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MALATTIA E INABILITA’ TEMPORANEA ASPETTI SOCIALI E MEDICO-LEGALI

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Academic year: 2022

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MALATTIA E INABILITA’ TEMPORANEA ASPETTI SOCIALI E MEDICO-LEGALI

Prof. Crinò Claudio – Dr. Gualniera Patrizia∗∗

IL CERTIFICATO MEDICO

L’abbondante attività certificativa che caratterizza oggi l’esercizio della professione sanitaria, in quanto spesso connotata da modalità incongrue di compilazione e da contenuti non veridici, dimostra come non molti siano i professionisti che abbiano nozione adeguata della valenza medico-legale e medico-sociale del certificato medico, definibile come attestazione scritta di fatti di natura tecnica, personalmente obiettivati, dei quali l’atto è destinato a provare la verità.

Dal certificato, infatti, derivano non poche implicazioni che impegnano la pubblica amministrazione nei confronti di specifici diritti del cittadino che sono strettamente subordinati alla realtà clinica attestata, rappresentando il certificato stesso uno dei principali strumenti tecnici che gli consentono di dimostrare quali siano in effetti le sue condizioni di salute.

E, d’altra parte, l’attestazione medica assume rilievo essenziale anche nei rapporti fra i privati: basti pensare al riguardo al risarcimento del danno

Sezione di Medicina Legale del Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Messina

∗∗ Sezione di Medicina Legale del Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Messina

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alla persona. Che spesso avviene in maniera transattiva nell’ambito della responsabilità civile auto, nel quale è proprio l’attività certificativa a comprovare realtà,epoca, caratteristiche e decorso delle lesioni, nonché entità e caratteristiche di eventuali postumi,elementi sui quali si fonda la reintegrazione economica del danno medesimo.

Senza contare poi che la certificazione medica incide anche e non poco nei confronti dell’amministrazione della Giustizia, laddove il perito medico, nominato dal Giudice al fine di collocare sub specie iuris fatti di pertinenza medico- biologica, fonda sui contenuti del certificato parte essenziale delle sue valutazioni, che condizionano poi i provvedimenti del Giudice stesso nei vari ambiti processuali. Con ovvie implicazioni economiche e/o restrittive della libertà individuale del cittadino. Ma questi aspetti non pare proprio il medico li conosca, se è vero che l’attività certificativa, come accennato, si caratterizza spesso per superficialità, incompletezza e purtroppo anche per attestazioni non conformi al vero.

In proposito è da evidenziare come l’attività peritale giudiziaria che riguarda aspetti sanitari, espletandosi per lo più in epoca di molto successiva al verificarsi del danno alla persona oggetto di valutazione, non può fare a meno di avvalersi dei riscontri patologici certificati da altri professionisti intervenuti prima, non fosse altro che per verificarne epoca d’insorgenza e caratteristiche, elementi essenziali in quell’accertamento del nesso causale che rappresenta la fase più delicata ed impegnativa dell’intera indagine peritale.

La legittimazione dell’attività certificativa del medico deriva anche dalla qualificazione giuridica della persona esercente un servizio di pubblica necessità che tale professionista assume di fronte alla legge penale, la quale, ai sensi

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dell’art. 359 del codice, attribuisce tale qualificazione a quei privati che esercitano professioni anche sanitarie, il cui esercizio sia vietato senza speciale abilitazione dello Stato, quando dell’opera di essi il pubblico sia obbligato a valersi.

Ed è ovvio che da tale obbligo del cittadino discende per il professionista non solo la facoltà, ma anche il dovere di certificare, considerato che altrimenti non si vedrebbe chi, se non il medico, possa attestare fatti che sono demandati esclusivamente all’apprezzamento ed alla valutazione diagnostica, prognostica e terapeutica.

Si tratta di un dovere che tuttavia il professionista assume nei confronti di richieste legittime del paziente, non potendosi considerare tali quelle di attestazioni non conformi al vero, nei confronti delle quali il rifiuto è da considerare tassativo, per quanto si dirà successivamente.

Dovere che si configura anche in alcuni casi nei quali, pur senza richiesta, esiste per legge l’obbligo di procedere alla compilazione certificativa, come atto spontaneo del professionista. E qui ci riferiamo ai certificati di vaccinazione obbligatoria, di denuncia all’INAIL degli infortuni del lavoro nel settore agricolo (cosiddetto certificato-denuncia), nonché al certificato di morte che investe il medico necroscopo nelle sue funzioni di accertamento della realtà della morte, ed al certificato di assistenza al parto, indispensabile per la dichiarazione di nascita.

Da evidenziare infine che il dovere di certificare deriva anche dall’essere considerata l’attestazione parte integrante della prestazione professionale, nel contesto delle obbligazioni che il sanitario assume nel contratto di prestazione d’opera, previsto espressamente dal codice civile.

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E d’altra parte, lo stesso codice deontologico del medico, all’art. 22, stabilisce che di regola il professionista non possa esimersi dalla redazione del certificato, ove il paziente ne faccia legittima richiesta.

Considerata la rilevante valenza medico-legale del certificato medico, è evidente che nella sua redazione non possa farsi a meno di chiarezza, completezza e veridicità.

Quanto alle prime due, non può certamente sfuggire come esse siano indispensabili a rappresentare il più compiutamente possibile al destinatario del certificato la realtà patologica oggettivata. Non si può infatti non considerare al riguardo che il primo destinatario dell’informazione certificata è proprio il paziente, il quale ha pieno diritto di comprendere la natura della realtà patologica che lo riguarda. Ma, a parte ciò, non v’è dubbio che una completa e chiara annotazione sia anche di rilievo essenziale quando i contenuti del certificato possano risultare utili o indispensabili ad altri sanitari che intervengono nella cura del paziente. Ed è qui ovvio come una attestazione poco chiara ed incompleta, condizionante errori diagnostico-terapeutici in altri sanitari subentranti, potrebbe configurarsi come errore professionale del medico certificante, a titolo di negligenza e/o imprudenza.

E’ da evidenziare ancora che chiarezza e completezza, sono requisiti necessari anche per una informazione adeguata nei confronti di altri destinatari dei contenuti dell’atto certificativo, quali i professionisti che espletano attività peritale giudiziaria, secondo quanto in precedenza accennato, e naturalmente anche per le istituzioni pubbliche e sociali, cui, proprio in base ai contenuti del certificato, compete o meno l’erogazione di prestazioni e/o vantaggi economici che la legge

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fa derivare dall’esistenza, dalle caratteristiche e dall’entità di determinati quadri morbosi.

Da rilevare infine che la poca chiarezza nella redazione dell’attestazione potrebbe ingenerare sospetti di falsità nella formazione dell’atto, che oltre ad esporre il sanitario redigente al rischio di procedimento penale, non giova certamente al decoro della sua immagine professionale.

Quanto poi al requisito della veridicità, non molti sono i medici che hanno chiara nozione delle implicazioni giuridiche che possono derivare nei loro confronti da attestazioni non conformi al vero.

Al riguardo il codice penale vigente prevede, fra i delitti contro la fede pubblica, quelli di falsità ideologica, con specifiche sanzioni che sono di entità più rilevante quando nel commetterli il professionista abbia la qualificazione del pubblico ufficiale, ovvero della persona incaricata di un pubblico servizio che sia dipendente dello stato o di altro ente pubblico.

Considerato che per la norma dichiarativa della responsabilità penale di cui all’art. 42 del codice il delitto di falsità ideologica è punibile solo se commesso con dolo, tale delitto si concretizza in quanto l’obiettività clinica attestata non risponda alla realtà di quanto il medico ha constatato. Sicché giudizi erronei espressi dal professionista, quale ad esempio quello prognostico, a meno che non siano grossolanamente infondati, non possono rientrare nelle ipotesi delittuose predette. E ciò purché la obiettività clinica annotata sia del tutto conforme al vero. Ed infatti l’oggetto della tutela penale nella falsità in certificati è imperniato sulla obiettività constatata, atteso che il documento fa fede soltanto dell’obiettività clinica e non di quanto riferito dal paziente e neppure della valutazione - sempre opinabile - dei reperti oggettivi. E d’altra parte il fatto di cui

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l’atto è destinato a provare la verità non può che riguardare situazioni di accertamento obiettivo, cioè una realtà che si apprezza, e quindi non il giudizio o le presunzioni che ne derivano.

Deve peraltro aggiungersi che, il delitto di falsità ideologica si configura per il solo fatto che i contenuti obiettivi dell’attestazione certificativa non rispondano al vero, essendo del tutto ininfluente che il paziente la adoperi a danno di terzi o della pubblica amministrazione. In tale eventualità, infatti, il professionista oltre che di falso risponderebbe, in concorso con il paziente, anche di altro delitto, quello di truffa sanzionato dall’art. 640 del codice penale. La sentenza di condanna per truffa avrebbe poi implicazioni economiche rilevanti nei confronti del professionista stesso, chiamato a risarcire il danno da fatto illecito, secondo le specifiche previsioni del codice civile.

Le conseguenze penali e civili della falsità ideologica in certificati dovrebbero richiamare l’attenzione del professionista sulla necessità tassativa di attestazioni veridiche, non perdendo mai di vista che il cosiddetto certificato compiacente è in realtà ad ogni effetto giuridico ideologicamente falso. Da qui la massima attenzione nella formazione di un atto che è meglio non redigere quando non sia possibile trovare riscontri oggettivi della sintomatologia accusata dal paziente. E ciò tanto più ove si consideri che quest’ultimo, a fronte di rilevanti vantaggi che possono derivargli dall’attestazione di determinate patologie, ben può porre in essere comportamenti simulativi che il professionista spesso non è in grado di individuare, sia per una osservazione non particolarmente attenta, sia per la scarsa dimestichezza con la semeiologia finalizzata all’accertamento delle cosiddette pretestazioni di malattia e di lesività, che è propria della Disciplina medico-legale.

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Tutto quanto fin qui evidenziato dimostra come di regola il certificato sia da redigere secondo modalità che devono quanto meno comprendere: le generalità del sanitario; il preciso riferimento al soggetto cui attiene l’atto; l’oggetto della certificazione, e cioè l’obiettività clinica rilevata; l’eventuale giudizio del professionista sugli effetti della patologia rilevata nei riguardi dei diritti che il paziente intende far valere; data e luogo di compilazione, nonché sottoscrizione del documento.

Quanto alla data di compilazione, un particolare aspetto riguarda l’attestazione rispetto alla osservazione del paziente. Si tratta di quei casi in cui quest’ultimo richiede il rilascio del certificato comprovante dati obiettivi rilevati mesi o addirittura anni prima.

Fermo restando che in siffatti casi la data che appare sul certificato dovrebbe essere quella di compilazione, l’atto, oltre ad evidenziare chiaramente che si tratta di attestazione postuma rispetto a realtà cliniche rilevate in epoca antecedente, dovrebbe essere redatto con particolare cautela, proprio per i non pochi dubbi che si propongono sull’attendibilità di attestazioni siffatte. Ed infatti in tali casi la registrazione dei dati annotati ben potrebbe essere frutto di ricordi frammentari o poco validi del professionista, ovvero dei suggerimenti del paziente che, per ovvi motivi, potrebbero essere in tutto o in parte inaffidabili.

Tali certificati postumi peraltro potrebbero risultare di scarsa valenza probatoria a meno di attestazioni di dati tratti da annotazioni documentali archiviate (quale la scheda sanitaria personale) dalle quali attingere elementi dimostrativi di natura clinica precedentemente rilevati e pertanto conformi al vero.

Un particolare aspetto che riguarda l’attività certificativa del medico, e che merita un sia pur breve cenno, è quello inerente alla tutela della riservatezza

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del paziente, per le sue condizioni di salute, nei confronti di terzi che potrebbero venirne a conoscenza proprio per la diffusione dei dati contenuti nell’attestazione.

A parte le specifiche e complesse disposizioni in tema di trattamento dei dati personali sensibili previste dalla cosiddetta legge sulla privacy, cui non è possibile far cenno per i tempi necessariamente ristretti previsti per questo intervento, è il caso di ricordare che il codice penale, fra i delitti conto la inviolabilità dei segreti, con disposizione dell’art. 622, punisce la rivelazione del segreto professionale. Ed è qui evidente come nell’attività certificativa tale rivelazione possa verificarsi, sia per motivi di inadeguata conservazione del documento, sia nella consegna dello stesso, sia nella certificazione di fatti ininfluenti rispetto alle finalità per le quali l’atto è richiesto.

Quanto alla conservazione del certificato, già compilato ed in attesa di essere consegnato al richiedente, non è superfluo ricordare la massima cautela ed i necessari accorgimenti da porre in essere al fine di evitare che estranei possano venire a conoscenza dei contenuti dello stesso. Cautela che il professionista deve imporre anche ai collaboratori esercitando su questi ultimi la dovuta sorveglianza anche per questi aspetti.

Particolare attenzione deve poi osservarsi nella consegna dell’attestato al paziente stesso, ovvero a persona da lui delegata, salvo i casi di pazienti minori o incapaci in cui è doveroso consegnarlo ai rappresentati legali, genitori esercenti la potestà, ovvero al tutore. In proposito, fermo restando il divieto di consegnare a terzi non delegati validamente, è sconsigliabile rilasciare il certificato a soggetti di minore età o infermi di mente, proprio in quanto si tratta di soggetti che potrebbero non essere in grado di tutelare notizie che li riguardano, ovvero di comprendere la rilevanza di fatti la cui divulgazione potrebbe risultare dannosa.

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Di tale tutela si occupa peraltro anche il vigente codice deontologico, per il quale, secondo specifica regola per il professionista dettata dall’art. 31, la rivelazione a terzi è consentita solo previa autorizzazione del titolare del bene in gioco – qui la riservatezza personale – e quindi del paziente ovvero di chi ne ha la rappresentanza legale.

Da evidenziare infine che la tutela in questione è operante anche nella redazione del certificato, essendo consigliabile di rappresentarvi solo l’obiettività clinica di quanto è strettamente inerente alla destinazione dell’atto, evitando nella redazione dello stesso di attestare fatti ininfluenti nei confronti delle finalità che il richiedente si prefigge; il che, ovviamente, implica la cognizione da parte del sanitario della reale destinazione dell’atto medesimo.

Tale vincolo, tuttavia, non può ritenersi tassativo al punto da consentire o favorire comportamenti illeciti da parte del paziente nei confronti di privati o di enti pubblici. E’ infatti censurabile e penalmente perseguibile quel medico che, per il vincolo di tutela della riservatezza, proceda nell’attività certificativa sottacendo consapevolmente elementi di riscontro obiettivo, con il fine di favorire atteggiamenti rivendicativi del suo assistito - volti a rendere più pesanti eventuali sanzioni penali nei confronti di chi gli abbia cagionato lesioni personali -, ovvero e più frequentemente di agevolare l’assistito stesso in comportamenti finalizzati al conseguimento di indebiti vantaggi economici assicurativi, sociali o privati che siano. Comportamenti siffatti ben potrebbero coinvolgere il professionista nel delitto di truffa, cui in precedenza accennato.

Speriamo che questo sia pur breve intervento, che si è circoscritto ad alcuni dei molteplici aspetti medico-legali inerenti all’attività certificativa dell’esercente la professione sanitaria, pur se non esaustivo, abbia in qualche

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modo richiamato l’attenzione non solo sul significato rilevante del certificato nelle varie esigenze giuridiche e della vita sociale, ma anche sulle non poche responsabilità che gravano sul professionista che nel redigerlo innesca e determina importanti implicazioni nei confronti del cittadino e della pubblica amministrazione.

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