Molestie sessuali e licenziamento: è necessaria la prova del c.d. mobbing, in RIDL, 2000, II, p. 774; Boscati A., Mobbing e tutela del lavoratore, cit., p. 287. L’utilità concettuale è stata nuovamente precisata in: Trib. Milano 29.06.2004, in RCP, 2005, p. 502 e ss., con nota di Ziviz P., Danni da mobbing.

52 Così in De Angelis L., Interrogativi in tema di danno alla persona del lavoratore, in FI, 2000, I, p. 1558; Oliva U., Il mobbing: un’occasione per ripensare alle regole della “ civiltà del lavoro”, cit., p. 1145.

53 In tal senso si era già espressa la S.C., sostenendo che le visite medico- fiscali, legittime di per sé, possono trasformarsi in un comportamento persecutorio, se l’uso che se ne fa è “sproporzionato” e strumentale: Cass.

19.01.1999 n. 475, in MGL, 1999, I, p. 270, con nota di Rondo A., E’

illegittimo reiterare le visite mediche di controllo sulla malattia già accertata.

54 Lazzari C., Il mobbing, cit., p. 65; Cantisani D., Mobbing. Analisi giuridica di un fenomeno sociale e aziendale, Experta, Forlì, 2005, p. 30 e ss. Dello stesso avviso Trib. Como 22.02.2003, in MGL, 2003, p. 328, con nota di Beretta S., Considerazioni in tema di mobbing, tra dottrina e giurisprudenza recente; C. Cost. 19.12.2003 n. 359, cit.

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problemi della definizione giuridica e delle norme applicabili alla fattispecie di mobbing.

Abbiamo già avuto modo di osservare, come le scienze psicosociali avessero studiato dagli anni ottanta il fenomeno, e trovato una collocazione unitaria a tutta quella serie di atti vessatori cui avrebbero dato successivamente il nome di mobbing.

Gli studi elaborati dalla psicologia e sociologia del lavoro costituiscono necessariamente il punto di partenza e di riferimento, per giungere all’individuazione degli elementi costitutivi, rilevanti anche per il diritto. Compito quest’ultimo non semplice, poiché occorre “un inusuale sforzo di comunicazione interdisciplinare (…) perché mobbing è termine la cui ampia diffusione nel linguaggio quotidiano è inversamente proporzionale alla capacità esplicativa che esso acquista nella dimensione giuridica”55.

55 Viscomi A., Il mobbing: alcune questioni su fattispecie ed effetti, in LD, 2002, I, p. 45. In tal senso: Nunin R., Alcune considerazioni in tema di

“Mobbing”, cit.; Spagnoli C., Le ragioni per ragionare, in LG, 2003, 4, p. 336; Perdonà G., Il mobbing, questo sconosciuto, in www.personaedanno.it/site/sez_browse1.php?browse_id=1047&campo1=32

&campo2=296; Ege H., Mobbing: etica e complementarietà dei ruoli professionali, in www.mobbing-prima.it/princ.it.htm.

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La giurisprudenza ha cercato di individuare i confini di rilievo giuridico che consentano di distinguere, in termini di ragionevole certezza, le condotte di mobbing:

- dai conflitti che si generano normalmente nel rapporto di lavoro, dovuti alle diverse aspettative ed obiettivi delle parti56.

- dal saltuario ricorso da parte del datore di lavoro a misure illegittime od occasionali comportamenti illeciti, non riconducibili all’interno di un quadro che tenda ad escludere od allontanare la vittima57.

- dallo stato di disagio del lavoratore per effetto di un suo inadempimento contrattuale58.

- dai fattori personali della vittima, anche preesistenti59, da valutarsi, eventualmente “in sede di accertamento

56 Miscione M., Mobbing: norma giurisprudenziale (la responsabilità da persecuzione nei luoghi di lavoro), in LG, 2003, 4, p. 305 e ss.; Parodi C., Mobbing: responsabilità civili e penali per enti ed imprese. Soggetti, profili previdenziali e valutazioni medico-legali, Il Sole 24 Ore, Milano, 2005, p. 4.

In giurisprudenza: Trib. Milano 31.07.2003, in LG, 2004, p. 402; Trib.

Milano 22.08.2002, in OGL, 2002, I, p. 536.

57 Così Trib. Cassino 18.12.2002, in NGCC, 2003, p. 935, con nota di Mottola M.R., Il mobbing e i conflitti d’ufficio: presupposti per il diritto al risarcimento del danno; Trib Milano 20.05.2000, in LG, 2001, p. 368, con nota di Nunin R., Mobbing: nodo critico è l’onere della prova; De Fazio G., Appunti sulla prevedibilità del danno da mobbing, in RCP, 2001, p. 675 e ss.

58 Così Trib. Milano 11.02.2002, in LG, 2002, p. 1112.

59 Trib.Torino 16.11.1999, cit.; Trib.Torino 30.12.1999, in LG, 2000, 9, p. 832, con nota di Nunin R., “Mobbing”: onere della prova e risarcimento del danno”; Trib. Torino 18.12.02, in GIUS, 2003, p. 2464; Trib. Firenze

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medico-legale degli effetti patologici della condotta e del pregiudizio alla salute psico-fisica del dipendente, come tali suscettibili di influire (anziché sulla ricostruzione della fattispecie illecita) sulla produzione del danno e sulla relativa tutela risarcitoria”60.

Limiti oggettivi alla configurabilità della condotta mobbizzante61 necessari al fine di evitare, che i vari tipi di comportamento, che vengono ad esso complessivamente ricondotti, non riguardino né “…false accuse di mobbing [che] possano trasformarsi a loro volta in un temibile

28.01.2005, in RGL, 2005, p. 485, con nota di D’Amore R., Il mobbing: il fenomeno, le conseguenze, la responsabilità; Tar Lazio 04.07.2005 n. 5454, in GuL, 2005, 30, p. 28, dove si evidenzia che è un “diritto del lavoratore ad operare in un ambiente professionale asettico, irenico o, comunque, cordiale, al più potendosi pretendere comportamenti di buona fede da tutte le parti del rapporto di lavoro, indipendentemente, quindi, dai dati caratteriali dei singoli attori di quest’ultimo”. In tal senso anche: Tosi P., Il mobbing, cit., p. 179 e ss., osserva che esula dall’illecito la mera “insofferenza soggettiva”

del lavoratore, rilevando invece la “sensibilità media dell’uomo comune”;

Scognamiglio R., A proposito del mobbing, cit., p. 998, esclude dal mobbing le “situazioni di malessere o disagio, riferibili esclusivamente alla sfera delle condizioni e delle componenti caratteriali del lavoratore”.

60 Tullini P., Mobbing e rapporto di lavoro. Una fattispecie emergente di danno alla persona, in RIDL, 2000, I, p. 257 e ss.; Cantisani D., Mobbing, cit., p. 12.

61 Del Punta R., Il mobbing: l’illecito e il danno, in LD, 2003, III, p. 545, rileva “il rischio molto grave della dilatazione incontrollata della fattispecie.

Non si può evidentemente pensare che qualsiasi screzio, o inurbanità, o scortesia, o persino qualsiasi maleducazione o offesa, vengano attratte nell’imbuto cieco di una ipertrofia delle tutele risarcitorie. È opportuno riservare la valutazione di illiceità alle situazioni più gravi di patologia dell’organizzazione, al netto delle ipersensibilità soggettive”.

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