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Appunti per il corso di Meccanica Razionale

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Academic year: 2022

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Appunti per il corso di Meccanica Razionale

Daniele Andreucci

Dipartimento di Scienze di Base e Applicate per l’Ingegneria

Università di Roma La Sapienza via Antonio Scarpa 16 00161 Roma, Italy

daniele.andreucci@sbai.uniroma1.it

a.a. 2017–2018

versione definitiva

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mra 20171211 21.36

c2009, 2013, 2014, 2015, 2016, 2017, 2018 Daniele Andreucci Tutti i diritti riservati–All rights reserved

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Introduzione

0.1. Programma

Questa è la versione definitiva degli Appunti per il corso di Meccanica Razionale, tenuto per il Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica dell’U- niversità La Sapienza di Roma, anno accademico 2017-2018. Eventuali correzioni a questa versione definitiva verranno segnalate in una Errata Corrige, che apparirà sul sito del corso.

Programma d’esame

Il programma consiste, con riferimento ai presenti Appunti, di:

Capitolo 1, meno: Definizione 1.16, Proposizione 1.18, Teorema1.22, Teorema1.23, Definizione1.25, Teorema1.30, Osservazione1.31, Teo- rema1.39.

Capitolo2, meno: gli esempi delle Sezioni 2.6e2.7.

Capitolo3.

Capitolo4.

Capitolo5.

Capitolo6, meno: la dimostrazione del Teorema6.27.

Capitolo7.

Capitolo8, meno: la dimostrazione del Lemma8.12; il Teorema8.13.

Capitolo9, meno: la (9.19) e la Sottosezione9.4.1.

Capitolo10, meno: le Sottosezioni10.1.1e10.1.3; le dimostrazioni dei Teoremi10.10,10.17e10.21.

Capitolo 11, meno: le dimostrazioni del Lemma 11.14 e del Teore- ma11.15; il Corollario 11.19; la Sezione11.3.

Salvo diverso avviso non sono comprese nel programma le parti com- poste in carattere più piccolo (come per esempio la dimostrazione del Teorema2.49).

Formano parte del programma anche le tecniche di risoluzione degli eser- cizi, che vengono resi disponibili sul sito del corso.

Le Appendici contengono risultati che possono venire usati nel corso, ma non ne fanno parte in senso proprio (prerequisiti, complementi tecnici, alcuni risultati di calcoli complicati).

0.2. Avvertenze

Nel testo si usano ampiamente cambiamenti di base in R3, ove le basi sono sempre assunte essere ortonormali e orientate positivamente. Alcune di queste basi sono chiamate ‘mobili’, senza che questo abbia altro significato che quello della convenzionale scelta a priori di un sistema di riferimento come ‘fisso’. Tale scelta viene presupposta in tutto ciò che segue.

iii

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iv DANIELE ANDREUCCI

I vettori di R3 sono di solito espressi come combinazione lineare dei ver- sori della base; talvolta per brevità sono identificati con il vettore colon- na delle loro componenti, ma solo se la base è quella ‘fissa’ prestabi- lita. Analogamente le coordinate, nei casi in cui non vengano definite esplicitamente, vanno intese come riferite al sistema fisso.

Usiamo i simboli ehper indicare i vettori della base standard di R3, mentre le altre basi (mobili) sono indicate con uh, wh, . . .

I vettori sono indicati con questo carattere: f , mentre le matrici sono in- dicate con il carattere: F. Il prodotto righe per colonne viene indicato semplicemente per giustapposizione, cosicché per esempio se x1e x2sono vettori colonna di uguale lunghezza, allora x1tx2 coincide con il prodotto scalare x1·x2.

La notazione usata per gli spazi funzionali non distingue tra caso scalare e vettoriale; per esempio per una f : IR3 potremo scrivere fC2(I). Salvo diverso avviso:

• Cilindri e coni sono circolari retti.

• Le densità sono costanti.

• I sistemi di riferimento cartesiani sono ortogonali e positivamente orientati.

• La forza peso non è presente negli esercizi; costituisce però esplicito avviso del contrario ogni riferimento a direzioni verticali od orizzon- tali: in tale caso si intende che la verticale discendente ha il verso della forza peso.

Le parti di testo stampate in carattere più piccolo sono complementi non necessari alla comprensione del seguito.

Il simbolo ≀≀ stampato a margine come qui accanto indica passaggi ove

≀≀

occorre una particolare attenzione per capire lo sviluppo della teoria.

In questa edizione in pochi casi si fa riferimento a esercizi che non appa- iono nel testo e che verranno però presentati a lezione.

(5)

Indice

Introduzione iii

0.1. Programma iii

0.2. Avvertenze iii

Parte 1. Cenni alla stabilità dell’equilibrio 1

Capitolo 1. Equazioni differenziali 3

1.1. Esistenza, unicità e dipendenza continua. 3

1.2. Punti di equilibrio 6

1.3. I teoremi di stabilità di Liapunov 8

1.4. Il caso dei sistemi di secondo ordine 10

1.5. Rappresentazioni nel piano delle fasi 13

Parte 2. Cinematica: descrizione del moto 19 Capitolo 2. Cambiamento di sistemi di riferimento 21

2.1. Moto, velocità, accelerazione. 21

2.2. Cambiamenti di base dipendenti dal tempo 23

2.3. Cinematica relativa 27

2.4. Passaggi da una base mobile all’altra 30

2.5. Ricostruzione di una terna mobile a partire dalla velocità

angolare 32

2.6. L’asse istantaneo di moto 34

2.7. Moti rigidi piani 36

2.8. Una definizione alternativa di velocità angolare. 39

Capitolo 3. Curve nello spazio 41

3.1. Il triedro principale 41

3.2. Le formule di Frenet–Serret 42

3.3. Scomposizione di velocità e accelerazione 43 3.4. Ricostruzione di una curva a partire da curvatura e torsione 44

Capitolo 4. Vincoli. Coordinate lagrangiane 47

4.1. Vincoli olonomi 47

4.2. Coordinate indipendenti. 48

4.3. Atti di moto. 49

4.4. Coordinate lagrangiane 49

4.5. Sistemi vincolati a un piano 50

4.6. Coordinate locali canoniche per un sistema rigido non

degenere 52

4.7. Coordinate locali canoniche per un sistema rigido degenere 56

v

(6)

vi DANIELE ANDREUCCI

4.8. Sistemi olonomi composti da rigidi 59

4.9. Cenno ai vincoli anolonomi. 60

4.10. Due punti nel piano 61

Parte 3. Dinamica: previsione del moto 65

Capitolo 5. Equazioni di moto di un elemento materiale 67 5.1. Equazioni di moto in sistemi di riferimento mobili 67

5.2. Forze conservative 68

5.3. Forze di attrito 70

5.4. Moto di un punto vincolato a vincoli fissi 72 5.5. Moto di un punto vincolato a vincoli mobili. 77

Capitolo 6. Corpi rigidi 79

6.1. Corpi rigidi 79

6.2. Quantità meccaniche nei rigidi 83

6.3. Il tensore d’inerzia 85

6.4. Scomposizione del tensore d’inerzia. Assi principali. 87 6.5. Proprietà di estremo degli assi principali 92

6.6. Ricerca degli assi principali 94

6.7. Cambiamenti di base 96

Capitolo 7. Quantità meccaniche in coordinate lagrangiane 99

7.1. Cinematica 99

7.2. Distribuzioni di masse 101

7.3. Distribuzioni di forze 104

7.4. Forze conservative 107

Capitolo 8. Ipotesi dei lavori virtuali 113

8.1. L’ipotesi dei lavori virtuali 113

8.2. Dinamica del punto materiale libero 116

8.3. La prima equazione cardinale 116

8.4. La seconda equazione cardinale 117

8.5. Spostamenti virtuali 120

Capitolo 9. Equazioni di Lagrange 123

9.1. Le equazioni di Lagrange 123

9.2. Proprietà dell’energia cinetica 125

9.3. Condizioni iniziali; atti di moto. 128

9.4. Sistemi di riferimento mobili. Le forze fittizie. 128 Capitolo 10. Equazioni di Lagrange nel caso conservativo 135

10.1. La funzione lagrangiana 135

10.2. Piccole oscillazioni 138

10.3. Funzioni lagrangiane diverse che conducono alle stesse

equazioni di Lagrange. 142

Capitolo 11. Moti di un rigido con un punto fisso 145

11.1. Le equazioni di Eulero 145

11.2. Moti per inerzia 147

11.3. Moti polari con attrito 152

(7)

INDICE vii

11.4. Le equazioni delle poloidi 154

Capitolo 12. Applicazioni delle equazioni di Lagrange 157

12.1. Moti in campi centrali 157

Parte 4. Appendici 161

Appendice A. Algebra lineare 163

A.1. Prodotti tra vettori 163

A.2. Cambiamenti di base 164

A.3. Angoli e perpendicolarità 168

A.4. Forme quadratiche 169

Appendice B. Simboli e notazione usati nel testo 171

B.1. Simboli usati nel testo 171

Appendice C. Soluzioni degli esercizi 173

Parte 5. Indici 175

Indice analitico 177

(8)
(9)

Parte 1

Cenni alla stabilità dell’equilibrio

(10)
(11)

CAPITOLO 1

Equazioni differenziali

Notazione 1.1. I vettori in questo capitolo vanno intesi sempre come vet- tori colonna, anche quando vengano per comodità tipografica denotati

come vettori riga. 

1.1. Esistenza, unicità e dipendenza continua.

Consideriamo un sistema di equazioni differenziali ordinarie (e.d.o.)

˙y= F(y, t), (1.1)

ove

FC(×I), (1.2)

è un aperto di RN, I è un intervallo aperto di R. Supporremo sempre che valga la condizione di Lipschitz

|F(y1, t)−F(y2, t)| ≤CK|y1y2|, (1.3) per ogni scelta di (yi, t)∈K×I, per una costante fissata CK >0, per ogni K⊂arbitrario insieme compatto.

In particolare considereremo il problema di Cauchy per (1.1):

˙y=F(y, t), (1.4)

y(t0) =y0. (1.5)

Ricordiamo la definizione di soluzione di (1.4)–(1.5).

Definizione 1.2. Una funzione

ϕ: J → RN, t0JI, ϕ(J)⊂, ϕC1(J), (1.6) ove J è un intervallo, si dice soluzione di (1.4)–(1.5) se valgono

˙ϕ(t) =F(ϕ(t), t), t∈ J, (1.7)

ϕ(t0) =y0. (1.8)

 Definizione 1.3. Una soluzione di (1.4)–(1.5), definita su un intervallo J, si dice massimale se ogni altra soluzione di (1.4)–(1.5) ha intervallo di

definizione contenuto in J. 

Metodo 1.4. (Riduzione di un sistema del secondo ordine al primo) Considereremo anche sistemi del secondo ordine

¨z= f(z, ˙z, t), (1.9)

3

(12)

4 DANIELE ANDREUCCI

e i relativi problemi ai valori iniziali

¨z= f(z, ˙z, t), (1.10)

z(t0) =z0, (1.11)

˙z(t0) = ˙z0. (1.12)

In molti casi sarà possibile limitarsi a trattare in modo esplicito solo il caso del sistema del primo ordine, perché il sistema del secondo ordine si riduce a quello del primo con il cambiamento di variabili

y:= (z, ˙z)∈ R2N, (1.13) e introducendo la nuova funzione costitutiva

F(y, t):=y2, f(y1, y2, t), (1.14) ove si denota

y= (y1, y2), y1, y2RN. (1.15) In questo modo il problema (1.10)–(1.12) si riduce a

˙y=F(y, t), (1.16)

y(t0) = (z0, ˙z0). (1.17) Nel seguito, le definizioni si intendono estese a sistemi del secondo ordine in quanto si applicano ai sistemi del primo ordine cui essi si riducono con

la trasformazione (1.13), (1.14). 

Definizione 1.5. Si dice che la soluzione di (1.4)–(1.5) dipende con continuità dai dati iniziali se, fissati ad arbitrio un intervallo limitato (α, β) ove la soluzione ϕ è definita, e un ε >0, esiste un δ>0 tale che se |y0y¯0| < δ e|t0¯t0| <δ, allora la soluzione ¯ϕ di

˙¯ϕ= F(¯ϕ, t), ¯ϕ(¯t0) =y¯0, (1.18) è definita almeno in(α+ε, βε)e soddisfa

|ϕ(t)− ¯ϕ(t)| <ε, α+ε< t< βε. (1.19)

 Riportiamo senza dimostrazione il seguente classico

Teorema 1.6. Sotto le ipotesi (1.2), (1.3), il problema (1.4)–(1.5) ha una unica soluzione massimale ϕ.

Tale soluzione dipende con continuità dai dati iniziali.

Il suo intervallo di definizione J = (α, β) è aperto. Se β < sup I allora deve valere una delle due affermazioni:

(1) dist(ϕ(t), ∂Ω)→0 per tβ; (2) |ϕ(t)| → +∞ per tβ. Un risultato simmetrico vale in α.

In particolare J = I se la F è lineare in y.

Definizione 1.7. Il sistema (1.1) si dice autonomo se F non dipende da

t. 

(13)

1.1. ESISTENZA, UNICITÀ E DIPENDENZA CONTINUA. 5

Osservazione 1.8. Il valore di t0nella formulazione del problema ai valori iniziali (1.4)–(1.5) è in sostanza ininfluente, se il sistema è autonomo. Infatti, la soluzione ¯ϕ di

˙¯ϕ=F(¯ϕ), ¯ϕ(¯t0) =y0 (1.20) è data da

¯ϕ(t) =ϕ(t− ¯t0+t0), t∈ J−t0+ ¯t0,

ove ϕ è la soluzione di (1.4)–(1.5). 

Osservazione 1.9. In particolare, se la soluzione ϕ del problema ai valori iniziali (1.4)–(1.5), che supponiamo autonomo, soddisfa per un T >0

ϕ(T+t0) =ϕ(t0),

segue dall’Osservazione1.8, e dall’unicità di soluzioni, che ϕ(T+t) =ϕ(t), t∈ R,

ossia che ϕ è periodica con periodo T. 

Esempio 1.10. Consideriamo il sistema di e.d.o.

˙x1= x2,

˙x2= −x1. (1.21)

con la condizione iniziale

x1(0) = x10, x2(0) =x20. (1.22) Esso può essere risolto per sostituzione, derivando la prima equazione e poi sostituendo la seconda:

¨x1= ˙x2 =−x1.

Si ottiene quindi un problema di Cauchy per una e.d.o. lineare di secon- do ordine per x1, che si può risolvere facilmente tenendo presenti i valori iniziali prescritti; si noti infatti che le (1.22) insieme al sistema stesso impli- cano che ˙x1(0) =x20. Poi usando la prima equazione delle (1.21) si ottiene x2:

x1(t) =x10cos t+x20sin t , (1.23) x2(t) =−x10sin t+x20cos t . (1.24) Da qui segue subito la periodicità della soluzione.

Vale la pena di fare la seguente osservazione: moltiplicando la prima delle (1.21) per x1 e la seconda per x2 e poi sommandole membro a membro si ottiene

x1˙x1+x2˙x2=0 , da cui

x21+x22= x210+x220,

il che implica che l’immagine della funzione (x1, x2) giace su una cir- conferenza, ossia una curva chiusa. Tuttavia questo argomento da so- lo non implica che essa coincida con la circonferenza: potrebbe esserne un arco aperto. Dunque neppure implica la periodicità (si veda anche il

Teorema1.33). 

(14)

6 DANIELE ANDREUCCI

1.2. Punti di equilibrio

Definizione 1.11. Un punto yeq si dice di equilibrio per il sistema autonomo

˙y=F(y), (1.25)

se e solo se

F(yeq) =0 . (1.26)

 Osservazione 1.12. La Definizione 1.11è motivata dal fatto che, se yeq è di equilibrio, il problema di Cauchy (1.25), (1.5) ha come soluzione quella costante

ϕ(t) =yeq, t∈ R. (1.27)

Questa soluzione è l’unica (massimale) sotto le ipotesi del Teorema1.6.  Il comportamento di un sistema autonomo intorno a un punto di equili- brio è piuttosto diverso da quello intorno ad altri punti, come mostrano i due Lemmi seguenti, che verranno usati nella Sezione1.5.

Lemma 1.13. Se ϕ è una soluzione del sistema autonomo (1.25), definita su (α, β), e

tlimβϕ(t) =yeq, ϕ(t)6=yeq per qualche t, (1.28) allora β =∞.

Dimostrazione. Se per assurdo fosse β < ∞, potremmo definire la fun- zione

¯ϕ(t) =

(ϕ(t), α< t< β, yeq, βt <∞.

È facile verificare che ¯ϕ è una soluzione di classe C1((α, ∞))del problema

˙y= F(y), y(β) =yeq,

mentre per il teorema di unicità di soluzioni, l’unica soluzione deve essere

quella costante. 

Lemma 1.14. Se ϕ è una soluzione del sistema autonomo (1.25), definita almeno su (α, β), e

tlimβϕ(t) =y0, F(y0)6=0 , (1.29) allora β <∞. Inoltre se ϕ è massimale risulta definita anche in β e y0=ϕ(β). Dimostrazione. Poiché Fi(y0)6=0 per almeno una componente di F(y0), segue che

tlimβ ˙ϕi(t) =αi :=Fi(y0)6=0 . Quindi, assumendo per esempio che αi >0, si ha

ϕi(t)−ϕi(¯t) =

Zt

¯t

˙ϕi(τ)α2i(t−¯t),

per ogni t > ¯t, se ¯t è opportuno. Questo evidentemente conduce a un assurdo se β=∞.

(15)

1.2. PUNTI DI EQUILIBRIO 7

A questo punto ragionando come nella dimostrazione del Lemma 1.13si può vedere che se ϕ non fosse definita in β, si contraddirebbe il Teorema di esistenza e unicità di soluzioni al problema di Cauchy.  Definizione 1.15. Il punto di equilibrio yeqsi dice stabile se:

per ogni ε >0 esiste un δ>0 tale che, se

|y0yeq| <δ,

allora l’unica soluzione massimale di (1.25), (1.5), risulta definita (almeno) su[t0, ∞), e soddisfa

ϕ(t)−yeq

<ε, t0 <t< ∞. (1.30) Altrimenti, il punto di equilibrio si dice instabile. 

≀≀

Definizione 1.16. Un punto di equilibrio si dice asintoticamente stabile se è stabile, e se inoltre esiste un σ > 0 tale che se |y0yeq| < σ allora la soluzione di (1.25), (1.5) soddisfa

tlimϕ(t) =yeq. (1.31)

 Osservazione 1.17. La definizione di equilibrio asintotico richiede quin- di che la soluzione ϕ si avvicini per tempi grandi al punto di equilibrio;

questo esclude che il moto possa essere periodico. L’equilibrio asintotico è spesso collegato a fenomeni dissipativi come l’attrito.  Un collegamento interessante tra equilibrio stabile ed equilibrio asintotico è dato dal seguente risultato.

Proposizione 1.18. Sia yequn punto di equilibrio stabile, e sia ϕ una soluzione di(1.25) che abbia yeq come punto di accumulazione, ossia tale che

ϕ(tn)→yeq, n→, (1.32) per una successione tn∞. Allora tutta la soluzione converge a yeq, ossia

tlimϕ(t) =yeq. (1.33) Dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che per ogni ε >0 esiste un ¯t tale che ϕ(t)−yeq

ε, t¯t.

Basta scegliere, per la Definizione 1.15, ¯t=tn, con n scelto in modo che

ϕ(tn)−yeq

<δ,

ove δ > 0 è appunto scelto in corrispondenza di ε in modo che valga la

(1.30). 

(16)

8 DANIELE ANDREUCCI

1.3. I teoremi di stabilità di Liapunov Consideriamo in questa Sezione il sistema

˙y=F(y), F(yeq) =0 . (1.34) Definizione 1.19. Una funzione W a valori reali si dice funzione di Liapunov per (1.34) in yeq, se valgono, per una sfera aperta B ⊂RN di centro yeq:

(1) W∈C(B)∩C1(B\ {yeq});

(2) W(y) >0 per y∈ B\ {yeq}; W(yeq) =0;

(3) ∇W(yF(y)≤0 per yB\ {yeq}.

 Osservazione 1.20. In sostanza quindi la funzione di Liapunov è una fun- zione con un minimo isolato in yeq, e che non cresce lungo le soluzioni ϕ del sistema autonomo:

d

dtW ϕ(t)= ∇W ϕ(t)·F ϕ(t)0 . (1.35) La (1.35) è la conseguenza della terza proprietà nella Definizione1.19che viene davvero usata, e che potrebbe perciò sostituirla nella definizione

stessa. 

Teorema 1.21. (Liapunov) Se il sistema (1.34) ammette una funzione di Liapunov in yeq, allora yeqè un punto di equilibrio stabile.

Dimostrazione. Fissiamo ε>0; possiamo supporre che

Bε(yeq)⊂ B. (1.36)

Dobbiamo dimostrare che esiste un δ >0 che soddisfi la Definizione1.15.

Definiamo

m= min

∂Bε(yeq)W >0 .

Per la continuità di W in yeq, possiamo trovare un δ>0 tale che 0≤W(y)≤ m2 , yyeq

δ.

Questo è il δ che soddisfa la (1.15): se|y0yeq| <δ, deve valere

ϕ(t)−yeq < ε, t>t0. Infatti se invece fosse per qualche ¯t>t0

ϕ(¯t)−yeq

=ε,

per definizione di m, e per l’Osservazione1.20si avrebbe m≤W ϕ(¯t)W ϕ(t0)=W(y0)≤ m2 ,

assurdo. 

(17)

1.3. I TEOREMI DI STABILITÀ DI LIAPUNOV 9

Teorema 1.22. Se il sistema (1.34) ammette una funzione di Liapunov in yeq, e se inoltre

W(yF(y) <0 , yB\ {yeq}, (1.37) allora yeqè un punto di equilibrio asintoticamente stabile.

Dimostrazione. La stabilità di yeq segue dal Teorema1.21.

Dimostriamo che vale anche la (1.31), per σ = δ, con δ scelto come nella definizione di stabilità, in corrispondenza di un ε > 0 qualunque tale che valga la (1.36). Sia dunque ϕ una soluzione che soddisfa

ϕ(t0)−yeq <σ. Dobbiamo dimostrare che

tlimϕ(t) =yeq. (1.38) Se vale ϕ(tn)→yeq per una successione tn, allora per la Proposizio- ne 1.18, vale anche la (1.38).

Nel caso contrario, la curva {ϕ(t)}, per t≥ t0, sarebbe separata da yeq da una distanza positiva η, cioè

ϕ(t)∈K:=Bε(yeq)\Bη(yeq), t ≥t0. (1.39) Poiché K è un compatto, e la funzione∇W·F è continua in K, ammette- rebbe un massimo

maxyKW(yF(y) =−γ<0 , per la (1.37). Dunque si avrebbe per ogni t>t0

W ϕ(t)W ϕ(t0)=

Zt t0

dW ϕ(τ)

=

Zt t0

W ϕ(t0)·F(ϕ(t0)≤ −γ(t−t0)→ −, per t → . Questo conduce all’assurdo ricercato e conclude la dimostra-

zione. 

Il risultato seguente, di dimostrazione meno immediata, garantisce però l’asintotica stabilità sotto ipotesi più generali di quelle del Teorema1.22.

Teorema 1.23. Assumiamo che il sistema (1.34) ammetta una funzione di Lia- punov W in yeq, che sia strettamente decrescente su tutte le soluzioni contenute in B, diverse dalla costante yeq; ossia assumiamo che per ϕ6=yeq

W ϕ(t1) >W ϕ(t2), per ogni t1 <t2. (1.40) Allora yeq è un punto di equilibrio asintoticamente stabile.

(18)

10 DANIELE ANDREUCCI

Dimostrazione. Intanto si possono svolgere le medesime considerazioni già viste all’ini- zio della Dimostrazione del Teorema1.22, fino alla (1.39).

Dimostreremo che la (1.39) conduce a un assurdo. Infatti, in questo caso la curva{ϕ(t)} ha un punto di accumulazione ¯y, con

η ¯yyeq ε.

Sia tnuna successione tale che ϕ(tn) ¯y. Per il Teorema1.6di dipendenza continua dai dati iniziali, la successione di funzioni ϕ(· +tn)converge alla soluzione ¯ϕ di

˙y=F(y), y(0) = ¯y ,

su un intervallo opportuno [0, s]. Si noti che, per l’ipotesi che W sia strettamente decre- scente sulle soluzioni,

W ¯ϕ(s)<W ¯ϕ(0)=W(¯y). (1.41) In particolare quindi, per ¯n opportuno e fissato, e per ogni t >s+t¯n, si avrà anche, per continuità, e di nuovo per l’ipotesi di stretta monotonia,

W ϕ(t)<W ϕ(s+t¯n)<W(¯y), (1.42) e quindi

W(¯y) = lim

n→∞W ϕ(tn)W ϕ(s+t¯n)<W(¯y),

assurdo. 

1.4. Il caso dei sistemi di secondo ordine

Consideriamo in questa Sezione un sistema del secondo ordine, come nel Metodo1.4, però autonomo:

¨z= f(z, ˙z), (1.43)

z(t0) =z0, (1.44)

˙z(t0) = ˙z0. (1.45)

Come già mostrato, mediante la trasformazione di variabili

y= (y1, y2):= (z, ˙z)∈ R2N, (1.46) questo problema può essere trasformato nel problema del primo ordine

˙y=F(y):=y2, f(y1, y2), (1.47) y(t0) = (z0, ˙z0). (1.48) Quindi un punto di equilibrio zeqRN per (1.43) corrisponde al pun- to (zeq, 0) ∈ R2N di equilibrio per (1.47). Riportiamo per convenienza le definizioni di equilibrio stabile e asintoticamente stabile tradotte nella terminologia dei sistemi del secondo ordine.

Definizione 1.24. Il punto di equilibrio zeq si dice stabile se:

per ogni ε >0 esiste un δ>0 tale che, se

z0zeq +|˙z0| <δ, (1.49) allora l’unica soluzione massimale ψ di (1.43)–(1.45), risulta definita (al- meno) su[t0, ∞), e soddisfa

|ψ(t)−zeq| + |˙ψ(t)| <ε, t0 <t <∞. (1.50) Altrimenti, il punto di equilibrio si dice instabile. 

(19)

1.4. IL CASO DEI SISTEMI DI SECONDO ORDINE 11

Definizione 1.25. Un punto di equilibrio si dice asintoticamente stabile se è stabile, e se inoltre esiste un σ >0 tale che se

z0zeq +|˙z0| <σ, (1.51) allora la soluzione ψ di (1.43)–(1.45) soddisfa

tlimψ(t) =zeq, lim

t ˙ψ(t) =0 . (1.52)

 Teorema 1.26. (Dirichlet) Supponiamo che f non dipenda da ˙z, e che per y11RN aperto,

f(y1) =∇U(y1), (1.53) ove U ∈ C1(1). Supponiamo anche che U abbia un massimo isolato in zeq1. Allora zeqè un punto di equilibrio stabile per(1.43).

Dimostrazione. È chiaro che zeq è un punto di equilibrio, perché f(zeq) =∇U(zeq) =0 .

Dimostriamo poi che

W(y1, y2) =−U(y1) +U(zeq) + 1

2|y2|2, (1.54) è una funzione di Liapunov in zeq. Le richieste di regolarità e positività sono soddisfatte per y1B1, B sfera opportuna, per le ipotesi su U:

W(y1, y2)≥ 12|y2|2>0 , y

26=0 , W(y1, y2)≥ −U(y1) +U(zeq) >0 , y1 6=zeq. Infine

W(yF(y) =− ∇U(y1y2+y2· f(y1) =0 ,

per l’ipotesi (1.53). 

Osservazione 1.27. Il precedente teorema verrà applicato allo studio della stabilità di sistemi meccanici sottoposti a forze conservative, ossia espresse dal gradiente di un potenziale scalare, come in (1.53).  Controesempio 1.28. Nel Teorema1.26l’ipotesi che il punto di massimo per U sia isolato è necessaria, nel senso che non può essere rimossa. È fa- cile costruire un controesempio: basta considerare il caso di un potenziale identicamente uguale al suo valore massimo in un intorno di zeq.  Esempio 1.29. Nel Teorema 1.26 l’ipotesi che il punto di massimo per U sia isolato è necessaria, ma non insostituibile, come ora mostreremo. Si definisca

U(x) =−x6sin2 1x, x6=0 , U(0) =0 . Ovviamente U è continua in R. Poiché poi

U(x) =−6x5sin21

x +x4sin2

x , x6=0 ,

si ha U(x) → 0 per x → 0 e dunque, come è noto, U ∈ C1(R) con U(0) =0. Nello stesso modo si verifica che U∈ C2(R).

(20)

12 DANIELE ANDREUCCI

Per la e.d.o.

¨x=U(x) (1.55)

valgono dunque tutti gli usuali risultati richiamati nella Sezione 1.1.

Dato che U(x)≤0 per ogni x∈ R, x=0 è un punto di massimo assoluto.

Tuttavia non è isolato perché si ha per esempio U(±xn) =0 , xn= 1

, n≥1 , (1.56)

e xn → 0. Pertanto il Teorema1.26non si può applicare. Tuttavia x =0 è davvero un punto di equilibrio stabile per (1.55).

Definiamo infatti

W(x1, x2) = 1

2x22−U(x1)≥ |U(x1)|. Allora se ψ è una soluzione di (1.55)

d

dtW(ψ(t), ˙ψ(t)) = ˙ψ(t)ψ¨(t)− ˙ψ(t)U(ψ(t)) =0 .

Fissiamo ε > 0. Si noti che può essere U(ε) = 0 (vedere la (1.56)), ma certamente esiste ε/2< ¯x<ε con

0< m:=|U(¯x)| = |U(−¯x)|. Scegliamo quindi δ>0 tale che δ<min(ε/2,

m)e

|U(x1)| ≤ m2 , per ogni|x1| <δ.

Sia dunque

|ψ(0)| + | ˙ψ(0)| <δ,

e per assurdo valga|ψ(˜t)| =εper qualche ˜t>0. Allora si avrebbe|ψ(¯t)| =

¯x per qualche 0< ¯t< ˜t e

m= |U(ψ(¯t))| ≤W(ψ(¯t)) =W(ψ(0))≤ δ

2

2 +m 2 <m,

assurdo. 

Teorema 1.30. Supponiamo che per(y1, y2)∈1×2R2N aperto, f(y1, y2) =∇U(y1) +a(y2), (1.57) ove U ∈ C1(1), aC1(2). Supponiamo anche che U abbia un unico punto critico zeq1, e che esso sia un massimo isolato. Inoltre sia0∈2, e valga

a(y2y2<0 , y26=0 . (1.58) Allora zeq è un punto di equilibrio asintoticamente stabile per(1.43).

Dimostrazione. Il punto zeq è l’unico punto di equilibrio in Ω1; infatti da (1.58) segue subito che

a(0) =0 .

Per il Teorema 1.23, basterà dimostrare che la funzione W definita in (1.54) è una funzione di Liapunov, strettamente decrescente sulle soluzioni diverse dall’equilibrio.

(21)

1.5. RAPPRESENTAZIONI NEL PIANO DELLE FASI 13

La regolarità e positività della W si dimostrano come nel Teorema 1.26.

Inoltre d

dtW ψ(t), ˙ψ(t)=− ∇U ψ(t)· ˙ψ(t) + ˙ψ(t)· ¨ψ(t)

= ˙ψ(t)·a ˙ψ(t)<0 ,

(1.59) ove nell’ultima disuguaglianza abbiamo assunto ˙ψ(t)6=0.

Dunque, per t1< t2 possiamo scrivere

W ψ(t2), ˙ψ(t2)W ψ(t1), ˙ψ(t1)=

t2

Z

t1

˙ψ(t)·a ˙ψ(t)dt .

Pertanto, se nell’intervallo [t1, t2] esiste almeno un t tale che ˙ψ(t) 6= 0, la (1.40) resta dimostrata. Se viceversa, su tale intervallo la ˙ψ(t) si annulla identicamente, questo implica che per t1<t <t2

ψ(t) = ¯z , ¨ψ(t) = f(¯z, 0) =0 .

Questo però implica che ¯z =zeq, ossia che l’unica soluzione su cui W non è strettamente decrescente è l’unico equilibrio.

Abbiamo verificato quindi tutte le ipotesi del Teorema 1.23, e ne segue

l’asintotica stabilità. 

Osservazione 1.31. Nelle applicazioni meccaniche, ove N = 3, il termine ain (1.57) è dovuto all’attrito e prende la forma

a(y2) =− ∇ R(y2), R(x1, x2, x3) =

3

h=1

αhx2h, αh>0 . (1.60)

La funzioneR si dice funzione di Rayleigh. 

1.5. Rappresentazioni nel piano delle fasi Definizione 1.32. La curva

{ϕ(t)|t∈ J} ⊂RN,

ove ϕ è una soluzione massimale di (1.4) definita nell’intervallo J, si dice

orbita del sistema differenziale. 

Noi saremo interessati soprattutto al caso dei sistemi differenziali autono- mi

˙y= F(y). (1.61)

Teorema 1.33. Se un’orbita del sistema autonomo (1.61) si autointerseca, cioè se ϕ(t1) =ϕ(t2)

per due diversi istanti t1, t2 ∈ J, allora corrisponde a una soluzione periodica.

Dimostrazione. Basta prendere nell’Osservazione 1.9 t0= t1, T= t2t1,

se per esempio t2 >t1. 

Teorema 1.34. Se due orbite del sistema autonomo (1.61) si intersecano, allora coincidono.

(22)

14 DANIELE ANDREUCCI

Dimostrazione. Siano ϕ1 e ϕ2 le due soluzioni corrispondenti alle due orbite γ1e γ2che si intersecano nel punto

ϕ1(t1) =ϕ2(t2). Per l’Osservazione1.8, le due funzioni

t7→ϕ1(t), t7→ϕ2(t+t2−t1),

sono soluzioni dello stesso problema di Cauchy, con istante iniziale t1 e dato iniziale ϕ1(t1). Dunque, per il teorema di unicità di soluzioni si ha

ϕ1(t) =ϕ2(t+t2t1),

per ogni t nel comune intervallo di definizione. Quindi, visto che ϕ1 è massimale, si ha γ2γ1.

Ragionando in modo simmetrico si conclude γ1γ2 e si conclude la

dimostrazione. 

Nel caso di sistemi differenziali con due incognite scalari, ossia nel caso in cui N =2 nella notazione precedente, l’orbita è una curva piana.

In questo caso si ricade partendo da un’equazione autonoma del secondo ordine

m ¨x=F(x), (1.62)

e riconducendola a un sistema del primo ordine, come nel Metodo1.4. In questo contesto, è tradizionale indicare le coordinate cartesiane nel piano in cui si tracciano le orbite con (x, p), con p che corrisponde a ˙x. Questo piano viene detto piano delle fasi, e il diagramma delle orbite in esso ritratto di fase; spesso dalla sua osservazione si trae un’idea intuitivamente chiara del comportamento delle soluzioni del sistema.

In particolare, definiamo il potenziale U(x) =

Zx x0

F(s)ds , ove x0 è fissato ad arbitrio nel dominio della F.

Proposizione 1.35. Se ϕ è una soluzione di (1.62), la funzione E(t):=−U ϕ(t)+ 1

2m ˙ϕ(t)2 (1.63) si mantiene costante nell’intervallo di definizione di ϕ.

La E si dice energia.

Dimostrazione. Deriviamo in t

E(˙ t) =−U ϕ(t)˙ϕ(t) +m ˙ϕ(t)¨ϕ(t) = ˙ϕ(t)hm ¨ϕ(t)−F ϕ(t)i=0 .

 Per la Proposizione1.35, sulle orbite di (1.62) deve valere

U(x) + 1

2mp2 =E, (1.64)

(23)

1.5. RAPPRESENTAZIONI NEL PIANO DELLE FASI 15

ove E indica il valore costante assunto da E sull’orbita in questione. Si noti che tale valore varia al variare dell’orbita. Risolvendo la (1.64) in p si ottiene

p=± r2

m

E+U(x). (1.65)

π π

x p

Figura 1.1. Le orbite di 2 ¨x = −sin x. Sono disegnate le orbite corrispondenti a E = 0.5, E= 1, E = 2, e i punti di equilibrio stabili e instabili.

L’ambiguità di segno nella (1.65) merita una discussione. Sia dunque (x0, p0) un punto del piano per cui passa un’orbita γ. Questa è unica per il Teorema1.34. Si hanno i casi seguenti:

• p0>0: in questo caso γ è contenuta, almeno in un intorno di(x0, p0) nel semipiano p > 0, e quindi nella (1.65) va preso il segno positivo, almeno in questo intorno. Tale scelta va mantenuta nell’intervallo ove il termine all’interno della radice in (1.65) si mantiene positivo.

p0<0: caso simmetrico del precedente: qui va scelto il segno negati- vo, in tutto l’intervallo ove il termine all’interno della radice in (1.65) si mantiene positivo.

p0=0

F(x0) = 0: l’orbita corrisponde a un punto di equilibrio per il sistema, e coincide quindi con il punto{(x0, 0)}.

F(x0) 6= 0: l’orbita passa per il punto{(x0, 0)}, ma ha un ramo in p > 0, e uno in p < 0, che si ottengono prendendo i segni opportuni in (1.65).

La quantità −U si dice energia potenziale; il dominio di definizione di un’orbita corrispondente al livello di energia E coincide dunque con un intervallo massimale su cui l’energia potenziale è minore o uguale a E.

Osservazione 1.36. I punti di equilibrio corrispondono a orbite degeneri, cioè puntiformi, nel piano (x, p). Sia (x0, 0) una di queste. Se un’altra

(24)

16 DANIELE ANDREUCCI

orbita(ϕ, ˙ϕ)soddisfa

(ϕ(t), ˙ϕ(t))→ (x, p), t→ β, allora β =, o β=−, per il Lemma1.13.

È chiaro che se esiste un orbita che si allontana da(x0, 0)il punto non può

essere di equilibrio stabile. 

Osservazione 1.37. I Lemmi 1.13e1.14implicano che due curve date da grafici delle funzioni in (1.65), se la loro unione è connessa, fanno parte in realtà della stessa orbita, con l’unica eccezione delle curve (degeneri)

costituite da punti di equilibrio. 

Esempio 1.38. Tracciare il diagramma delle orbite relative al potenziale U(x) =ax3ebx, x∈ R.

Qui a, b > 0 sono assegnati. Conviene tracciare intanto il grafico dell’e- nergia potenziale, vedi la Figura 1.2. I punti critici dell’energia potenziale corrispondono a punti di equilibrio. In questo caso ne abbiamo due:

x =0 , x′′ = 3 b.

In corrispondenza di essi possiamo tracciare nel piano delle fasi due orbite degeneri (cioè due punti).

Le altre orbite si trovano fissando il corrispondente livello di energia E, in modo che l’intervallo ove −UE non sia vuoto, e quindi ricavandone il grafico mediante la (1.65). Nel nostro caso il livello minimo di energia ammissibile è E = min(−U), che corrisponde al punto critico x′′. Altre possibili scelte sono indicate in Figura1.2.

L’orbita corrispondente al livello E1 è chiusa e quindi periodica per i ri- sultati discussi sopra. In tal senso simili ad essa sono tutte le orbite con E0 < E < E2; questa proprietà geometrica implica che x′′ è di equilibrio stabile. Questo si può anche dedurre dal fatto che x′′ è un punto di mas- simo isolato per il potenziale.

Le orbite corrispondenti a E = E2 = 0 sono tre: il punto di equilibrio x = 0, e due orbite aperte, quella superiore che si allontana da esso per t crescente, e quella inferiore che invece tende a esso per t→ +(si ricordi l’Osservazione 1.37). Questo implica in particolare che x è di equilibrio instabile.

Infine tutte le orbite con E > E2 sono simili al caso E3, e corrispondono a

moti non periodici. 

Alcune proprietà cinematiche del moto sono esprimibili in termini delle proprietà geometriche delle orbite nel piano delle fasi. Per esempio vale il seguente risultato.

Teorema 1.39. Sia ϕ una soluzione di (1.62), tale che ˙ϕ > 0 nell’intervallo [t1, t2]. Allora, se ϕ(ti) =xi, vale

t2t1 =

x2

Z

x1

q 1

2 m

E+U(x) dx .

(1.66)

(25)

1.5. RAPPRESENTAZIONI NEL PIANO DELLE FASI 17

−U

x x′′

x

E0

E1

E3

p

x E1

E2

E2

E3

E0

Figura 1.2. Il caso dell’Esempio1.38. Il livello E2 =0 non è tracciato nella parte superiore della figura per motivi di leggibilità.

Si noti che in corrispondenza di questo livello esistono tre orbite: le due indicate nella parte inferiore, e il punto di equilibrio x =0, instabile.

L’altro punto di equilibrio in x′′ è stabile.

Dimostrazione. In un intervallo di tempi in cui ˙ϕ>0 la funzione ϕ(t)è invertibile, ossia si può scrivere

t=τ(x), con

dx(x) = 1

˙ϕ(τ(x)) = q 1

2 m

E+U(x) .

La (1.66) segue subito integrando su(x1, x2).  Nel caso ˙ϕ <0 vale un risultato simmetrico a (1.66). In particolare il perio- do relativo a un’orbita periodica (come quella con energia E1in Figura1.2)

(26)

18 DANIELE ANDREUCCI

sarà dato da

2

xZmax

xmin

q 1

2 m

E+U(x) dx ,

ove [xmin, xmax] è l’intervallo massimale su cui è definita l’orbita (intesa come funzione p(x)data dalla (1.65)).

(27)

Parte 2

Cinematica: descrizione del moto

(28)
(29)

CAPITOLO 2

Cambiamento di sistemi di riferimento

2.1. Moto, velocità, accelerazione.

Definizione 2.1. Una funzione X : IR3, XC2(I)si dice moto. La velocità v e l’accelerazione a sono definite da

v(t) = dX

dt (t), a(t) = d

2X dt2 (t).

 Osservazione 2.2. Per estensione si dice moto unidimensionale una funzio- ne scalare x ∈ C2(I). Un moto quindi ha come componenti (scalari) tre moti unidimensionali, e viceversa, è detto moto composto dei tre. Si noti che talvolta l’espressione moto unidimensionale, o rettilineo, si riferisce invece a un moto XR3 che però assume valori su una retta fissata, così come moto bidimensionale, o piano, si riferisce a un moto che assume valori su

un piano fissato. 

Esempio 2.3. 1) Moto stazionario, o quiete. In questo caso la funzione X è costante:

X(t) =X0R3, tI. Dunque velocità e accelerazione si annullano.

Si vede facilmente, per integrazione, che se la velocità è identicamente nulla il moto è stazionario.

2) Moto rettilineo uniforme. È il caso in cui la velocità è costante; il moto avviene su una retta:

X(t) =X0+v0t, t∈ I, ove X0, v0R3.

Se l’accelerazione è identicamente nulla il moto è rettilineo uniforme.

3) Moto circolare. Siano x0, x1 due versori ortogonali di R3, e r0R3, R>0, ϕC2(I). Allora il moto

X(t) =r0+Rcos ϕ(t)x0+Rsin ϕ(t)x1, t∈ I,

descrive una parte della circonferenza di centro r0 giacente sul piano pas- sante per r0 di normale x0×x1. In particolare se ˙ϕ è costante il moto si dice circolare uniforme. Si ottiene subito, per derivazione, che

v= R ˙ϕ[−sin ϕx0+cos ϕx1],

a= R ¨ϕ[−sin ϕx0+cos ϕx1]−R ˙ϕ2[cos ϕx0+sin ϕx1].

Perciò l’accelerazione è diretta verso il centro solo negli istanti in cui

¨ϕ(t) =0, e in particolare sempre in un moto circolare uniforme, nel quale

la norma di v rimane costante 

21

(30)

22 DANIELE ANDREUCCI

Metodo 2.4. È chiaro che se l’accelerazione aC(I)è nota come funzione del tempo la velocità si può trovare mediante integrazione diretta

v(t) =v(t0) +

Zt t0

a(τ)dτ , t∈ I, (2.1) ammesso che sia nota anche la velocità all’istante t0 ∈ I. Se poi è noto anche X(t0), si ricava il moto da

X(t) =X(t0) +

Zt t0

v(τ)dτ , t∈ I. (2.2)

 Osservazione 2.5. Le definizioni sopra, e del resto tutti i calcoli relativi agli esempi, possono essere formulati in termini di componenti dei vettori in una base ortonormale arbitraria. In questo spirito, scrivendo

X(t) =

3

i=1

xi(t)ei, la (2.2) può essere scritta come

xi(t) = xi(t0) +

Zt t0

˙xi(τ)dτ , t∈ I,

per i =1, 2, 3. 

Definizione 2.6. Un moto si dice armonico se soddisfa la e.d.o.

¨X+α2X=0 , (2.3)

ove la costante α/2π >0 si dice frequenza del moto.  Esempio 2.7. Dimostriamo che un moto armonico è piano.

Un piano ha equazione(xx0n=0, ove x0è un punto fissato sul piano e n è la normale. Nel nostro caso è immediata la scelta x0 = X(0). Poi osserviamo che la velocità del moto e anche la sua accelerazione devono essere ortogonali a n (questo segue dalla loro definizione, lo si verifichi).

Definiamo quindi

n= ˙X(0)× ¨X(0)

L =−α2 ˙X(0)×X(0)

L ,

ove assumiamo L = ˙X(0)× ¨X(0) > 0; il caso L = 0, in cui il moto è rettilineo, è lasciato al lettore. Deriviamo

d

dt[˙X(t)×X(t)] = ¨X(t)×X(t) + ˙X(t)× ˙X(t) =−α2X(t)×X(t) =0 . Perciò ˙X(t)×X(t)è costante nel tempo. Dunque, usando questa proprie- tà, per ogni tempo t si ha

[X(t)−X(0)]· [˙X(0)×X(0)] =X(t)· [˙X(t)×X(t)]

X(0)· [˙X(0)×X(0)] =0 .



(31)

2.2. CAMBIAMENTI DI BASE DIPENDENTI DAL TEMPO 23

Osservazione 2.8. Anche una soluzione dell’equazione scalare

¨x+α2x=0 (2.4)

si dice moto armonico unidimensionale. È chiaro che le componenti di un moto armonico sono moti armonici unidimensionali; il viceversa è vero se e solo se i tre moti armonici unidimensionali hanno la stessa frequenza (a parte il caso banale di un moto unidimensionale di quiete per cui la

frequenza non è ben definita). 

Osservazione 2.9. Nel caso che di tre moti unidimensionali uno sia di quiete e gli altri due armonici, ma di frequenza diversa, il moto compo- sto risultante (che è naturalmente piano) non è armonico, ma è tuttavia periodico se e solo se le due costanti α1, α2soddisfano

α1

α2Q.

In questo caso la traiettoria del moto composto si dice figura di Lissajous.

 Notazione 2.10. Talvolta il moto X verrà indicato anche con XPo con−→ΩP, se, intendendo R3 come spazio affine, si ha Ω+X = P, ove indichiamo con Ω l’origine di R3. Come ulteriore semplificazione, quando questo non dia luogo ad ambiguità, indicheremo tale moto anche con P.

In questo spirito, una notazione come −→

OP va intesa indicare la funzione

vettoriale XPXO. 

2.2. Cambiamenti di base dipendenti dal tempo

Definizione 2.11. Si dice terna (di riferimento) mobile nell’intervallo I ⊂ R una terna ordinataM = (u1, u2, u3)con

ui : I →R3, uiC1(I), e tale che

(u1(t), u2(t), u3(t))

sia una base ortonormale in R3per ogni fissato t∈ I.  Osservazione 2.12. Ciascuna delle funzioni vettoriali ui potrebbe essere vista come un moto nel senso della Sezione 2.1(assumendo per tale fun- zione una regolarità C2(I)). Tuttavia le tre funzioni non sono indipendenti, ma vincolate dal requisito di formare una terna ortonormale. Questo per- mette di semplificare molto la descrizione dei loro moti, come vedremo

sotto. 

Osservazione 2.13. Sia

f : I →R3, fC1(I). (2.5) Si ha

f(t) =

3

i=1

fi(t)ui(t), t∈ I, (2.6) con

fi(t) = f(t)·ui(t), i=1 , 2 , 3 , t∈ I,

cosicché le funzioni fi sono in C1(I). 

(32)

24 DANIELE ANDREUCCI

Definizione 2.14. Sia f come in (2.5)–(2.6). Si definisce derivata di f relativa a Mla funzione vettoriale

d f dt



M

(t) =

3

i=1

d fi

dt(t)ui(t), t ∈ I.

 Osservazione 2.15. Sia g : I → R, gC1(I), e sia f : IR3 come in (2.5)–(2.6). Allora si verifica che

 d dt(g f)



M

(t) = dg

dt(t)f(t) +g(t) d f dt



M

(t), (2.7) per t ∈ I. Quindi, definendo per le funzioni scalari g∈ C1(I)

dg dt



M

(t) = dg

dt(t), t∈ I, (2.8)

la (2.7) implica che per la derivata relativa vale l’usuale regola di Leibniz.

Le proprietà di linearità rispetto alla somma e al prodotto per costanti reali sono di immediata verifica.

Seguono

 d

dt(f1·f2)



M

= d f1 dt



M·f2+ f1· d fdt2



M

,

d

dt(f1× f2)



M

= d f1 dt



M× f2+ f1× d fdt2



M

.

 Definizione 2.16. Una funzione vettoriale f : IR3 si dice costante in Mse esistono tre costanti λiR, i= 1, 2, 3, tali che

f(t) =

3

i=1

λiui(t), t ∈ I.

 Dalle Definizioni2.14e2.16segue subito

Proposizione 2.17. Sia f ∈C1(I). Allora f è costante in Mse e solo se

d f dt



M

(t) =0 , t∈ I. (2.9)

Teorema 2.18. Esiste una unica funzione vettoriale

ω: I→R3, ωC(I), (2.10) tale che per ogni f ∈C1(I), f : I→R3, valga

d f

dt(t) = d f dt



M

(t) +ω(t)× f(t), t∈ I. (2.11) Per dimostrare questo teorema useremo il seguente lemma, che è in realtà un caso particolare del teorema stesso.

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