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L OSSERVATORE ROMANO. Il naufragio con il maggior numero di morti del 2020 Annegate 140 persone al largo del Senegal

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L’OSSERVATORE ROMANO

GIORNALE QUOTIDIANO POLITICO RELIGIOSO Unicuique suum Non praevalebunt

Anno CLX n. 251 (48.575) Città del Vaticano venerdì 30 ottobre 2020

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Dopo l’attacco a Nizza

Una nuova ondata di terrore

PARIGI, 30. Per le intelligence occidentali non era un mistero che nella galassia jihadista qualcosa si stesse muovendo e che la Francia fosse, ancora una volta, al centro del miri- no. L’attacco avvenuto ieri al- la basilica di Nizza, nel quale sono state uccise tre persone e gravemente ferita una quarta, è quindi solo l’ultima confer- ma della nuova ondata jihadi- sta in atto in Europa e che, complice anche l’e m e rg e n z a sanitaria, rischia di essere mol- to più pericolosa delle prece- denti alimentando divisioni e scontri sul piano politico.

L’allerta, al momento, è massima. L’attacco di Nizza arriva a pochi giorni di distan- za dalla macabra decapitazio- ne del professore Samuel Paty.

Il presidente Macron, che ieri pomeriggio si è recato sul luo- go dell’attentato, ha parlato esplicitamente di «terrorismo islamista» e ha garantito ai cattolici «sostegno da tutto il Paese». L’Eliseo ha predispo- sto un rafforzamento delle mi- sure di sicurezza con il pas- saggio da 3000 a 7000 dei mi- litari impegnati nell’op erazio- ne “Sentinelle”. Il premier Ca- stex ha inoltre annunciato che verrà attivato subito il piano

“Vi g i p i r a t e ” che rappresenta il livello massimo di allerta anti- terrorismo in tutto il Paese.

Numerose le manifestazioni di solidarietà dal mondo. Ahmed Al Tayyib, il Grande Imam di Al-Azhar, il più influente cen- tro teologico e universitario dell’islam sunnita, ha condan- nato l’attacco sottolineando che «le religioni sono inno- centi» e non hanno colpe

«per questi atti criminali».

Dal canto suo, il segretario generale del Comitato supe- riore della Fraternità umana e stretto collaboratore del Gran- de imam di Al-Azhar, Mohammed Abdesalam Ab- dellatif, ha usato parole ancor più incisive: «Vorrei dire al popolo francese che siamo tutti dalla stessa parte contro il terrorismo. Dobbiamo esse- re ancora più uniti nell’a f f ro n - tare questo nemico comune che manipola le differenze per dare sfogo al suo odio insen- sato».

A colpire è la storia perso- nale del killer, un 21enne tuni- sino, che avrebbe agito da so- lo, senza alcun collegamento con possibili cellule dormien- ti. Brahim Aoussaoui, questo il suo nome, era sbarcato a Lampedusa insieme ad altri migranti alla fine di settem- bre. Secondo le ricostruzioni,

La preghiera che resiste

NOSTRE

INFORMAZIONI PAGINA7

A

LL

INTERNO

Per una lettura dell’enciclica

FABRICEHADJADJ EAGBONKHIANMEGHE

E. OR O B AT O R NELLE PA G I N E 2E3

Un presepe abruzzese e un abete sloveno

Segni di speranza in piazza San Pietro

PAGINA8

Ne l l ’inserto «Atlante»

Gli Stati Uniti verso le elezioni presidenziali

GIUSEPPEFIORENTINO

Il naufragio con il maggior numero di morti del 2020

Annegate 140 persone al largo del Senegal

GINEVRA, 30. È finito in tragedia l’en- nesimo viaggio della speranza. Nean- che la pandemia è riuscita a fermare le partenze dei migranti, facendo registra- re il naufragio con il maggior numero

di vittime del 2020 al largo del Senegal.

Almeno 140 persone dirette in Europa sono annegate la scorsa settimana dopo che un’imbarcazione, che ne trasporta- va circa 200, è affondata poche ore do-

po la partenza. Il relitto è stato trovato vicino a Saint-Louis, a nord-ovest del Paese. Lo rende noto l’O rganizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), riferendo che solo ieri si è saputa l’enti- tà delle perdite.

Sulla stessa rotta, una cinquantina di migranti partiti dal Senegal sono morti in un altro naufragio, questa volta a lar- go della Mauritania, mentre tentavano di raggiungere le isole Canarie. Lo han- no confermato ieri fonti della sicurezza della Mauritania.

Queste recenti tragedie seguono un altro naufragio avvenuto nella Manica martedì scorso, quando sono stati tro- vati i primi quattro corpi, a cui ieri si so- no aggiunti tre dispersi. Con sette mor- ti, tra cui tre bambini, rappresenta il naufragio con il maggior numero di vit- time mai registrato nel Canale.

SEGUE A PAGINA 4

«Nonostante il dolore che ci at- tanaglia, i cattolici si rifiutano di cedere alla paura e, con l’in- tera nazione, vogliono affronta- re questa minaccia infida e cie- ca». È quanto si legge nella no- ta pubblicata ieri dalla Confe- renza episcopale francese poche ore dopo il brutale attacco ter- roristico perpetrato nella basili- ca di Notre-Dame a Nizza. Ri- cordando il sacrificio di padre Jacques Hamel, il sacerdote as- sassinato nel 2016 da due giova- ni estremisti mentre celebrava la messa a Rouen, i presuli hanno sottolineato la necessità di «ri- trovare la fraternità, indispensa- bile per tenerci tutti in piedi di fronte a queste minacce». Ieri alle 15, in segno di lutto per le vittime di Nizza, le campane di tutte le chiese del paese sono ri- suonate a morto.

(2)

L’OSSERVATORE ROMANO

pagina 2 venerdì 30 ottobre 2020

«Fratelli tutti» - Per una lettura dell’enciclica di Papa Francesco

di FABRICEHADJADJ

N

el cuore dell’ultima enciclica

del Santo Padre batte un’ariet- ta di samba (di bossa nova, per l’esattezza). Quasi tutti i commentatori hanno prestato attenzione alla presenza del nome, più volte ripetuto, del- l’imam Ahmad Al-Tayyeb; per quel che mi riguarda, mi ha colpito di più da quello di Vi- nícius de Moraes, poeta e di- plomatico. È su questa presen- za che vorrei soffermarmi spe- cialmente e sulla citazione del- la famosa canzone del reperto- rio di Vinícius Samba da benção,

“Samba della benedizione” (in una nota in calce Papa France- sco si spinge fino a precisare la registrazione a cui fare riferi- mento, quella dal vivo del 1962 al ristorante Au Bon Gourmet, sulla Avenida Nossa Señora de Copacabana a Rio de Ja- n e i ro ) .

Certo, la citazione del paro- liere della Garota de Ipanema

può sembrare aneddotica, so- prattutto se se ne paragona il ritornello al Documento sulla fra- tellanza per la pace mondiale e la convivenza comune, solennemente sottoscritto ad Abu Dhabi nel febbraio 2019. Ma nella mia fe- de, che ammetto essere un po’

ingenua, tendo a pensare che anche gli aneddoti di un’enci- clica abbiano un rapporto con lo Spirito Santo. E poi, men- zionare una canzone brasiliana nel momento in cui il Brasile è il paese dell’America latina più colpito dalla pandemia di co- ronavirus, non può non avere un’intenzione profonda.

Si obietterà di certo che il samba ha poco a che fare con una processione del Santissi- mo Sacramento; forse, pen- sando al samba del Carnevale, ci sarà indignazione nel sentir- mi evocare leggere e discinte ballerine su argomenti così gravi. Non ci si sbaglia del tut- to. Anche a me non piacereb- be sentire un prelato affronta- re Fratelli tutti da questo punto di vista seducente. Ma io sono un laico. Uno tra gli altri. E questo è il mio modo di ascol- tare «la musica del Vangelo»

(n. 277).

Ecco la citazione che Fran-

Una chiave interpretativa “musicale” per capire il testo

Intro duzione

alla poesia sociale

cesco trae da Vinícius (la tradu- zione italiana di questo e altri testi di Vinicius de Moraes è di Giuseppe Ungaretti – ndt): «La vita, ami- co, è l’arte dell’incontro, mal- grado ci siano tanti disaccordi nella vita» (n. 215). Così co- mincia la sezione del sesto ca- pitolo intitolata «Una nuova cultura ». Essa rimanda a uno dei princìpi del pontificato:

«L’unità è superiore al conflit- to» il che vuol dire, come ri- corda il seguito dell’enciclica (nn. 237-240), che «il conflitto è inevitabile», «ineluttabile», e che l’unità si raggiunge solo attraverso un passaggio (una pasqua) al livello superiore, verso una «verità trascenden- te» che si fa carico delle posi- zioni opposte e le supera. Così la bossa nova attraversa le dis- sonanze e le sincopi (il Desafi- nado di Tom Jobim) per rag- giungere un’armonia più alta, inaspettata, inaudita. Lungi dall’essere ostacoli, i disaccor- di sono occasioni per aprirsi all’altro come altro. Fanno parte dell’arte vivente dell’in- c o n t ro .

Il samba, nella sua stessa origine, è emblematico di que- sta arte vivente. È una manife- stazione della «cultura popo- lare» che si sviluppa «quando dialogano in modo costruttivo le diverse ricchezze culturali di un paese» (n. 199). Essa nasce nelle baraccopoli di Rio, poco dopo l’abolizione della schia- vitù. Il suo nome così brasilia- no proviene dalle lingue ban- tu. I suoi ritmi sono un’eco dei tamburi africani. Alla fine del- la canzone Vinícius de Moraes dice che «il samba è venuto da Bahia. E se è bianco di pelle in poesia è negro nell’anima e nel cuore».

In verità, il samba è multi- colore e corrisponde piuttosto bene alla metafora del «polie- dro» che la penna del Papa ri- prende cinque volte, due volte subito dopo la citazione di Vi- nícius. Ogni faccia di questa forma geometrica ha la sua esi- stenza e la sua delimitazione, ciascuna di esse è rivolta in una propria direzione, ma si associa alle altre in una unità che appare solo se si esce dal

piano per entrare in uno spa- zio tridimensionale.

Così il samba scaturisce dal- l’incontro degli amerindiani di Bahia, degli afro-brasiliani, degli ebrei russi, degli zingari, dei polacchi e di molti altri che erano immigrati con la loro

cultura e si ritrovavano a co- struire insieme «la stessa bar- ca» (n. 30), loro che erano la classe operaia dei cantieri na- vali. All’inizio l’alta borghesia rifiutava il samba come osceno e volgare ma poi ha finito per riconoscerlo, per integrarvisi, per concedergli «piena cittadi- nanza», tanto che alla fine questa musica raccoglie dentro una stessa arca tutta la variega- ta diversità di un paese com- posito. Lo stesso vale per il tango. Lo scrittore Michel Plisson riassume così tale im- probabile confluenza: «Un rit- mo afro sul quale musicisti ita- liani suonano con strumenti tedeschi melodie dell’E u ro p a dell’Est con parole provenienti dalle zarzuelas spagnole». Il tutto, a poco a poco, risale dai bassifondi all’alta società, dai bordelli di Buenos Aires ai sa- loni europei.

Tango e Samba sono dun- que realizzazioni e simboli di quella fraternità feconda alla quale ci chiama il Papa. Molti passi della sua enciclica si pos- sono leggere alla luce di que- sta esperienza latinoamerica- na, musicale e danzante. Que- sto, per esempio: «Ho esortato i popoli autoctoni a custodire le loro radici e le loro culture ancestrali, ma ho voluto preci- sare che non era “mia intenzio- ne proporre un indigenismo completamente chiuso, astori- co, statico, che si sottragga a qualsiasi forma di meticciato”, dal momento che “la propria identità culturale si approfon- disce e si arricchisce nel dialo- go con realtà differenti e il mo- do autentico di conservarla non è un isolamento che im- p overisce”. Il mondo cresce e si riempie di una nuova bellez- za grazie a sintesi successive che si creano tra culture aper- te, al di fuori di ogni imposi- zione culturale» (n. 148).

Nello stesso senso si posso- no intendere l’attenzione e la fiducia che bisogna dare ai

«movimenti popolari» e il do- vere, non di controllarli, ma di far sì «che questi movimenti, queste esperienze di solidarie- tà che crescono dal basso, dal sottosuolo del pianeta, con- fluiscano, siano più coordina- ti, s’incontrino».

Ecco perché il Papa loda i

«poeti sociali», «promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poe- sia».

Non si tratta di un’«imma- gine poetica» come direbbe un’espressione peggiorativa.

La poesia sociale è l’e s p re s s i o - ne stessa «della fede che opera per mezzo della carità» (Gal 5, 6). Lo sottolinea la lettera di san Giacomo «se uno ascolta la parola e non la mette in pra- tica», cioè, più letteralmente — poiché la parola greca è poiêtês

— se non se ne fa poeta, «asso- miglia ad un uomo che guarda il proprio volto allo specchio:

appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era»

(Gc 1, 23).

Ricordare chi siamo è essere O poetinha della Parola divina, perché la creazione è una grande poesia drammatica, composta da una moltitudine di poesie visibili che lasciano intravedere l’invisibile (Rm 1, 20); il nostro compito di cri- stiani è riconoscere in ogni creatura una poesia dell’Eter- no, e come popolo che intona salmi, come artigiani di pace, seguendo il Verbo divenuto carpentiere ebreo permettere

«all’insieme delle diverse voci di formare un nobile e armoni- co canto, piuttosto che urla fa- natiche di odio » (n. 283).

Alla fine del Samba di benedi- zione, Vinícius de Moraes sgra- na un rosario di nomi propri, nomi di musicisti che avevano contribuito al rinnovamento di quella musica che trasfigu- rava la storia violenta della co- lonizzazione nella possibilità melodica di una comunione.

Certo, ci furono la deportazio- ne degli schiavi, l’esilio degli ebrei a Rio de Janeiro o a Bue- nos Aires, e anche la fuga di al- cuni nazisti (Alfred Noble fab- bricava bandoneón per l’Ar- gentina durante gli anni 1930- 40 a Karlsfeld, nel distretto di Dachau). Certo, ci sono anco- ra le urla fanatiche dell’odio e le fredde strumentalizzazioni dell’ideologia. Eppure, nono- stante questo, attraverso tutto questo, ecco il tango, ecco il samba, ecco i segni che ci invi- tano a pensare alla misericor- dia come a una forza discreta ma sempre attiva nel susse- guirsi delle generazioni e a ri- scattare il tempo (Ef 5, 16).

Il fatto che Fratelli tutti ri- prenda le parole di un samba non ha dunque nulla di aned- dotico. Il concerto che ebbe luogo il 2 agosto 1962 nel ri- storante di Copacabana Au Bon Gourmet e che ora si ri- trova nelle pagine di un’enci- clica firmata il 3 ottobre 2020

ad Assisi ben ci rivela le svolte e i colpi di scena della provvi- denza. Samba da benção lo an- nunciava in un altro dei suoi versi: «Il samba è preghiera, se lo vuoi». Nell’ultimo brano del concerto citato e datato nella nota 204 dell’enciclica, Vinícius de Moraes, Tom Jo- bim, João Gilberto, Os Cario- cas, Otávio Bailly e Milton Banana si ritrovarono sulla scena per cantare tutti insie- me: «Va per la tua vita, il tuo cammino è di pace e di amore / Apri le tue braccia e canta l’ultima speranza / La speran- za divina di amare in pace».

Può sembrare sdolcinato. Ep- pure è quanto di più esigente

— l’ultima speranza — p erché suppone di distruggere gli idoli per scoprire persone in carne, ossa e spirito, di con- durre «la buona battaglia del- l’incontro» (n. 217), «perché il nostro cuore si riempia di volti e di nomi» (n. 195).

Un’immagine di Vinícius de Moraes

@Pontifex

Gesù ci interpella

perché mettiamo da parte ogni differenza e, davanti alla sofferenza,

ci facciamo vicini a chiunque.

#Fr a t e l l i Tu t t i

(30 ottobre)

(3)

L’OSSERVATORE ROMANO

venerdì 30 ottobre 2020 pagina 3

«Fratelli tutti» - Per una lettura dell’enciclica di Papa Francesco

Consonanza di valori e principi

La tradizione filosofica

e politica africana Ubuntu

di AGBONKHIANMEGHE

E. OR O B AT O R *

«U

muntu ngumuntu ngabantu».

Questo detto esiste in varie forme nelle lingue bantu del- l’Africa meridionale e può es- sere tradotto così: «Una per- sona è una persona attraverso le altre persone» oppure «Io sono perché noi siamo».

Colpisce il fatto che l’enci- clica Fratelli tutti di Papa Fran- cesco contenga qualcosa di si- mile: «Ognuno è pienamente persona quando appartiene a un popolo, e al tempo stesso non c’è vero popolo senza ri- spetto per il volto di ogni per- sona» (182). In altre parole, noi siamo «tutti fratelli e so- relle» (8).

Francesco cita, tra gli altri, l’arcivescovo sudafricano De- smond Tutu come un’ispira- zione per la sua enciclica (286). Tutu è il principale so- stenitore dell’Ubuntu, la filo- sofia umanista africana basata su una cultura di condivisione, apertura, mutua dipendenza, dialogo e incontro interperso- nale. Nella visione Ubuntu, l’esistenza umana raggiunge il suo massimo grado quando fa parte di un tutto, la società cresce sulla base di un’umani- tà comune, e il perdono e la ri- conciliazione sono prerequisiti per preservare l’armonia socia- le.Fraternità e amicizia socia- le, le idee-gemelle di France- sco, sottolineano l’u rg e n z a della visione Ubuntu nel no- stro contesto attuale, nel quale il tessuto dell’umanità è strap- pato da conflitti atavici, divi- sioni ideologiche, paranoie isolazioniste e polarizzazioni politiche che impongono un pedaggio catastrofico al debo- le e al vulnerabile (18-19).

Senza un orizzonte unitario e comune, la nostra ancestrale paura degli altri ci porta a co- struire muri (nn. 26-27, 37, 41), perché indebolisce la nostra appartenenza a una famiglia comune e fa evaporare il no- stro sogno di uno scopo co- mune (30). Siamo già insieme (35), da ciò deriva l’imp erativo di costruire una comunità di solidarietà e di appartenenza.

«Le montagne non si in- contrano, lo fanno le persone»

afferma un proverbio swahili.

Una premessa fondativa della visione Ubuntu riconosce la centralità dell’incontro con l’altro. Per Francesco la frater- nità riposa su una cultura di autentici incontri la cui pre- condizione è la creativa aper- tura all’altro (50).

La mutua apertura, pur- troppo, è messa in pericolo da una comunicazione digitale resa tossica che si trasforma in aggressione sociale, violenza verbale e miopia ideologica. Il risultato è un corto circuito virtuale connesso a una paura condivisa e dall’odio per gli altri (42-46).

Francesco propone un nuo- vo cammino verso una cultura della fraternità fondata su un

«incontro di misericordia»

(83). Commentando la para- bola del buon samaritano, egli sottolinea la responsabilità dell’amore per gli altri basata sulla nostra condivisione Ubuntu. In questo modo l’a- more costruisce una fraternità universale oltre le considera- zioni particolari di status, ge- nere, origine e luogo (107, 121).

La fraternità universale com- porta sofferenza e richiede tempo (48, 63) per creare un nuovo legame di solidarietà che si prende cura della vulne- rabilità e della fragilità degli altri (66-69, 115). Francesco paragona questa comunità a una realtà poliedricamente composta, non a una monade isolata (111, 143-5), ovvero «un

“noi” che è più forte della somma di piccole individuali- tà» (78).

Questa realtà esemplifica in maniera eccellente la visione Ubuntu, perché essa è cemen- tata da un amore sociale inclu- sivo che trascende barriere, in- teressi e pregiudizi (83).

Per Francesco la radicale mutualità dell’Ubuntu è rag- giungibile tramite un amore senza confini che trasforma l’umanità in una comunità di vicini senza confini. Come la filosofia Ubuntu, Francesco propone un premio sociale ba- sato su diritti e doveri collega- ti alla relazionalità dell’e s s e re umano, la cui manifestazione più profonda è l’abilità di tra- scendere il sé e creare una soli- darietà di servizio agli altri (87, 88, 111).

L’amore sociale di France- sco va oltre l’immediata genti- lezza da buon vicinato; esso è espansivo e arricchisce la vita e l’esistenza degli altri. Questo tipo di amore si manifesta co- me ospitalità, perché esso ac- coglie e valorizza gli altri per quello che sono (90-93), rico- nosce ogni persona umana co- me un «forestiero esistenzia- le» con un richiamo morale incontrovertibile alla nostra presa in carico (97).

Questo amore espansivo forma la base per un’amicizia sociale inclusiva e una frater- nità senza confini (94, 99).

Lungi dall’essere un livella- mento delle differenze o un

«falso universalismo» privo di diversità (100), o peggio anco- ra un gruppo chiuso di «asso- ciati» che la pensano allo stes- so modo, la fraternità, unita con la libertà e l’uguaglianza, offre un forte antidoto al virus dell’individualismo (105).

Se «io sono perché noi sia- mo», allora la vera fraternità non lascia indietro nessuno (108), perché noi siamo salvati insieme e siamo responsabili della vita di tutti (137).

«Se la casa del mio vicino è in fiamme, io non posso dor- mire tranquillo» recita un al- tro proverbio africano. Nello spirito della visione Ubuntu, la fraternità autentica rifugge un «narcisismo localistico»

che restringe il pensiero e il cuore (146, 147). La fraternità autentica crea una famiglia di nazioni, basata sull’ospitalità e la gratuità (139, 141), riconosce i diritti di tutti i popoli, comu- nità e gruppi nella sfera priva- ta e sociale (118, 124, 126).

Nella visione morale di Francesco, la cartina di torna- sole dell’autentica fraternità è se essa accoglie, protegge, pro- muove e integra i migranti i

quali arrivano a noi non come un fastidio o un peso, ma co- me un dono e una benedizio- ne (129, 133).

Fratelli tutti sottolinea diverse tematiche della politiche che riguardano l’Africa, dove gli attuali e predominanti modelli di impegno politico non sono all’altezza dell’ideale di politi- ca di Francesco, che è quello di una vocazione alla carità.

Consideriamo, per esem- pio, le varie patologie della politica e dell’eco-

nomia nel mondo globale di oggi, co- me il populismo, il nazionalismo, il li- berismo e il neolibe- rismo. Tra la miopia del populismo, il ri- duzionismo che il li- berismo compie del- la società, ridotta a somma di interessi individuali (163), e l’egemonia del mer- cato secondo il neo- liberismo (168), il costo e le ferite della nostra attuale situa- zione economica politica ed economi- ca sono incalcolabi- li.Nel 2009 il secon- do Sinodo africano affermava in manie- ra categorica che

«l’Africa ha bisogno di santi in rilevanti uffici politici: poli- tici santi...». Il Sinodo aveva parole taglienti per i politici cattolici che non erano all’al- tezza di questo ideale. Affer- mava: «Molti cattolici in posi- zioni di prestigio deplorevol- mente non hanno corrisposto adeguatamente all’e s e rc i z i o delle loro cariche. Il Sinodo invita tali persone a pentirsi o a lasciare la pubblica arena e così cessare di causare rovina al popolo e dare cattiva fama alla Chiesa Cattolica».

Papa Francesco avrebbe po- tuto usare le stesse parole in Fratelli tutti. Per molte persone, la politica assomiglia a un

«gioco sporco». Anche la pa- rola stessa è diventata «brut- ta», afferma Papa Francesco (176), per molte ragioni.

Per prima cosa, la politica attuale soddisfa i bisogni e gli

interessi delle élite e delle clas- si privilegiate ed esclude i po- veri e i deboli (155). In secon- do luogo la politica svuota la parola «popolo» del suo si- gnificato (157, 160). Come nel- la filosofia Ubuntu, «popolo»

— ci dice Francesco — ha un si- gnificato più profondo e misti- co: è una parola dinamica, aperta, diversa e aperta alla

differenza — «popolo» non è solo una categoria logica o commerciale (158, 160, 163). In terza battuta, la politica è di- ventata un modo per appro- priarsi delle risorse pubbliche e uno strumento affinché certi autocrati possano restare in posizioni di potere. Questo ti- po di predazione politica si trasforma in violenza quando la concupiscenza o l’egoismo diventano un principio priori- tario. In altre parole, la politi-

ca diventa un modo per soddi- sfare la preoccupazione «del proprio io, del proprio grup- po, dei propri interessi me- schini» (166) e così le persone diventano oggetti utili e utiliz- zabili nel rabbioso persegui- mento del potere.

Papa Francesco afferma che abbiamo bisogno di nuovi modelli di politica nel mondo.

Abbiamo bisogno di una poli- tica con un cuore: una sana politica, «la miglior politica»

(154, 177, 179). Il modello che Francesco propone offre un’opzione nuova e differente fondata sulla carità (180, 186).

La politica che è animata dalla carità serve il bene co- mune e non gli interessi indi- viduali (180); lavora per pro- curare una vita degna a tutti i cittadini tramite il lavoro (162); cerca «vie di costruzio- ne di comunità nei diversi li- velli della vita sociale » (182);

offre concerete soluzioni di fronte ai bisogni urgenti (183- 4); elimina le condizioni socia- li che causano sofferenza (186); mostra un’opzione pre- ferenziale per «gli ultimi»

(187); affronta tutte quelle si- tuazioni che minacciano o vio- lano i diritti umani fondamen- tali (188); elimina la fame e la povertà (189, 192); mette fine al traffico di esseri umani (190) e diffonde i diritti umani fondamentali (172).

Tutto questo non è vuota retorica o utopia (190). Può diventare una realtà in Africa e nel mondo se la politica viene fatta da persone che amano, non solo da quelli che brama- no il potere (193, 195) — in al- tre parole, persone che il Sino-

do africano chiama «politici santi». Questo tipo di uomini politici non sacrificano il po- polo per interessi e tornaconti personali, ma «creano spazio per ciascuno», costruiscono un mondo dove «ognuno ha il suo posto» (190) e le persone sono riconosciute come «fra- telli e sorelle».

In questo contesto la frater- nità universale e l’amicizia so- ciale collegano il locale e il globale in una relazione mu- tualmente benefica (142).

L’ancoraggio culturale presu- me apertura all’incontro con l’altro, sia esso un popolo, una cultura o un Paese. L’ospitali- tà culturale genera comunione e mutua dipendenza tra le na- zioni (146-9).

Oltre a incontro, un altro si- nonimo di Ubuntu è dialogo.

Il dialogo promuove l’amicizia

sociale, perché esso rispetta le differenze di opinioni e di punti di vista. Il dialogo è aperto agli altri, riconosce la nostra appartenenza condivisa ed è animato dalla comune ri- cerca della verità, dal bene co- mune e dal servizio ai poveri (205, 230). Su questo poggia la possibilità della pace basata sulla verità (228).

Questa cultura del dialogo e dell’incontro trascende le differenze e le divisioni; è in- clusiva di ogni prospettiva e offre nuove possibilità e pro- cessi di stili di vita, organizza- zioni sociali e incontro (215- 217; 231). In quanto forma di gentilezza, l’amicizia sociale ha una preferenza per l’a m o re del povero, del vulnerabile e dell’ultimo (224, 233, 235).

Come ho avuto modo di ci- tare sopra, la prospettiva Ubuntu privilegia il perdono e la riconciliazione, specialmen- te quando il misfatto ha rovi- nato l’armonia sociale. Fran- cesco concorda: l’amicizia so- ciale valorizza il perdono e la riconciliazione, non come meccanismi per dimenticare o condonare ingiustizie e op- pressioni, ma come modi per risolvere il conflitto tramite il dialogo (241, 244, 246, 251).

Come Desmond Tutu ha af- fermato, il perseguimento del- la giustizia «non ha futuro senza perdono» (cfr. 250, 252).

In definitiva, Fratelli tutti si pone in consonanza con i va- lori e i principi della filosofia Ubuntu.

*Presidente della Jesuit Conference of Africa e Madagascar

In comune con l’enciclica

una cultura di condivisione, apertura, mutua dipendenza, dialogo

e incontro interpersonale

(4)

L’OSSERVATORE ROMANO

GIORNALE QUOTIDIANO POLITICO RELIGIOSO

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L’OSSERVATORE ROMANO

pagina 4 venerdì 30 ottobre 2020

Dopo l’attacco a Nizza

Una nuova ondata di terrore

In un rapporto sulla situazione in Darfur

Sudan: picchi di violenze

KHARTOUM, 30. In tutto il Sudan riprendono le mani- festazioni contro il governo del primo ministro Abdalla Hamdok. Anche nella regio- ne occidentale del Darfur, dal 2003 teatro di un conflitto tra ribelli ed esecutivo, la situa- zione è sempre più critica. È quanto emerso ieri durante l’audizione per la presenta- zione del Rapporto Sudan 2020 in Commissione diritti umani al Senato italiano. I principali punti del report an-

D

AL MOND O

Intensi combattimenti nel Nagorno-Karabakh

Nonostante tre accordi per il cessate il fuoco.

non si fermano i combattimenti nel Nagorno- Karabakh, la regione caucasica meridionale contesa tra Armenia e Azerbaijan. Intesi scam- bi di artiglieria sono stati segnalati oggi sul fronte meridionale, dove Baku e Yerevan si ac- cusano reciprocamente di avere violato il ces- sate il fuoco. L’ultima tregua era stata annun- ciata il 25 ottobre da Washington, dopo il falli- mento di quelle pecedenti mediate da Russia e Fr a n c i a .

La Belarus

chiude le frontiere

Le autorità bielorusse hanno deciso di limitare temporaneamente gli arrivi da Lettonia, Litua- nia, Polonia e Ucraina dai punti di attraversa- mento delle frontiere terrestri per «certe cate- gorie di individui», ufficialmente «in conside- razione della situazione epidemiologica esi- stente nei Paesi vicini». Per l’opposizione, la decisione di Minsk appare presa per motivi politici, dato che il confine con la Russia rima- ne aperto.

Trump riduce ancora l’i n g re s s o di rifugiati negli Stati Uniti

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha ridotto ulteriormente per l’anno fiscale 2021 il numero massimo di rifugiati che il Paese ac- coglierà: sino a 15.000, contro i 18.000 dell’an - no precedente e i 45.000 del 2018 e del 2017, l'anno in cui si è insediato. Nel 2016, quando c'era ancora Barack Obama alla Casa Bianca, il tetto era di 85.000. Mike Pompeo ha spiega- to che verrà data priorità ai rifugiati che temo- no persecuzione sulla base religiosa.

L’allarme dell’Oms per le condizioni degli operatori sanitari

Covid: velocità altissima di trasmissione

nuale mettono in evidenza gli ultimi sviluppi della situazio- ne politica e la crisi umanita- ria in Darfur, dalle nuove vio- lenze delle milizie in tutto il Paese all’emergenza dovuta alla stagione delle piogge. Da giugno in Sudan, e in parti- colare nel Darfur, si sono sus- seguiti scontri violenti.

«Mentre in tutto il Sudan riprendono le rivolte contro il governo di transizione guida- to dal primo ministro Abdalla Hamdok, nonostante l’accor- do di pace sottoscritto il 3 ot- tobre a Juba a distanza di 17 anni dall’inizio del conflitto in Darfur, la crisi nella regione registra nuovi picchi di violen- ze» ha riferito ai senatori nel suo intervento Antonella Na- poli, presidente onoraria del- l’associazione Italians for Dar- fur — che dal 2006 segue i conflitti e le vicende sudanesi

— e direttrice di Focus on Afri- ca, recentemente rientrata dal Paese africano, dove era stata fermata nel 2019 mentre segui- va le rivolte che avevano por- tato alla caduta del regime.

Il Coordinamento degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite (Ocha) — afferma Na- poli — ha registrato decine di episodi nel Darfur occidentale che hanno causato centinaia di morti e feriti. Diversi villaggi e case sono stati bruciati e lo sfollamento di migliaia di per-

sone sta compromettendo la stagione agricola già devastata dalla stagione delle piogge, causando la perdita di mezzi di sussistenza e facendo cre- scere i bisogni umanitari. «È per questo che la decisione del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di cambiare il mandato della missione di peacekeeping in missione po- litica appare a due poco im- provvida» ha concluso Napo- li.Il conflitto in Darfur — va- sta regione semidesertica nella parte occidentale del Sudan — iniziato nel 2003, si è trasfor- mato in una delle crisi umani- tarie più lunghe e sanguinose che ha causato finora, secondo le stime dell’Onu, 300mila vit- time e oltre 2 milioni di profu- ghi. Nel 2007 venne istituita ufficialmente la Missione Unione Africana-Nazioni Unite in Darfur (Unamid), che ha segnato un primo pas- so verso la pace. Tuttavia, quando l’anno successivo l’al- lora Presidente sudanese Omar al-Bashir venne accusa- to di crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio, il Su- dan ha fatto un passo indietro, espellendo dal proprio territo- rio alcuni membri della mis- sione. Tra il 2013 e 2014 il con- flitto si è riacceso. Mezzo mi- lione di persone ha lasciato il D arfur.

dopo un breve passaggio al- l’hotspot di Lampedusa, il giovane tunisino venne trasfe- rito sulla nave quarantena Rhapsody dove rimase fino all’8 ottobre. Il 9 ottobre fu trasferito in un Centro per mi- granti a Bari. Ottenuto il fo- glio di via, ebbe modo di rag- giungere, in maniera clande- stina, la Francia. Pochi giorni fa, secondo i media, aveva detto al fratello — che vive in Tunisia — di «voler passare la notte davanti alla basilica». Il giovane aveva anche inviato al fratello una foto dell’edificio.

La famiglia ha confermato ieri che «quello che abbiamo visto nelle immagini è lui, nostro fi- glio». «Mi telefonò non appe- na arrivato in Francia» ha

spiegato la madre ai media lo- cali. Un vicino di casa ha det- to che prima di abbandonare il Paese «aveva fatto diversi lavori».

La procura di Tunisi ha aperto un’inchiesta. Fonti del Viminale citate dall’Ansa rife- riscono che il giovane tunisino non era mai stato segnalato;

«il 9 ottobre aveva ricevuto un decreto respingimento con or- dine di abbandonare il territo- rio nazionale entro sette gior- ni». Sulla vicenda il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ita- liana) sentirà il ministro del- l’interno Lamorgese e il capo

della polizia Gabrielli.

I fatti di Nizza si inserisco- no in un momento di tensione internazionale, seguito all’as- sassinio del professore france- se Samuel Paty. Ankara ha condannato l’attacco a Nizza.

Tuttavia, quattro giorni fa il presidente turco Erdoğan ha usato parole molto dure nel parlare delle condizioni dei musulmani in Europa. Toni pensati, che rappresentano il culmine di una durissima po- lemica proprio con Macron e aggravata dalle vignette di

«Charlie Hebdo». Erdoğan ha criticato direttamente il presidente accusandolo di non fare nulla per l’integrazione dei musulmani nel suo Paese e chiedendo al mondo arabo di boicottare i prodotti francesi.

L’Eliseo, dal canto suo, ha de- nunciato che «è in atto una campagna islamista contro la Francia. Non è scoppiata per caso ed è organizzata, dietro ci sono persone di nazionalità t u rc a » .

Tensioni di vecchia data, queste, che si inquadrano oggi in uno scenario geopolitico molto più vasto. Francia e Turchia stanno combattendo una battaglia delicatissima nel Mediterraneo centrale e in Li- bia. Nel primo caso, Parigi ha spesso criticato i progetti energetici turchi parlando di

«pericolose avventure». Er- doğan ha inviato diverse navi per esplorazioni alla ricerca del gas, suscitando anche le reazioni della Grecia.

D all’altra parte c’è la Libia, dove si gioca una partita an- cora più complessa: la Francia ha più volte cercato di pren- dere l’iniziativa diplomatica per risolvere la crisi nel Paese nordafricano. Tuttavia, non ha ricevuto la piena collabora- zione di Ankara che anzi, se- condo alcuni osservatori inter- nazionali vede nella Libia — dove le sue truppe combatto- no al fianco dell’esercito leale al governo riconosciuto dal- l’Onu — l’opportunità di raf- forzare la sua influenza sul Mediterraneo e la sua indi- pendenza dalla Nato.

Due suore depongono fiori davanti la Basilica di Notre-Dame a Nizza (Afp)

BRUXELLES, 30. Il dato relativo ai contagi di covid-19 nel mondo ha su- perato quota 45 milioni, con un au- mento di un milione di casi in due giorni. Lo certifica l’ultimo aggior- namento della Johns Hopkins Uni- versity, secondo cui il numero totale di positivi registrati a livello globale è di 45.065.852 unità. Di questi oltre 10 milioni sono stati registrati in Eu- ropa che nell’ultima settimana ha dovuto fare i conti con la più alta in- cidenza di casi dall’inizio della pan- demia, circa 1,5 milioni di nuove in- fezioni (9.000 ogni ora) e una media intorno ai 200 casi per 100.000 abi-

tanti. I ricoveri sono aumentati a li- velli mai visti dalla primavera, oltre 10 ogni 100.000 abitanti in un terzo dei Paesi europei. Anche la mortalità ha subito un forte aumento (un au- mento del 32% in tutta la regione la scorsa settimana), con una diffusio- ne del virus di nuovo nei gruppi più anziani e a rischio.

La situazione in molti Paesi del Vecchio Continente è dunque molto preoccupante. Nonostante questo Hans Kluge, direttore regionale del- l’Organizzazione mondiale della sa- nità per l’Europa, ieri, in un emer- gency meeting dei ministri della Sa-

lute europei sulle proiezioni relative alla pandemia di covid per l’inverno ha detto di considerare «i lockdown nazionali un’opzione di ultima istanza». Una chiusura totale pro- vocherebbe, per l’Oms Europa, danni alla salute mentale, rischian- do pure di provocare un aumento della violenza domestica e diminuire la frequenza ospedaliera per le con- dizioni croniche, con conseguenti morti premature per tali condizio- ni». Kluge ha poi concentrato la sua attenzione sulla eccezionale condi- zione lavorativa cui è sottoposto da mesi il personale sanitario. «La no-

stra forza lavoro sanitaria è esausta»

ha spiegato, aggiungendo che «non avremo una risposta al covid se non ci prendiamo cura della nostra assi- stenza sanitaria e dei lavoratori es- senziali: i loro bisogni e il loro be- nessere devono avere la priorità».

Anche sul fronte dell’istruzione e sull’eventualità di chiudere le scuole Kluge ha rilevato che «i bambini e gli adolescenti non sono considerati fattori primari della trasmissione del covid-19. Pertanto, la chiusura delle scuole dovrebbe continuare a essere considerata una misura di ultima istanza».

CO N T I N UA DA PAGINA 1

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L’OSSERVATORE ROMANO

venerdì 30 ottobre 2020 pagina I

A atlante

C R O N A C H E D I U N M O N D O G L O B A L I Z Z A T O Città a misura d’uomo

La sfida globale

ANNALISAANTONUCCI A PA G I N A II

Il primo sci club afghano e l’ombra dei talebani

ELISAPINNA A PA G I N A III

Il virus, Floyd e la rete

di GIUSEPPEFIORENTINO

T

ra due modi di intendere la comu- nicazione, ancora prima che la po- litica, si gioca la partita per la Ca- sa Bianca. Martedì 3 novembre le cittadine e i cittadini chiamati a mettere in moto la complessa macchina elettorale statunitense (o almeno quelli che non hanno già espresso il loro voto per corri- spondenza) dovranno infatti sce- gliere tra l’inarginabile personalità di Donald Trump — abituato a twittare e a ritwittare, a sospende- re le interviste e ad affibbiare ai suoi avversari nomignoli poco lu- singhieri — e quella di Joe Biden, sicuramente più pacato nei toni, più incline al confronto, ma, se- condo i suoi detrattori, troppo aderente alla comunicazione tipi- ca dell’establishment. Una parti- ta, quindi, tra un approccio deci- samente personalistico, e consape- volmente votato al “p oliticamente s c o r re t t o ”, e un altro più propenso

alla normalità. Proprio questa po- trebbe essere la chiave per conqui- stare il numero magico di 270 grandi elettori che garantirebbe l’accesso alla Casa Bianca: gli sta- tunitensi sceglieranno di prose- guire con lo straripante tempera- mento di Trump o opteranno per il low profile di Biden? Non è questione da poco, perché in fon- do si tratta di decidere quale stra- da il paese dovrà imboccare per i prossimi quattro anni e, nell’im- mediato, per affrontare le crisi esplose negli ultimi mesi: la pan- demia e la questione razziale, tor- nata prepotentemente alla ribalta dopo l’uccisione di George Floyd.

I sondaggi danno per il momento in vantaggio il candidato demo- cratico, ma davvero nessun com- mentatore si azzarda a fare previ- sioni, forse perché scottato dall’e- sperienza del 2016, quando Hilla- ry Clinton veniva data per facile trionfatrice. In realtà, i sondaggi, come li abbiamo finora conosciu-

ti, hanno perso moltissimo del lo- ro valore predittivo. Ora c’è un elemento multiforme e sfuggente con cui bisogna fare i conti, un elemento che elude la catalogazio- ne e quindi ogni tentativo di ana- lisi certa: la rete, che nelle sue va- rie declinazioni (lecite o illecite) è davvero capace di spostare milioni di voti. La prova più chiara del potere “p olitico” del web si è avu- ta nel 2018 in Brasile per l’elezio- ne di Jair Bolsonaro alla presiden- za. Bolsonaro ha condotto la sua campagna con un minutaggio davvero risibile in termini di di- battiti televisivi, ma con una capil- lare operazione di social networ- king che ha coinvolto e raggiunto decine di milioni di persone. Le reti sociali sono capaci di far pas- sare una narrazione che a volte elude le reali emergenze; una nar- razione, a base di slogan, spesso mirata a denigrare gli avversari e a condurre gli utenti in una “zona di conforto” in cui è facile ricono-

scersi e dove non c’è spazio per i dubbi, ma solo per le certezze. È difficile dire quanto la rete possa influire sulle prossime elezioni statunitensi, anche se un gruppo svizzero dedito a questo tipo di valutazioni ha previsto la vittoria di Trump. Vale la pena ricordare che nel 2016 lo stesso gruppo, lo Ifaa di Berna, era stato uno dei pochissimi a prevedere l’afferma- zione dell’attuale presidente su Hillary Clinton. Certo, questa volta bisogna fare i conti con crisi devastanti, come appunto la pan- demia che ancora flagella il paese sia da un punto sanitario che eco- nomico. Crisi i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti e che non possono facilmente essere oggetto di un’operazione di restyling via internet. In effetti, Trump, prima di essere colpito a sua volta dal vi- rus, ha cercato di minimizzare, sposando un atteggiamento per certi aspetti negazionista. Il presi- dente ha a più riprese attaccato gli

scienziati e per questo è stato du- ramente criticato da Biden che, in caso di elezione, promette il vacci- no gratis per tutti. Scontro totale anche sulla questione razziale, con Trump che viene accusato di non prendere adeguatamente le distanze dai suprematisti bianchi e di dare spazio (via Twitter) alle farneticanti teorie complottiste di QAnon. Il presidente, dal canto suo, imputa allo sfidante demo- cratico di non essersi mai total- mente dissociato dagli estremisti di sinistra di Antifa. È quindi una polarizzazione senza precedenti quella che regna negli Stati Uniti a pochi giorni dal voto. Una pola- rizzazione che, pandemia permet- tendo, potrebbe richiamare alle urne un gran numero di elettori.

Ma che potrebbe generare molte tensioni dopo il voto. C’è chi pa- venta scenari di grande conflittua- lità in caso di un risultato incerto, mentre il resto del mondo attende con il fiato sospeso.

Gli Stati Uniti verso le elezioni presidenziali

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L’OSSERVATORE ROMANO

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India: gli agricoltori annunciano proteste contro la riforma agraria

Dopo l’approvazione di tre controverse leggi di riforma del settore agrario in India, oltre 500 organizzazioni di agricoltori hanno annunciato l’intenzione di bloccare le strade in tutto il Paese il prossimo 5 novembre. Lo riferisce il

quotidiano «The Hindu». L’iniziativa,

chiamata «chakka jam», sarà il prossimo passo nella protesta in corso da oltre un mese. Le organizzazioni — che includono le federazioni più rappresentative a livello nazionale — hanno anche anticipato che, se la richiesta di

cancellare le leggi non sarà accettata,

promuoveranno una marcia nazionale verso la capitale il 26 e 27 novembre. Potrebbe ripetersi così la manifestazione oceanica di due anni fa, che portò nel cuore di Delhi oltre un milione e mezzo di agricoltori da tutto il Paese. I

contadini protestano inoltre contro una nuova legge sull’elettricità che rischia di

compromettere la fornitura di energia, sinora garantita loro dallo Stato.

In Giappone preoccupa l’aumento dei suicidi tra i giovani

Il numero di minori sotto i 20 anni che si tolgono la vita in Giappone, calcolato su 100mila persone, è cresciuto nel 2019 dello 0,3%, arrivando a un numero record di 3,1 suicidi. Lo rivela una statistica governativa

pubblicata martedì scorso. Fra i giovani, la causa maggiore è da ricondursi a problemi scolastici, mentre fra gli adulti, dominano i problemi di salute. Per tutte le altre fasce di età si nota una diminuzione, attestandosi a 16 su 100mila, il valore più basso dal 1978, da quando si registrano statistiche di questo tipo.

Nel 2020, però, vi è stato un incremento causato dalla pandemia. In ogni caso il numero di persone che ricorrono a questo gesto

estremo rimane ancora alto, se paragonato ad altri Paesi ad economia avanzata.

Dalle periferie

L’Onu denuncia metropoli affollate ma non inclusive

Città a misura d’uomo Una sfida globale

di ANNALISAANTONUCCI

L

e città del mondo sono sempre

più affollate ma non inclusive, luoghi dove si vive faticosamen- te con i trasporti ingolfati, i ser- vizi di base non sempre accessi- bili, dove il vicino di casa è uno sconosciuto, che abbiamo visto, forse per la prima volta, solo quando siamo stati costretti a frequentare i balconi per sfuggi- re al lockdown.

Agglomerati di palazzi dove la quotidianità è pesante e la so- litudine tangibile, dove si vive

male ma dove tutti vogliono sta- re perché la città promette più occasioni di lavoro, crescita eco- nomica e sviluppo. Fino al 2009 la popolazione rurale era di gran lunga maggiore di quella urba- na. Ormai, invece, vive in città più della metà della popolazio- ne mondiale, ed entro il 2050 si stima che le metropoli del mon- do ospiteranno più del 68 per cento degli abitanti della terra.

Un’urbanizzazione dilagante che si concentra soprattutto in Asia ed Africa, in particolare in Cina, India e Nigeria, che non significa però inclusione socia- le, uguaglianza, accesso ai servi- zi di base, nuove opportunità.

Attualmente le città occupano meno del 2 per cento del territo- rio mondiale ma producono l’80 per cento del prodotto interno lordo e più del 70 per cento delle emissioni di carbonio.

A Chongquing, Shangai, Pe- chino, ma anche ad Istanbul, San Paolo, Lima, Città del Mes- sico, gli abitanti si contano in decine di milioni e il ritmo acce- lerato dell’urbanizzazione pone sfide importanti per garantire disponibilità di alloggi, infra- strutture e trasporti adeguati.

Luoghi in cui il malessere è spes- so fonte di conflitti e violenze, dove le periferie accolgono qua- si un miliardo di persone, defi- nite dalle statistiche “poveri ur- bani”, la maggior parte delle quali vive in insediamenti urba- ni informali. E l’evoluzione de- mografica che ci si aspetta non gioca a favore del miglioramen-

to delle città, e allontana sempre più il raggiungimento dell’o- biettivo 11 dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile che mira ad assicurare che «città ed insedia- menti umani siano inclusivi, si- curi e resilienti».

Le stime fornite dalle Nazio- ni Unite, rilevano che il numero delle persone che vive sul piane- ta crescerà di 2 miliardi entro il 2050 passando da 7,7 miliardi a 9,7 miliardi per raggiungere gli 11 miliardi entro la fine del seco- lo. In questo lasso di tempo è previsto che la popolazione mondiale diventi sempre più ur- bana e che il numero di persone di età superiore ai 65 anni conti- nui a crescere in maniera espo- nenziale. Nel 2018 per la prima volta il numero di anziani nel mondo ha superato quello dei bambini e nel 2050 supererà an- che quello degli adolescenti (15- 24 anni) con un aumento delle difficoltà di assistenza e di cura.

Europa e Asia Orientale hanno già notevoli problemi nell’assi- stenza agli anziani e con l’au- mento dell’aspettativa di vita queste difficoltà cresceranno. Le città dovranno dunque adattare i loro sistemi di salute e prote- zione sociale per fornire servizi adeguati e una rete di sicurezza pubblica per queste fasce d’età.

Dunque è comprensibile quanto sia importante che l’ur- banizzazione venga gestita effi- cacemente dai governi. Per que- sto l’Onu, il 31 ottobre di ogni anno celebra la Giornata mon- diale delle città per sensibilizza- re le comunità all’importanza di programmare la crescita delle nostre metropoli, per favorire l’inclusione, garantire le stesse opportunità per tutti, l’innova- zione e il benessere. In questa giornata le Nazioni Unite invi- tano allo scambio di esperienze per migliorare i sistemi urbani, imparare gli uni dagli altri al fi- ne di accelerare la transizione verso città che assicurino l’ac- cesso dei cittadini ai servizi es- senziali gestendo le risorse con oculatezza e producendo il mi- nimo di rifiuti.

Man mano che le dimensioni delle città esistenti cresceranno e ne nasceranno di nuove, il con- sumo di beni aumenterà ancora più velocemente. Si tratta dun- que di impegnarsi in una sfida enorme di fronte alla scarsità di risorse e all’intensificarsi dei problemi ambientali, tra cui l’in- quinamento e il cambiamento climatico. Di lavorare a livello globale per realizzare centri ur- bani più a misura d’uomo, ri- sparmiando asfalto e cemento, con inferiori consumi di elettri- cità e acqua, che invoglino ad una mobilità “morbida”, come camminare e andare in biciclet- ta, e ad un uso più intensivo de- gli spazi pubblici.

di FRANCESCOCITTERICH

N

on conoscono sosta le soffe-

renze della minoranza etnica musulmana dei rohingya, il popolo che nessuno vuole.

A più di 3 anni dalla dispe- rata fuga dal Myanmar — a causa delle ripetute violenze perpetrate nei loro confronti dai militari governativi — i rohingya vivono ancora in condizioni disagiate in inse- diamenti sempre più affollati all’interno del distretto di Co- x’s Bazar, in Bangladesh, il campo profughi più grande del mondo.

Sono quasi 900.000 i rifu- giati rohingya che sono stati costretti a lasciare il Myan- mar. La maggior parte, circa 750.000, sono fuggiti durante la crisi più recente, nell’agosto del 2017. Si stima, invece, che 600.000 vivano tuttora nello Stato nordoccidentale del Ra- khine, in Myanmar, tra enor- mi difficoltà.

Durante l’ultima conferen- za dei donatori, l'Alto com- missariato delle Nazioni Uni- te per i rifugiati (Unhcr) ha sottolineato come la comunità internazionale e i Paesi della regione non soltanto debbano continuare ad assicurare sup- porto ai rifugiati e a chi li ac- coglie, ma adattare gli inter- venti alle nuove esigenze fon- damentali e ampliare la ricer- ca di soluzioni. Il fulcro di ta- le ricerca deve mirare al con- seguimento del ritorno volon- tario e in condizioni sicure, dignitose e sostenibili dei ri- fugiati rohingya e delle altre persone in fuga alle proprie case o in luoghi di loro prefe- renza in Myanmar.

La maggior parte dei rohin- gya vive ai margini della so- cietà ed è necessario assicura- re loro accesso ad assistenza sanitaria di base, acqua pota- bile, scorte alimentari affida- bili, oppure significative op-

portunità di lavoro ed educa- tive. La pandemia di covid-19 ne ha peggiorato le condizio- ni di vita, rendendo l’accesso ai servizi ancora più difficol- toso. Inoltre, ha esacerbato gli effetti di altre malattie.

La responsabilità di creare i presupposti che favoriscano il ritorno in condizioni sicure e sostenibili dei rohingya, ha

indicato l’Unhcr, spetta alle autorità del Myanmar. Tale processo dovrà comportare il coinvolgimento della società intera, l’avvio e la promozione del dialogo tra le autorità del Myanmar e i rifugiati rohin- gya e l’adozione di misure che contribuiscano a cementare si- curezza e fiducia reciproca.

Tra queste vi sono la necessità

Sempre più precarie le condizioni di vita della minoranza etnica musulmana

Rohingya dimenticati

P

IÙ DI MILLE PA R O L E

Caracas, alcune persone cercano il proprio nome nelle liste elettorali in vista delle legislative del 6 dicembre.

Da alcuni anni il Paese attraversa una durissima crisi politica ed economica (Afp)

Multilateralismo Rep ortage

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L’OSSERVATORE ROMANO

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atlante atlante

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Siria: rimpatriati bambini albanesi dal campo di al Hol

Quattro bambini e una donna albanesi, da anni rinchiusi in un campo profughi nel nord- est della Siria, sono tornati a casa grazie agli sforzi congiunti dei governi albanese e siriano, della Mezzaluna rossa siriana (Sarc) e della Federazione internazionale delle società della Croce e Mezzaluna rossa (Ifrc). Lo si apprende in un comunicato della Sarc e dell’Ifrc, che ringraziano tutte le parti coinvolte

nell’operazione. Il campo di al Hol, che da più

di un anno ospita decine di migliaia di civili provenienti dalle zone della Siria orientale fino alla primavera del 2019 controllate dal

sedicente Stato islamico, è gestito dalle forze curdo-siriane alleate degli Usa. Il governo siriano, sostenuto dalla Russia, non ha rapporti formali con le autorità curdo-siriane, ma in seguito a pressioni internazionali, i governi di Tirana e Damasco sono riusciti, assieme alle forze curde, a far uscire i quattro bambini e una donna disabile dal campo. Nei giorni scorsi — dicono fonti dei media locali —

dall’Albania si erano levate le richieste da parte delle famiglie e della società civile per un rimpatrio di una sessantina tra bambini e donne intrappolate nel campo.

Colombia: a Medellín nuovo piano per contrastare i femminicidi

Le autorità di Medellín, capitale della provincia colombiana di Antioquia, hanno avviato nei giorni scorsi un piano per rafforzare i protocolli di monitoraggio e prevenzione dei femminicidi. Dall’inizio

dell’anno sono state uccise 27 donne, di cui 17 uccisioni classificate come femminicidi. Nelle intenzioni di sindaco, dell’ufficio di medicina legale, della procura, della polizia e di altri enti corresponsabili, la volontà di velocizzare le procedure per una valutazione tempestiva del rischio che molte donne corrono, e consentire alle stesse di accedere alla protezione in modo tempestivo e alle cure in caso abbiano subito violenza.

Il primo sci club afghano e l’ombra

dei talebani

di ELISAPINNA

I

n un paese dove i vecchi non si ricordano più cosa sia lo sci e i giovani non lo hanno mai saputo, due ventenni di Bamyan in Afghanistan hanno deciso che le loro montagne, un panorama mozzafiato a ridosso delle vette dell’Hindu Kush, non

meritavano più di essere solo uno spettro nella memoria di guerre e terrorismo islamico. Sajjad Husaini e Alishah Farhang hanno cominciato ad andarci a sciare. Un gesto semplice e rivoluzionario nell’Afghanistan di oggi. La loro storia

è stata raccontata nel documentario Where the Light Shines (“Dove brilla la luce”), uscito mesi fa.

All’inizio sono stati presi per pazzi. Salivano per quattro ore con ai piedi rozzi sci di legno, e poi si lanciavano sulla neve fresca per tornare a valle in 4 minuti. La mamma di Alishah piangeva e pregava perché al figlio non succedesse niente sul Koh-e Baba. Finché qualcuno ha cominciato a seguirli e a credere in loro ed un aiuto economico e tecnico del tutto inaspettato è arrivato da San Moritz.

Così i due primi sciatori afghani hanno cominciato ad organizzare a febbraio un corso per ragazzi e ragazze della zona. Tutti insieme, in pantaloni da neve. Lo scorso gennaio è stato inaugurato poi il primo skilift afghano, una robusta corda trainata dal motore di una motocicletta. In poco tempo centinaia di persone si sono iscritte al Bayam Sci Club, che dal 2018 ha una sede permanente.

L’obiettivo per i neofiti è partecipare alla corsa sciistica di marzo a Bamyan, una sorta di maratona caotica di oltre 22 chilometri in cui valgono tre regole: si parte tutti insieme, vince chi taglia per primo il traguardo e niente armi. Sajjad e Alishah guardano però ben oltre: il loro obiettivo è di riuscire ad essere ammessi alle Olimpiadi invernali di Pechino nel 2022. Allora sì che lo sci – dicono - diventerebbe popolare in Afghanistan e che il mondo scoprirebbe che il Paese non è solo la patria dei talebani, dell’Is, e delle guerre tribali ma può offrire anche qualcos’altro. Per centrare l’obiettivo, si allenano anche a Saint Moritz.

Bamyan, una cittadina a circa 200 chilometri da Kabul, è tutta con loro. Qui, nel 2001, il regime dei talebani ordinò la distruzione delle due

gigantesche statue di Buddha, scolpite nella pietra della montagna, che da oltre 1500 anni vegliavano su questo importante snodo carovaniero della via della seta ed erano simbolo di tolleranza e convivenza religiosa. Alcuni anni dopo, ormai in guerra contro gli Stati Uniti, i talebani, di etnia Pashtun e sunniti, tornarono nella valle per saldare i conti con la popolazione locale, a maggioranza sciita e di etnia hazara e tagika. Diedero fuoco alle case e ai campi, rapirono le donne, uccisero chi cercava di opporsi. La mamma di Alishah, già vedova e con una gamba dilaniata da una granata, prese i figli e si nascose per settimane sul Koh-e Baba. «Non puoi immaginare cosa significhi per un bambino vedere queste cose» racconta Alishah.

Negli ultimi anni, la provincia di Bamyan è riuscita a trasformarsi in un’isola relativamente sicura e tollerante, nel mare tempestoso dell’Afghanistan.

Qui poche donne portano il burqa e in molte vanno a scuola. Il 2020 ha portato un controverso accordo tra l’amministrazione Trump e i talebani che prevede il ritiro delle forze internazionali dall’Afghanistan e trattative. Mentre il negoziato langue, i talebani stanno riconquistando con relativa facilità il territorio afghano, con attacchi e massacri. La gente di Bamyan è sgomenta, non può credere di essere stata abbandonata. Dalla cima dello skilift sul monte Koh-e Baba si vedono le enormi nicchie vuote dove un tempo si ergevano le statue di Buddha. Come non temere che l’ombra cupa del fondamentalismo islamico possa tornare ad allungarsi di nuovo sulla catena dell’Hindu Kush, chiudendo anche la breve parentesi felice degli sciatori afghani?

di revocare le restrizioni alla libertà di movimento, permet- tere ai rohingya sfollati di fare ritorno ai propri villaggi nel Rakhine e istituire un iter ef- fettivo per poter acquisire la cittadinanza del Myanmar.

Di discendenze persiane, turche e bengalesi, i rohingya abitano il territorio del Rakhi- ne — uno degli Stati più po-

veri della regione — a partire dal VIII secolo. Nonostante ciò, per il governo di Naypyi- daw sono immigrati irregolari e non rientrano ufficialmente nelle 135 etnie che compongo- no il Myanmar. Apolidi a tut- ti gli effetti, dunque, senza al- cun diritto, né di lavoro, né di studio, né di accedere ai servi- zi sanitari di base e senza la libertà di praticare la propria religione, con ulteriori restri- zioni che impediscono loro di spostarsi legalmente. Quelli che sono rimasti vivono in campi-ghetto, che non posso- no lasciare senza il permesso del governo. Per ottenere la cittadinanza, devono dimo- strare di avere vissuto in Myanmar da almeno 60 anni, pratica pressoché impossibile.

Quindi sono qualificati come immigrati che vivono illegal- mente nel Paese.

Vittime di omicidi di mas- sa, stupro, tortura e distruzio- ne sistematica delle case e dei luoghi di culto, i rohingya so- no considerati dalle Nazioni Unite una delle minoranze et- niche più perseguitate al mondo. E, secondo l’U n h c r, nei loro confronti è in atto un vero e proprio genocidio, co- me appare dall’evidente inten- zione dei militari del Myan- mar di distruggere, in tutto o in parte, questa minoranza et- nica. Sono drammatici i rac- conti dei sopravvissuti alle violenze dei soldati e delle

forze di sicurezza. Viene rife- rito di interi villaggi rasi al suolo o bruciati e di inaudite violenze contro donne e bam- bini. Lo scopo non dichiarato

— accusano tramite dettagliate testimonianze le organizzazio- ni internazionali in difesa dei diritti umani — è quello di “li- b erare” il Rakhine dalla pre- senza della comunità musul- mana. Minoranza rispetto al resto del Myanmar, quasi to- talmente buddista. Gli attac- chi vengono effettuati quasi prevalentemente di notte, spesso lanciati con l’ausilio di elicotteri che dall’alto mitra- gliano le capanne mentre la gente è nel sonno. Poi, da ter- ra arrivano i militari, che ucci- dono e bruciano tutto.

Per chi riesce a sopravvive-

re non resta altro da fare che fuggire — spesso a bordo di fatiscenti imbarcazioni, in molti casi con esiti fatali — nel vicino Bangladesh. Dove però la situazione non è delle mi- gliori. I campi di accoglienza sono infatti ormai pieni all’in- verosimile, al limite del collas- so, dove anche per un solo pugno di riso scoppiano vio- lente risse. E le condizioni igienico-sanitarie continuano a peggiorare. Nel tentativo di abbandonare uno Stato che non li riconosce, molti rohin- gya hanno anche provato a cercare riparo verso altri paesi vicini, ma spesso Malaysia, Thailandia e Indonesia hanno respinto gli arrivi.

Due anni fa, le autorità del Myanmar e del Bangladesh hanno raggiunto un accordo bilaterale per il rimpatrio dei rohingya. Ma secondo l’O nu tale rimpatrio potrà avvenire solo quando le condizioni in Myanmar saranno sicure per chi intende rientrare e ai rohingya sia conferita la citta- dinanza. Un dato di fatto che al momento sembra del tutto da escludere. Ad oggi, quindi, nel caos di una diplomazia in- ternazionale che non riesce a intervenire in modo concreto, non si intravede alcuna solu- zione per porre fine alle inau- dite sofferenze dei rohingya.

Un muro di indifferenza, che spesso fa chiudere gli occhi ai governi occidentali, probabil- mente molto più interessati agli affari e alle tante materie prime che il Myanmar offre.

Sempre più precarie le condizioni di vita della minoranza etnica musulmana

Rohingya dimenticati

P

IÙ DI MILLE PA R O L E

Appunti di viaggio

Ragazzi nel campo di Kutupalong in Bangladesh.

I rohingya sono la minoranza più perseguitata al mondo

secondo l’Onu (Afp)

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