The John Galt Financial Newsletter, 1957
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16 luglio 2017 – Manovre. Cadorna, Badoglio, Varrone, Pirro.
SOMMARIO Euro a 1.1470 contro dollaro e 129.07 contro yen. Dollaro/yen 112.53, yen/euro 129.07. Oro 1,228.70, rame 5905, indice GSCI 373.46, greggio 46.54. T-Bond 152.63, rendimento 2.92%. Euribor tre mesi -0.30%, Bund 161.14, rendimento 0.60%. Dow Jones 21638. Milano 21492. Indice Banche tedesche 67.60.
Alla "guerra delle monete", siamo in mano a Cadorna (quello di Caporetto), a Varrone (quello di Canne) e a Pirro. Attacchi a testa bassa a ogni provocazione nemica, e tanti saluti all'accortezza di manovrare in modo lungimirante.
Degli Europei parleremo domenica prossima (si fanno scappare ipotesi di rialzo dei tassi entro breve, si beccano un rialzo dell'euro sul quale cominceranno presto a litigare fra loro).
La FED americana in compenso cade nella trappola tesale dalla sbandata dei bond dieci giorni fa. Per frenare una sbandata del 2% (riducendola all'1.5%... capirai che vittoria), mette in dubbio la coerenza della propria strategia, e le "nuove dottrine economiche" con cui aveva legittimato la propria azione negli ultimi mesi.
Ottiene, indubbiamente, di evitare un IMMEDIATO tonfo dei bond, indebolisce il dollaro, sostiene Borse e materie prime.
Ma a quale prezzo? Implicitamente, dice che evidentemente le Autorità pensavano che fosse l'inizio di un movimento importante. Di un vero ribasso dei titoli di Stato. Che ne hanno avuto paura. "Paura", una brutta parola, quando l'unica merce che puoi vendere è la credibilità, il timore che incuti.
I tassi saliranno. Dappertutto. Più del previsto. E non in modo "ordinato",
"prevedibile" e "assistito da una leggenda che protegga la legittimità delle Autorità monetarie".
Operativamente, cosa cambia? Niente, a oggi. Niente, perché appena ha accennato a scendere il dollaro, ha ricominciato a minacciare di salire lo yen. Quindi teniamo i dollari, al limite li cambieremo in yen.
Sorveglio comunque il dollaro.
Sì ma calmi, eh?
Ah: e ho qualche istruzione per chi teme di pagare troppe tasse sui guadagni che ha fatto con il dollaro, se dovesse venderlo perché scende.
INDICE
TEORIA, POLITICA E METODO
Analisi delle notizie della settimana 3 Vittorie di Pirro per la FED LO SCENARIO GENERALE DEI MERCATI E DEL CICLO ECONOMICO
A brevissimo/breve termine (giorni/settimane/mese) 3
A medio termine (tre mesi) 16
I SINGOLI MERCATI E LE INDICAZIONI OPERATIVE
Valute 11 Dollaro in frenata
Materie prime 8 Piatte
Tassi e obbligazioni 10
Borse 9
SCENARI
LO SCENARIO GENERALE DEI MERCATI E DEL CICLO ECONOMICO
LO SCENARIO DI BREVISSIMO/BREVE TERMINE
Analisi delle notizie della settimana
Da ormai oltre un secolo (qualcuno dice "dal 550 avanti Cristo", dai tempi di Sun Tzi), il dibattito fra strateghi verte intorno a un'alternativa non banale:
c'è chi in battaglia manovra per combattere [aggira, insegue, arretra, inganna, per portare infine il colpo mortale],
e chi combatte per manovrare: spara un colpo qui, un colpo là, ingaggia una battaglia, bombarda, compie un attentato, non per vincere quella battaglia ma per spostare l'equilibrio dell'avversario, per mettersi in posizione di vantaggio, per ingannare.
Gente apparentemente furbissima come l'ex presidente della FED Greenspan era arrivata, al culmine della sua astuzia, a "manovrare per combattere".
Cioè: credeva di avere in mano le armi per vincere la guerra, e parlava, lanciava segnali, per "confondere le idee" ai mercati, e preparare così il colpo decisivo. La stretta del credito, o il suo allentamento, che avrebbe deciso le sorti dell'economia.
Insomma: "comunicare per preparare un'azione concreta e decisiva".
Sono passati almeno tre decenni di questa melina (dal 1987 a oggi), e di manovra concepita in questo modo, di "azione concreta e decisiva", non ne è riuscita nemmeno una.
Ma neanche una.
Dal rialzo dei tassi nel 1999/2000 (crollo del Nasdaq) alla sbornia inflazionistica del 2004/2006 (bolla immobiliare), alla stretta successiva (crollo delle Banche nel 2007/2008), e ancora prima la stretta giapponese del 1989 (26 anni di ribasso della Borsa).
I Banchieri centrali da decenni "comunicano per influenzare i mercati", e questa loro impostazione, apparentemente modernissima, è vecchia di 25 secoli.
Manovrano per colpire.
Parlano per preparare l'azione.
Perché, in fondo in fondo, sono convinti di avere in mano l'artiglieria, la forza bruta delle macchine per stampare la moneta [e dell'alleanza con gli Stati quindi con la leva fiscale e debitoria assistita dalla forza fisica dello Stato].
Parlano parlano, ma tutto questo parlare avviene in vista del momento in cui butteranno sul piatto della bilancia dei mercati la spada di Brenno dell'inflazione.
Combattono a badilate, come i Romani a canne, come Napoleone a Waterloo o come i fanti francesi sulla Marna.
E non vincono, in definitiva, mai.
Spostano le montagne, e non le spostano mai.
Hanno il monopolio della moneta, e finiscono per non comandare su nulla.
Ma si beano delle vittorie intermedie che ottengono in qualche schermaglia.
Fanno un intervento "di guerriglia", ma invece di chiedersi a quale manovra, a quali nuovi equilibri, porti quell'intervento,
si compiacciono di aver vinto la battaglia di quel pomeriggio.
Passa un mese, o anche solo quindici giorni, e i mercati e/o l'economia gli si rivoltano in faccia.
Ed è ora di un'altra salva di cannone.
Quel che non fanno mai, è manovrare di ampio respiro. Guardare alle conseguenze remote della politica monetaria.
E non intendo "gli effetti di un rialzo dei tassi a distanza di qualche mese".
Intendo: "quali deformazioni nella struttura del capitale vengono provocate da una manovra sui tassi o sulla quantità di moneta, e con quali risultati negli anni e nei decenni sull'economia".
Insomma, gente che manipola i tassi a 30 anni [questo ha fatto la FED acquistando T-Bond, o la BCE], non dico "non ha un obiettivo a 30 anni", ma non ha nemmeno idea di cosa accada a 5, 10, 15 anni come effetto delle proprie manovre sulla moneta e sul credito.
In realtà, sono contenti se il "bombardamento" di stamattina
"riesce", e ferma l'attacco nemico.
Lo stratega cui s'ispirano è Pirro, che vince fino a morirne.
Cadorna, che fino allo sfinimento picchia la testa (altrui) contro le rocce di Caporetto. Varrone, che esulta perché Annibale ha un punto debole e ci si infila a testa bassa perdendo il suo esercito.
Per esempio,
vedono i tassi di mercato a lungo termine salire, dieci giorni fa.
Mentre stavano già iniziando a alzare i tassi a breve termine.
E mentre avevano già avviato una campagna di "comunicazione" per convincere i mercati che l'appiattimento della curva dei tassi, con rialzi a breve superiori ai rialzi a lungo era un indicatore
positivo (Perché? Boh! Come? Boh! Come mai questa idea contraddice quelle che hai proclamato fino all'altroieri? Boh!).
Ma hanno la sensazione che il rialzo dei tassi di mercato sia eccessivo, entrano nel panico, dimenticano la manovra che stavano compiendo (perché in realtà non credono affatto alle manovre di lungo termine, sono dei miopi - ogni inflazionista è un miope), e sparano a zero nella direzione opposta.
Davanti ai tassi di mercato che vengono all'attacco, Yellen parla, e l'unica cosa che le importa è contrastare quell'attacco, vincere la
"schermaglia del giorno".
"L'economia è fiacca", "gli ultimi dati economici non sono brillanti", "non c'è fretta di alzare i tassi a breve".
Il dollaro rallenta, le Borse reggono, l'oro non fonda 1200, il dollaro ridiscende.
"Lo scenario torna a girarsi dalla parte giusta, reflattiva: dollaro debole, credito abbondante, Borse in rialzo, Bond alti".
Davvero?
Giovannina, avevi appena fatto due mesi di propaganda al fatto che una curva dei tassi piatta era un segno di salute economica e finanziaria e monetaria...
... e accetti di nuovo una curva ripida pur di non vedere i bond sbandare per due settimane?
Ti compiaci perché vedi il nemico arretrare per otto giorni?
Al prezzo di screditare l'intera strategia che avevi seguito fino a oggi?
(Oh, be': era del resto una "strategia" che ti eri inventata di sana pianta due mesi fa. Non una vera dottrina. Era piuttosto un sistema di scuse).
Tutto qui il racconto della settimana:
dieci giorni fa il "nemico" deflattivo [oro in ribasso, tassi dei bond globali in rialzo, dollaro in ripresa] aveva attaccato e spaventato le Istituzioni e la Professione,
e senza nemmeno dargli il tempo di provare a sfondare, senza nemmeno provare a vedere se l'attacco si sarebbe esaurito,
la FED ai suoi massimi livelli reagisce sbracando,
promettendo altri rinvii/rallentamenti del rialzo dei tassi.
Evita così che l'oro sfondi 1200, che il dollaro riprenda a rimbalzare su australia e emergenti, che il petrolio sfondi 45 e che l'indice GSCI delle materie prime sganci 370.
Che vittoria!
Purtroppo nelle stesse ore gli Europei manovrano altrettanto ingenuamente e quasi annunciano un rialzo dei tassi entro l'anno, perché facevano conto sulla manovra americana ("alziamo i tassi, tanto loro alzano ancora e così restiamo allineati")
idem per i Canadesi, e così...
... la "battaglia frontale" fra Autorità e obbligazioni è vinta [per otto giorni. E se anche fossero due mesi...],
ma la confusione nello scenario aumenta.
Dice quello: "da dove lo vedi, che aumenta?".
Non farmi dire che lo vedo dal fatto che scende il dollaro ma sale lo yen. Che il rialzo dell'euro frena le Banche tedesche e europee che cercavano di assestarsi. Che i bond erano scesi del 2% e recuperano lo 0.6%.
Sarebbe facile (e soddisfacente), ma miope.
Il problema è invece che per l'ennesima volta le Autorità sembrano inseguire un mercato incontrollabile, farsi dettare l'agenda da esso.
Hanno usato l'artiglieria pesante [moltiplicare per 4 volte il bilancio della FED per via degli acquisti di titoli di Stato], ma si fanno spaventare da tre giorni di sbandata dei bond.
Pretendono di apparire lungimiranti [mentre rifiutano di esserlo davvero], e poi reagiscono istericamente a temi di brevissimo termine.
Vogliono rassicurare i mercati circa la propria capacità di governare il Mondo, vogliono che il Mondo creda che sanno benissimo dove andranno i prezzi, ma perdono la testa per un -2% dei trentennali.
La Banca centrale americana spende una settimana a contrastare una sbandata dei T-Bond, senza nemmeno avere il sangue freddo di aspettare otto giorni per vedere se fosse un vero ribasso o appunto solo una sbandata.
Implicitamente, dice che evidentemente loro pensavano che fosse l'inizio di un movimento importante.
Questa è la notizia.
Un intervento verbale compromettente della FED ferma il rialzo del dollaro, ferma il ribasso dei bond, rilancia le ipotesi di un'estate di "bond forti e dollaro debole, Borse forti e materie prime almeno stabili".
Facendolo, la FED mi dice però che ha avuto paura che accadesse esattamente il contrario.
Paura.
Brutta parola, quando l'unica merce che puoi vendere è la credibilità, il timore che incuti.
Parlando con i figli di alcuni amici, che fanno le Elementari in Italia, ho sciopero che non si insegnano più Orazi e Curiazi.
Peccato, era una bella storia.
Insegnava che chi vince uno scontro isolato, qualche volta si prepara a vincere la guerra.
Alla prossima sbandata dei T-Bond, se fosse del 3%, cosa dovrebbe fare la FED?
I tassi saliranno.
Dappertutto [delle gaffe della Banca centrale europea parliamo domenica prossima. Ne ho già accennato il 2 luglio, ma ne fanno una alla settimana].
Più del previsto.
E non in modo "ordinato", "prevedibile" e "assistito da una leggenda che protegga la legittimità delle Autorità monetarie".
Operativamente, cosa cambia?
Niente, a oggi.
Niente, perché appena ha accennato a scendere il dollaro, ha ricominciato a minacciare di salire lo yen.
Quindi teniamo i dollari, al limite li cambieremo in yen.
A proposito: ehi, tu, che devi fare la Voluntary Disclosure e hai paura delle tasse sui guadagni che hai fatto sul dollaro, se vendi i dollari.
Non vederli.
Farai uno swap contro yen.
Prima che scada (18 mesi o meno), saranno passati 5 anni da quando hai fatto i guadagni sul dollaro.
Se è complicato, mandami una e-mail che te lo spiego in dettaglio.
Se poi credi che l'euro stia davvero salendo...
In settimana, grazie a annunci di imminenti aumenti dei tassi, mentre faceva il più gagliardo rallyno degli ultimi anni,
ha perso lo 0.70% contro oro.
I principali movimenti dei mercati in settimana
Mentre gli operatori cercano di decidere se siamo alle prese con una stretta globale del credito e della moneta, o con un imminente allagamento da "dollari facili",
io comincio a guardare i mercati dall'indicatore-principe della quantità e qualità della moneta rispetto alle merci. E quindi, dal prezzo dell'oro.
L'oro (+1.34% a 1,228.70) regge a 1200 ma non se ne allontana.
Ha abortito in primavera rimbalzo verso 1300 [primo possibile segnale di "dollaro debole"], e sta ricadendo decisamente verso 1200.
1200 è da anni una soglia di allarme deflattivo rilevante. La perdita di 1200 interromperebbe il rialzo polidecennale dell'oro, che così segnalerebbe una stretta sostanziale del credito.
Attenzione a 1200 nei prossimi giorni/settimane.
Le materie prime reagiscono dal tonfo di quindici giorni fa, ma restano fiacche/in stallo:
il petrolio (+5.22% a 46.54) rimbalza quanto basta per riagganciare 45.
Cioè, torna su quelli che considero i suoi legittimi minimi in questo momento.
Dubito, non da oggi, che il greggio possa sfondare 45 e crollare di nuovo a 40 (minimi storici toccati lo scorso anno).
Resta il fatto che tutte le manovre dell'OPEC non sono riuscite nemmeno a rilanciare il recupero dai minimi (40-->50 nei primi mesi del 2016).
Questa delusione è già importante (per lo scenario, per bilanci aziendali e di paesi produttori, per equilibri politici), anche senza un crollo sotto 45 e verso 40.
L'indice GSCI delle materie prime (+2.18% a 373.46) viene sostenuto dal rimbalzo del greggio, ma non annulla il calo sotto l'allarme ribassista di 380/375.
Lo appesantiscono cotone, granaglie, gomma, parte delle coloniali.
Fino a un paio di mesi fa, a 380, l'indice GSCI correggendo aveva solo rallentato il recupero del 2016 (350-->400 in dodici mesi, stallo a 400 da Natale, sbandate dall'inizio di quest'anno).
Sotto 380/375 quel recupero si è fermato, e rischia quindi di iniziare una nuova fase esplicitamente ribassista e deflattiva dello scenario economico. Allarme rosso sotto 350.
Rimbalzano ma restano fiacchi anche i metalli-base:
Rame +1.74% a 5905: regge a 5800, evita di attaccare un importante preallarme (5800) e allarme (5500) ribassista (anche di scenario) di lungo termine;
alluminio -0.52% a 1908: rallenta, mantiene ancora il rialzo di fondo, ma lo ha fermato da ormai cinque mesi, sfiorando più volte l'allarme di 1850. Lì stallerebbe.
Nickel +7.32% a 9530: resta pesante, ma annulla il grave allarme da crollo di 9500/9300;
zinco -0.18% a 2786: rallenta appena. E' l'unico metallo a aver mantenuto, dopo qualche sbandata, il rialzo di medio/lungo termine. Attenzione a nuove sbandate verso/sotto 2500, che interromperebbero il rialzo.
Mantiene ancora il recupero ma resta instabile l'acciaio cinese (invariato a 3650). Il rimbalzo, ormai da cinque mesi, è diventato instabile ed è parte integrante della silenziosa mini-crisi cinese [vedi Borsa di Shanghai e yuan].
Quindi, in sintesi: sia l'oro sia le materie prime scansano gli allarmi ribassisti intravisti quindici giorni fa, che avrebbero confermato una deflazione conclamata.
Ma non sono certamente euforici. Sono perlopiù piatti/fiacchi con episodi di debolezza, non avallano né rapidi ritmi di crescita economica reale né attese di un forte stimolo monetario americano.
L'altra classe di asset che dovrebbe indicare la disponibilità di capitali, cioè le Borse, era e resta, nonostante recenti sbandate, la più ottimista.
Per la seconda settimana di seguito rimbalzano da una fase decisamente negativa venti giorni fa.
Borse generaliste:
Wall Street +1.04% a 21638, Francoforte +1.96% a 12632, Londra +0.37% a 7378, Brasile, +5% a 65436, Tokyo, +0.95% a 20119.
La Cina era e resta più debole, vicina ai minimi anziché ai massimi storici. Shanghai (+0.14% a 3222) galleggia appena sopra 3000, cioè su livelli che ancora segnalano addirittura il rischio di riprendere subito il ribasso di lungo termine.
Settori bancari delle Borse:
Come in altre occasioni, sono miste/incerte, non assecondano il sollievo delle Borse generaliste.
Giappone -0.13% a 289.76;
Germania -1.16% a 67.60;
Italia +2.27% a 21492;
Europa +0.87% a 183.61;
Inghilterra +0.48% a 158, ancora vicine all'allerta di 150;
Banche USA -0.65% a 412.90: qui il rallentamento è davvero minimo, e sono ancora altissime, ma in settimana si registra qualche dubbio sugli "stimoli normativi" appena varati dall'amministrazione Trump.
Fondi immobiliari USA +1.36% a 349.97: restano bloccati sull'allarme ribassista fra 350 e 330.
Attenzione a 330. Ricordiamoci che questo indice, non l'indice bancario, aveva segnato l'inizio della crisi del 2008/2009. E che corregge già da settembre dello scorso anno.
Quindi: gli asset mantengono le loro posizioni rispettive (Borse generaliste alte, Banche molto più fiacche, materie prime ancora più deboli), e tutte insieme scansano la frenata/correzione/tonfo che avevano minacciato dieci/quindici giorni fa.
Il movimento è modesto, fa credito, ma solo minimo credito, all'ipotesi di un rinvio della stretta monetaria americana.
Se non è "deflazione conclamata", è ancora comunque "ampia incertezza" su ulteriori possibilità di reflazione.
E a questo punto andiamo a vedere le condizioni monetarie e del credito sui loro mercati specifici.
Tassi d'interesse di mercato a lungo termine, espressi dai titoli di Stato.
I mercati obbligazionari rimbalzano tutti, ma modestissimamente, dal tonfo che avevano fatto tutti dieci giorni fa.
Evitano di toccare o confermare allarmi ribassisti di lungo termine, ma restano fra piatti e deboli.
T-Bond americani +0.64% a 152.63, rendimento 2.92%:
hanno raffreddato le attese di un rallyno estivo, annullando i segnali di rimbalzo a 153/155, ma restano per ora 150, che sarebbe addirittura un allarme ribassista.
Dopo il tonfo dello scorso anno (180-->150, rialzo dei rendimenti da 2 a 3%, segnale di decisa "stretta" sui tassi), negli scorsi tre mesi i T-Bond avevano rimbalzato dai minimi, scontando una reazione "amichevole" delle Autorità monetarie a segnali di rallentamento dell'economia,
e per qualche settimana avevano anche dato possibili segnali
"tecnici" (153/155) di un rallyno estivo (sempre sulla base di dati economici modesti).
Questo ottimismo si è raffreddato bruscamente dieci giorni fa.
Per ora, sopra 150, i T-Bond possono ancora reggere e reagire, e quindi rinvio al momento dell'attacco a 150 un esame degli eventuali obiettivi a medio termine (a lungo termine mi aspetto T-Bond al 5/6% di rendimento).
Ho posizioni ribassiste sui T-Bond, già aperte l'estate scorsa, e ho, oppure acquisto, opzioni put 150/145 per settembre.
Al di là dell'importanza strategica dei titoli americani, in realtà la mini-crisi di dieci giorni fa era partita dai titoli europei.
Questo aspetto non cambia: i Bund tedeschi (+0.41% a 161.14) rimbalzicchiano, ma mantengono la prima allerta a 162.
Sarebbero in allarme ribassista sotto 160;
Gilt inglesi invariate a 125.04, rendimento 1.31%: sono in allerta da 127, sarebbero in allarme rosso sotto 125/123;
OAT francesi +0.55% a 147.90, rendimento 0.86%; in allerta da 148, allarme rosso a 145;
BTP italiani 0.69% a 133.79, rendimento 2.29%; sono già in allerta, allarme rosso a 132/130;
Bonos spagnoli +0.14% a 125, rendimento 1.65%: qui c'è già stato un serio allarme di lungo termine (126). 124 segnalerebbe un deciso ribasso.
JGB giapponesi invariati a 150.04, rendimento 0.08%. Annullano il segnale di allarme di 150.
E concludiamo con i movimenti delle monete.
Qui sono avvenuti i movimenti più ampi della settimana.
Che hanno rilanciato, subito dopo una sbandata in direzione opposta dieci giorni fa, il tema "reflattivo", da "dollaro debole", che ha dominato i mercati negli ultimi mesi.
Lo rilanciano in pieno?
L'oro dice di no.
Vediamo se nei movimenti dei cambi c'è qualcosa di più.
Il dollar index 95.15 a -0.90%: ricade verso 95. Ha annullato i segnali di decollo (100), mantiene ancora di stretta misura il rialzo di fondo. Attenzione se intaccasse 95/93 (interruzione del rialzo, successivi rischi di calo del dollaro alla perdita di 90).
Dollaro/euro (-0.66% a 1.1470) ritenta il calo avvicinando 1.15.
Buona parte del movimento dipende da un rafforzamento dell'euro [poco credibile] legato a attese di revoca degli stimoli monetari eurolandesi.
Il contesto comunque consente un attacco del dollaro a 1.15, finora tentato più volte e mai riuscito, che consentirebbe una correzione fino a 1.18.
Fra 1.15 e 1.18 cominciano effettivamente a delinearsi rischi di una correzione di medio e potenzialmente lungo termine del dollaro.
Il passaggio merita quindi attenzione.
Detto questo: sbandate verso 1.15 avvengono ormai da due anni senza seguito. E in due anni, l'unico tentativo verso 1.18 durò poche ore e fu ispirato da una mini-crisi valutaria cinese.
Perciò: presto la massima attenzione, ma agisco con molta calma.
Per il lungo termine, 1.00 secondo me è ancora un obiettivo più credibile di 1.30 [che ho sentito menzionare in questi giorni da un autorevole commentatore].
Il dollaro frena seccamente contro sterlina inglese (sterlina/dollaro +1.68% a 1.3098).
Anche qui, fra 1.30 e 1.33/1.35 la sterlina minaccia di interrompere il ribasso di lungo termine contro dollaro.
Operativamente: l'export da euro verso UK (sterlina/euro +1.04% a 0.8754) resta ancora non coperto da vendite a termine di sterline (cioè mi aspetto sterlina più forte dell'euro). E l'import è coperto da acquisti di dollari.
Seguo la sterlina per valutare se modificare le posizioni operative. Non lo faccio ancora.
La frenata del dollaro è visibile, e tocca qualche segnale di allarme, anche su periferie e emergenti:
Semidollari:
australiano +3.13% a 0.7832: rimbalza in pochi giorni da livelli da "dollaro forte" (appena sopra 0.75) a segnali di "dollaro debole" (0.78).
Era già in tensione il dollaro canadese (+1.82% a 1.2644), che già dieci giorni fa aveva passato 1.30 segnalando un indebolimento del dollaro.
Attenzione a un eventuale attacco a 1.25.
Ma... qual è il motore del rialzo? Una stretta del credito in Canada (25 centesimi di rialzo dei tassi ufficiali).
Il Canada è il primo Paese di grandi dimensioni a seguire gli USA nel rialzo dei tassi.
Quindi: "dollaro facile", "allentamento del credito", o "la stretta americana viene raggiunta da una stretta globale"?
Monete emergenti:
il real brasiliano recupera lentissimamente contro dollaro, +3.08% a 3.180, potrebbe avvicinare 3.05/3.00 dove
minaccerebbe di riprendere il rialzo (o meglio: rimbalzo), fermo da un anno.
Rand sudafricano (+2.83% a 13.04): fermo intorno a 13 da Capodanno.
Won coreano +1.82% a 1,133.36: il won era già alto da tempo, qui il dollaro non era mai salito, anzi. Ci stava provando nelle ultime settimane, rallenta.
Riprende infine il rafforzamento "forzoso" dello yuan cinese, che torna sopra 6.80 (6.775) e rilancia le velleità di un possibile rimbalzo di medio termine (verso 6.60).
Ma: il rimbalzo dello yuan [vedi analisi del 21 maggio] è stato un espediente delle Autorità monetarie cinesi per cercare di frenare l'esodo di capitali innescato dai timori sul debito cinese.
Quindi, non è "yuan forte", ma "yuan sostenuto perché non crolli".
E infine c'è il "caso anomalo" dello yen.
Qui, "forza" e "debolezza" del dollaro vanno prese con le pinze.
Nel caso di una stretta del credito, dollaro e yen tendono a salire entrambe contro il resto-del-Mondo, e viceversa a scendere insieme quando lo scenario è liquido/reflattivo.
O, in casi intermedi, quando lo scenario è deflattivo ma il dollaro è salito "troppo", rallenta ma lascia allo yen il compito di salire
"stringendo il credito".
Be'... in questi giorni, appena il dollaro corregge, lo yen risale.
E quindi si attiva una dinamica che non conduce a scenari reflattivi.
Si tratta di movimenti ancora provvisori, lo yen non dà segnali rialzisti definitivi (li ha dati e smentiti ormai per molti mesi).
Ma se questi segnali fossero confermati, allora venderei dollari soltanto per acquistare yen,
e in quel frangente vedrei materie prime e Borse deboli, e economia lenta.
Non il boom reflattivo che molti commentatori evocano in questi giorni.
Dollaro/yen -1.23% a 112.53: nelle scorse settimane lo yen aveva arretrato decisamente dal segnale di decollo di 110, ma è altrettanto rapido nel frenare la correzione e riportarsi nei pressi di quel" falso" allarme di decollo.
Il rialzo dello yen resta possibile.
Da Capodanno lo yen ha fermato la lunga correzione di settembre/dicembre (100-->115/120), e ha ricominciato a minacciare di riprendere il rialzo del 2016 (125-->100 e potenzialmente oltre).
Ha dato segnali preliminari di rialzo di lungo termine (115/113).
Attenzione a 110/108 che rilancerebbero in pieno uno scenario di "yen forte".
Yen/euro invece mostra per ora uno yen decisamente calmo (o un euro forte - troppo forte): +0.69% a 129.07.
In primavera, sopra 120/118, il rialzo dello yen contro euro aveva minacciato concretamente di riprendere.
Il rialzo si è però fermato però e ha riavviato una correzione dello yen che in definitiva dura dallo scorso autunno.
Operativamente:
non ho debiti in yen scoperti.
Le importazioni dallo yen e i debiti in yen sono già, da tempo, coperti da yen (non più da dollari come negli anni scorsi).
Lascio scoperto l'export verso yen (futuri incassi in yen).
Invece per adesso non ho cambiato ancora i dollari (investimenti) in yen.
Ma sto pronto operativamente a farlo, e commercialmente calcolo uno yen potenzialmente più forte (20% in un'ottica a un anno, potenzialmente oltre).
Quindi, in sintesi: il dollaro ripropone le minacce di correzione, se non ancora di ribasso, che erano state ispirate il mese scorso dalle elezioni francesi e dagli scandali intorno all'amministrazione Trump. Stavolta le attribuisce a speranze che venga rinviata o attenuata la stretta monetaria americana.
Seguo con attenzione questa sbandata.
Ma dubito che vada interpretata come l'annuncio di una fase di
"dollaro facile" [dollaro debole con liquidità abbondante, quindi Borse e materie prime euforiche e credito ampiamente disponibile].
Vanno in direzione opposta i segnali dell'oro e in generale delle materie prime, e dello yen.
Dubito che il dollaro stia preparando una nuova fase di indebolimento sostanziale, e faccio anzi attenzione al momento in cui tornerà in primo piano il tema della stretta monetaria americana.
Esiste la possibilità che una fase deflattiva dei mercati sia guidata dallo yen. In quel caso, cambierò semplicemente cavallo sui mercati valutari (investendo su yen anziché su dollari),
mantenendo però l'atteggiamento diffidente su Borse e commodities.
In sintesi, a medio termine:
lo scenario economico e dei mercati per quest'anno resta orientato in senso deflattivo, con tassi di mercato americani in rialzo dall'estate scorsa (con una pausa in questi ultimi mesi), che mettono sotto ipoteca il “rally Trump” delle Borse,
con una stretta del credito in corso in Cina,
e con Banche globali e debiti pubblici sempre fragili, che non consentono allo scenario di orientarsi verso una "reflazione da stimoli fiscali originati in America".
I temi monetari e del credito restano decisivi per valutare lo scenario, nonostante la svolta "fondamentale" [stimoli fiscali e deregulation come traino alla ripresa americana] che le elezioni americane hanno aggiunto allo scenario e che ha favorito rimbalzi di Borse e commodities. Ma che è tutta da verificare.
Finché i tassi USA restano così importanti per condizionare tutto lo scenario, fin dentro ai bilanci bancari e ai rapporti fra Banche e Stato, mantengo il mio scetticismo sui rally/rimbalzi delle Borse.
Per ora non acquisto.
Sorveglio lo yen perché potrà ripresentarsi l'opportunità di passare da dollaro a yen investimenti e coperture commerciali.
Ho posizioni ribassiste sui titoli di Stato USA, successivamente ne prenderò anche sui titoli europei.
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