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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.06 (1879) n.244, 5 gennaio

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L'ECONOMISTA

G A Z Z E T T A S E T T I M A N A L E

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERRO VIE, IN TERESSI PRIVATI

Anno VI - Voi. X

Domenica 5 Gennaio 1879

N. 244

A proposito della questione dell’Opera Pia di S. Paolo

d i T o r i n o

1 giornali si sono occupati negli scorsi giorni di un conflitti} sorto tra il Prefetto di Torino, e gli amministratori di uno tra i principali istituti di credito di quella città: Y O pera p i a d i San P aolo. Quest’ opera ha una bella storia; nel 1831, quando fu riordinata su nuove basi dal governo, la sua im­ portanza era assai poca: il patrimonio suo particolare destinato alle operazioni del monte di Pietà ascen­ deva ad appena 2208 lire, e le sue operazionisi com­ pievano con 1,300,000 lire di capitali depositati presso le sue casse. Al 51 dicembre del 1878 l’Opera aveva aumentato tale patrimonio lino a 2,455,370 lire ’), e andrà crescendo assai celermente, poiché, non ostante che essa abbia speso in elargizioni oltre a 100,000 lire, nella sola annata del 1878 ebbe a realizzare un guadagno di 620,000 lire. In origine l’istituto era stato eretto per fare prestiti su pegno alla classe disagiata, quale monte di pietà ; oggi esso ha di molto esteso le sue operazioni bancarie, e ri­ ceve depositi, apre conti correnti, fa operazioni di credito fondiario e via. I soli depositi in conto cor­ rente ad interesse ascendevano il 51 dicembre scorso a 13,303,767 lire e le cartelle fondiarie in circola­ zione hanno un valore nominale di 27,305,500 lire 2) 1 suoi amministratori sono nominati parte dal mu­ nicipio e parte dal prefetto. Si è appunto per la nomina fatta da quest’ultimo in modo che parve recare sfregio agli amministratori in carica, che questi diedero le loro dimissioni in massa, creando così nella città una certa commozione, che ancora non è totalmente svanita.

Questa crisi non è punto economica, poiché la fidu­ cia nell’istituto non fu neppure per un istante scossa, ed esso continua a compiere le sue operazioni come

') L ’opera di 8. Paolo ne comprende parecchie nel suo seno, ciascheduna delle quali ha un suo proprio patrimonio. Oltre a questo sovraccennato vi ha il patrimonio proprio del Credito fondiario, che tra ca­ pitalo è riserva ascendeva il 31 dicembre 1878 a lire 564,3(11, e quello relativo ad altre opere (Ufficio pt*, Soccorso e Deposito, Esercizi e Monte di pietà gratuito) che al 31 dicembre 1877 avevano un patrimonio complessivo di lire 4,678,51011, in guisa che in totale il patrimonio (.Ielle Òpere pii di 8. Paolo ascende a L. 7,678,000 circa.

*) La contabilità dell’ Istituto è tenuta in modo superiore ad ogni elogio e il Rendiconto che esso pubblica ogni anno può proporsi a modello, supe­ rando d’assai nella ricchezza dei dati quelli dei no­ stri maggiori istituti di credito.

per lo innanzi, sibbene amministrativa; e invero parecchie ed interessanti questioni d’ordine ammi­ nistrativo essa potrebbe far nascere. Non è compito nostro l’esaminarle : però ve n ha una strettamente economica, che prendiamo occasione da questo con­ flitto per tentar di risolvere, è egli veramente utile

che istituti sorti p e r oggetto d i beneficenza, deviino dal loro scopo diretto p e r esercitare operazion i d i credito o rd in a rio ?

A prima giunta può parere che questo affastella­ mento di operazioni, che non hanno per ¡scopo la beneficenza se non in un modo molto indiretto, siano assolutamente da condannare. Quale è l’oggetto d’ un’ opera pia? Alleviare qualcheduna delle infinite miserie che tormentano il corpo sociale. Che essa elevi ospedali, hrefotrofii, manicomj, ospizj, sta bene; nella stessa materia bancaria può fondare casse di risparmio, aprire monti di pietà, fare in una parola operazioni che mirino a sottrarre la classe disagiata agli artigli degli usurai, ad agevolarle il modo di raggranellare un capitale. Ma allargare senza con­ fine i propri affari, estenderli a qualsivoglia opera­ zione di banca e con tutto le classi sociali, racco­ gliere milioni di depositi per impiegarli in prestiti ipotecari, o nell’accomandita delle grandi industrie, non ò ciò uscire dal campo di azione proprio di questi istituti, accarezzare un’idea che ha un fondo (li socialismo, creare un pericolo perfino per gl’isti- tufi hancarj ordlnarj col dar luogo ad una concor­ renza che può riescire micidiale, perchè l’ opera pia (non proponendosi di fare un lucro) può offrire condizioni più favorevoli, alterare così la legge dei prezzi che deve governare il mercato?

In tutto ciò vi può essere un poco di vero, e se questo esempio si propagasse largamente in questo e negli altri rami d’industria, potrebbe riuscirne al­ terata la stessa costituzione attuale della società eco­ nomica. Però il pericolo, se pericolo può esservi, è tanto lontano da dover essere trascurato, e in cambio quest’azione si è rivelata finora così benefica, così utile per la classe disagiata non solo, ma per la società tutta intera, che è da augurarsi che la me­ desima continui ed anzi dia nuovi frutti ancora.

Anzitutto le banche, per così chiamarle, di bene­ ficenza coll’atfìdarsi ad operazioni che non hanno direttamente per oggetto la carità, producono questo vantaggio pei poveri, che aumentano del continuo il proprio patrimonio, e si pongono così sempre meglio in grado di adempiere all’ ufficio per cui essenzial­ mente sono fondate È già un risultato di cui la classe indigente deve rallegrarsi.

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L ’ E C O N O M IS T A

---!■---poco credito, scarsi affari, e perciò scarsa possibilità

di guadagno. Le banche ordinarie perciò di rado si arrischiano su questa via, che solo alla lunga e su­ perati molli ostacoli, può condurre alla meta. Le banche di beneficenza invece si. propongono non di fare lucri elevati ed immediati, ma di beneficare: queste operazioni che da altre banche sono vietate, esse possono e debbono farle, lungi adunque dal limitarsi a percorrere le vie battute, esse dovrebbero porsi su questi nuovi sentieri, arrivare a quegli strati che altri trascura, aprire il cammino al cre­ dito di speculazione, almeno quando si tratta di farlo pervenire ai meno abbienti. Senza dubbio esse deb­ bono ricordare che amministrano il patrimonio dei poveri, e che non possono farne buon mercato, ma appunto perciò è loro debito di ricorrere a quelle specie di aiuti che sono trascurati dagli altri istituti.

Pur troppo finora non è un soverchio ardimento che si abbia rimproverare a questi istituti, sibbene una timidità eccessiva. I nostri monti di pietà con­ tinuano a compiere le operazioni di prestito su pe­ gno, quali esercitavano quattro secoli or sono, nella loro infanzia ; le casse di risparmio non ban tentato di avvicinarsi meglio alla popolazione operaia, sparsa nei piccoli comuni, tanto che il governo ha sentito la necessità di scendere esso a fare ciò che avrebbe spettato alla beneficenza privata, ed ha aperto le casse ui risparmio postali. Però è pur vero che qualche cosa essi fanno, e, per citare un caso solo, si conta più d’una cassa di risparmio che Ita preso a fare operazioni di credito agrario, ed alleviare così la triste condiziono di una classe sì numerosa e sì laboriosa, e la quale, per difetto di credito, non di rado lascia assai poco ad invidiare agli stessi indi­ genti.

V’ha di più. Se tali istituti non si danno ad ope­ razioni nuove, producono questo vantaggio almeno, che si portano a compire le operazioni di credito ordinario in quei luoghi dove il più spesso gli altri non arriverebbero per difetto di un sufficiente gua­ dagno. Sì è perciò appunto che molte casse di r i­ sparmio si trovano in comuni dove finora invano si era atteso che le banche ordinarie facessero sen­ tire la loro azione.

Ciò vale ad attenuare l’inconveniente dell’ ecces­ siva concorrenza che le banche di beneficenza po­ trebbero fare alle ordinarie. Spesso questi istituti fanno operazioni di credito ordinario bensì, ma in luoghi dove non se ne farebbe alcuna esse man­ cando. Dov’ è il male?

Un altro vantaggio rilevante consiste nel modo con cui è composta l’ amministrazione dell’ istituto. Por solito ne fanno parte persone, I’ onestà delle quali è a tutta prova, abili, intelligenti e che pre­ stano un’opera gratuita. I ventiquattro amministratori dell’opera pia di S. Paolo appartenevano alla più eletta parte della cittadinanza torinese. Vi si conta­ vano giureconsulti onore del foro, antichi commer­ cianti e banchieri ; una banca ordinaria, per quanto vasta, non avrebbe potuto desiderare di meglio. E ciò si ripete, dal più al meno, per tutti gìi altri istituti di questo genere del paese. Queste persone sono liete di consacrare una parte del loro tempo in un’ opera di beneficenza: qualcheduna anzi, riti­ ratasi dagli affari, ve lo consacra tutto intiero,’ e chi ne profitta sono in ¡specie coloro che appartengono alle ultime classi sociali. Sono forze che forse an­

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davano perdute e che si rivolgono a vantaggio della società.

Il fatto è che questi istituti ispirano al pubblico molta fiducia. Nelle sole casse dell’opera di S. Paolo si accumulano oltre a 15 milioni di lire, e tanto è il credito di cui essa gode che la crisi passeggierà che in questi giorni deve attraversare, non ha eser­ citato su di essa la minima influenza.

La cosa si spiega facilmente. Non solo queste banche sono amministrate da gente onesta e intel­ ligente, ma in complesso le loro operazioni sono per solito più sicure che quelle delle altre. Esse non sono stimolate dalla cupidigia di subiti guadagni ; non le anima la brama di distribuire grossi divi­ dendi, di rubare la clientela ad istituti rivali, che è la sorgente più comune della rovina a cui van sog­ gette le banche ordinarie. Perciò più di rado loro accade di trovarsi involte nei disastri, a cui le ope­ razioni lucrose, ma arrischiate, danno luogo. I fal­ limenti che non sono infrequenti nelle banche ordi­ narie, sono quasi affatto sconosciuti per queste, le quali anzi vedono migliorare di continuo le proprie condizioni. Ora, se praticamente una istituzione si mostra vantaggiosa, come si potrebbe combatterne In esistenza?

E vero che le banche di beneficenza possono esercitare una influenza sul mercato. Come esse non hanno per mira diretta il proprio utile, ma quello specialmente della classe disagiata, così pos­ sono sacrificare ogni profitto nelle loro operazioni, ed anzi, occorrendo farle con perdita. Con ciò, se sono potenti, si trovano in grado di dettare la legge al mercato, e costringer : i capitalisti e le banche ordinarie a ritirarsi loro dinanzi. È un caso che può accadere ; ma è da dirsi un danno ? Salvo forse qualche caso eccezionale, una simile influenza non può che riuscire benèfica, perchè serve a mo­ derare gli eccessi, a temperare le esigenze degli altri speculatori. È ciò che fanno i monti di pietà colle operazioni di prestito su pegno, con cui mi­ rano a sottrarre la classe indigente alle angherie degli usurai ; è ciò che possono fare tutti gl’istituti di credito beneficenza in genere in altre svariate maniere,,e massime col credito garan tito, di cui ci occuperemo altrove. Dove è in ciò il pericolo, dove l’abuso? Si potrebbe forse anzi far quasi un passo di più e dire che questo è impossibile. P er­ chè invero abuserebbero della propria posizione ? Loro scopo non è forse di fare il bene e tutto il bene possibile ? Se adunque riescono ad esercitare una influenza sul mercato, questa concorrenza non debh’essere temuta se non da coloro che vorrebbero escluderla per abusare essi stessi della propria condi­ zione. Almeno l’esperienza in questa materia fino ad oggi non ha mostrato che tale influenza sia riuscita mai perniciosa, ed è da supporre che così sarà anche per l’avvenire. Solo allora forse sarebbe da temere un abuso quando queste opere pie, deviando dal loro scopo si facessero cieco strumento di passioni poli­ tiche. Ma anche tale perìcolo, se è possibile, è sì remoto, che non deve destare apprensioni, tanto più che esse son poste sotto ! occhio vigile della pub­ blica opinione e l’amministrazione ne è composta in guisa da non tener conto delle idee politiche degli eligendi, e da far parte equa a lutti i partiti, quando essi lo pretendano.

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ban-L ’ E C O N O M I S T A

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cario del paese; esse ne aumentano i mezzi di rac­ cogliere e distribuire i! capitale, vivificano valori che senza il loro intervento sarebbero destinati a rimanere inerti forse e perire. Col darsi adunque alle operazioni ordinarie di banca essi non sono da paragonarsi ad un parassita indiscreto che si asside ad un banchetto a cui non era invitato, e toglie ai convitati il cibo che era lor destinato, ma piuttosto ad un agricoltore che coltiva un campo che forse sarebbe rimasto da dissodare, e aumentando la pro­ pria agiatezza accresce quella dell’intiero paese; sono tanto più da pregiarsi perchè la loro ricchezza è quella dei diseredati dalla fortuna.

Per conchiudere adunque tornando col pensiero all’Opera pia di S. Paolo, che ha dato occasione a queste osservazioni, è da. augurarsi che la crisi che oggi la tormenta abbia presto un termine, nè eser­ citi alcuna cattiva influenza sul suo avvenire, ed anzi che essa ritemprato, ove d’ uopo, da nuovi elementi, giovi a rendere alle provineie in mezzo a cui opera servigi sempre crescenti.

Il Trattato di Commercio eoa l’Austria Ungheria

A rischiarare il foschissimo orizzonte in mezzo a cui si chiudeva l’ anno 1878 per la politica finanziaria e le condizioni delle industrie e dei commerci non solo in Italia, ma in tutta l’ Europa, un raggio di luce ci ha arrecato la notizia della conclusione del nostro trattato di commercio con l’ Impero austro- ungarico. Noi non ne conosciamo per anco i termini, nè crediamo che essi siano tali da soddisfare in cir­ costanze ordinarie ai nostri desiderj, tuttavia lo con­ sideriamo come uu grande benefizio poiché ci libera dall’ incubo del terribile sistema di lotte e di rappre­ saglie doganali in cui ci vedevamo fotalmente tra­ scinati con tutta l’ Europa senza la conclusione di questo trattato. Già sentiamo duramente gli effetti dolorosi della infausta politica commerciale che l’ Italia ha iniziata sei mesi or sono con la Francia me­ diante l’ applicazione della tariffa generale e già as­ sistiamo al triste trionfo della giustizia che tardivamente si rende alle idee con le quali noi cercammo di com­ battere quel passo sconsiderato. Da ogni parte d’ Italia, dalla stampa di ogni partito udiamo esprimere il vivo desiderio di un pronto accordo con la Francia che assicuri da una parte e dall’ altra almeno il tratta­ mento della nazione più favorita; se oggi si ponesse dinanzi agli italiani la possibilità di prorogare per un altro anno l’ antico trattato italo-francese non vi sa­ rebbe nessuno che non I’ accògliesse con gioia. Quanto non sarebbe stato meglio . il prendere risolutamente uno di questi partiti allorquando ne era ancora il tempo, senza dare ascolto alla voce funesta di chi andava suggerendo i consigli di un vano e puerile risentimento !

Se adesso le difficili e laboriose negoziazioni con l’ Austria fossero andate fallite, il regime della tariffa generale avrebhe governato ben presto la grande massa dei nostri scambi anche con altre nazioni che hanno con l’ Italia la semplice conven­ zione della nazione più favorita, e lo stesso sarebbe avvenuto in Austria che presentemente non ha ta- ,|i riffe convenzionali con altri paesi. Questo accordo arresta adunque i due Stati nella china precipitosa

in cui stavano scivolando e mantiene vive in essi le le tradizioni delle tariffe convenzionali allontanandoli dal sistema, cosi pericoloso e così propizio al più sfrenato protezionismo, di regolare con disposizioni autonome 1’ ammontare dei propri dazi doganali.

Il poco che sappiamo del nuovo trattato lo ab­ biamo ricavato dai giornali austriaci che soli ne hanno dato finora qualche breve e spicciolata notizia. Per gli amici della libertà del commercio esso non rappresenta certamente che un passo retrivo nella via in cui vorrebbero vedere incamminarsi i rapporti internazionali ; ma per tutti per altro esso rappre­ senta I’ allontanamento di mali peggiori. La tariffa autonoma austriaca sancita il 27 luglio 1878 ed an­ data in vigore al principio dell’ anno corrente è delle più gravose; basti citarne ad esempio alcune voci che più interessano l’ Italia: il vino sopra ogni et­ tolitro pagherà 12 fiorini se in fusti e 2Ò se in bottiglie, invece di 8 indistintamente quanti ne pa­ gava nelle tariffe convenzionali che hanno esistito finora, 1’ olio d’ oliva 4 fiorini il quintale invece di 5, le sete grezze 22 fiorini invece di 42, i tessuti di seta 500 invece di 400, il burro fresco 8 invece di 4, il riso 2 fiorini invece di mezzo, le paste 6 fio­ rini in luogo dell’ esenzione, le pelli conciate 8 in­ vece di 0. Ad aggravare la misura di tutti questi dazi vale la circostanza che essi dovranno essere pagati in oro invece che in argento ciò che rappre­ senta un altro aumento almeno del 45 0|o di fronte ai prezzi attuali dell’ argento che ne hanno livellato il valore al corso della carta austriaca.

Questa disposizioue è mantenuta anco nel nuovo trattato. Nella tariffa B ili esso, ove si contemplano i dazi pagabili dalle merci importate in Austria dal­ l’Italia, si comprendono 67 voci. Il numero non è grande, ma vogliamo sperare che in esse si racchiu­ dano la massima parte delle merci la cui esporta­ zione ò maggiormente a cuore all’Italia, onde la li­ bertà doganale sia lasciata all’Austria solo riguardo ad un ristretto numero di articoli fra quelli che possono interessare il nostro commercio. Sembra che pei frutti secchi e le mandorle siasi conservato lo antico dazio di 3 e di 10 fiorini il quintale, in iuogo del dazio stabilito dalla tariffa autonoma di 6 e 45 fiorini ; uu lieve ribasso sarebbesi ottenuto pei li­ moni che con la vecchia tariffa pagavano fiorini -4,40 e ne pagheranno soli 4, mentre ne avrebbero pa­ gati 8 secondo la tariffa autonoma; lo stesso dicasi delle olive in botti che pagheranno fior. 2 40 in­ vece di 3 che pagavano finora mentre ne avrebbero pagati 4 con la tariffa autonoma; il dazio sul riso brillato fu limitato ad un fiorino e ad ugual dazio si sarebbero assoggettate le paste in luogo di 2 e di 6 fiorini stabiliti nella tariffa autonoma; per le seterie sarebbe stato concordato il dazio di 200 fior, invece dei 300 con cui le colpisce la tariffa gene­ rale, ciò che ridotto in moneta nostra corrisponde a 500 franchi in luogo di 750 il quintale e rappre­ senta quindi un aumento esatto di 400 lire sopra il dazio antico. Lo stato attuale sembra siasi anco conservato per i formaggi, i pesci, i salumi ed altri simili prodotti e lo notiamo con soddisfazione poiché specialmente pel formaggio di pasta dura il dazio era presso che triplicato nella tariffa autonoma.

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generale, ma si è in pari tempo obbligata ad atti­ vare nel periodo più breve la studiata riforma della tassa di fabbricazione, conserva il regime attuale allo zucchero determinando meglio la proporzione fra il raffinato ed il greggio, come pure ai lini ed alla carta. Vi è anco una tariffa C che comprende 24 voci e contiene i dazi all’ uscita dall’Italia ; è una tariffa di cui l’Austria ha fatto a meno, ma alla quale non sembra ancor giunto il momento in cui il governo italiano creda da parte sua di poter rinun­ ziare. Oltre di ciò corredano il trattato di com­ mercio il cartello doganale composto di 20 articoli e contenente le norme secondo le quali le autorità doganali dei due paesi dovranno porsi d’ accordo per combattere il contrabbando; ed una conven­ zione sulleepizoozie che crediamo sia il primo te n - tativodi tal genere fatto da duo limitrofi.

Tutto ciò che abbiamo detto comprendiamo esser ben poco per appagare la legittima curiosità del lettore, ma a lui possiam dire col poeta

Nè che poco io vi dia da imputar sono Che quanto posso dar tutto vi dono

Ed a scagionarci della scarsità delle notizie rac­ colte crediamo di potere allegare la poca impor­ tanza che nelle sfere ufficiali si pone tuttora nel recare prontamente a notizia del pubblico italiano fatti die co.ne questi concernono cosi intimamente i suoi più delicati interessi e la cui sollecita diffu­ sione potrebbe evitare al commercio molte incer­ tezze e molte perturbaziuni. Ciò è assai deplorevo­ le. Già troppo esso è stato in questi ultimi tempi molestato da ogni sorta di cattive fortune, ed il lan­ guore proveniente dalla durissima crisi è stato ter­ ribilmente aggravato dalle oscillazioni e dallo irrisolu­ tezze della politica commerciale dei vari Stati. La conclusione stessa del trattato italo—austriaco, negli ultimissimi giorni del 4878, è stata per esso occa­ sione di scosso non lievi ; il ceto commerciale il penultimo giorno deli' anno era affatto ignaro del regime daziario a cui sarebbero state soggette le importazioni il primo del prossimo gennaio. Già si conosceva la conclusione del trattalo coll’ Austria, ma si sapeva altresì che la sua applicazione non avrebbe potuto aver luogo immediatamente, non avendo ancora questo trattato riportato la sanzione dei parlamenti dei due paesi. Tutti per altro vive­ vano nella fiducia che si sarebbe dai governi facil­ mente concluso uu temperamento in virtù dal quale il regime esistente sarebbe stato prorogato fino a l- f epoca dell’ applicazione del nuovo trattato. Quando ad un tratto cade sulla testa dei pacifici negozianti la circolare telegrafica del ministro Maiorana in cui si avvert no die, il governo italiano e 1’ austriaco non avendo potuto mettersi d’ accordo intorno a nessuna misura provvisoria, sarebbe, secondo ogni probabilità, stata applicata col 4 gennaio e fino al- I’ attuazione del nuovo trattato la tariffa generale. Questa allora sembrava dovesse colpire non solo le importazioni dall’ Austria, ma quelle ancora di tutti gli altri paesi, che vengono regolate sulla base del principio della Nazione più favorita, poiché non era giunta la notizia che fosso stato prorogato di un mese il trattato a tariffe con la Svizzera, il quale del resto non regola tutte le voci che dalla tariffa austriaca erano contemplate. Fu un vero spavento fra i negozianti e -molti con sagrifizio di tempo e di spesa dovettero accorrere agli uffici doganali per

cercare di sdaziare la loro merce in quell’ ultimo giorno che ancora rimaneva per profittare dei van­ taggi della tariffa convenzionale.

Finalmente le difficoltà furon vinte, e se ne ebbe notizia silo dopo il principio del nuovo anno. Le difficoltà consistevano in ciò che il governo austriaco si rifiutava a prorogare di un mese il vecchio trat­ tato, perchè la tariffa che vi era annessa, e che sa­ rebbe rimasta in vigore non solo per le importazioni dall’Italia, ma per quelle ancora da tutti gli altri stati con cui l’Austria ha delle convenzioni che as­ sicurano il trattamento di favore, si discostiva di troppo dalla sua tariffa autonoma e conteneva delle voci le quali essa voleva assolutamente regolate da quest’ultima, fino dal principio dell’anno. Un acco­ modamento ha potuto intervenire perchè il governo austriaco ha acconsentito a prendere sotto la propria responsabilità la misura di sostituire nell’antico trat­ talo la nuova tariffa convenzionale, benché non an­ cora approvata dal Parlamento, alla vecchia, onde questo trattato ha potuto prorogarsi evitando gli in­ convenienti che l’Austria voleva fuggire. Ora, noi ci domandiamo, simile responsabilità non avrebbe potato in ogni caso prendersi il governo italiano e rispar­ miare al commercio la spaventosa minaccia dell’ap­ plicazione della tariffa generale a cui nessuno pen­ sava ? Temeva esso forse che presentando il nuovo trattato con l’ Austria al Parlamento, questo non avrebbe riconosciuta l’ urgenza e l’ opportunità di una misura con cui derogando alla tariffa generale il Ministero avesse dichiarato che indipendentemente da ogni accordo col governo austriaco avrebbe con­ tinuato ad essere provvisoriamente esecutiva la ta­ riffa annessa al trattato scaduto? Ciò avanziamo sol­ tanto sotto forma dubitativa e non certo per eccitare i ministri a misure arbitrarie generalmente aliene dall’ animo nostro, sinceramente amante della libertà e delle sue guarentigie; solo però vorremmo che l’attenzione del Ministero e del Parlamento si ripor­ tasse sulla necessità di assicurare con ogni studio e con ogni sforzo al commercio quella quiete che da tanto tempo va indarno implorando.

IL PROBLEMA MONETARIO

Nel nostro passato numero abbiamo analizzato uno scritto del sig. Mannequin su questo argomento, e, dopo avere esposte le ragioni colle quali egli sostiene la necessità del tipo unico d’ oro, abbiamo aggiunto che egli termina con un,riassunto in forma di pro­ getto di legge.

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5 gennaio 1870

L’ ECONOMISTA

essenzialmente distinte, perchè la seconda pu& variare

dopo lo scambio, mentre la prima resta invariabili. Dunque procedono da misure differenti e non bisogna confonderle, nè confondere le misure cbe le danno. Lo stesso avviene nella moneta. Ma a quale delle due quantità conviene riferire il nome che designa la moneta? Al valore perchè il valore esprime la ric­ chezza di cui la moneta è la misura. Essa non sup­ porrebbe altra misura cbe il suo peso, se il suo nome si riferisse a questo. Il metro, osserva acutamente l’ Autore, non è soltanto lungo, ma è anche pesante e voluminoso; non ne segue che si possa designare con un nome che richiami altra cosa che la quantità i lunghezza, che è presa in esso come unità di lun­ ghezza. Bisogna portare un criterio conforme nella denominazione della moneta per non alterarne il concetto. Se la misura che dà il peso della moneta ne desse anche il valore, bisognerebbe supporre la moneta invariabile, perchè tale è il suo peso. La moneta varia nella grandezza della sua unità, ma il peso di questa è invariabile; l’ unità monetaria non può essere dunque una quantità ponderale. Il chia­ rissimo Autore crede riconoscere che le definizioni del valore in economia polìtica non si accordano con questo linguaggio, ma esse non si accordano non più col linguaggio universale della metrologia e coi fatti economici cbe suppongono, il che prova che sono difettose. Certo siccome una delle difficoltà dell’ eco­ nomia politica è quella delia nomenclatura, e in altre parole la mancanza di vocaboli tecnici universalmente accettati, le definizioni che si sono date del valore sono varie, ma non sappiamo convenire che tutte siano difettose. A noi pare che la nozione del valore sia quella di un potere inerente alle ricchezze di essere scambiate le une contro le altre, e non cre­ diamo che tale nozione alteri le conclusioni suesposte a cui giunge l’ Autore. Il quale aggiunge che in pratica la designazione della moneta pel suo peso darebbe luogo ad equivoci intollerabili. 0 tutti i metalli mo­ netati sarebbero designati egualmente pel loro peso, o lo sarebbe uno solo. Nel primo caso invece di una sola moneta in tre metalli, se ne avrebbero tre, ossia si avrebbero tre misure diverse per una sola e me­ desima cosa, sistema di cui si può trovare qualche esempio nella condizione economica dei popoli barbari o anco di genti civili in certa speciale situazione.

Nel secondo caso si avrebbe un sistema meno assurdo, ma più inconseguente, poiché converrebbe scegliere fra i tre metalli monetati quello di cui si comporrebbe la unità monetaria, ed allora si avrebbe per rappresentare i multipli o i sotto-multipli di questa unità, o gli uni o gli altri due metalli diffe­ renti, che si troverebbero così designali dal nome del metallo che rappresenterebbe la unità. Dato cbe la unità monetaria fosse rappresentata dall’ oro e che pesi un grammo, si avrebbero per ipotesi dei sotto-multipli di argento del peso di 20 grammi che si chiamerebbero 13 o l ì centigrammi d’ oro. Confessiamo cbe non arriviamo ad afferrare il con­ cetto dell’ autore. Se si suppone stabilito il tipo unico d’ oro, e 1’ argento e il rame ridotti egual­ mente a monete di vigiione, non sappiamo trovare I’ inconveniente. Su questo punto pertanto non ci apparisce abbastanza chiara la confutazione della opinione radicale sostenuta da Leon, Chevalier ed altri.

Il sistema della moneta a valori variabili, ultima conseguenza o inconseguenza a senso dell’autore di

quello di cui abbiamo tenuto parola, farebbe circo­ lare uno almeno dei metalli-monetati con valori variabili. Tale sistema l’autore ritiene difettoso ed impraticabile. Esso darebbe anzitutto. due misure differenti e ineguali per la ricchezza. E questo è il meno. Le prove fatte hanno fallito, come ad esem­ pio I’ esperienza dell’ anno III coi suoi pezzi d’ oro mercanzia, che non furono mai battuti perchè nes­ suno li voleva. In Inghilterra sotto Carlo II le spe­ cie d’ oro non avevano corso forzoso, si stava al loro valore commerciale, lì risu'tato fu una grande confusione. « Malgrado esperienze così concludenti, ci si propone pertanto di far circolare 1’ oro fra noi, come dopo I’ anno 3,° ma con variazioni legali di valore, che la legge constaterebbe periodica­ mente, presso a poco come altravolta tassava il pa­ ne. » E il chiarissimo Autore passa ad esporre i progetti del sig. Courtois e del sig. Garnier.

Secondo il primo le monete d’ oro e di argento avrebbero lo stesso peso e lo stesso titolo, e la mo­ neta francese d’ argento servirebbe di modello. Il loro rapporto sarebbe fissato dalla legge come oggi, ma periodicamente, secondo lo stato del mercato dei metalli preziosi. La unità del franco di argento sarebbe conservata e il suo equivalente in oro di­ venterebbe il franco d’ oro.

In ogni contratto a termine i contraenti avreb­ bero la libertà di scegliere il metallo per mezzo del quale il debitore rimarrebbe liberato. In difetto di stipulazione, la scelta spetterebbe al debitore. Per le transazioni non eccedenti la cifra di 100 franchi il pagamento sarebbe obbligatorio in argento, salvo patto in contrario. Il sig. Courtois non si pronunzia nè per, nè contro il doppio tipo; egli vuole lasciare la scelta a tutti e invoca i principi del libero scam­ bio. L'Autore trova cbe la moneta deve essere de­ terminata dal legislatore nelle sue condizioni essen­ ziali e permanenti, poiché la libertà ha un limite nella natura delle cose, e i principi incontrano una limitazione nel dominio dell’attività di tutti. E poi una contradizione colla teoria mantenere la unità del franco d’argento. Lasciando a parte molte altre ap­ propriate osservazioni del chiarissimo Autore, pare a noi che la proposta di cui è parola abbia il di­ fetto essenziale di mantenere il rapporto legale fra la moneta d’oro e quella d’argento. La mutazione periodica può mitigare, non togliere il difetto es­ senziale del sistema.

L’Autore passa poi ad esaminare il progetto del signor Garnier che comparve nel I87ti. La prima parte ristabilisce il sistema monetario vigente in Francia avanti la riforma del 1863 ; la seconda lo modifica per farne un regime di transizione ; la terza costituisce la soluzione del problema monetario come il Garnier lo comprende. D’accordo su vari punti col Courtois, con alcune disposizioni favore­ voli al tipo unico d’oro, il Garnier avanza delle proposte che anche a noi non sembrano accettabili, e su cui non insistiamo trattandosi di un progetto assai noto e più vòlte discusso.

Il progetto del sig. Mannequin, al quale precedono dei considerandi che riassumono le argomentazioni da noi esposte nell’articolo precedente ha le seguenti principali disposizioni.

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titolo di 900 millesimi ; quattro pezzi d’argento del peso rispettivo di grammi, 10, a e 2 1|2 eolia lega come attualmente. — La nuova unita è rap­ presentata dal pezzo d’oro di o grammi sotto il nome di fra n co come l’unità attuale. Dopo alcune dispo­ sizioni riguardanti il periodo di transizione, si sta­ bilisce che la monetazione di tutti i pezzi del sistema nuovo è libera per tutti, purché se ne paghi iute gralmente il valore legale o monetario in modo da non trarre alcun profitto. Questo valore comprenderà le spese di monetazione regolate amministrativamente in modo equo ed uniforme per tutti.

L’ amministrazione politica non sarà dispensata dal pagare integralmente il valore legale o monetario di ogni moneta nuova che facesse battere avanti o dopo che le monete attuali avessero cessato di circolare. — La direzione della zecca non batterà in ogni tempo e in ogni caso che le monete che le saranno chieste dal pubblico o dall’ amministrazione politica e alle condizioni suaccennate. Importa di subordinare la monetazione alla legge economica della offerta e della domanda, solo mezzo di assicurare la circolazione armonica dei tre metalli monetati e di fare che il capitale di ogni paese applicato al servizio degli scambi si proporzioni sempre per quanto è possibile alle ne­ cessità di questo servizio. Sarebbe limitata la somma che sarebbe obbligatorio di non ricusare nei pagamenti per le monete nuove d'argento, e di rame. Sarà sta­ bilita una cassa’ della monetazione pel servizio finan­ ziario del ritiro delle monete attuali e della fabbri­ cazione delle nuove.

Noi non entreremo nei particolari della proposta, chè merlerebbero lungo esame, e soltanto abbiamo voluto segnalarla all’ attenzione degli studiosi. L’ idea del tipo unico d’ oro; quella della libertà della mo­ netazione colle cautele accennate; la spesa di fab­ bricazione calcolata ci sembrano cose degne di ap­ provazione. Riservando il nostro giudizio su .alcune disposizioni, siamo intanto lieti di porgere nuovamente omaggio alla dottrina e alla competenza dell’ Autore.

RIVISTA BIBLIOGRAFICA

E. Bianchi. — Il Divorzio. — (Tip, Nistri. Pisa 1878). Se nel 1865, quando si compieva per l’Italia la grande opera delta unificazione legislativa, non fu introdotto fra noi, in una col matrimonio civile, an­ che il divorzio come molti pure avrebbero vo­ luto, ciò avvenne principalmente per ragioni di op­ portunità. In un paese come il nostro ove la im­ mensa maggioranza, o per meglio dire la quasi to­ talità dei cittadini, professa la religione cattolica la quale ha elevato a dogma il principio della indis­ solubilità del vincolo matrimoniale, in un paese ove per secoli e secoli il legislatore civile ha rilasciata in fatto di matrimonio piena ed esclusiva giuri­ sdizione alle autorità ecclesiastiche era già un passo abbastanza ardito quello che si faceva colla istitu­ zione del matrimonio civile, perchè prudenza consi­ gliasse allora di non spingersi più oltre nella via di cosi radicali riforme. Quindi nella circostanza che il Codice civile Italiano non contenga disposi­ zioni legislative dirette a sanzionare ed a regolare il divorzio, piuttosto che una aperta condanna di questo istituto giuridico per parte degli illustri com­

pilatori del Codice nostro, deve ravvisarsi la con­ seguenza della convinzione, abbastanza ragionevole d’ altronde, che non fosse nè prudente nè opportuno affrettarne la introduzione fra noi. In sostanza nel 1865 la grande quistione della preferenza da accordarsi al divorzio sul principio contrario della perpetuità delle unioni coniugali, non fu risoluta in modo de­ finitivo, ma rimandata a tempi migliori.

Così la intesero almeno i fautori del divorzio in questi tredici anni già trascorsi dalla promulgazione del Codice Civile, e non si ristettero dal combattere per il trionfo delle loro idee, nè certo senza effetti sensibili sull'indirizzo della pubblica opinione, tanto­ ché recentemente l’on. Salvatore Morelli potè otte­ nere che la nostra camera elettiva prendesse in considerazione una sua proposta di legge per la in­ troduzione del divorzio nella legislazione italiana.

Da questa proposta appunto (proposta di cui non è dato ancora prevedere, quale sarà la sorte) 1’ avv. Emilio Bianchi, professore pareggiato di Di­ ritto Civile nell’Ateneo pisano, e già favorevolmente noto per altre sue pubblicazioni giuridiche, pren­ deva occasione a quella di cui oggi abbiamo vo­ luto dare un cenno ai nostri lettori.

L ’ Egregio scrittore, partigiano dichiarato della istituzione del divorzio, ha voluto con questo suo nuovo lavoro trattare la questione per modo che non solamente i giuristi mi tutti coloro che non sono sforniti di una qualche cultura, possano tro­ varsi in grado di formarsi una razionata opinione intorno alla medesima, e di emanciparsi da quei pregiudizi che, frutto di inveterate consuetudini e di secolari tradizioni, fanno sì che le coscienze timo­ rate ed oneste considerino la dissolubilità del lega­ me coniugale, come fonte di pericoli e di immo­ ralità per il civile Consorzio. — Però se l’intendi­ mento dell’Autore è stato principalmente quello di popqlarizzare, come suol dirsi, la questione del di­ vorzio, e di preparare nella pubblica opinione e nel Parlamento un terreno favorevole alla proposta dei- fi on. Morelli, non per questo lo scritto dell’ egre­ gio Bianchi è meno ricco di dottrina e di consi­ derazioni scientifiche, serie ed originali, e gli stu­ diosi delle discipline giuridiche possono essi pure consultarlo con profitto.

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5 gennaio 1879 L ’ E C O N O M I S T A i

imporlo, e che finalmente anche per il mondo cattolico, 1’ indissolubilità del vincolo matrimoniale è massima introdotta in epoca relativamente recente. Nel 5° capitolo si confutano più gli argomenti d’ or­ dine sociale e politico che si accampano contro- l’i­ stituzione del divorzio, quali il pericolo di facilitare

le unioni inconsulte, il pericolo di abbandono per a prole e simili; mentre nel i 8 che forse è il più importante dal punto di vista pratico, si prendono ad esame, una per una, le cause per le quali sol­ tanto a mente dell’ autore il divorzio dovrebbe con­ cedersi, e da queste lo notiamo con piacere, viene esclusa la incom patibilità d i carattere o il mutuo consenso, il che torna lo stesso, e ciò appunto per­ ch è-lo averla alcune legislazioni ammessa come causa sufficiente di divorzio ha dato modo agli avversari di questa istituzione di formulare contro alla medesima le loro più gravi e forse più fondate cen sure. Finalmente il capito'o 6° tratta della procedura che dovrebbe seguirsi in materia di divorzio, all’ og­ getto che un atto cosi grave e così importante sia circondalo da tutto le maggiori possibili garanzie di serietà e di necessità, e accenna pure alle conse­ guenze che dovrebbero derivare da una pronunzia di divorzio, rispetto alla parte, (die vi ha dato cau­ sa, e rispetto ai figli.

A complemento dell’opera sta poi un opportunissimo riassunto delle principali disposizioni legislative che vigono in proposito presso le varie nazioni, presso le quali il divorzio è ammesso.

Questo per sommi capi è il piano generale dello scritto che abbiamo fra mano, intorno al quale, vorremmo entrare in maggiori particolari ove l’ in­ dole del nostro giornale lo consentisse. — Abbiamo creduto per altro debito nostro darne almeno questo breve cenno, sia perchè la quistione del divorzio, non è soltanto quistione giuridica, ma come tutto ciò che attiene al regime e al miglioramento dei rapporti familiari, è quistione essenzialmente sociale; sia perchè se, come lo auguriamo, saremo giunti a far nascere nei nostri lettori il desiderio di leggero lo scritto dell’egregio avv. Bianchi, crederemo in tutta coscienza di aver reso loro un utile servigio, e nello stesso tempo ci terremo paghi di avere per quanto stava in noi, contribuito a rendere maggiormente noto un lavoro che deve essere salutato con legit­ tima compiacenza da quanti tengono dietro con amore al risveglio degli studi giuridici e sociali in Italia.

RIVISTA INDUSTRIALE

Sommario — Ragione e scopo di questa Rivista— Un succedaneo del gaz d’illuminazione — La luce elet­ trica nelle officine e nelle città — Confronto di costo col gaz-luce — La candela Jablochkotf — Suo costo — Nuovi sistemi più recenti.

La storia delle grandi scoperte è quasi sempre la medesima; nate nel silenzio del gabinetto dello scienziato, elaborate e portate allo stato di fatto acquisto nelle esperienze del laboratorio, incomin­ ciano a farsi strada nel mondo scient fico e diven­ gono argomento di studio e di discussione. Poi, poco per volta, col lavoro cospirante di molte intelligenze, la scoperta prende piede, si consolida, acquista im­ portanza e trova qualche pratica applicazione; alcuni,

timorosi dapprima, audaci di poi, la portano nel campo industriale e ne tentano, su vasta base, la pratica applicazione.

Questo periodo è generalmente il più fatale, la maggior parte dei tentativi fallisce, ed al volo, troppo alto e repentino, tien dietro la precipitosa caduta.

Ma quando da questa prova decisiva la scoperta esce vittoriosa, quando i risultati conseguiti sanci­ scono inappellabilmente il suo trionfo, quella scoperta entra nel dominio della industria e la storia segna la data di un fatto che, talvolta, sconvolge il mondo economico. Si fondano nuove associazioni, il capitale vi accorre e colla sua potenza, si creano compagnie, società, e nuovi valori inondano il mercato, e nuove azioni vengono a disputarsi sul gran terreno delle Borse.

Noi crediamo pertanto sia di competenza di un giornale come V E conom ista, sia interessante pei nostri lettori, I’ occuparsi di quando in quando di quelle scoperte, le quali, fatto capolino fuori dal la­ boratorio o dal gabinetto dello scienziato, si mo­ strano all’ orizzonte come foriere d’ un importante contributo al progresso industriale e quindi di un possibile avvenimento economico.

Persuasi di questa utilità noi imprenderemo nelle nostre colonne una mensile rivista, breve e som­ maria, di quelle scoperte, le quali o già principiano ad entrar nella vita industriale, od accennano alla possibilità d’entrarci in un tempo non remoto.

Noi crediamo che una simile rivista troverà fa­ vorevole accoglienza presso i nostri lettori, tanto più se, come speriamo, il moltiplicarsi incessante delle umane scoperte ci permetterà di renderla sempre interessante di fatti nuovi ed importanti.

Incominciamo intanto a dir qualche parola intorno alla quistione che oggi si può chiamar d’ attualità; quella cioè di trovare un succedaneo al gaz.

Luce, luce bella e a buon mercato, si va gri­ dando da ogni parte; il gaz principia ad essere un’ anticaglia, non sodisfa più, si vuole luce elet­ trica.

E il desiderio, r.on si può negare, è legittimo; non si può dire che il gaz sia f’ ideale delia luce, mentre quella elettrica abbaglia pel suo splendore che par fino eccessivo.

Pochi anni or sono la luce elettrica non era uti­ lizzata che nei fari, oggi essa ha preso definitiva­ mente il suo posto fra i mezzi industriali.

È alla macchina Granirne o per meglio dire è alla macchina Pacinotti che si deve questo risultato ; perchè è stato un italiano, il prof. Antonio Pacinotti che fino dal 1861, cioè molti anni prima di Granirne, immaginò la macchina che comunemente porta il nome del fisico francese.

Un numero considerevole di scienziati e di in­ ventori, di fisici e di industriali fecero convergere le loro ricerche a questo scopo: utilizzare indu­ strialmente la luce elettrica; dal 1858 fino al 1878 gli uffici dei brevetti di invenzione sono stati lette­ ralmente assediati dagli inventori smaniosi di lan­ ciare nei mondo il loro nome, il loro sistema co­ perto dal sacramentale: brevété s. g. d. g.

Fatta la debita tara di più del 50 0|Q su tutti

questi brevetti, molti ne sono rimasti realmente me­ ritevoli di considerazione e tali da procurar qualche inquietudine ai possessori di azioni delle compagnie del gas.

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8 L ’ E C O N O M IS T A 5 gennaio 1879

che un pugnale rimasto sempre incognito, assassinava nei Campi Elisi sotto il primo Console, sentì che un terribile avversario sorgeva contro di lei in quella scintilla che rende incaudescenti i due carboni d’ una lampada elettrica e quando VAverne de VOpera come per incanto brillò di quella luce bianca, viva, affa— scinante come produrrebbero cento lune insieme, che si deve al sig. JablocbkofI, l’azionista della Compa­ gnie Parisienne tremò pel ribasso delle sue azioni, ed ansioso chiese spiegazioni, e confronti, e la stampa parigina si divise in due campi, da Una parte quelli che affermavano la luce elettrica- essere un fuoco fatuo che avrebbe fatto il suo tempo, e dall’ altra quelli che cantavano al povero gas il deprofu n dis.

Nello stato presente delle cose pronunciare un | giudizio definitivo sarebbe cosa poco seria ed a cui j non si dovrebbe prestare gran fede ; tuttavia alcuni dati di fatto si sono già stabiliti con sicurezza e j soltanto di questi terremo parola ai lettori dell’ E co­

nomista.

Nelle officine, nei grandi laboratori l’ illuminazione elettrica non è soltanto un fatto scientifico ma è un ! fatto eminentemente industriale e di competenza della economia.

I signori Heilmann, Ducommun e Steinlen celebri costruttoriVdi macchine di Mulhouse hanno, da quattro j anni a questa parte, illuminato la loro fonderia con ¡ la luce elettrica; essi valutano la spesa incontrata nel modo seguente :

Carboni di storta . . . . franchi 0, 88 Consumo di vapore... » 0, 36 S o rv eg lian za... » 0, 30 Interessi e ammortamenti. . . ■» 5, 10 6, 64 La forza motrice non rappresenta dunque in que­ sto caso che la ventesima parte della spesa totale, mentre che l’ interesse e 1’ ammortamento (che deb­ bono elevarsi ad una cifra tanto meno considerevole, 1 quanto meno care sieno le macchine, e quanto più esse durino) rappresentano i tre quarti della spesa ! totale.

II signor Ernesto Manchón, proprietario d’ una

j

tessitura meccanica e Kouen ha fatto installare la | luce elettrica in una delle sue fabbriche dapprima illuminata a gas. La fabbrica di cui si tratta è di forma rettangolare, larga 24 metri, lunga metri 42, ¡ alta 5 metri ; essa contiene, sopra una superficie di 1008 metri quadrati, 160 telai meccanici che \ erano primitivamente illuminati da 160 becchi di gas di gran modello e i quali consumavano, ciascuno, 155 litri all’ ora.

Per rimpiazzare questi 160 becchi di gaz si sono, j collocate 6 macchine Granarne e 6 regolatori che projettano la luce sul soffitto e danno a tutto Tarn- | biente un’illuminazione uniformemente distribuita. !

Dopo cinque mesi il signor Manchón stesso ha fatto il seguente computo;

ILLUMINAZIONE ELETTRICA

Spese d ’ impianto

1. Soffitto appositamente rifatto . . . Fr. 3913 — 2. » (pittura d el)...» 1249 — 3. » mano d’ opera d’ incavalla­

tu ra... » 125 — 4. » legname d’incavallatura. . » 57 50 5. Installazione di cinque stuoie. . . » 140 — 6. Tela per d e t t e ... » 35 — 7. Armadii per le macchine e vetrerie » 211 90 8. Fondo di zinco all’armadio. . . . » 15 75

9. Sei macchine dramme, sei regola­ tori e co n d u tto ri... 10. Trasm ission e... 11. 'Cigne di trasm issione... 12. -Armature per la trasmissione. . . 13. Trasporti e spese diverse...

Costo d ell’ illum inazione elettrica

Per anno di 660 ore

Interesse 6 0i0, ammortamento 6 (j0

insieme 12 "jo su 22810, 80 . . . 2737 29 Forza motrice (noleggio). . . . 750 — Carboni, (686 cent. 1’ ora a Fr. 2 25

il metro)... 1018 38 Sorveglianza e manutenzione. . . . 330 — Olio per lubrificare (30 chil. a 1 40) . 47 —

Totale 4877 67 7,387

Il lu m in a z io n e a ga z

iSp ese d ’ im pianto

160 becchi a Fr. 4 0 ... 6400

Costo dell’illum inazione a gaz

Per anno di 666 ore

Interesse e ammortamento del 12 °j0

su 6400 ... 168 — Consumo di gaz a 32 centesimi al

metro cubo... 5238 42 Riparazioni e manutenzione . . . . 200 — Tubi in vetro e globi... 100 —

Totale 6306 42 9,550 Da questi dati risulta a favore dell’ illuminazione, elettrica su quella a gaz un’economia:

annuale...di franchi 1428 75 per o r a ... » 2 16 per c e n t o ... '• » 22 60 Da tutto ciò risulterebbe manifesta la superiorità della luce elettrica nella illuminazione delle officine. La parte più delicata, più difficile sta nel regolatore, cioè in quel congegno che permette ai carboni Ira i quali si produce la luce elettrica di mantenersi sempre ad eguale distanza, di andarsi cioè avvici­ nando automaticamente a misura ch’essi si consu­ mano.

Fra tutti i regolatori quelli che meglio corrispon­ dono a questo ufficio sono quelli di Duboscq e di Serrin.

Per l’illuminazione delle città però l’impiego del regolatore è un grave inconveniente ; ora un giovine ulìiciale russo, stabilito a Parigi, il sig Jablochkoff ha trovato modo di sopprimere il regolatore met­ tendo i due carboni paralleli e interponendo fra essi un bastoncino di materia refrattaria ; questa dispo­ sizione, che prese il nome di candela Jablochkoff, è già da molti, mesi in attivila a Parigi tanto su alcune pubbliche vie, quanto in diversi stabilimenti e magazzini.

All’apparizione di questo sistema d’ illuminazione la Compagnia parigina del gaz si è scossa, e, vedu­ tasi minacciata, cercò difendersi col demolire il nuovo sistema.

Dal canto suo la Società generale d’elettricità si difese con dati di fatto e con l’appoggio di autore­ volissime celebrità fra cui citeremo il Jamin.

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5 gennaio 1879 L ’ E C O N O M I S T A 9

Illum inazione con sei fuochi

La candela costa 75 centesimi, brucia per un’ ora e mezzo; la spesa per 12 candele per ora è dunque di... Fr. 8 — Il combustibile consumato dal motore (un

cavallo di forza per fuoco, cioè al mas­ simo per 16 fuochi, 18 cavalli) calco­ colata a ehilog. 2,500 por cavallo al prezzo di 35 franchi la tonnellata. . . » 1, 57 Olio e diverse...» la Salario al fu o c h is ta ...» 0, bU

Totale per ora Fr. 10, 42 e ciò per 16 candele accese le quali danno una luce equivalente a quella di 1600 becchi di gaz da 140 litri all’ora.

Per contro 1600 becchi da 140 litri consumano per ora 224 metri cubi di gaz che valutato a soli trenta centesimi rappresenta una spesa di fran­ chi 67, 20.

Il gaz costa dunque, concludono i patrocinatori delle candele Jablochkoff, sei volte e mezzo più caro della candela.

Convien però notare che in tutto questo conteggio i difensori del nuovo sistema non calcolano nem­ meno un centesimo per l’interesse dell’enorme capi­ tale immobilizzato nel motore di 18 cavalli, nelle macchine Granarne necessarie, nelle macchine ecci­ tatrici, nella conduttura ecc.-che raggiungono som­ me considerevolissime.

E bisogna che questo argomento sia di capitale importanza e tale da far pendere la bilancia al contrario di quello che sembrerebbe a tutta pr ma, poiché la candela Jablochkoff mentre rimane uno splendido risultato scientifico ed un mezzo d illu­ minazione di lusso, non accenna ad entrare nel vero e proprio campo della industria ; la quistione economica è sempre, almeno discutibile.

Ma se la candela Jablochkoff non presenta an­ cora vantaggi tali da mettere in pericolo gli ^ inte­ ressi delle compagnie del gaz, sono spuntate all’ oriz­ zonte, in questi ultimi giorni, alcune invenzioni non ancora bene divulgate e conosciute le quali sorpas­ sando di gran lunga i vantaggi delle candele Jay blochkoff minacciano di venirsi a collocare, temibili avversarii, in prima linea.

Queste invenzioni hanno per ¡scopo il fraziona­ mento della luce elettrica, vale a dire la possibilità di suddividere, strada facendo la luce, e distribuen­ dola a domicilio ed in quella porzione che si vuole, come si fa de! gaz.

Il signor Riccardo Wet'dermann ha inventato una nuova lampada la quale pare raggiunga questo scopo ; però intorno ad essa non si hanno ancora dati sperimentali che permettano di esaminarne la convenienza economica e perciò ce ne occuperemo, quando ci saranno noti, in una prossima Rivista.

Circolo ii Conferenze commerciali c marittime

in Palermo

Si è costituito a Palermo un Circolo di conferenze commerciali e marittime all’ oggetto di trattare gli argomenti più interessanti il commercio e la marina mercantile. Noi salutiamo ed auguriamo lunga e pro­

spera vita a questo nuovo sodalizio che riunisce uo­ mini della scienza e della pratica nello studio delle riforme necessarie per lo sviluppo di questi grandi fattori della ricchezza pubblica, in un momento in cui l’ Italia sente più che mai il bisogno di volgere oo-ni cura al miglioramento delle sue condizioni eco­ nomiche pur troppo depresse.

Il nostro giornale pubblicherà i resoconti delle di­ scussioni che avranno luogo nel seno del Circolo.

Seduta del 2 6 dicem bre 1878

Prima di tutto si nominò il Presidente, e risultò eletto il cav. Mario Corrao.

Si dette quindi lettura dell’ ordine del giorno por­ tante i seguenti temi :

4. Riforme amministrative e tributarie per mi­ gliorare le condizioni della marina mercantile italiana. 2. Mezzi di ordine economico per favorire lo sviluppo del commercio nel Regno.

Il Presidente ¡avita i socii a cominciare gli studi sul primo dei predetti temi e soggiunge che per dare alla discussione un punto di partenza crede utile esporre succintamente i lavori fatti finora in Italia sulle cause del decadimento della marina mercantile.

Rammenta la lettera da lui pubblicata or la un anno nel G iornale d i S icilia, colla quale richiamò 1 atten­ zione della Società siciliana di economia politica, pre­ sieduta dall’ onorevole prof. Bruno, per lo studio di questo importante argomento, e riassume la sua re­ lazione sulle gravezze delle tasse marittime e sugli errori dell’ indirizzo amministrativo che fu seguita dal voto di riforme manifestato dai socii nella seduta del 10 marzo 4878, contenuta nella prima dispensa del G iornale ed atti di detta Società.

Ricorda con belle parole la relazione dell’ illustre senatore Boccardo pubblicata nello scorso aprile sulle attribuzioni del nuovo Ministero di agricoltura e com­ mercio. e la proposta fatta a nome.della Commissione per affidare il servizio della marina mercantile alla dipendenza del detto dicastero.

Espone i lavori del congresso delle Camere di commercio tenutosi nello scorso giugno in Genova, ed i voti fatti al Governo pel passaggio della marina mercantile dal Ministero della marma a quello del com­ mercio e per lo sgravamento delle tasse che la op­

primono.

Cita la recente conferenza tenuta in Genova nello scorso novembre dalla Società di letture e conver­ sazioni scientifiche, in cui l’ egregio prof. Virgilio lesse una memoria sul detto argomento, e l’ altra successiva tenutasi dall’ Associazione marittima ligure, in cui gli armatori si mantennero fermi nelle loro convinzioni sulle cagioni della decadenza della marina mercantile e suda convenienza di affidarne la direzione al Mi­ nistero economista.

Loda la stampa delle principali città del Regno

per aver mostrata tanta sollecitudine nell’ appoggiare con mirabile uniformità il voto della marineria e del commercio nell’ interesse della delta marina.

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L’ E C O N O M I S T A o gennaio 1879

quella sproporzionata azione tributaria prodotta dalle molte tasse gravanti sul naviglio e sulla marineria.

Soggiunge che le cause d’ ordine generale sono transitorie e di una efficacia limitata, dimostrando colla statistica che non ostante la loro influenza vi sono parecchie marine mercantili, come la inglese, la norvegese, la germanica ed altre che progredi­ scono sensibilmente. Nel solo anno 1877-78, giusta il Veritas, la marina inglese aumentò il suo navilio a vela di ton. 170,088.

Invece le cause speciali sono permanenti, ed a rimuoverle occorre che governo e particolari fac­ ciano ogni sforzo onde evitare il dissolvimento di un fattore sì potente della ricchezza nazionale.

Il Presidente couchiude dicendo : Noi siamo qui riuniti per questo scopo patriottico; facciamo adun­ que quanto possiamo lavorando attorno alle leggi ed ordinamenti della marina mercantile per vedere quali riforme sono utili a proporsi tanto nella parte amministrativa quanto nella parte tributaria !

Si passa alla lettura di quegli articoli del codice della marina mercantile che meritano di subire delle riforme.

L’ art. 1 prescrive che V am m inistrazione della

m arina m ercantile è retta d al ministero della m arina.

Il Presidente invita i socii a discutere se con­ venga che la detta amministrazione sin mantenuta sotto la dipendenza del ministero della marina o passata sotto quella del ministero di agricoltura e commercio.

Il socio avv. Di Franco svolge una serie di con­ siderazioni sull’ incompatibilità che un’ amministra­ zione civile, di carattere commerciale, ispirata a principii e ad interessi economici, sia retta da un ministero militare-; ed opina che il suo posto na­ turale sia quello appunto del ministero di agricol­ tura e commercio per la connessione della marina mercantile col commercio

11 socio cav. Napoli dimostra la convenienza del passaggio della marina mercantile al dicastero del commercio con altro ordine di idee poggiato sulla esperienza della prova fatta sotto il ministero della marina. Dice che i regolamenti e gli ordinamenti marittimi, di cui si lamentano gli errori, sono stati preparati dalla burocrazia di quel ministero, e sog­ giunge che nulla si è fatto per arrestare il corso fatale della decadenza della marina di commercio, la quale precipita di giorno in giorno offrendo uno spettacolo deplorevole per la mancanza di lavoro dei cantieri di costruzione, e pel fatto dello svili­ mento del prezzo delle navi nelle contrattazioni di compravendita. Opina esser cosa urgente che la marma mercantile sia affidata al ministero del com­ mercio, invocando 1’ esempio della Francia, dell’In­ ghilterra e di altre nazioni marittime in sostegno del suo assunto.

Il socio sig. Kirchiner si appoggia al voto gene­ rale espresso dagli uomini della scienza e della pra­ tica per sostenere la convenienza del passaggio in questione che egli giudica utile nell’ interesse della marina mercantile.

Si approva all’ unanimità la seguente proposta : « Il Circolo fa voti per la riforma dell’ art. 1 del codice nel senso che 1’ amministrazione della marina mercantile sia posta sotto la dipendenza del ministero di agricoltura, industria e commercio. »

Si passa alla lettura dell’art. 2 del codice, ove è detto che il litt orale del regno è diviso in com par

-timenti m arittim i e c irc o n d a rii giusta la tabella annessa a l codice stesso.

il Presidente dice che secondo la tabella il litto- rale è diviso in 23 compartimenti, trai quali ve ne sono parecchi di un’entità minima e in una condi­ zione di comunicazioni ferroviarie e marittime da permettere con profitto del servizio e dell’economia la fusione con altri compartimenti vicini. Epperò in ­ vita i socj a discutere il merito di siffatta proposta.

I socj avendo unanimemente aderito al concetto della proposta si passa ad un esame statistico e geo­ grafico dei vari compartimenti, del quale risulta che quello di Porto Maurizio avente sole tonn. 6408 di materiale navale può ben congiungersi al compar­ timento vicino di Savona col quale è in comunica­ zione ferroviaria ; quello di Gaeta che conta sole tonn. 43035 può fondersi con Napoli stante le co­ municazioni ferroviarie e con battelli a vapore; quello di Pari con tonn. 14922 e l’altro di Rimini con tonn. 6952 possono entrambi fondersi col com­ partimento di Ancona pel favore delle rispettive ferrovie e comunicazioni marittime. Nulla per ora si può proporre per l’assorbimento di altri compar­ timenti insulari, come la Maddalena e Portoferraio di poca importanza, non permettendolo la rispettiva condizione dei mezzi comunicativi per mare.

Messa ai voti la superiore proposta di modifica è approvata così;

« Il Circolo fa voti che la tabella annessa allo art. 2 del codice sia modificata colla soppressione dei compartimenti di Porto Maurizio, Gaeta, Bari e Rimini che prendono il titolo di circondarj. >

II presidente cav. Corrao dice che il seguito de­ gli studj sulle riforme al codice è rimesso alla pros­ sima tornata del 9 gennaio ; ed intanto da la parola al cav. Napoli per una comunicazione.

Il detto socio riferisce come una recente circolare della Capitaneria del porto diramata, secondo dice

VAmico del P opolo de! 18 corrente, a tutti i sin-

daci ed alle autorità doganali del compartimento ma­ rittimo di Palermo dichiara di non potersi usare il

tarlannone, la tartagna, la p a r a n z a , l’angam ello e

qualunque altra rete che colla maglia fitta o a lt r i­

menti sia dannosa alla riproduzione del pesce. Co-

testo provvedimento, nuovo per quanto riguarda gli ordegni di tartagna, paranza ed angamello che non furono mai in modo assoluto proibiti, ha prodotto nei pescatori uno sgomento, vedendosi esposti alla miseria per non poter far uso di ordegni come quelli in discorso. Secondo l’antico regolamento sulla pesca del 1827 si colpiva il tartannone assoluta- mente, ed il g an g h i o gangam o temporaneamente dal 1 marzo al 1 settembre. Ma la ta rta g n a o la

p a r a n z a con maglie non fitte e che si colano in

alto mare per pescare pesci maturi e non neonati, non ebbero mai un divieto, o per taluno se ne vietò l’ uso sotto condizioni. Trattandosi di un affare tanto grave per la misera classe dei pescatori e dannoso al commercio del pesce, occorre nell’ inte­ resse dell’umanità e del diritto che il Circolo lo prenda in esame.

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