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LAVORARE IN RETEPER LO SVILUPPO

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Academic year: 2022

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L’esperienza del network delle Camere di commercio dell’Emilia Romagna

LAVORARE IN RETE PER LO SVILUPPO

DELLE ECONOMIE LOCALI

a cura di Carlo S. Romanelli e Marco Berti

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LAVORARE IN RETE PER LO SVILUPPO

DELLE ECONOMIE LOCALI

L’esperienza del network delle Camere di commercio

dell’Emilia-Romagna

a cura di Carlo S. Romanelli e Marco Berti

(4)

© Copyright 2006 by Maggioli S.p.A.

Maggioli Editore è un marchio di Maggioli S.p.A.

Azienda con sistema qualità certificato ISO 9001: 2000

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Diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi.

Finito di stampare nel mese di ottobre 2006 dalla Litografia Titanlito s.a.

Dogana (Repubblica di San Marino)

Carlo S. Romanelli - Presidente di Net Working s.r.l. - Studioso di organizzazio- ne e comportamento organizzativo, da più di venti anni svolge attività di consulenza di change management e training direzionale per svariate organizzazioni, private e pubbliche. Come consulente è certificato da APOCO-ICMCI (International Council of Management Consulting Institutes) e dal Hardiness Institute presso l’Università del- la California, Irvine. È inoltre Psicologo del Lavoro. Dal 1996 collabora al progetto network di Unioncamere Emilia-Romagna di cui è il project leader.

Marco Berti - Partner di Net Working s.r.l. - Studioso di organizzazione e com- portamento organizzativo, da circa 15 anni svolge attività di consulenza e training in materia di analisi e progettazione di sistemi organizzativi complessi. Ha partecipato sin dall’avvio al progetto network, coordinandone diverse attività. Attualmente è responsa- bile di Net Working Australia a Sidney.

Appendice a cura di:

Elisabetta Ortolan – Unioncamere Emilia-Romagna

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Indice

Prefazione di Andrea Zanlari ...

Introduzione di Vasco Errani...

Introduzione di Andrea Mondello ...

1. I fondamenti teorici del network

di Carlo S. Romanelli e Marco Berti ...

1.1. L’origine del concetto di network ...

1.2. Perché il network è necessario: l’ambiente come reti- colo di organizzazioni ...

1.3. Dal network come ambiente al network come model- lo organizzativo ...

1.4. I network interorganizzativi: modelli descrittivi ...

1.4.1. L’approccio della “dipendenza dalle risorse” . 1.4.2. L’approccio della “political economy” ...

1.4.3. Il modello dei loosely coupled system ...

1.4.4. Il modello delle strutture di implementazione 1.5. Il network per il miglioramento delle prestazioni: mo- delli prescrittivi ...

1.5.1. La teoria dei costi di transazione ...

1.5.2. Il sistema di gestione del servizio e l’impresa come costellazione di valori ...

1.5.3. Il paradigma dell’“organizzazione virtuale” ...

1.6. Network e gerarchia ...

1.7. Complessità organizzativa e benchmarking ...

1.8. Una sintesi: i concetti chiave per la descrizione di un network interorganizzativo ...

2. Il sistema delle Camere di commercio tra pubblico e privato di Ugo Girardi ...

2.1. Il sistema camerale tra autoriforma e riforma ...

Pag. 7 » 11 » 13

» 15 » 15 » 17 » 18 » 20 » 21 » 22 » 23 » 25 » 27 » 28 » 30 » 34 » 36 » 37 » 41

» 43 » 43

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2.2. La valenza generale della legge di riforma ...

2.3. Gli organismi di direzione politica tra designazione ed elezione diretta ...

2.4. Il Registro delle imprese e le nuove tecnologie dell’in- formazione ...

2.5. Il ruolo dell’Unioncamere Emilia-Romagna e lo svi- luppo della collaborazione con la Regione ...

3. La storia e i prodotti del progetto network

di Carlo S. Romanelli e Marco Berti ...

3.1. La nascita del progetto: le esigenze e i vincoli ...

3.2. Lo studio preliminare: i risultati dell’analisi organiz- zativa ...

3.3. Le premesse del progetto: le risorse e le opportunità 3.4. Scegliere una prospettiva per raccontare la storia del

progetto network ...

3.5. Una prospettiva sistemica: le fasi di vita del progetto network ...

3.5.1. Fase 1 – L’esplorazione (1996-1997) ...

3.5.2. Fase 2 – La gemmazione (1998-2002) ...

3.5.3. Fase 3 – La stabilizzazione (2003-2005) ...

3.5.4. Fase 4 – L’innovazione e il rilancio ...

3.6. La prospettiva “locale”: le singole azioni progettuali 3.6.1. Il servizio legale intercamerale (dal 1997) ...

3.6.2. Il progetto qualità (dal 1998) ...

3.6.3. Il progetto controllo di gestione (1998-2003) . 3.6.4. Il piano formativo intercamerale regionale

(dal 1999) ...

3.7. Le origini del progetto: intervista a Claudio Pasini ...

4. La voce dei protagonisti: dalle origini alle nuove frontiere di intervento

a cura di Ugo Girardi ...

4.1. Le strategie di intervento: una rassegna dei progetti in corso ...

4.2. Internazionalizzazione e sistema camerale, di Anto- nio Nannini ...

4.3. Il network per l’internazionalizzazione, di Giampaolo Montaletti ...

4.3.1. Le origini ...

Pag. 46 » 49 » 53 » 55

» 65

» 109

» 109 » 110 » 113 » 113 » 65 » 68 » 71 » 74 » 75 » 79 » 82 » 84 » 88 » 90 » 90 » 92 » 96 » 98 » 102

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4.3.2. Il progetto Netprise ...

4.3.3. Dal progetto Netprise alla rete degli sportelli Globus ...

4.3.4. Conclusioni ...

4.4. Il network del Registro delle imprese, di Paola Morigi 4.5. Il nuovo sistema di contabilità delle Camere di com-

mercio, di Alessandra Stagni ...

4.6. Semplificazione amministrativa: la sperimentazione delle pratiche telematiche per le imprese artigiane, di Alessandro Saguatti ...

4.7. Le iniziative della rete camerale per l’alternanza scuo- la-lavoro, di Claudio Fornasari ...

4.8. L’impegno camerale per la promozione della filiera agro-alimentare, di Alberto Egaddi ...

4.9. Sfide di Basilea 2 e apporto camerale allo sviluppo dei consorzi fidi, di Mauro Giannattasio ...

4.10. La Regolazione del mercato, di Matteo Casadio...

4.11. L’attività di informazione economica e di monitorag- gio dell’economia, di Guido Caselli ...

4.11.1 Le origini ...

4.11.2 L’attività del network ...

4.11.3 I prodotti ...

4.11.4. Prospettive future e conclusioni ...

4.12. L’attività dei Comitati per l’imprenditoria femminile, di Mariangela Gritta Grainer ...

5. La realtà del network camerale dell’Emilia-Romagna di Carlo S. Romanelli e Marco Berti ...

5.1. Come funziona il network ...

5.1.1. Gli attori e le loro interazioni ...

5.1.2. I livelli di governo ...

5.1.3. La cultura del network ...

5.2. Gli elementi del cambiamento: strategie di attivazio- ne del network ...

5.2.1. Condividere una visione ...

5.2.2. Attivare le energie inespresse ...

5.2.3. Ottenere riconoscimenti esterni ...

5.2.4. Non affrettare i tempi ...

5.2.5. Sviluppare Leadership ...

5.2.6. Mantenere il network circoscritto e omogeneo 5.2.7. Arricchire le connessioni ...

Pag. 116 » 119 » 121 » 121 » 124

» 127 » 132 » 136 » 139 » 144 » 148 » 148 » 149 » 150 » 151 » 152

» 159 » 159 » 161 » 162 » 164 » 165 » 165 » 166 » 166 » 167 » 167 » 168 » 159

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5.3. Le prospettive del progetto ...

5.3.1. Intervista a Luigi Litardi ...

5.3.2. Intervista a Maurizio Temeroli ...

5.3.3. Intervista a Ugo Girardi ...

5.4. Confini e frontiere del progetto ...

5.5. Conclusioni ...

Appendice

a cura di Elisabetta Ortolan ...

1. Istituzioni camerali e sistema di rappresentanze degli interessi. Relazioni, reti e servizi, di Pietro Baccarini 2. Sfida della qualità nelle Camere di commercio.

L’esperienza della certificazione del Registro impre- se, di Pietro Baccarini ...

3. 1998: l’anno della riforma delle Camere di commercio 4. Le istituzioni come organizzazioni complesse ...

5. L’innovazione nelle politiche ...

6. Accordo quadro tra Regione e Camere di commercio dell’Emilia-Romagna per la competitività del territo- rio e del suo sistema economico e per una nuova fase di sviluppo ...

Riferimenti bibliografici ...

Pag. 168 » 168 » 174 » 182 » 190 » 198

» 205

» 205

» 207 » 210 » 213 » 218

» 221 » 233

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Prefazione

di Andrea Zanlari (1)

A dieci anni dall’avvio del progetto di network organizzativo, il si- stema camerale dell’Emilia-Romagna ha ritenuto opportuno avviare degli approfondimenti sui risultati finora raggiunti. La pubblicazione riassume a grandi linee le tappe del percorso compiuto, tracciando un primo bilancio e proiettandosi verso gli obiettivi da raggiungere nei prossimi anni per elevare la competitività (e quindi la crescita) del- l’economia regionale. La finalità perseguita da chi ha partecipato alla realizzazione del volume consiste, in buona sostanza, nel mettere a disposizione non solo delle Camere di commercio, ma più in generale degli addetti ai lavori una “cassetta degli attrezzi”, un utile strumen- to che possa stimolare riflessioni sulla valenza dell’introduzione delle innovazioni organizzative negli enti pubblici. In una fase nella quale è all’ordine del giorno il tema della qualità dell’azione amministrativa e della costruzione di modalità più efficienti di gestione dell’attività della pubblica amministrazione ai diversi livelli.

Il progetto network è l’abito che il sistema camerale dell’Emilia-Ro- magna ha deciso di ritagliare al fine di modificare la prospettiva del suo modo di “fare squadra”, affiancando alle logiche politico-istituzionali un processo di potenziamento della dimensione organizzativa e dell’agire in rete. Un percorso fertile, per sua natura dagli esiti mai scontati, che ha accompagnato lo sviluppo di enti capaci di mettersi in discussione, con una visione in grado di comprendere che la condivisione di valori, risor- se, progetti e competenze resta la strada maestra per “fare sistema”.

Un’esperienza decennale di network organizzativo è un’occasione preziosa per entrare nel cuore di un sistema articolato e complesso e approfondirne le caratteristiche e le logiche di funzionamento. Dieci anni sono un periodo sufficientemente ampio per valutare nelle sue svariate dimensioni le direttrici del cambiamento perseguito dalla re- te camerale, tenendo conto della velocità del cambiamento nel conte- sto esterno di riferimento.

(1) Presidente Unioncamere Emilia-Romagna

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Accanto a una sussidiarietà di tipo verticale – impostata sostanzial- mente come distribuzione di competenze tra i livelli territoriali di go- verno – con la legge Bassanini del 1997 viene inserito nell’ordinamen- to un concetto più ampio di sussidiarietà, in qualche modo anticipato dalle Camere attraverso il processo di riorganizzazione innescato dalla riforma del 1993. Con la riscrittura del Titolo V della Costituzione l’as- setto delle competenze e delle leve dello sviluppo economico è radi- calmente cambiato. La riforma costituzionale del 2001 va considerata anche per il sistema camerale una sfida per l’innovazione della cultura di gestione e organizzativa degli enti pubblici e per la costruzione di un sistema paese forte e articolato nel territorio. Il restyling della legge 580 di riforma dell’istituto camerale e il riconoscimento costituzionale delle autonomie funzionali, e al loro interno delle Camere di commer- cio come soggetti pubblici deputati all’esercizio di funzioni relative allo sviluppo economico, costituiscono due obiettivi di valenza istituzionale perseguiti in questa fase da tutto il sistema camerale.

Per quanto possa apparire scontato, anche in questa sede non si può non ribadire che Unioncamere Emilia-Romagna, nella veste di soggetto che associa i nove enti camerali, si è da sempre posta co- me snodo di strategie di sistema. A partire dal 1965, anno della sua costituzione, l’Unione regionale ha “fatto squadra” per rafforzare il ruolo delle singole Camere di commercio all’interno dei programmi di sviluppo regionale e per consolidare logiche di sistema, con una costante verifica dell’efficienza e dell’efficacia dei servizi, per rendere la struttura camerale più solida, affidabile e competitiva.

Più recentemente, anche sulla spinta del riconoscimento esplici- to, all’interno del nuovo Statuto regionale, del ruolo delle Camere di commercio nello sviluppo economico, sono state potenziate le mo- dalità di collaborazione con la Regione per promuovere una nuova fase di sviluppo. Le Camere hanno impostato con logiche di rete un ampio ventaglio di interventi, a sostegno delle esigenze delle impre- se, inserendosi con il loro peculiare ruolo nei binari delle strategie di programmazione regionale. Grazie anche al progetto network, gli enti camerali hanno ulteriormente compreso l’importanza e la necessità di rafforzare il coordinamento tra i diversi soggetti pubblici e associati- vi, per impostare ed attuare strategie di collaborazione a sostegno e a rafforzamento dell’economia del nostro territorio.

Oggi, dunque, molti degli interventi che vedono coinvolto il siste- ma camerale sono indirizzati a fare rete tanto all’interno, tra i singoli nodi che lo compongono, quanto all’esterno. Per fare alcuni esempi in tal senso, è sufficiente citare l’apporto del sistema camerale – rico- nosciuto anche nel programma di legislatura della Regione – al moni-

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toraggio dell’economia attraverso gli osservatori, strumenti in grado di contribuire ad orientare ex ante gli interventi pubblici per i diver- si settori e a valutarne ex post l’efficacia. Le Camere di commercio, inoltre, si sono da tempo rese disponibili a concordare progetti per la competitività della struttura produttiva. Un rilievo centrale è stato tradizionalmente riservato – come ben attestano le sezioni della pub- blicazione riservate alla materia – all’accompagnamento delle impre- se nei loro diversificati percorsi di internazionalizzazione, nella cre- scente consapevolezza dell’esigenza di un maggiore coordinamento dei diversi soggetti pubblici e associativi nell’assistenza alle imprese italiane intenzionate ad entrare in mercati esteri.

Per citare un ultimo caso, anche sul piano della semplificazione am- ministrativa il sistema camerale sta lavorando per innestare nel piano telematico regionale un complesso di servizi integrati alle imprese, utiliz- zando le tecnologie che hanno consentito di diffondere la firma digitale.

Ricerca, trasferimento tecnologico ed innovazione costituiscono fattori decisivi: le iniziative che stanno sviluppando su tali versanti le Camere di commercio tendono sempre più ad integrarsi con la rete regionale de- gli enti pubblici, con Aster, con le Università e i Centri tecnici di ricerca privati. Tutto ciò dimostra in quanti modi sia possibile “fare squadra”

non solo all’interno della rete camerale, ma anche sviluppando una po- litica di alleanze con altri soggetti pubblici e associativi, sulla base della consapevolezza che le dimensioni regionale, nazionale e comunitaria si confermano essenziali per mobilitare e coagulare le risorse necessarie a dare compattezza ai progetti di maggior valenza strategica.

Quelli inseriti nel volume sono soltanto alcuni esempi della mol- teplice attività che le Camere di commercio hanno realizzato negli ultimi dieci anni per contribuire ad elevare il livello di competitività delle economie locali e dei sistemi di impresa. Per meglio valutare l’efficacia delle strumentazioni adottate sul versante organizzativo, è utile ripercorrere la storia del progetto network, dalle esigenze che ne hanno motivato la creazione alle logiche che ne hanno accompagnato l’esistenza, con un atteggiamento critico che, oltre ai successi, sappia analizzarne le aree di miglioramento, consentendo così, nel futuro, la sempre più corretta attuazione di un modello che, nel complesso, è di certo da considerarsi positivamente.

In conclusione, è doveroso un ringraziamento ai Segretari genera- li e a tutto il personale degli enti camerali che in questi anni hanno lavorato a un percorso comune; ma un ringraziamento spetta anche agli Amministratori, che hanno contribuito ad impostare le strategie di intervento in tutti questi anni, esprimendo fiducia e verificando con attenzione i risultati raggiunti.

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Introduzione

di Vasco Errani (1)

Stiamo attraversando una fase di profondi cambiamenti. Il nostro paese e la nostra regione hanno di fronte nuove e importanti sfide. In campo economico innanzitutto, con l’affacciarsi prepotente di nuovi e agguerriti protagonisti, con dinamiche che mettono in discussione prassi ed equilibri consolidati e obbligano ad un rinnovato impegno quanti a diverso titolo hanno responsabilità di governo. Per non ri- schiare di assistere da spettatori alla rinnovata competizione globale.

Per mantenere e consolidare il ruolo forte che il sistema emiliano-ro- magnolo ha nel panorama nazionale e internazionale.

La nostra regione ha le carte in regola per fare tutto questo. E an- che gli ultimi recenti indicatori economici lo confermano.

Ecco perché, mai come oggi, diventa importante lavorare insieme, condividendo obiettivi e strategie comuni: istituzioni, forze economi- che e sociali.

Unioncamere si sta già muovendo da tempo in questa direzione.

Il progetto “Network” di cui ricorre il decennale, rappresenta infatti, proprio il tentativo, riuscito, di realizzare un più stretto ed efficace gioco di squadra tra le Camere di commercio.

Concertazione dunque, coesione, collaborazione tra i diversi attori del sistema territoriale. Per la Regione Emilia-Romagna tutto questo rappresenta una scelta di fondo, portata avanti con determinazione già nella passata legislatura.

Il Patto per la qualità dello sviluppo, firmato nel 2004, deve essere considerato l’agenda di lavoro comune di tutto il sistema emiliano- romagnolo anche in questo mandato di governo. Con al centro alcune parole chiave su cui far convergere l’impegno comune: qualità, in- novazione, internazionalizzazione, ricerca.

Unioncamere è stata tra i firmatari di questo Accordo. Né poteva essere altrimenti.

(1) Presidente Regione Emilia-Romagna.

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La collaborazione tra la Regione e il sistema delle Camere di commer- cio è una realtà consolidata, che ha prodotto negli anni risultati impor- tanti. Dalla costituzione di APT servizi per la promozione turistica della nostra regione; agli Osservatori economici per il settore agroalimentare, il commercio, lo stesso comparto turistico. Ancora prima, Uniocamere e Regione avevano avviato, in collaborazione con le Associazioni impren- ditoriali, un’esperienza pilota a livello nazionale, quella dei Consorzi Fidi per l’accesso al credito delle piccole e medie imprese.

Nel 2000 si è voluto dare un chiaro e forte riconoscimento anche formale a questa attitudine a fare insieme, con un Protocollo d’intesa volto a sostenere lo sviluppo del sistema imprenditoriale regionale.

Nel 2006 questo accordo è stato ribadito e rafforzato con un’Intesa quadro di durata triennale. Ora stiamo lavorando alla sua attuazione attraverso una serie di programmi comuni. Ma la direzione di marcia è già chiara: sviluppo, sostenibilità, qualità sociale.

Dentro a questa cornice, Regione e Unioncamere potranno condi- videre azioni e strategie, pur nel rispetto dei rispettivi ruoli e compe- tenze, per garantire al sistema imprenditoriale un supporto efficace verso l’innovazione e l’internazionalizzazione. D’altra parte anche il nuovo Statuto della Regione promuove la più ampia partecipazione all’interno della società regionale e in questo ambito riconosce e valo- rizza il ruolo delle Camere di commercio come Autonomie funzionali e come interlocutori forti della stessa Regione. Non partiamo dunque da zero. Esiste un percorso già avviato con importanti risultati. Su questa strada occorre continuare a lavorare insieme. Per costruire un futuro di qualità per l’Emilia-Romagna.

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Introduzione

di Andrea Mondello (1)

Il successo di un’idea organizzativa sta nella sua capacità di cam- biare in modo profondo e condiviso i comportamenti delle persone nei luoghi di lavoro, nel far crescere una cultura del servizio ponen- dola stabilmente ad un livello di qualità più elevato, nella conquista di una consapevolezza – nei protagonisti del cambiamento – che è la base sicura per proseguire lungo la strada intrapresa. Quando tutto questo avviene in un contesto allargato, in cui al centro dell’idea or- ganizzativa c’è una rete forte e radicata di relazioni collaborative sul territorio, come sono le Camere di commercio, allora l’effetto diventa

‘contagioso’ e produce frutti duraturi.

A dieci anni di distanza, il bilancio della sfida lanciata dal sistema camerale dell’Emilia Romagna innanzitutto a se stesso e poi agli altri soggetti dello sviluppo locale – dai singoli livelli di governo del territo- rio al mondo associativo, dalle professioni alla società civile – è senza ombra di dubbio positivo. Soprattutto perché è stato segnato un cam- mino sicuro per attraversare il difficile terreno della modernità, per affrontare e vincere quella sfida di efficienza nei servizi per lo sviluppo che è prima di tutto una sfida culturale. Una sfida che il Paese non può più eludere se vuole mantenere e rafforzare una posizione privilegiata tra i protagonisti dell’economia mondiale.

In questa prospettiva, l’esperienza del progetto network sottolinea almeno due aspetti importanti che possono fare la differenza nella rincorsa ad un assetto più maturo della nostra società. Innanzitutto mette in evidenza che una delle grandi ricchezze del nostro Paese è la presenza di strutture a rete come le Camere di commercio, istituzioni diffuse sul territorio, per vocazione collaborative, aperte al dialogo, capaci di ricercare l’efficienza e la qualità dei servizi confrontandosi con tutte le altre realtà al servizio dello sviluppo. Nell’epoca della glo- balizzazione dei mercati, il fattore organizzativo diventa strategico

(1) Presidente Unioncamere italiana.

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per le imprese che, a loro volta, chiedono alle istituzioni di intrapren- dere con convinzione la strada dell’integrazione dei servizi, della mag- giore efficienza organizzativa e soprattutto della semplificazione de- gli adempimenti amministrativi, per giungere alla costruzione di un ambiente più favorevole all’attività d’impresa. È una strada obbligata che però non si può percorrere rimanendo soli, ma lavorando insieme per mettere a fattore comune le esperienze migliori in ogni campo, valorizzando così le migliori soluzioni – le best practice – nell’interesse di imprese e cittadini.

In secondo luogo, i dieci anni di attività del progetto network fan- no emergere con grande forza che anche le migliori iniziative han- no il fiato corto se non sono adeguatamente supportate dall’impegno convinto di persone capaci di immaginare un modo migliore di fare il proprio lavoro, di credere nella possibilità di innovare procedure e sistemi organizzatavi consumati dall’abitudine e che, per fare questo, mettono in gioco tutte le competenze e lo spirito di servizio di cui so- no capaci. Investire su questi valori, favorire le reti diffuse al servizio dello sviluppo e la loro capacità di dialogare e collaborare, promuove- re le risorse umane che le animano ogni giorno con il loro impegno, significa fare una scelta lungimirante per accompagnare la trasforma- zione che sta compiendo in questi anni il sistema-Paese.

Le Camere di commercio ne sono profondamente convinte perché in questo modo, cercando il continuo miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia dei servizi amministrativi rivolti alle imprese, sanno di interpretare al meglio la propria missione istituzionale: favorire la crescita economica dei territori e, per questa via, contribuire al benes- sere diffuso.

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1. I fondamenti teorici del network

di Carlo S. Romanelli e Marco Berti

“L’esperienza senza teoria è cieca, ma la teoria senza esperienza è un vano gioco intellettuale” (Immanuel Kant)

1.1. L’origine del concetto di network

Un complesso armamentario teorico e metodologico è alla base del disegno e della gestione del progetto network: nei prossimi para- grafi verranno sinteticamente passati in rassegna i principali paradig- mi concettuali che hanno ispirato il lavoro di preparazione e imple- mentazione del progetto. Nella consapevolezza che la pratica precede sempre la buona teoria, ma che senza una buona riflessione teorica il mero esercizio della pratica tende ad inaridire i tessuti organizzativi.

Le reti di organizzazioni non sono una invenzione recente. La Le- ga Anseatica, l’alleanza di città stato e mercanti nata in Nord Europa all’inizio del XII secolo, è considerata il primo esempio “moderno” di organizzazione a rete, caratterizzata dal coinvolgimento in un proget- to comune di entità indipendenti e dotate di finalità autonome.

Poiché la teoria è sempre in ritardo rispetto alla realtà, è solamente negli ultimi due decenni che il concetto di “rete” o “network” interor- ganizzativo è stato frequentemente utilizzato. Perché ciò avvenisse era necessario un profondo cambiamento di prospettiva nella giovane (a oggi conta a malapena un secolo) disciplina degli studi organizzativi.

All’inizio l’organizzazione aziendale si è focalizzata sull’obiettivo di aumentare l’efficacia e l’efficienza delle funzioni, muovendosi dal presupposto che ottimizzare l’efficienza delle parti avrebbe condotto automaticamente a un incremento dell’efficienza dell’insieme. L’atten- zione si è poi spostata sul problema della capacità di coordinamento interfunzionale, sugli “spazi bianchi” nelle strutture organizzative, con l’obiettivo di integrare ciò che la struttura funzionale aveva di- viso, così come sulla necessità di tenere in dovuta considerazione le dinamiche psicologiche e sociali prodotte dalla interazione delle per- sone che – in ultima analisi – sono le componenti essenziali di ogni organizzazione.

Ma in ogni caso lo studio dell’organizzazione si concentrava sull’in- terno, sui processi, le strutture, le relazioni, i modelli di management, dando per scontata l’integrità strutturale e l’identità in quanto ente pre- cisamente delimitato.

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Anche quando l’attenzione si è rivolta all’esterno, allo scopo di indagare il rapporto tra ambiente e organizzazione e comprendere l’influenza che questo ha sulla struttura dell’azienda, non si è abban- donata la tradizionale idea di impresa vista come meccanismo (o or- ganismo, o sistema sociale) rigidamente delimitato e altamente inte- grato, che si rapporta con un mondo esterno che è altro da sé.

Solo negli anni ’80 si è affermato un approccio più articolato, per il quale i confini tra organizzazione e ambiente sono contingenti e permeabili, se non addirittura puramente convenzionali. Si riconosce cioè che l’azione imprenditoriale, organizzativa e gestionale si effettua sempre più entro confini che non sono quelli formali, giuridico-orga- nizzativi, dell’impresa. Le relazioni tra organizzazioni (imprese, enti, associazioni ecc.) – non la struttura – sono il vero contenitore e regola- tore dei processi economici ed organizzativi. Le organizzazioni vengo- no di conseguenza considerate come elementi di un ecosistema basato su relazioni e interazioni non solo competitive ma anche cooperative.

Come spesso accade, la realtà ha anticipato la riflessione teorica e il sistema economico italiano nel dopoguerra si è andato configuran- do in distretti industriali: le imprese hanno iniziato a creare gruppi e reti organizzative. In alcune aree del paese la singola impresa si è tro- vata a rivestire un ruolo di importanza minore rispetto a “cluster” di imprese che utilizzavano la divisione del lavoro nel gruppo, allocando ad ogni unità risorse ed attività specifiche. Ne è emerso un modello a rete in cui diverse unità autonome collaborano per produrre valore.

La collaborazione con una molteplicità di soggetti rappresenta una strategia razionale che consente agli attori che la attuano di migliora- re la propria efficienza, rafforzare l’efficacia, acquisire know-how, ap- prendere, e – non meno importante – aumentare la propria capacità di influenzare il contesto di riferimento.

La nuova forma che emerge (o meglio che viene riconosciuta) è il network interorganizzativo (o “impresa-rete”). Esso è costituito da en- tità (imprese, organizzazioni, ruoli e persone ecc.) autonome e vitali, che interagiscono in numerose forme (procedure, sistemi informativi, sistemi di comunicazione, linguaggi, transazioni politiche, flussi eco- nomici, ecc.). Il network è privo dell’unicità di comando e dei confini definiti che caratterizzano le organizzazioni formali, al punto da esse- re definito “organizzazione immaginaria” (nell’accezione di virtuale, ovvero priva di tangibilità, non di irreale). Questo “ente” è costituito da un insieme di unità che funzionano assieme, perseguendo e otte- nendo risultati comuni, anche in mancanza di una ragione sociale o di una sede o stabilimento comuni.

È interessante notare come i network possano svilupparsi in mo-

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di differenti: possono nascere come una risposta collettiva messa in atto da attori individuali (bottom-up network); possono essere creati per mandato istituzionale o a seguito della decisione unilaterale di una organizzazione promotrice (top-down network); e attraverso una qualche combinazione dei due approcci, come nel caso del Network intercamerale dell’Emilia-Romagna.

1.2. Perché il network è necessario: l’ambiente come reticolo di organizzazioni

Ogni organizzazione, in quanto sistema aperto, per sopravvivere e funzionare ha bisogno di instaurare una complessa rete di rappor- ti con altre organizzazioni (clienti, fornitori, istituzioni, ecc.). Come un animale utilizza le proprie energie per acquisire le risorse che ne permettono la sopravvivenza, e così facendo entra in relazione con una complessa ecologia costituita da altri organismi viventi, un’orga- nizzazione offre beni o servizi per procurarsi risorse vitali (denaro, informazioni e legittimazione).

La metafora dell’organismo che caccia o sfugge alle minacce del proprio ambiente rischia però di essere fuorviante. A differenza di un organismo vivente i confini dell’organizzazione sono permeabili e indistinti: le “cellule” che la costituiscono sono in grado di intera- gire autonomamente con l’ambiente, al punto che non è semplice individuare il confine dell’organismo “azienda”. Ogni ente o impresa contemporanea si presenta come costituita da una costellazione di soggetti uniti da legami di intensità differente (rappresentati giuridi- camente da diverse tipologie contrattuali).

Se assumiamo la prospettiva dei processi, ovvero l’insieme delle attività correlate che vengono messe in atto per trasformare gli input producendo valore, e che costituiscono l’essenza dinamica di ogni or- ganizzazione, il nostro ente diventa ancora più indistinguibile.

Quasi tutti i processi produttivi attraversano infatti i confini di una singola organizzazione. Questo per due ordini di motivi:

• da un lato ogni azienda o ente dipende, per poter funzionare, dalle risorse prodotte o controllate da altre organizzazioni. Queste risorse possono essere di tipo materiale (materie prime, tecnologie, risorse economiche) o immateriali, (informazioni, legittimazione, appoggio politico). Sindacati, enti di controllo e regolazione, istituti di credito, associazioni di rappresentanza, gruppi di pressione, concorrenti, for- nitori, azionisti (nel caso del privato) o amministratori e politici (nel caso del pubblico), sono solo alcuni dei detentori di interesse (stakehol-

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ders) con i quali l’organizzazione deve negoziare e scambiare costante- mente, poiché ciascuno di essi controlla una o più risorse vitali;

• dall’altro lato la costante evoluzione della tecnologia e la pressio- ne del mercato rende i prodotti e i servizi sempre più complessi e arti- colati, e conseguentemente tende a stimolare i processi di specializza- zione. Nessuna organizzazione è in grado di rispondere alle richieste del proprio mercato o ad assolvere le funzioni istituzionali in proprio, senza ricorrere ai beni e ai servizi forniti da altre organizzazioni. I processi organizzativi quindi attraversano i confini dell’organizzazio- ne, a coinvolgere la partecipazione attiva di fornitori e clienti.

I teorici dei sistemi socio-tecnici (Emery, Trist, Miller, Rice e altri) che per primi hanno approfondito l’approccio alle organizzazioni come sistemi aperti, hanno messo in evidenza come i loro confini delle orga- nizzazioni siano in effetti un costrutto mentale (i senti ent boundaries).

Il sempre più frequente utilizzo di forme organizzative “miste”, co- me collaborazioni esterne, consulenze, utilizzo di subfornitori, unito alle numerose forme di co-produzione e collaborazione interorganiz- zativa (joint ventures, consorzi, filiere) rendono i confini giuridici di ogni organizzazione sempre più sfumati. Gli stessi confini fisici, siano essi spaziali (gli uffici, gli stabilimenti) o temporali (orari di lavoro, programmi di attività) sono divenuti, con l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione, sempre più labili.

In ultima analisi ogni organizzazione non può fare a meno di costruire un network o rete interorganizzativa. La forma di questo network è dipendente dall’osservatore: dal proprio punto di vista ciascuna organizzazione costituisce il centro “focale” del proprio network, dal quale gli altri nodi della rete dipendono. Essere parte di network non è quindi una scelta, ma una necessità. Per comprendere strutture, logiche, modalità di comportamento di una qualsiasi orga- nizzazione, è necessario quindi ricostruire le influenze del network sull’organizzazione stessa, partendo dal fatto che le sue prestazioni e i suoi comportamenti sono fortemente influenzati dalle caratteristiche della rete nella quale è inserita.

1.3. Dal network come ambiente al network come modello orga- nizzativo

Se superare il concetto della rigida divisione tra interno ed esterno, tra organizzazione e ambiente, permette di descrivere più accurata- mente la realtà e di considerare (e cogliere) nuove opportunità ricor- rendo a forme innovative e aperte di architettura organizzativa, l’idea

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che emerge di network come naturale prodotto di ogni organizzazio- ne, rischia di essere troppo vaga per consentirci di esaminare il tipo di rete che ci interessa maggiormente in questo saggio, ovvero quella formata in maniera volontaria da un insieme di organizzazioni per perseguire un progetto comune.

La rappresentazione dell’ambiente come reticolo di organizzazio- ni, o lo studio del network come mappa del sistema di relazioni che ciascuna organizzazione ha costruito nel corso della sua storia, è il prodotto naturale e parzialmente pianificato di una storia di relazioni di scambio, condotte da ciascuno degli attori allo scopo di perseguire fini individuali, in assenza di una comune visione sistemica.

Il network che vogliamo analizzare non è solo una rappresentazio- ne dell’ambiente di un’organizzazione, ma è frutto di un’alleanza tra soggetti, le Camere di commercio in primo luogo, ma anche altre orga- nizzazioni pubbliche e private, che in maniera continuativa e con logi- che riconoscibili e descrivibili hanno sviluppato una serie di progetti e ottenuto obiettivi misurabili, che hanno avuto effetti permanenti sulla cultura e le modalità di funzionamento degli enti coinvolti.

Dobbiamo allora fare un passo avanti, dal concetto di reticolo co- me rappresentazione dell’ambiente delle organizzazioni, al concetto di network come modello di struttura organizzativa, distinto dai clas- sici ideal-tipi strutturali di organizzazione:

• la gerarchia (ovvero la struttura burocratica e centralizzata che – con forme e gradi diversi di intensità di controllo – caratterizza tutte le aziende ed enti pubblici);

• il mercato, che nella sua forma pura può essere rappresentato come un insieme di transazioni occasionali tra attori indipendenti.

Occorre quindi formalizzare una definizione di network che con- senta di distinguere chiaramente l’oggetto rappresentato dal costrutto analitico che utilizziamo per descriverlo.

Allo stesso modo in cui un territorio non è la carta geografica che lo rappresenta, una struttura non diventa un network solo perché lo si rappresenta disegnandolo con un insieme di nodi e linee. Ogni forma di organizzazione gerarchica o di mercato potrebbe essere rappresen- tata come network, e si differenzierebbe solo per l’intensità e la fre- quenza dei legami tra i nodi. Per uscire da questa potenziale ambigui- tà possiamo fare ricorso alla definizione proposta da Joel Podolny e Karen Page: “Definiamo una organizzazione reticolare (network) come un qualsiasi insieme di attori (maggiore di 2) che intrattiene reciproche relazioni di scambio ripetute e continuative e, al tempo stesso, manca di una legittima autorità organizzativa in grado di arbitrare e risolvere dispute che possano verificarsi nel corso degli scambi”.

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Grazie a questa definizione siamo in grado di identificare un nuovo modello di struttura organizzativa: il network. Esso ha caratteristiche che lo distinguono da altre forme di organizzazione (1).

Tali caratteristiche sono accompagnate – secondo vari studiosi – dalla condivisione di un modello etico che accomuna i partner che con i loro scambi definiscono il network. L’assenza di un’autorità su- periore in grado di regolare gli eventuali conflitti rende necessaria l’esistenza di un insieme condiviso di valori, pena la dissoluzione del network stesso. Nessun tipo di accordo formale (convenzione o con- tratto di lungo termine che sia) è in grado di garantire – a fronte di un ambiente mutevole e non interamente prevedibile – l’efficace governo degli scambi in assenza di fiducia e “buona volontà” reciproche.

Alla base di questi valori comuni c’è innanzitutto la decisione da parte degli attori di negoziare eventuali disaccordi con la protesta e la discussione, senza per questo abbandonare la relazione (2). Tale pra- tica richiede un alto livello di fiducia reciproca, poiché è necessario che nessuna parte consideri l’investimento fatto dall’altra come un segnale di debolezza, né che approfitti a proprio esclusivo vantaggio dell’investimento fatto dall’altro sulla relazione. Quando efficace, l’uti- lizzo di questa strategia porta alla condivisione di valori comuni e al consolidamento di sistemi di auto-governo.

1.4. I network interorganizzativi: modelli descrittivi

Le definizioni e le suggestioni del paragrafo precedente spiegano solo in parte la rilevanza euristica che il concetto di network ha as- sunto negli ultimi decenni, giustificando la fioritura di modelli che aiutino ad analizzare e descrivere caratteristiche e dinamiche delle reti di organizzazioni.

Molti di questi modelli sono stati presi a riferimento per l’analisi

(1) Si noti che in un mercato puro gli scambi non sono continuativi, ma episodici, creati solo allo scopo di un ben definito trasferimento di beni e risorse e destinate a terminare con esso, mentre nelle gerarchie le relazioni sono continuative e ripetute, ma esiste una autorità superiore chiaramente definita e legittimata in grado di gestire le controversie tra gli attori. Questa definizione ci permette di includere nel concetto una vasta gamma di network interorganizzativi come joint ventures, alleanze strategiche, gruppi di affari, consorzi di ricerca, accordi di outsourcing ecc.

(2) Hirschman definisce queste strategie di “voice”, piuttosto che di “exit” di fronte ad eventuali dispute; per usare un paragone di mercato, è come se il cliente, insoddi- sfatto delle prestazioni del venditore, invece che rivolgersi ad un altro fornitore decides- se di investire sulla relazione, lavorando assieme per superare i problemi.

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dell’organizzazione delle Camere di commercio e per sviluppare idee e opportunità che esse possono cogliere nello sviluppo dei loro network organizzativi.

Per rendere la presentazione più agile abbiamo deciso di distin- guere – in modo senz’altro arbitrario – tra modelli prevalentemente descrittivi e approcci prescrittivi (3).

Obiettivo di questo paragrafo non è fornire una rassegna critica della letteratura sul tema (4) ma evidenziare i modelli che sono stati effettivamente presi a riferimento nell’ambito del progetto network per il loro particolare valore esplicativo.

1.4.1. L’approccio della “dipendenza dalle risorse”

Jeffrey Pfeffer e Gerald Salancick, gli autori di questo modello, par- tono dal presupposto che qualsiasi organizzazione si trova in una re- lazione di interdipendenza con il proprio ambiente, dal quale dipende per rifornirsi di una serie di risorse vitali per il proprio funzionamen- to. Queste risorse (economiche, materiali, umane, informative) sono a loro volta controllate da una pluralità di organizzazioni e detentori di interessi (stakeholders), nei confronti dei quali le organizzazioni sono in una costante lotta per la propria autonomia.

Tre condizioni definiscono il livello di dipendenza di una organiz- zazione:

1. l’importanza della risorsa, espressa in termini di rilevanza (quan- ta parte degli input e output dell’organizzazione dipendono dalla stes- sa?) e di criticità (quanto gravi sono le conseguenze nel caso del venir meno della risorsa?);

2. la discrezionalità che i soggetti che controllano la risorsa hanno cir- ca il suo uso e allocazione (possono essere obbligati a fornire la risorsa?);

3. la disponibilità di fonti alternative per la risorsa (sono disponibi- li o meno alternative per approvvigionarsi della risorsa?).

(3) Il concetto di network interoganizzativo può essere utilizzato sia in chiave de- scrittiva, per studiare e comprendere le caratteristiche, dinamiche, comportamentali delle reti organizzative, che in chiave prescrittiva, ovvero per suggerire strategie e azio- ni utili a migliorare le prestazioni di queste. Vale la pena di soffermarsi su entrambe le prospettive, dal momento che la prima ci consente di leggere e capire meglio la realtà descritta in questo saggio, mentre la seconda aiuta a spiegare le logiche e le metodolo- gie effettivamente utilizzate nel progetto di network camerale dell’Emilia-Romagna.

(4) Una tale impresa esula ampiamente dallo scopo di tale lavoro e dall’ambizione dell’autore; pertanto verranno citati solo alcuni dei numerosissimi studi in materia di relazioni interorganizzative e reti di imprese.

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Le organizzazioni intraprendono strategie diversificate che con- sentono di ridurre l’incertezza ambientale:

a) adattarsi o alterare i vincoli esterni, ad esempio scegliendo di volta in volta di rendere prioritaria una richiesta (e quindi una risor- sa) rispetto all’altra;

b) alterare le interdipendenze attraverso fusioni, diversificazioni, o la crescita di dimensioni (5);

c) negoziare con l’ambiente attraverso la realizzazione di allean- ze che, se da un lato riducono, attraverso l’accordo, l’incertezza e la dipendenza, dall’altro aumentano il potere degli alleati nei confronti degli attori terzi operanti nel reticolo (6);

d) influenzare la legalità o la legittimità del proprio ambiente atti- vando pressioni politiche (lobbying, accordi ecc.).

1.4.2. L’approccio della “political economy”

Sulla linea della dipendenza dalle risorse si muove anche il modello proposto da J. Kenneth Benson. In tale modello tutte le organizzazioni competono allo scopo di acquisire due risorse fondamentali: denaro (ov- vero tutte le risorse materiali che occorrono per il proprio funzionamento) e autorità (l’esigenza di legittimare il proprio operato agli occhi dei com- ponenti del più generale contesto socio-economico nel quale è inserita).

La categoria del network è usata come sinonimo di ambiente dell’organiz- zazione: esso si configura come una “economia politica” caratterizzata, riprendendo concetti marxiani, da una struttura e una sovrastruttura.

La struttura in Benson è data dalla conformazione di alcune ca- ratteristiche del network (7), che determina la distribuzione del potere

(5) In questo caso l’aumento delle dimensioni permette all’organizzazione di au- mentare il proprio potere e di rendere più persone interessate alla sua sopravvivenza, anche se non serve ad aumentare i profitti (anzi spesso li erode), l’aumento delle dimen- sioni aumenta la stabilità dell’azienda.

(6) Queste alleanze si realizzano ad esempio con la creazione di direttorati incrociati (l’inclusione nei propri organismi dirigenti di soggetti provenienti da altre organizzazio- ni), lo sviluppo di joint ventures, integrazioni orizzontali e verticali, o l’associazione.

(7) La sovrastruttura può essere descritta come composta da quattro componenti:

1. Consenso di fondo, o accordo tra le organizzazioni sul ruolo e le funzioni di ognuna;

2. Consenso ideologico, cioè accordo tra le organizzazioni sull’approccio appro- priato allo svolgimento dei compiti comuni;

3. Valutazione, cioè giudizio tra organizzazioni sulla qualità del lavoro di ognuna;

4. Coordinamento del lavoro, riferito alla condizione di attività e programmi arti- colati, comuni, cooperativi.

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mentre la sovrastruttura è costituita dall’insieme di interazioni e sen- timenti che uniscono le varie organizzazioni (7).

All’interno di questo quadro si individuano le strategie delle orga- nizzazioni, le quali possono portare alla trasformazione del network:

a) strategie cooperative (cambiamento attuabile attraverso accordi e programmi comuni);

b) strategie distruttive (dove la capacità delle organizzazioni di ge- nerare risorse è messa in pericolo);

c) strategie manipolative (dove l’offerta e la fonte di risorse quali denaro e autorità viene tatticamente modificata);

d) strategie autoritative (le relazioni del network sono fissate rigi- damente da azioni di organizzazioni che controllano risorse).

Il network interorganizzativo è quindi concepito come un’arena politi- ca dove le singole organizzazioni operano per acquisire il massimo bene- ficio possibile e per creare le condizioni che consentono di modificare a loro favore le regole del gioco. Il modello prevede che ogni organizzazione metterà a punto strategie che tengano conto delle dinamiche interne al network e di quelle connesse ai rapporti che ciascuna organizzazione in- trattiene con il contesto socio politico nel quale è inserito il network.

1.4.3. Il modello dei loosely coupled system

Il modello (impropriamente tradotto in italiano come “sistema a legame debole” (8)) prende nome dall’ampio livello di autonomia che caratterizza le relazioni di un sistema organizzato. Tale autonomia delle relazioni implica che se alcune parti o attività in un’organizza- zione cambiano, l’effetto che ciò ha su altre parti o attività sarà limi- tato, o lento a manifestarsi, o entrambi.

Mentre tali implicazioni possono apparire come negative, lo psico- logo americano Karl Weick, autore del modello, evidenzia i vantaggi di tale caratteristica strutturale che consente alle organizzazioni che la posseggono inusuali capacità di adattamento.

Una rete di organizzazioni che agisce come sistema a legame de- bole è quindi caratterizzata dal fatto che i singoli nodi interagiscono mantenendo la propria separatezza, con legami che possono essere saltuari, circoscritti, con scarsi effetti reciproci e lenti a mettersi in azione. Ciò implica che può verificarsi al suo interno un mutamento

(8) In inglese un “loose couple” non è un legame poco saldo, ma dà piuttosto l’idea di una unione parzialmente libera, di un nesso che lascia gioco alle parti che unisce.

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differenziale, con alcuni aspetti che mutano più o meno di altri, così da produrre una risposta flessibile da parte del sistema nel suo complesso.

Ovviamente ciò comporta la necessità di affrontare un maggior livello di ambiguità e incertezza informativa: non si può – ad esempio – avere la certezza che una decisione presa al vertice si tradurrà in un preciso comportamento da parte di specifiche unità operative degli enti che partecipano alla rete. Ma d’altro canto si avrà uno spazio assai maggio- re per sperimentare, sviluppare nuove idee e modelli di intervento.

Una rete, per quanto i suoi nodi condividano finalità, valori, principi, non potrà (né dovrà) mai avere lo stesso livello di integrazione di una struttura di tipo gerarchico piramidale, ma tenderà a consentire ampi margini di discrezionalità delle singole strutture e dei singoli individui.

La conseguenza principale è che la decisione presa da un nodo della rete influirà sugli altri nodi, senza tuttavia determinarne azioni e comportamenti in modo rigido.

Il configurarsi come un sistema a legame lasco presenta degli in- dubbi vantaggi: innanzitutto la rete avrà una maggior capacità di per- cezione dei mutamenti ambientali, dal momento che ciascun nodo ten- derà ad avere una percezione propria dell’ambiente, delle sue minacce ed opportunità, e sarà solo limitatamente condizionato dagli altri nel proporre priorità di intervento. Inoltre si ha, grazie alla maggiore ca- pacità di autodeterminazione degli attori, una superiore abilità di adat- tamento localistico (senza dover interessare l’intero sistema), di dare risposte diversificate ai problemi e di conservare le soluzioni innovati- ve: ciò consente, in pratica, di attivare azioni e progetti a livello locale, senza necessariamente avere la partecipazione unanime di tutti gli enti coinvolti nel network. Si possono così mettere in cantiere azioni pilota che coinvolgano solamente quelle organizzazioni che – per necessità o possibilità – sono pronte a metterle in atto, dando poi l’opportunità agli altri di seguire l’esempio e di sfruttare l’esperienza maturata.

Un ulteriore vantaggio che deriva dall’essere un loosely coupled system, è la capacità di isolare eventuali cedimenti e difficoltà che si verificano in una parte del sistema: se ad esempio un singolo progetto ha esiti negativi, o se un’organizzazione partecipante, a causa di cambiamenti nell’orienta- mento strategico o di sopravvenute esigenze locali, riduce il suo impegno nelle attività del network, questo non si traduce automaticamente in una reazione a catena che destabilizza o blocca le attività complessive.

A questi punti di forza tuttavia fanno da contraltare alcuni svantaggi tipici dei sistemi a legame lasco, quali la inclinazione a portare avanti progetti specifici di interesse circoscritto, e la scarsa standardizzabilità e uniformità delle risposte, che rende difficile diffondere alcuni muta- menti vantaggiosi. Inoltre anche gli impatti positivi delle azioni di sin- goli attori della rete possono faticare a diffondersi all’intero sistema.

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Va sottolineato che il fatto di configurarsi come sistema a legame debole non è una scelta progettata e implementata dai decisori del network, ma piuttosto un fatto fisiologico. Il fatto che la relazione tra i nodi della rete sia non rigida dipende sia dall’alto livello di auto- determinazione dei singoli nodi, organizzazioni con proprie funzio- ni, obiettivi, cultura, ma anche – secondo Weick – dal tipo di legame causale che esiste tra decisioni prese in un contesto organizzativo e impatti esterni (outcome) che queste hanno (9).

1.4.4. Il modello delle strutture di implementazione

La struttura di implementazione, proposta dallo studioso svedese Benny Hjern (assieme a Porter, Hull e altri), è una rete di rapporti fra parti di molte organizzazioni pubbliche e private che cooperano alla realizzazione di un programma, e che si trovano ad operare simultanea- mente nel mercato e nelle gerarchie. Il network si forma attraverso un processo di auto-selezione consensuale messo in atto dai partecipanti, e non per una decisione presa da un vertice. Nel caso di questo approccio l’attenzione si concentra sul programma, ovvero sull’insieme di attività che il network sviluppa più che sulle organizzazioni che partecipano ad esso. Le strutture di implementazione sono caratterizzate da:

• un imperativo amministrativo, ovvero una serie di obiettivi e di outcomes desiderati definiti da una politica pubblica (policy). A parti- re da esso è possibile definire un pool potenziale di organizzazioni che costituiscono l’ambiente rilevante e che possono dare forma ad una struttura di implementazione;

• un’organizzazione di secondo livello: in altri termini il network da esse costituito non si configura come una nuova struttura organiz- zativa, ma rimane una struttura “di secondo livello”, costituita cioè da parti di varie organizzazioni che sono in rapporti di scambio e interdipendenza;

• un gruppo di attori consenzienti, mossi da scopi e motivazioni

(9) Anche organizzazioni che sotto il profilo giuridico e organizzativo sono appa- rentemente rigidamente integrate, come la scuola, hanno in realtà comportamenti e logiche di funzionamento proprie dei sistemi a legame debole. Questo sarebbe attri- buibile appunto al fatto che non è ricostruibile un nesso causale tra decisioni prese al vertice (il comportamento del preside) e i risultati ottenuti (il profitto degli allievi). Una relazione di influenza esiste, ma non è diretta, né immediata, e ciò produce un sistema composto da unità largamente autonome, che si influenzano vicendevolmente ma in modo non deterministico.

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diversi e facenti parte di organizzazioni diverse. La decisione di parte- cipare è basata in parte sul consenso e sul negoziato (autoselezione);

• una logica di programma, che lega insieme i membri di diverse organizzazioni e che mette al centro degli sforzi il perseguimento del- la policy. Questa prende il posto per i soggetti partecipanti alla strut- tura di implementazione della logica di organizzazione, che viceversa vede i programmi come strumenti per assicurare la sopravvivenza dell’organizzazione;

• una struttura flessibile, poiché essa è meno formale della strut- tura gerarchica: il più delle volte non è un ente giuridico, non ha un capo, non c’è gerarchia, non c’è formalizzazione dei compiti, le deci- sioni non sono imperative ma indicative;

• un’integrazione variabile, dato che le strutture di implementa- zione presentano delle differenze nella loro relativa coesione interna:

si va da strutture stabili a strutture ad hoc;

• un’azione discrezionale: la condizione per ridurre la comples- sità inerente un così alto numero di interdipendenze e per affrontare efficacemente le diverse situazioni; le tradizionali strategie di control- lo sono scarsamente efficaci in un simile contesto;

• funzioni specializzate: all’interno della struttura di implemen- tazione sottogruppi di attori possono svolgere funzioni specializzate di formazione della politica, pianificazione, raccolta di informazioni, reperimento delle risorse, coordinamento, gestione dei confini, eroga- zione del servizio, valutazione;

• un vincolo istituzionale, poiché l’attuazione di un programma pubblico comporta un vincolo rispetto agli obiettivi che esso assegna ad attori relativamente liberi per quanto concerne gli assetti organizzativi.

Secondo Hjern quindi nell’ambito della gestione di politiche pubbli- che (come quelle che alle Camere di commercio sono istituzionalmente affidate) è possibile e auspicabile che si generi una sorta di rete semi- informale che coinvolge soggetti provenienti da molte organizzazioni pubbliche e private, i quali finiscono pertanto per sviluppare una sorta di senso di appartenenza alla struttura di implementazione. Va sottoli- neato però che in questo caso la “fedeltà” non viene data a una nuova organizzazione, ma ad un programma d’intervento, ad una policy.

Il suo principale valore aggiunto dal punto di vista della proget- tazione del network è quello di aiutare a evitare la reificazione del reticolo, e il suo divenire una nuova struttura autoreferenziale, il cui stesso “metabolismo” consuma la maggior parte delle risorse e i cui obiettivi di autoconservazione finiscono per portare in secondo piano le funzioni per le quali era stato creato.

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1.5. Il network per il miglioramento delle prestazioni: modelli prescrittivi

Dopo avere passato in rassegna alcuni dei modelli descrittivi che si sono dimostrati di maggiore utilità per analizzare le caratteristiche del Network camerale dell’Emilia-Romagna, è opportuno spostare la nostra attenzione su approcci maggiormente prescrittivi, che hanno sostanzialmente presentato il network come prospettiva nella quale (ri)progettare la struttura e i processi dell’organizzazione, e che quin- di hanno potuto essere direttamente utilizzati come ispirazione per la realizzazione e la gestione del progetto.

Porsi una domanda introduttiva aiuterà a comprendere meglio la discussione sui modi più efficaci di sviluppare una rete di organiz- zazioni: perché più organizzazioni hanno l’interesse di sviluppare e gestire un network interorganizzativo?

Abbiamo visto come ogni organizzazione deve relazionarsi con una galassia di enti; non può d’altro canto improvvisare giorno per giorno la forma di queste relazioni. Ogni organizzazione deve infatti proteggersi dall’eccesso di incertezza: per funzionare ha bisogno in- fatti di un minimo di ordine e stabilità, almeno nell’ambito del pro- prio “nucleo tecnologico”, ovvero il modello razionale di intervento e i processi di base che sono al cuore del suo agire. Ma in un contesto a così elevata complessità, non è possibile proteggersi dall’incertezza innalzando barriere ai confini dell’organizzazione. Non tutta l’incer- tezza può essere assorbita da strutture e tecnologie cuscinetto (come gli Integrated Voice Response, le frustranti voci elettroniche con le quali siamo sempre più spesso costretti a “conversare”).

D’altro canto ogni approccio passivo e reattivo alla gestione di pro- cessi che attraversano i confini organizzativi è condannato a ottenere risultati insoddisfacenti. Prendiamo ad esempio in considerazione il problema dell’assicurazione di qualità: dal momento che i processi di produzione coinvolgono fornitori esterni, la qualità finale percepita dal cliente sarà funzione della qualità dei semilavorati o dei servi- zi ausiliari forniti alla nostra organizzazione. Un’organizzazione che non si preoccupi di intercettare i difetti all’origine dovrà spendere ri- sorse rilevanti per controllare e scartare tutti i semilavorati che non corrispondono ai requisiti, rischiando oltretutto interruzioni o ritardi nel processo produttivo. Nel caso poi dei servizi diventa impossibile effettuare un controllo preventivo sulla qualità prima di rilasciarli al cliente finale, con la conseguenza che ogni difetto qualitativo del for- nitore si riverserà direttamente sul cliente, danneggiando l’immagine dell’impresa o dell’ente.

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Per governare l’elevato livello di complessità e incertezza derivanti dal proprio ambiente di riferimento le organizzazioni hanno quindi interesse ad agire sul network di relazioni, riconfigurandolo e gover- nandolo in maniera proattiva. Sono stati in questo senso proposti di- versi modelli che – anche senza citare esplicitamente il concetto di network – di fatto possono essere considerati come contributi alla progettazione in chiave prescrittiva del reticolo interorganizzativo.

L’idea di fondo che accomuna tutti questi approcci è che le or- ganizzazioni possano aumentare la propria efficacia ed efficienza in maniera molto più marcata se, invece di concentrarsi sul proprio in- terno e sulle proprie modalità burocratiche di gestione dei flussi di informazioni, materiali, servizi assumono un approccio “aperto” nei confronti dell’ambiente di riferimento, riprogettando i processi e i si- stemi di controllo e utilizzando nuove e più articolate modalità di governo delle transazioni.

Di seguito abbiamo voluto sinteticamente delineare i modelli teo- rici che hanno maggiormente influenzato il progetto network, propo- nendo una logica di riprogettazione dell’organizzazione non ristretta ai confini giuridico-burocratici della struttura.

1.5.1. La teoria dei costi di transazione

Questa teoria, la cui origine risale all’intuizione dell’economista Ronald Coase negli anni ’30, ma che è stata sviluppata solo da Wil- liamson, Ouchi e altri a partire dagli anni ’70, per divenire poi uno dei modelli più influenti degli ultimi decenni, propone una visione del tutto originale del fenomeno organizzativo. Essa infatti evidenzia come tra esterno (“mercato”) e interno (“gerarchia”) esista solo una momentanea differenza in termini di modalità di governo degli scam- bi, e che la scelta di intrattenere relazioni di mercato o gerarchiche (ovvero di includere o escludere un elemento del sistema) deve essere puramente dettata da ragioni di efficienza economica nella gestione dello scambio.

Le organizzazioni hanno quindi, in ogni dato momento, dei con- fini, ma questi possono e devono essere modificati, internalizzando (in-sourcing) o esternalizzando (out-sourcing) alcune funzioni e ricer- cando il modello di governo degli scambi più efficiente, ovvero quello che minimizza i “costi di transazione”.

Come sintetizza efficacemente Bonazzi per gli autori di questo ap- proccio “organizzazione non è più l’insieme dei dipendenti che pre- stano stabilmente lavoro, organizzazione diventa qualsiasi modello

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stabile di transazione”. Dal momento che possono esistere varie for- me contrattuali per governare gli scambi, in un continuum che va dal- l’occasionale transazione di mercato, nella quale l’unica variabile con- siderata è il prezzo, facilmente valutabile e confrontabile con offerte concorrenti, alla istituzione di relazioni di partnership continuativa con un fornitore, fino ad arrivare alla integrazione all’interno della struttura organizzativa di un soggetto o una unità i cui compiti sono così complessi, difficilmente misurabili da richiedere l’istituzione di un legame basato sulla condivisione di valori e di risultati.

Se la forma di governo delle transazioni (ovvero la forma di orga- nizzazione) preferibile è quella che minimizza i costi dello scambio, è fondamentale comprendere quali siano i fattori che possono far lievi- tare i costi di transazione. Infatti, se questi fossero sempre limitati la forma di scambio più efficiente rimarrebbe, seguendo questa teoria, il mercato. Secondo Williamson i fattori che portano ad un incremento dei costi di transazione e al conseguente “fallimento” degli scambi di mercato puri sono attribuibili a due fonti fondamentali:

• fattori ambientali, come l’incertezza (la non prevedibilità o com- plessità della transazione) e le relazioni in situazione di piccoli nume- ri, quando cioè non sono disponibili molti fornitori alternativi di un bene o servizio;

• fattori umani, e in particolare la razionalità limitata degli attori (il fatto di non avere una perfetta conoscenza di tutti gli elementi tec- nici, relazionali, organizzativi di una transazione) e l’opportunismo.

Questi elementi diventano determinanti quando si combinano tra loro: in particolare l’incertezza diventa rilevante quando si accoppia alla razionalità limitata, impedendo all’attore di valutare esaustiva- mente tutte le possibili variabili o quando l’opportunismo si associa ai piccoli numeri, facilitando l’emergere di comportamenti arbitrari da parte dei fornitori monopolisti. Quando si verificano condizioni che rendono costosa ogni transazione le organizzazioni devono crea- re delle salvaguardie per evitare che i contratti non vengano rispettati o che i loro costi possano aumentare a causa di valutazioni errate:

l’alternativa al mercato è in questo caso la “gerarchia” poiché l’orga- nizzazione utilizza nel rapporto di impiego un contratto che consente un prezzo equo per le transazioni, dal momento che “acquista” dal suo personale non già un bene o servizio, ma la possibilità di utilizza- re le sue competenze e le capacità, e di esercitare – entro limiti definiti – autorità e comando su di esso.

Il confine tra l’opportunità di utilizzare il modello gerarchia e quel- lo mercato non è rigido né immutabile; come già Coase esplicitava, il problema è di bilanciare il costo del coordinamento con il costo da

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sostenere per assicurare l’efficienza delle transazioni, con l’emergere di nuovi strumenti di coordinamento (l’utilizzo esteso dell’Informa- tion Technology) diventano possibili forme intermedie tra mercato e gerarchia, e la rete interorganizzativa è senz’altro una di esse.

Un ulteriore contributo ascrivibile a questo paradigma concettuale è fornito da William Ouchi, che aggiunge alla dicotomia mercato-ge- rarchia (e alle sue forme intermedie) una terza possibilità di governo delle transazioni, il Clan, che deve essere attivata quando le condizioni di incertezza, complessità, peculiarità della transazione e soprattutto difficile valutabilità della stessa arrivano a livelli tali da determinare il fallimento della forma burocratica di gestione degli scambi.

Emerge allora un modello di gestione di tipo clanico, basato, oltre che sulla reciprocità del mercato e il rispetto dell’autorità tipico della gerarchia, sulla condivisione di valori, credenze e tradizioni.

È interessante come Ouchi consideri di fatto clan e mercato come le due forme “pure”, ideali tipici di organizzazione. Questo perché i criteri che egli assume per valutare la forma più efficiente di governo delle transazioni, sono misurabilità dei risultati e congruenza dei fini.

Il mercato è la struttura di governo più efficiente per le transazioni in cui è possibile misurare con precisione il risultato delle prestazioni, e non è necessario che vi sia congruenza fra i fini dei contraenti. Il clan è la forma più efficiente per le transazioni in cui, all’opposto, vi è un’elevata congruenza dei fini (identificazione, appartenenza), ma non è misurabile il risultato delle prestazioni. L’organizzazione e altre forme come i quasi-mercati, divengono così forme di governo inter- medie, in cui si tenta di bilanciare un grado di relativa misurabilità delle prestazioni con un grado di relativa congruenza dei fini.

1.5.2. Il sistema di gestione del servizio e l’impresa come costella- zione di valori

La specificità degli enti istituzionali che perseguono lo sviluppo del- le economie locali – come le Camere di commercio – comporta il fatto che non abbiano i medesimi problemi delle organizzazioni che produ- cono beni materiali, e ciò ha conseguenze sui loro assetti strutturali.

In particolare, la natura effimera dei servizi, l’importanza di un sistema di erogazione che vede il coinvolgimento attivo e costante del cliente, e la rilevanza della relazione con questo, comportano la ne- cessità di applicare modelli gestionali aperti e più ispirati alla logica di network che a quella di burocrazia.

Lo studioso che ha per primo evidenziato questi aspetti è Richard

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