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SOCIOLOGICA COLLANA DI SOCIOLOGIA E METODOLOGIA APPLICATA ALLO STUDIO DEI TERRITORI. Collana peer reviewed

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Academic year: 2022

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ALLO STUDIO DEI TERRITORI

Collana peer reviewed

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APPLICATA ALLO STUDIO DEI TERRITORI Collana peer reviewed

Direttore

Fabio Corbisiero (Università degli Studi di Napoli Federico II) Comitato scientifico

Francesco Antonelli (Università degli Studi Roma Tre), Biagio Aragona (Università degli Studi di Napoli Federico II), Ignazia Maria Bartholini (Università degli Studi di Palermo), Amalia Caputo (Università degli Studi di Napoli Federico II), Alessandra Decataldo (Università degli Studi di Mi- lano Bicocca), Emiliano Grimaldi (Università degli Studi di Napoli Federico II), Mara Maretti (Università degli Studi di Chieti Gabriele d’Annunzio), Da- rioMinervini (Università degli Studi di Napoli Federico II), Cirus Rinaldi (Università degli Studi di Palermo)

La collana “Sociologica” discute e approfondisce i temi legati al rapporto tra società e territori nella consapevolezza che i fenomeni di vita associata si realizzano in spazi fisici attivi.

Nel suo complesso, la collana comprende la prospettiva analitica di diverse sociologie applicate che vanno dalla sociologia del territorio a quella ecologica, dalla sociologia delle migrazioni a quella dei processi produttivi, dalla socio- logia del turismo a quella dell’educazione, dalla sociologia del genere e delle identità sessuali a quella della cittadinanza, fino a giungere ai temi dei metodi e delle tecniche per la ricerca sociale.

Sociologica vuole interrogarsi su differenze e convergenze sociali attraverso l’imprescindibile connessione tra la ricerca sociologica e i suoi effetti sul terri- torio di indagine. Particolare attenzione è posta sulla metodologia di analisi come capacità della sociologia applicata di cogliere e indirizzare il mutamento sociale e territoriale dei sistemi attivi.

Per questi motivi, la collana accoglie principalmente studi e analisi fonda- te su ricerche applicate a segmenti territoriali definiti. Sulla base della loro aderenza agli interessi della collana e in base alla loro rilevanza all’interno del dibattito — nazionale ed internazionale —, le proposte di pubblicazione selezionate sono sottoposte alla procedura della peer review.

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PER LE POLITICHE EDUCATIVE

dalle esperienze di ricerca alle riflessioni analitiche

A cura di

Amalia Caputo, Gabriella Punziano e

Barbara Saracino

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via Garibaldi, 3 17019 Varazze (SV) www.pmedizioni.it

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Pae- si. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore.

L’editore, in relazione ai contributi nei quali non sia indicata la provenienza dell’autorizzazione, ha cercato con ogni mezzo i titolari dei diritti senza riusci- re a reperirli: è ovviamente a piena disposizione per l’assolvimento di quanto occorra nei loro confronti.

ISBN 978-88-99565-47-3 Prima edizione: luglio 2019

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1. Sviluppare le questioni di metodo tra esperienze e sperimenta- zioni . . . 7 Amalia Caputo, Gabriella Punziano e Barbara Saracino

2. Chi lascia, chi resta. Studiare l’abbandono scolastico in Italia . . . 11 Amalia Caputo

3. I numeri dell’educazione . . . 27 Barbara Saracino

4. Esclusione nella formazione professionale in apprendistato dua- le: l’esempio dell’Austria . . . 41 Ruggero Cefalo, Mirjam Pot

5. L’inclusione nell’autovalutazione e nella valutazione esterna del- le scuole . . . 59 Michela Freddano, Letizia Giampietro, Donatella Poliandri

6. Contrastare la dispersione scolastica e la lotta al disagio . . . 79 Samuele Calzone, David Grassi, Patrizia Lotti, Rosalba Manna

7. La costruzione di un modello interpretativo della dispersione scolastica . . . 103 Rosalia Delogu, Nicola Malloggi, Valentina Pedani,

Eniko Tolvay

8. Cittadinanza attiva e occupabilità: una sperimentazione di due indici di misurazione . . . 121 Rosalia Delogu, Nicola Malloggi, Valentina Pedani, Eniko Tolvay

9. Coesione sociale, autoefficacia e benessere dei ragazzi in età scolastica in Lombardia. Evidenze dallo studio HBSC . . . 151 David Consolazio, Marco Terraneo, Mara Tognetti

10. Lotta all’Early School Leaving e all’esclusione sociale come la- voro di comunità. Indicazioni di possibili azioni e strategie di policy a partire dal Progetto “Below 10” . . . 171 Sonia Pozzi

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mento nei percorsi universitari? Uno studio di caso . . . 193 Claudio Torrigiani

12. Inclusione scolastica e disabilità. Il ruolo dei centri territoriali di supporto nella regione Lazio . . . 211 Luisa De Vita, Luca Spirito

13. Il programma “Scuola Viva”. Aspetti analitici, contenuti e pro- spettive di monitoraggio . . . 231 Lucia Fortini, Emanuele Madonia, Maria Santoro, Domenico Trezza

14. Politiche di cittadinanza attiva per i migranti: l’esperienza dei Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti . . . 259 Amalia Caputo, Luca De Luca Picione

15. Dall’abbandono scolastico al rientro in formazione: le motiva- zioni di rientro degli iscritti ai Corsi di Secondo Livello della città di Napoli . . . 275 Ciro Clemente De Falco

16. Mappa dei concetti e mappa dei metodi: tra scale, focus e diver- se lenti analitiche. . . 295 Gabriella Punziano

Note biografiche delle autrici e degli autori . . . 313

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Sviluppare le questioni di metodo tra esperienze e sperimentazioni

Amalia Caputo, Gabriella Punziano e Barbara Saracino

Con questo testo si intende sviluppare una riflessione sui modi di proget- tare, sviluppare, analizzare, monitorare e valutare interventi nell’ambito dell’educazione e della formazione rivolti al contrasto della dispersione scolastica, dell’esclusione sociale e di quella lavorativa.

In particolare, il volume nasce dalla volontà di rendere pubblici i saggi presentati e discussi nelle sessioni coordinate dalle curatrici di questo vo- lume che si sono tenute tra il 13 e il 15 settembre 2018 nell’ambito della XI Conferenza ESPAnet ITALIA 2018 dal titolo Oltre la continuità – Le sfide del welfare in un mondo globale tenutasi presso l’Università degli studi di Firenze, Polo delle Scienze Sociali. Il titolo della sessione generale è stato:

Le politiche educative nella lotta all’esclusione sociale: metodi e modelli per l’ana- lisi. Entro questo frame sono pervenute 15 proposte di cui 12 sono state presentate ed organizzate in sotto sessioni, o panel:

1. Panel I: politiche educative, coesione sociale e well-being;

2. Panel II: l’inquadramento metodologico per le politiche educative;

3. Panel III: politiche educative e tipi di inclusione possibili.

Nell’ambito del convegno, per favorire il dibattito e l’emersione dei pos- sibili modelli di analisi, nonché per avere una sorta di prima peer review le sessioni sono state predisposte seguendo i cosiddetti “Korpi’s rules”, ti- pici della sezione RC19, dedicata agli studi sul welfare, dell’International Sociological Association. Seguendo queste regole, il lavoro di ogni singo- lo autore è stato affidato ad uno degli altri autori del panel il quale ha dovuto discutere del lavoro affidatogli sia nella struttura sia nei contenuti fornendo utili osservazioni critiche e sviluppando un set di questioni sulle quali aprire il dibattito con l’autore presente nel panel. Questo meccani- smo ha permesso di avere un primo livello di revisioni e suggestioni utili per intervenire sui lavori presentati, il tutto con l’accompagnamento di no- te predisposte dalle coordinatrici di sessione volte a costruire percorsi tra i lavori presentati e spazi di riflessione che potessero portare tutti i saggi a confluire in un testo unico e coerente.

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Successivamente al convegno, ciascun autore è intervenuto sul suo sag- gio riflettendo sulle questioni critiche, sui ragionamenti di metodo, sulle questioni di scala degli interventi e di scalabilità dei modelli prodotti, non- ché sui risvolti di policy implicati nei ragionamenti condotti. Questo ha portato i saggi a passare sotto l’ultima fase di revisione fino ad arrivare al- la forma con la quale sono presentati in questo volume. L’eterogeneità dei contributi in termini di provenienza (università, INDIRE, INVALSI, INAPP, IFEL, etc.) ha garantito, inoltre, un interessante momento di confronto tra istituzioni eterogenee che si occupano di temi vicini all’educazione e alla formazione.

Salvaguardare questa preziosa eterogeneità è l’obiettivo principale per il quale è stato prodotto questo testo, ovvero mettere in comunicazione studiosi, accademici e non accademici, che a vario titolo abbiano compiuto studi in questo ambito: dal punto di vista della progettazione (analizzan- do processi e meccanismi attraverso cui prendono forma gli interventi);

dal punto di vista della valutazione e del monitoraggio degli interventi implementati; dal punto di vista degli impatti che gli interventi analizzati hanno prodotto sul territorio e sui destinatari finali.

Il nocciolo duro delle discussioni qui presentate riguarda i risvolti in termini di metodo. Non a caso a curare questo volume sono tre meto- dologhe impegnate costantemente su diverse aree tematiche centrate sul- l’analisi di policy, di programmi, sperimentazioni e scenari concernenti le politiche, in generale, e quelle educative, tra le altre. È in funzione di que- sta peculiarità che i saggi raccolti sono stati scelti per la loro centratura su componenti di innovazione nei modi di inquadrare, approcciare e studia- re gli specifici interventi, favorendo il punto di vista comparato a livello disciplinare – interdisciplinare o multidisciplinare – e accogliendo tutti i livelli di scala degli oggetti analizzati – con proposte di analisi che pren- dono in considerazione interventi di respiro locale, regionale, nazionale o extranazionale.

L’intento ultimo del volume è quello di provare ad arrivare alla defi- nizione di possibili modelli di analisi capaci di contenere dati di natura diversa e set di indicatori che siano scalabili, replicabili e utili per conden- sare gli effetti che si sono studiati e che si intenderanno studiare. Si tratta di un dialogo aperto che vuole provare a proporre possibili estensioni anali- tiche anche a progetti diversi da quelli studiati nei casi specifici; estensioni analitiche in ogni caso centrate sugli strumenti e le questioni che vengono a svilupparsi attorno alle issues dell’educazione e della formazione nella lotta alla dispersione scolastica, all’esclusione sociale e a quella lavorativa.

Pertanto, questo volume presenta saggi organizzati in modo da svilup- pare una riflessione sui modi di progettare, sviluppare, analizzare, moni-

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torare e valutare interventi nell’ambito dell’educazione e della formazione rivolti al contrasto della dispersione scolastica, dell’esclusione sociale e di quella lavorativa. I lavori presentati sono volti a comparare esperienze dif- ferenti dal punto di vista della progettazione, della valutazione e del moni- toraggio degli interventi, degli impatti che gli interventi analizzati hanno prodotto sul territorio e sui destinatari finali e degli approcci di studio uti- lizzati (qualitativi, quantitativi o mixed) per arrivare a mettere in luce le esperienze, le buone pratiche e i metodi di analisi per favorire il dibattito e l’emersione dei possibili modelli di analisi.

Nello specifico, i capitoli due e tre che seguono sono stati redatti da due delle curatici. Il primo per inquadrare gli oggetti analizzati nel testo – spaziando tra i temi della dispersione e dell’abbandono, i processi di in- clusione e i percorsi di studio delle politiche educative nel contrasto alla dispersione scolastica. Il secondo, invece, intende “dare i numeri” sul mon- do dell’istruzione e della formazione in un’ottica comparata tra l’Italia e gli altri Stati membri dell’Unione Europea con l’intento di posizionare l’Italia in maniera adeguata rispetto alle riflessioni maturate su scala nazionale, regionale e locale nel resto del testo.

Dopo questi due capitoli di inquadramento, seguendo la dinamica di scala nella trattazione degli oggetti di analisi di volta in volta presentati, i capitoli raccolti sviluppano un racconto che passa dalla scala extranazio- nale del lavoro di Cefalo e Pot (sul sistema austriaco), alla scala nazionale con i contributi di Calzone et al., Freddano et al., Delogu et al., De Luca et al., per arrivare ai contributi su scala regionale di Fortini et al. e Caputo e De Luca Picione sulla Regione Campania, Pozzi sulle regioni Piemonte e Veneto, Consolazio et al. sulla Regione Lombardia, De Vita e Spirito sulla Regione Lazio, per finire con la scala locale nei contributi di De Falco sulla città di Napoli e di Torrigiani sull’Università di Genova.

Oggetti, temi, interventi, programmi specifici, variano da capitolo a ca- pitolo e portano alla definizione di una mappa di tematiche densa e par- ticolareggiata che si è provato a ricostruire nel capitolo sedicesimo, scritto anch’esso da una delle curatici. Ma la mappa dei concetti e dei temi non è l’unico strumento utile a inquadrare i contributi presentati in questo volu- me e la loro potenzialità nel formire riflessioni importanti in via sostantiva e in via procedurale per l’anlisi delle politiche educative. Nel capitolo in questione si delinea, infatti, anche una mappa di metodi e approcci, che aiuta a capire la ricchezza degli studi condotti e l’occasione unica che è data in questo testo alla messa in interconnessione e in comunicazione di voci diverse su un campo vasto, dinamico e complesso come quello delle politiche educative.

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Ringraziamenti

Questo lavoro è nato con l’idea di sollecitare il confronto tra studiose e stu- diosi provenienti da mondi diversi, ma che hanno in comune la volontà di far progredire la riflessione e l’analisi, e migliorare le pratiche perseguibi- li nell’ambito delle politiche educative. Un ringraziamento particolare va, quindi, a tutti gli autori e le autrici di questo volume che con attenzione, pazienza e dedizione hanno lavorato per far sì che lavori apparentemente slegati si ricongiungessero in una riflessione collettiva.

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Chi lascia, chi resta.

Studiare l’abbandono scolastico in Italia

Amalia Caputo

Abstract

La dispersione scolastica non è un fenomeno recente; ciò che negli ultimi anni è cambiata è la prospettiva con la quale si affronta la questione; da sempre, luogo nel quale si concretizzano i problemi individuali dei giova- ni, di recente, la dipsersione scolastica è considerata una proxy per leggere le disfunzioni del sistema scolastico e, soprattutto, gli squilibri del siste- ma sociale. Per questo oggi, combattere la dispersione non significa uni- camente assicurare la diffusione dell’istruzione, ma significa sostenere lo sviluppo della società. Questa consapevolezza ha prodotto, sotto la spinta delle direttive comunitarie, riflessioni e studi nel tentativo di individuare un nuovo modello interpretativo attraverso il quale stimare, indipenden- temente dal contesto in cui lo studio si articola, l’effettiva incidenza delle concause. Il contributo intende sviluppare una riflessione sui metodi co- munemente adottati per contrastare la dispersione scolastica cercando di porre in evidenza le procedure che sono alla base degli studi sul fenomeno.

Parole chiave: dispersione, indicatori, politiche educative.

2.1 Introduzione

È da oltre vent’anni che il contrasto alla dispersione scolastica è al cen- tro delle politiche educative nazionali ed europee. Questo interesse, ormai permanente, nasce dalla consapevolezza che favorire l’istruzione signifi- ca sostenere lo sviluppo della società e dell’economia, significa ridurre le differenze e, ancor più, le disuguaglianze. Sulla base di questo assunto so- no stati pensati (ed attivati) numerosi progetti per limitare i fenomeni di abbandono e rispondere agli obiettivi della Comunità europea.

Nonostante le azioni e i miglioramenti ottenuti, l’Italia si attesta ancora oggi agli ultimi posti con un tasso di early school leavers (ESL)1 intorno al 14% (ISTAT 2017). Questa difficoltà costante nel colmare il gap tra il no- 1. L’ESL è concepito in modo da poter essere utilizzato come riferimento indi- pendentemente dal tipo sistema educativo e dagli anni richiesti per acquisire il di-

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stro Pese e il resto dell’Europa (Ascoli, Pavolini 2012) è da ricondurre a questioni antiche che caratterizzano l’Italia e che fanno capo ad importan- ti differenze territoriali e di genere (Colombo 2015), tutte riconducibili a loro volta agli ineguali meccanismi distributivi e alla mancanza di solide competenze cognitive di base necessarie per entrare/restare nel percor- so formativo. Così risultano a rischio di ESL le Regioni del Mezzogiorno (Campania, Puglia, Calabria, Sicilia, Molise, Abruzzo, Sardegna) e gli uo- mini che non solo abbandonano gli studi più delle donne, ma raggiungono anche livelli di istruzione nettamente inferiori.

Un altro elemento che caratterizza la dispersione scolastica in Italia è la componete migratoria (Colombo 2010) che fa registrare tassi di gran lunga più alti di quelli degli studenti italiani nei ritardi, nelle ripetenze e nelle mancate ammissioni all’esame conclusivo del primo ciclo. Infine, ma non meno importante, è la ridotta presenza dei giovani nei percorsi di forma- zione terziaria che evidenzia lo scarso rendimento del sistema formativo italiano (Colombo 2015): bassa quota di diplomati, numero sempre più ridotto di diplomati che scelgono di iscriversi all’università, dispersione universitaria e numero di laureati fuori corso.

È in questo scenario abbastanza immutabile che si colloca la riflessione sociologica, ed è a partire da queste sollecitazioni che si muove questo capitolo.

2.2 Da dove partiamo? Accenni alla teoria

Per poter comprendere le strade percorse per contrastare la dispersione scolastica e per indicarne altre percorribili è necessario, innanzitutto, far luce su quella che è stata l’impostazione teorica di riferimento, a partire dai modelli che, dal secolo scorso, hanno interpretato le funzioni sociolo- giche della scuola e accompagnato i cambiamenti del sistema scolastico ponendo al centro della riflessione il rapporto tra società e scuola2. L’ana- lisi sociologica dei sistemi formativi ha visto il succedersi di tre modelli – a cui fanno capo una serie di teorie – riconducibili in via esemplificativa a determinati momenti storici, ma che tuttavia convivono e, di periodo in

ploma superiore; per questo non rileva la dispersione scolastica come ammontare delle irregolarità di percorso.

2. Indipendentemente dalla teoria di riferimento, è possibile riconoscere ai siste- mi formativi tre funzioni fondamentali, quella economica (strutture economiche), sociale (rapporti sociali) e di socializzazione (processi individuali, Fischer 2003).

Nella realtà queste funzioni coesistono e si intersecano, tuttavia in una prospettiva analitica riferirsi ad una funzione piuttosto che ad un’altra serve ad evidenziare i principali problemi presentati dai sistemi formativi.

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periodo, tendono a dominare uno sull’altro senza tuttavia che gli altri ap- procci scompaiano. Il modello integrazionista/funzionalista che domina fino alla fine degli anni sessanta del secolo scorso, quello conflittualista di- venta riferimento prevalente degli studi e delle ricerche dagli anni settanta a metà degli anni ottanta ed infine il modello interazionista-comunicativo che dal 1985 circa è il modello prevalente di analisi dei rapporti tra scuola e società.

I modelli di riferimento si differenziano essenzialmente per aver af- frontato la spiegazione del ruolo del sistema di istruzione in un’ottica positiva o negativa (Heaton, Lawson 1996). L’approccio integrazionista- funzionalista adotta una visione ottimistica in cui la scuola si pone «nello stesso tempo come causa ed effetto di un processo di espansione della sco- larizzazione di un’intensità senza precedenti» (Benadusi 1984, p. IX), dive- nendo così, il luogo in cui si riducono i rischi dell’anomia e della devianza e per questo essa è considerata lo strumento privilegiato alla realizzazione delle pari opportunità fra gli individui (missione struttural-funzionalista).

La scuola è dunque essenziale al mantenimento della società per una se- rie di fattori primo dei quali la sua utilità economica, l’aumento del tasso di istruzione, infatti, renderebbe gli individui più produttivi e favorirebbe il raggiungimento dell’eguaglianza di opportunità e quindi l’integrazione dell’individuo nella società. Di contro l’immagine negativa della scuola, che si concretizza nel modello conflittualista, trova fondamento nell’idea che la scuola sia legata a compiti di legittimazione dell’ordine esistente tramite la conservazione delle disuguaglianze sociali presenti in esso per- tanto la scuola è vista come un luogo di integrazione sociale, ma secondo i valori della classe dominante, piuttosto che secondo quelli comuni della so- cietà. Il passaggio dall’immagine positiva a quella negativa della scuola si configura come il susseguirsi di tre fasi, la fase fondativa, dell’autonomia e dell’interdipendenza. Nella fase fondativa dominano i modelli tecnico funzionalisti in base ai quali il rapporto scuola-società è lineare, la scuola è quindi pensata come una variabile dipendente dalla struttura economi- ca, da quella del potere, dal sistema delle aspettative sociali e dal sistema normativo e, in quanto tale, le si riconosce il monopolio dei processi for- mativi3. La scuola è infatti l’unico agente di socializzazione in grado di mantenere l’ordine sociale, di garantire l’integrazione degli individui e la solidarietà tra gli individui.

La fase dell’autonomia prende le mosse dalla crisi del legame tra istru-

3. Generalmente, i termini educazione istruzione e formazione vengono utiliz- zati in maniera intercambiabile, in realtà i termini fanno riferimento tre differenti concetti considerati costitutivi di un più ampio processo di socializzazione.

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zione e occupazione dovuta innanzitutto all’inflazione dei titoli di studio e al consequenziale aumento della disoccupazione intellettuale (Scuola di massa anni 1970); per questi motivi si sancisce la rottura del legame di- retto tra scuola e società, così da un sistema formativo scuola-centrico si passa ad un policentrismo formativo: i processi di socializzazione sono, rispetto alla società di riferimento, discontinui perché molteplici. Emerge, dunque, l’idea dell’esistenza di una pluralità di agenzie di socializzazione e di occasioni formative in cui ciascuno spazio sociale ha una sua valenza educativa. In questa fase emergono le contrapposizioni, da un lato, tra teo- rie del consenso e teorie del conflitto e, dall’altro, tra teorie macro e teorie micro.

La fase dell’interdipendenza è intesa come dipendenza reciproca sia tra processi formativi e strutture sociali più ampie, sia tra società e suoi di- versi sottosistemi. Centrale diviene il concetto di complessità sociale in cui interagiscono, in un rapporto di circolarità e di comunicazione, una serie di sottosistemi che concorrono ad aumentare le opportunità e l’autonomia degli individui. Tra questi sottosistemi c’è la scuola, luogo di costruzione di cultura e di socialità dei soggetti, oltre che ambito di valorizzazione della società e della sua cultura. In questa fase emerge, infatti, anche la centralità del soggetto e delle relazioni intersoggettive. Alla base c’è un approccio multidimensionale articolato tra azioni degli individui e fun- zionamento delle istituzioni, per capire il meccanismo allora è necessario considerare i diversi fattori che insieme concorrono a definire gli scopi educativi e le caratteristiche di un sistema d’istruzione. Da questo punto di vista, la dispersione scolastica è il risultato dell’inefficacia integrata di più sistemi, quello appunto formativo, sociale, quello economico e cultura- le; in questo senso, la dispersione, intesa sia come abbandono volontario sia come esclusione dal sistema, diviene il segnale di una situazione di disagio, a sua volta, determinata dalle specificità di sistemi sociali distinti (la famiglia, la scuola ed il gruppo dei pari, i mezzi di comunicazione), ma interagenti tra loro. Per questi motivi, oggi – sia che la si intenda come rallentamento o come interruzione del percorso formativo prima del con- seguimento del titolo – la dispersione scolastica rappresenta nella società attuale un fenomeno che non riguarda più soltanto il sistema scolastico, ma tutto il sistema sociale.

2.3 Analizzare la dispersione

È opinione condivisa che la dispersione scolastica (d’ora in poi DS) si deli- nea, da un lato, come un fenomeno complesso – e quindi multi-dimensionale – e dall’altro, come un fenomeno di ‘contesto’. È un fenomeno complesso

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perché determinato da una serie di cause che in generale impediscono o in- terrompono il regolare svolgimento del percorso formativo: questi fattori, per così dire, si manifestano attraverso ripetenze, bocciature, frequenze ir- regolari, basso rendimento o ritardi e, più in generale, attraverso l’evasione e l’abbandono. È un fenomeno di contesto perché non definibile in senso assoluto, ma è sempre relativo al concetto di scolarizzazione praticato da una certa società in un dato momento della storia4. Questo forte legame con il contesto storico, sociale ed economico ha prodotto negli anni mol- teplici definizioni di dispersione che, sulla base delle caratteristiche degli ambiti, hanno posto l’accento su un fattore piuttosto che su un altro, dedi- cando via via un peso differente alle cause endogene alla scuola oppure a quelle esogene o extrascolastiche relative sia al soggetto sia al background familiare del giovane. Ma vediamo nel dettaglio. I fattori endogeni alla scuola attengono, appunto, all’ambiente scuola, inteso sia nell’accezione di luogo fisico sia come luogo di costruzione della rete di relazioni che si articolano all’interno della scuola tra lo studente e i compagni e gli in- segnanti. Ne deriva che possibili cause di insuccesso scolastico possono essere riconducibili tanto alla distanza della scuola dall’abitazione dello studente quanto al tipo di investimento nelle strutture per la didattica, alla dimensione delle classi o, ancora, al rapporto con i docenti e al clima di classe, e così via. I fattori esogeni si riferiscono, invece, al contesto sociale, ambientale e familiare del giovane, e quindi ai fattori socio-economici e socio-culturali legati sia al territorio di appartenenza sia alla famiglia di origine e sia alle specificità del giovane. Per ciò che riguarda il contesto socio-economico del territorio, ad esempio, si riconosce l’esistenza di una relazione tra tasso di abbandono scolastico, grado di emarginazione so- ciale (povertà) e livello di degrado ambientale urbano (metropolitano): un elevato sviluppo socio-economico del territorio (redditi medio alti, dispo- nibilità di infrastrutture, assenza di impellenze/bisogni economici), stimo- la nel giovane il bisogno di formarsi, impedendo l’interruzione anticipata del percorso formativo. Già Bourdieu e Passeron (1964) avevano mostrato come il fattore geografico e l’ineguaglianza culturale fossero dipendenti:

nella grande città le opportunità sono molteplici rispetto a quelle offerte dai piccoli centri, queste opportunità riguardano principalmente l’accesso all’istruzione e alla cultura. Ai fattori socio-economici del territorio si af- fianca anche una certa forma di povertà culturale – e quindi immateriale – che, perpetuando un determinato sistema di valori, non attribuisce il giu-

4. Ne sono esempio i concetti di abbandono scolastico e di evasione che han- no assunto nel tempo differenti significati a seconda delle norme vigenti e delle aspettative sociali sull’istruzione e la formazione.

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sto peso all’istruzione e alla formazione, giocando così un ruolo determi- nate nella riproduzione delle disuguaglianze delle opportunità formative.

In Italia, a confermare l’importanza della componete culturale interven- gono i dati sulla dispersione scolastica nei differenti indirizzi di studio superiore: il numero di alunni dispersi negli istituti tecnici e professionali aumenta via via spostandosi dal Nord alle Isole del Paese, mentre quello dei licei classici e scientifici, da sempre più basso, si mantengono su livelli piuttosto costanti in tutte le Regioni Italiane. Questo perché i ragazzi che scelgono il liceo non solo sono più motivati, ma sono soprattutto indiriz- zati e sostenuti nelle loro scelte da famiglie con un elevato background sociale, economico e culturale, al Nord come al Sud. Si tratta, in pratica, delle differenti risorse iniziali possedute dai singoli alle quali si aggiunge l’ammontare delle risorse acquisite durante il percorso formativo, le com- petenze. Quanto sostenuto è una conferma dell’attualità della teoria della riproduzione di Bourdieu e Passeron (1972), secondo i quali il capitale cul- turale, distinto dal capitale scolastico, continua a determinare le possibilità di maggior successo dei ragazzi che sono stati socializzati dalla famiglia a maggiori conoscenze e competenze linguistiche e ad avere, ad esempio, più possibilità di partecipare a eventi culturali. In altre parole, il solo capi- tale scolastico non sembra riuscire a compensare le differenze esistenti tra ragazzi di diverse classi sociali.

L’ultimo gruppo di cause di dispersione che rientrano nei fattori esoge- ni fa riferimento alle condizioni individuali del giovane e comprende sia gli aspetti biologici, legati anche al genere, sia i fattori cognitivi come la mancanza di motivazione ad apprendere e i diversi tipi di difficoltà di ap- prendimento e, ancora, le condizioni di disagio determinate dai momenti della crescita, dai problemi affettivo-relazionali e dalle esperienze pregres- se di fallimento scolastico. Ed è proprio su quest’ultimo aspetto che si è concentrata l’attenzione di molti studiosi del settore, per lo più psicologi.

L’insuccesso, i ritardi e gli abbandoni sono spesso indici di un malessere più profondo: il fenomeno della dispersione scolastica rappresenta solo un aspetto di un determinato tipo di disagio adolescenziale, quello scolastico.

Il concetto di disagio scolastico deve essere, infatti, tenuto distinto da altri concetti connessi, come quelli di disagio psicologico, disagio sociale o disa- gio adolescenziale. Pur riconoscendo le profonde interconnessioni esistenti tra tutte queste forme di disagio, quello scolastico è definito come uno spe- cifico fenomeno che nasce dall’incontro fra ragazzo e scuola, dal processo dialettico fra le richieste dell’istituzione scolastica e la risposta dell’alunno.

A favorire questo tipo di disagio c’è l’assetto della società moderna che con l’allargamento dei margini di scelta e l’aumento di responsabilità potreb- be provocare nel giovane sentimenti di inadeguatezza, disorientamento e

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caduta della progettualità, sentimenti che condurrebbero il giovane verso percorsi formativi irregolari.

Quanto alle cause endogene, incide sulla regolarità del percorso forma- tivo del giovane, ma non in modo determinante, innanzitutto la stabilità e la continuità dell’insegnante, oltre che la sua preparazione, e, parallela- mente, le strutture scolastiche.

A concorrere alla centralità della formazione nello sviluppo nel giovane sono tutti i fattori analizzati che, a vario titolo, incidono sulla rappresen- tazione della scuola che il giovane si crea. L’equilibrio fra i due sistemi sociali diviene lo strumento necessario affinché il giovane possa individua- re gli strumenti adeguati per leggere ed affrontare le varie situazioni che si presentano nel vivere l’esperienza scuola. Se questo equilibrio viene a mancare, si attivano atteggiamenti di demotivazione e sfiducia nei confron- ti di se stesso, del mondo esterno e del futuro; il primo sintomo di carenza si manifesta proprio con episodi di abbandono del percorso formativo da parte dei ragazzi più deboli sotto il profilo delle capacità di auto-difesa.

Essi, rifiutando l’istituzione scuola, rifiutano essenzialmente il principale ambiente dove si costruiscono le relazioni esterne alla famiglia e dove si sviluppa la personalità. Per questo motivo tutte le azioni di contrasto al- la dispersione scolastica pongono al centro l’interconnessione tra famiglia, scuola e gruppo dei pari. Attualmente, la principale difficoltà che si riscon- tra è dovuta alle differenti strutturazioni dei tre agenti di socializzazione e l’introduzione di un quarto agente, i mezzi di comunicazione digitale, rendendo complessa l’individuazione di un terreno comune su cui interve- nire. Le problematicità maggiori si incontrano proprio in riferimento alla famiglia: posta in relazione positiva con la scuola, favorisce uno sviluppo equilibrato della personalità del giovane; al contrario se la famiglia non riesce a garantire un’efficace rapporto con i sistemi sociali in cui il giovane vive, e quindi la scuola e il gruppo dei pari, si potrebbe verificare una fram- mentazione dell’universo giovanile. In pratica, l’adolescente percependo i tre ambienti in modo scollegato e diversificato, non riesce a trovare una continuità affettiva e sociale, l’effetto più diretto è il rifiuto della scuola. Se dunque il disagio giovanile nasce fuori la scuola e, se non si crea una rete di intervento, si evolve all’interno di essa.

2.4 Gli indicatori di dispersione scolastica

A conclusione di questa breve trattazione sembra opportuno accennare a quelli che sono gli indicatori ai quali si fa comunemente ricorso nel- le indagini condotte negli ultimi anni sulla base. Come si è avuto modo di sottolineare, nella dispersione scolastica confluiscono differenti proble-

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matiche di ordine sociale, culturale, economico che si concretizzano nel contesto scolastico. In tal senso, la dispersione scolastica può essere con- siderata la risultante dell’interazione tra alcuni fattori che affondano le proprie radici nel contesto economico, sociale, familiare, scolastico e nella soggettività dell’individuo. La complessità sociale in cui il giovane vive e di cui è attore attivo e passivo, ha arricchito le cause endogene ed esogene al sistema scuola, moltiplicando i modi in cui la DS si manifesta (manca- ti ingressi, evasioni, ripetenze, abbandoni, bocciature, frequenze irregolari ecc). Per questi motivi, lo studio del fenomeno non può basarsi su sem- plici interpretazioni di causa-effetto, ma è necessaria una lettura d’insieme che può essere effettuata solo se ricondotta ad una visione sistemica delle cause scolastiche ed extrascolastiche. Negli ultimi anni la riflessione che ha accompagnato gli studi sul fenomeno si è orientata all’individuazione di indicatori che potessero determinare sincronicamente – o di stimare – la misura sia delle concause (interne ed esterne), sia dell’entità che la DS assume nei vari contesti territoriali. Ed è proprio in questa direzione che, sollecitati dall’Unione Europea, si stanno muovendo gli studiosi, il Mini- stero dell’Istruzione e le agenzia che intorno ad esso ruotano, l’obiettivo è di monitorare i percorsi scolastici, la qualità del sistema formativo, i feno- meni di disagio alla luce della complessità sociale. Le azioni di contrasto alla DS messe a punto negli ultimi quindici anni partono dall’assunto che le dispersione scolastica sia determinata – e possa essere dunque contrasta- ta – a partire, appunto, dalle tre dimensioni ritenute concause dei percorsi formativi irregolari, il contesto (territoriale), il contesto familiare e il siste- ma scolastico, ciascuna dimensione è poi defiita da una serie di indicatori che consentono di stimare l’entità del fenomeneo (Fig. 1 e Tab. 1)

La dimensione contestuale – territoriale – in cui il giovane vive costituisce un elemento fondamentale nella spiegazione del rendimento scolastico e nell’abbandono o permanenza nel circuito di istruzione e formazione; com- prende tutte quelle informazioni che descrivono la qualità della vita in un determinato ambito territoriale; esse sono rilevabili attraverso indicatori demografici, indicatori socio-economici, indicatori culturali e indicatori di devianza. La dimensione contesto familiare comprende tutte quelle infor- mazioni a livello macro relative alla tipologia familiare, con particolare riferimento al disagio interno alle famiglie stesse (l’ampiezza media della famiglia, il numero di madri sole con figli sul totale delle famiglie con fi- gli, e così via) e le informazioni a livello micro inerenti la composizione familiare dell’alunno. La dimensione del sistema scolastico è costituita dai fattori che determinano il livello di rendimento e la possibile permanen- za nel circuito di istruzione inclusa la serie di cause endogene alla scuola:

da un lato, la strutturazione dell’istituto e, dall’altro, le caratteristiche del

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corpo docente5.

Gli indicatori sono, perciò, raggruppabili in tre insiemi: gli indicatori della struttura scolastica, gli indicatori del corpo docente ed, infine, le ca- ratteristiche strutturali della popolazione studentesca. Quest’ultimo grup- po di informazioni risulta particolarmente rilevante in considerazione del fatto che i disagi e la dispersione si manifestano in modo più corposo in determinati indirizzi di studio. L’unità di analisi a cui questi indicatori fanno riferimento è, generalmente, l’istituto o l’aggregato territoriale che muta al variare dell’ordine di studi preso in considerazione, sarà, infatti la provincia se si tratta di istituti superiori o il comune nel caso di scuole elementari o medie inferiori6.

Figura 1: Modello causale di analisi sistemica della dispersione scolastica

Fonte: Ragozini e Vitale 2006.

5. Generalmente viene considerata una quarta dimensione che, però, può essere considerata un effetto delle altre tre ed una causa palese della DS, i percorsi forma- tivi irregolari. In questa dimensione rientrano tutti gli indicatori che definiscono le situazioni di insuccesso che potrebbero essere causa dell’abbandono scolastico, si tratta in genere di variabili aggregate, i dati sono raccolti a livello collettivo (tipo di istituto), ma fanno riferimento a livelli individuali sottostanti (studenti, docenti e così via).

6. Queste misure forniscono solo indicazioni di massima sulla dispersione scola- stica, tralasciando molti fattori importanti; ad esempio, se la dispersione scolastica include gli abbandoni o drop-out, temporanei o definitivi che siano, questi indica-

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tori non sono in grado di rilevare da soli, ad esempio, quanti ripetenti nell’anno scolastico precedente si riscrivono o abbandonano.

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Dimensione contestuale

Indicatori demografici: Indice di concentrazione territoriale della popolazione, Densità della popolazione(abitanti/kmq), Indice di invecchiamento, Tasso di crescita totale

Indicatori economici: Depositi bancari per abitante, Ammontare del valo- re aggiunto pro-capite a prezzi correnti, Tasso di disoccupazione, Tasso di occupazione, n° imprese registrate su 100 abitanti

Indicatori culturali: Spesa media per abitante per assistere a spettaco- li teatrali e musicali, Biglietti venduti per rappresentazioni teatrali e musicali per 1.000 abitanti, n° medio di biglietti venduti per rappresen- tazione teatrale o musicale, Sale cinematografiche aperte al pubblico per 100.000 abitanti, n° associazioni artistiche, culturali e ricreative ogni 100 mila abitanti, Incidenza di laureati, diplomati e qualificati, Copie di quotidiani diffuse giornalmente per 1.000 abitanti, Copie di quotidiani diffuse giornalmente per 1.000 famiglie

Indicatori dei comportamenti devianti, e di criminalità minorile: n° furti di auto denunciati ogni 100mila abitanti, n° furti in casa denunciati ogni 100mila abitanti, n° borseggi denunciati ogni 100mila abitanti, Indice di delittuosità, Minorenni denunciati per 100.000 abitanti 14-17 anni, Minorenni denunciati per delitti contro la persona per 100.000 abitanti 14-17 anni, Minorenni denunciati per delitti contro la famiglia e la mo- ralità per 100.000 abitanti in età 14-17 anni, Minorenni denunciati per delitti contro il patrimonio per 100.000 abitanti 14-17 anni, Minorenni denunciati per delitti contro l’economia e la fede pubblica per 100.000 abitanti 14-17 anni

Dimensione del contesto familiare

Ampiezza media della famiglia, Percentuale di famiglie con 5 o più componenti, n° di divorzi e separazione ogni 10mila famiglie, Percen- tuale di nuclei familiari ricostituiti, Madri con figli sul totale famiglie con figli, Coppie senza figli su coppie con figli, Coppie senza figli sul totale famiglie con figli

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Dimensione del sistema scolastico

n° medio di alunni per classe, Rapporto Alunni / posti, Alunni / Scuo- le, Alunni / Posti in organico degli insegnanti (escluso il sostegno), Alunni di sezioni staccate / Alunni totali (solo per il I grado), Alunni con handicap / Alunni totali, Posti di sostegno / Alunni con handicap, Indirizzi / Classi (solo per il II grado), Alunni in tempo prolungato / Alunni totali (solo per il I grado), Percentuale di scuole serali sul totale delle scuole, Percentuale di comuni con scuole dell’infanzia, elementa- re e media sul totale dei comuni della prov., Docenti non di ruolo sul totale personale di ruolo nella S.M.I., Docenti con anzianità servizio compresa tra i 35-40 anni nella S.M.I., Docenti con anzianità servizio inferiore a 5 anni nella S.M.I., Docenti non di ruolo sul totale personale di ruolo nella S.S., Docenti con anzianità servizio compresa tra i 35-40 anni nella S.S., Docenti con anzianità servizio inferiore a 5 anni nella S.S., Docenti di età inferiore ai 40 anni/n° totale docenti, Docenti di età superiore a 60 anni/n° totale docenti, Docenti femmine / Docenti di ruolo, Docenti titolari nella sede da almeno 5 anni / n° totale docenti, Supplenti/ docenti di ruolo, Cattedre esterne e cattedre create con le ore residue/ Totale posti in organico, Iscritti agli istituti professionali, Iscritti agli istituti tecnici, Iscritti ai licei, Iscritti uomini e donne

Dimensione dei percorsi formativi irregolari

n° di alunni ripetenti, n° di alunni pluri – ripetenti, n° di alunni respin- ti, n° degli alunni in ritardo, Indice di sopravvivenza, Passaggio dalla classe a alla classe, Tasso di interruzione di frequenza, Tasso di abban- dono, Tasso di bocciatura, Tasso di evasione, Tasso di ripetenza, Tasso di ritardo, Tasso di ritiro, Tasso di interruzione di frequenza, Tasso di frequenza irregolare, Tasso di mancata frequenza

Fonte: Caputo 2006.

2.5 Conclusioni

Tra gli studiosi è ormai condivisa l’idea che la complessità della disper- sione scolastica in termini di concause deve necessariamente prevedere un approccio multidimensionale. E non solo. È altresì necessario procedere seguendo una logica interistituzionale nella quale rientrano la scuola, il contesto sociale culturale ed economico e lo studente e analizzando tutte

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le informazioni in un’ottica sistemica che consideri, sincronicamente. Ep- pure, come si è sottolineato altrove (Caputo 2017), se le azioni di contrasto alla dispersione sembra ormai muoversi in questa direzione, nella pratica della ricerca solo di rado si colgono le sfaccettature del fenomeno. «Questi studi, condotti a partire da dati individuali raccolti tramite indagini ad hoc sugli studenti che hanno abbandonato la scuola, concentrandosi sull’indi- viduo, non considerano l’altro aspetto della dispersione relativo all’intero sistema sociale [. . . ] sono pochi gli studi che analizzano l’impatto sul tas- so di dispersione delle politiche di welfare» (Ragozini, Vitale 2006, p. 10).

Queste, per così dire, mancanze, assumono connotazioni fuorvianti se si pensa che in Italia permangono situazioni di diseguaglianze tra i giovani dovute all’appartenenza a classi sociali, a zone geografiche differenti o a diverse provenienze, diseguaglianze che si concretizzano proprio nel siste- ma scolastico. Infatti, nonostante il progressivo innalzamento dei livelli di istruzione che ha consentito per molti aspetti il recupero del ritardo accu- mulato dall’Italia rispetto ad altri paesi europei, persiste soprattutto negli istituti superiori una eredità intergenerazionale dei livelli di istruzione ed una ridotta mobilità sociale e culturale. «Manca, negli attori che promuo- vono politiche e dispositivi contro la dispersione, la capacità di ‘legarÈ la dimensione individuale (adeguata conoscenza del problema, richiesta di aiuto/sostegno, disponibilità a mettersi in gioco, capacità di scelta fra al- ternative ecc.) – che rimanda alla capability del soggetto – a quella collettiva e sociale: costruzione di una coscienza condivisa del problema tra gli ad- detti ai lavori, ma anche traduzione di questa rappresentazione in termini leggibili dagli studenti e dalle famiglie; capacità di costruire un sistema di protezioni, garanzie, risposte al problema, che ricada positivamente sul benessere e sugli standard di vita di tutta la comunità» (Colombo 2015, p.

417).

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I numeri dell’educazione

Barbara Saracino

Abstract

Questo contributo, di sfondo rispetto al resto del volume, intende “dare i numeri” sul mondo dell’istruzione e della formazione in un’ottica compa- rata tra l’Italia e gli altri Stati membri dell’Unione Europea con l’intento di posizionare l’Italia in maniera adeguata rispetto alle riflessioni maturate su scala nazionale, regionale e locale nel resto del testo.

Parole chiave: Eurostat, scuola, università, formazione permanente.

3.1 Introduzione

Servendosi degli ultimi dati messi a disposizione dall’Eurostat1, obiettivo di questo capitolo è fornire un po’ di dati di sfondo sul mondo dell’educa- zione in Italia e in Europa.

La classificazione internazionale standard dell’istruzione (ISCED – In- ternational Standard Classification of Education) elaborata dall’UNESCO fin dal 1975 e successivamente aggiornata nella sua ultima edizione nel 2011 distingue nove livelli di istruzione: educazione della prima infanzia, istru- zione primaria, istruzione secondaria inferiore, istruzione secondaria su- periore, istruzione post-secondaria non terziaria, istruzione terziaria di ci- clo breve, diploma accademico di primo livello, diploma accademico di secondo livello e dottorato. Il capitolo segue per i primi tre paragrafi la classificazione dei livelli di istruzione. Per ciascun paragrafo – scuola del- l’infanzia e scuola primaria, scuola secondaria, università – e quindi per ciascun livello di istruzione vengono forniti e commentati i dati relativi a tre dimensioni: gli studenti, i docenti e le risorse finanziare.

Mentre nel quarto paragrafo viene dato spazio all’istruzione e alla for- mazione degli adulti. Vengono presentati e commentati i dati sulla parte- cipazione a tutte e tre le forme di apprendimento permanente – formale, non formale e informale – rilevati dall’Eurostat attraverso l’indagine sulle forze di lavoro e quella sull’educazione degli adulti.

1. https://bit.ly/30SvlIH.

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3.2 La scuola dell’infanzia e la scuola primaria

La scuola aiuta i bambini ad acquisire le abilità e le competenze di base utili allo sviluppo personale. La qualità dell’esperienza scolastica di un alunno influisce non solo sul suo sviluppo, ma anche sul ruolo che ricopri- rà nella società, sul livello di istruzione che raggiungerà, e sulle opportu- nità di lavoro che avrà a disposizione. La scuola dell’infanzia e la scuola primaria sono importanti per preparare gli alunni al livello secondario e terziario della loro istruzione.

Il numero di alunni in ciascuno dei primi livelli di istruzione varia sen- sibilmente tra i vari Stati membri dell’Unione Europea. La variazione di- pende dalla struttura demografica di ciascuna popolazione, ma anche dalle politiche specifiche di ciascun paese relative allo sviluppo dell’istruzione pre-primaria. Nell’Unione Europea a 28 nel 2016 i bambini che frequenta- no un asilo o una scuola dell’infanzia sono 15,4 milioni, mentre gli alunni che frequentano una scuola primaria sono 29,1 milioni.

Il Quadro strategico per la cooperazione europea in merito a istruzione e formazione (ET 2020), adottato nel maggio 2009, ha fissato almeno al 95% la quota di bambini che dovrebbe frequentare la scuola per l’infanzia.

Complessivamente, per l’Unione Europea a 28, l’obiettivo è stato raggiunto nel 2016: Francia e Regno Unito sono arrivati al 100%, e altri undici paesi, tra cui l’Italia, hanno superato il 95%; mentre rimangono sotto la soglia dell’80% solo tre paesi: Croazia, Grecia e Slovacchia.

La qualità dell’istruzione può mostrare variazioni nazionali e locali le- gate a una varietà di fattori socio-demografici, ma anche agli standard di insegnamento, che a loro volta sono legati alle richieste rivolte agli inse- gnanti, alla formazione che ricevono, ai ruoli che sono chiamati a svolgere, e alle risorse messe a disposizione per svolgere i loro compiti.

Nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria c’è un netto predo- minio delle donne tra gli insegnanti. Nell’Unione Europea a 28 nel 2016 si contano 1,2 milioni di insegnanti di scuola materna e 2,2 milioni di in- segnanti di scuola elementare, ma gli uomini rappresentano solo il 4% di tutti gli insegnanti nella scuola dell’infanzia e il 15% di tutti gli insegnanti nella scuola primaria.

Il numero di insegnanti nella scuola materna è pari a 290 mila unità in Germania, ma questo paese resta un caso specifico ed isolato; ci sono solo altri tre Stati in Europa, infatti, che superano le 100 mila unità e sono Francia, Italia e Spagna. L’analisi per sesso rivela che Francia e Paesi Bassi sono gli unici Stati membri ad avere una quota di insegnanti uomini nella scuola dell’infanzia che supera il 10%, mentre in dieci paesi la quota non arriva nemmeno all’1% e in quattro paesi, tra cui l’Italia, viene superata ma di pochissimo.

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Il numero di insegnati nella scuola elementare è superiore alle 200 mila unità in Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna, ma solo in que- sto paese – e in Grecia, Finlandia Lussemburgo e Svezia – la quota di inse- gnanti uomini supera il 20%. In dieci paesi, tra cui l’Italia, la percentuale di insegnanti uomini non arriva al 10%.

Una misura che può essere usata per analizzare la qualità dell’istruzio- ne è il rapporto del numero di alunni per insegnante. Nel 2016, nell’Unione Europea a 28, in media ogni insegnante ha circa 14 alunni sia nella scuola dell’infanzia sia nella scuola primaria. In particolare, nella scuola materna hanno un rapporto inferiore a 10 alunni per insegnante Danimarca, Esto- nia, Germania, Lettonia, Slovenia e Svezia; mentre nella scuola elementare ad avere questo rapporto sono solo Grecia e Romania.

L’Italia è sotto la media europea in entrambi i casi: registra un numero di alunni per insegnate pari a 13 nella scuola per l’infanzia, collocandosi al sedicesimo posto in Europa; ma fa meglio nella scuola primaria registran- do un rapporto alunni-insegnante pari solo a 11 e collocandosi quindi al sesto posto in Europa.

La quota di risorse finanziarie destinate all’istruzione può essere misu- rata rispetto al prodotto interno lordo. Nell’ultimo anno in cui il dato è disponibile, la spesa pubblica per l’istruzione pre-primaria nei paesi del- l’Unione Europea a 28 è pari allo 0,5% del PIL: parte dallo 0,1% in Irlanda e arriva all’1,3% in Danimarca e Svezia; è uguale alla media europea in Italia e in Austria, Germania, Malta, Spagna, Repubblica Ceca e Slovacca.

Il livello di spesa per l’istruzione primaria è invece generalmente più ele- vato: nei paesi dell’Unione Europea a 28 è pari all’1,2% del PIL; parte da un minimo dello 0,4% in Romania ma arriva a un massimo del 2,1% in Danimarca e Cipro; è sotto la media europea però per undici paesi, tra cui l’Italia che si ferma all’1% del PIL.

3.3 La scuola secondaria

Il numero di studenti che si trovano in ciascuno dei due livelli di istruzione secondaria – inferiore e superiore – e nell’istruzione post-secondaria non terziaria varia ovviamente tra gli Stati membri dell’Unione Europea, a cau- sa della struttura demografica della popolazione ma anche delle politiche specifiche di ciascun paese relative alla durata dell’istruzione obbligatoria e alla disponibilità di ulteriore formazione al di fuori del sistema scolasti- co, dopo l’istruzione obbligatoria e/o alla fine dell’istruzione secondaria.

In particolare, l’istruzione secondaria non terziaria, che prepara gli studen- ti all’ingresso nel mercato del lavoro e all’istruzione terziaria, non esiste in alcuni Stati (Croazia, Danimarca, Paesi Bassi, Regno Unito e Slovenia) ed

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è relativamente poco comune in molti altri, tra cui l’Italia.

In Europa solitamente si accede all’istruzione secondaria inferiore tra i 10 e i 13 anni. Nel 2016 nell’Unione Europea a 28 ci sono 20,5 milioni di alunni nell’istruzione secondaria inferiore e solo il 19% di questi frequen- ta una scuola privata. La percentuale di alunni che frequenta una scuola privata varia però sensibilmente tra gli Stati: è vicina al 60% in Belgio e Regno Unito; è sotto il 5% in Bulgaria, Estonia, Finlandia, Grecia, Ita- lia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi e Repubblica Ceca; è inferiore all’1% in Croazia, Irlanda, Romania e Slovenia.

Gli adolescenti dell’Unione Europea accedono solitamente tra i 14 e i 16 anni all’istruzione secondaria superiore. Nel 2016 si contano 22 milioni di studenti in questo livello di istruzione, e tra questi il 29,5% frequenta una scuola privata. Più alta rispetto alla percentuale di chi frequenta una scuola secondaria inferiore privata, anche in questo caso la percentuale di alunni che frequenta una scuola secondaria superiore privata varia sensibilmente tra gli Stati membri: è ancora vicina al 60% in Belgio ma arriva a superare l’80% nel Regno Unito; non è in nessun paese inferiore all’1%; è sotto il 5% in Croazia, Bulgaria, Estonia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Romania e Danimarca, ma non in Finlandia, Italia, Paesi Bassi, Repubblica Ceca e Slovenia.

Interessante per la scuola secondaria superiore è distinguere anche tra programmi generalisti e professionalizzanti (general o vocational program- me). Nell’Unione Europea a 28 la distribuzione degli studenti sui due tipi di programma è sostanzialmente equilibrata, ma anche su questo dato ci sono differenze significative tra i paesi. In quattordici Stati membri la per- centuale di alunni di scuola secondaria superiore che segue programmi generalisti è superiore alla metà; mentre negli altri quattordici paesi, tra cui l’Italia, è maggioritaria la quota di alunni che segue programmi profes- sionalizzanti. La percentuale di chi segue programmi generalisti durante la scuola secondaria superiore è vicina al 30% in Croazia, Finlandia, Slove- nia, Repubblica Ceca e Slovacca; supera il 70% a Cipro e Malta, in Grecia, Lituania e Ungheria; arriva al 100% in Irlanda.

Come suggerisce il nome, l’istruzione post-secondaria non terziaria ini- zia dopo il completamento dell’istruzione secondaria superiore. Nel 2016 nell’Unione Europea a 28 si contano solo 1,6 milioni di studenti in questo li- vello di istruzione; tra questi, il 39% frequenta una scuola privata e il 91,5%

segue un programma professionalizzante. Tra i ventitré Stati membri che hanno un livello di istruzione post-secondaria non terziaria, il paese che ha il maggior numero di alunni è la Germania con 737 mila unità; men- tre l’Italia si colloca al diciannovesimo posto: nel 2016 risulta infatti avere meno di 2 mila alunni in questo livello di istruzione, tutti frequentanti un corso privato con un programma di tipo professionalizzante.

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Nel 2016 nei 28 paesi dell’Unione Europea lavorano 1,83 milioni di in- segnati nelle scuole secondarie inferiori e 1,78 milioni di insegnati nelle scuole secondarie superiori. Se tra gli alunni c’è un sostanziale equilibrio di genere, tra gli insegnati invece c’è un forte squilibrio, anche se non co- sì accentuato come nei livelli dell’istruzione pre-primaria e primaria. Nel 2016 nell’ambito dell’istruzione secondaria inferiore gli insegnanti uomini rappresentano il 32% del totale e la quota di insegnati donne è superiore al 75% in dieci paesi, tra cui l’Italia; mentre nell’ambito dell’istruzione secon- daria superiore gli insegnati uomini rappresentano il 39% del totale, cioè sette punti percentuali in più. A registrare la maggior presenza maschile nella scuola secondaria superiore sono (in ordine decrescente): Danimarca, Paesi Bassi, Svezia, Grecia, Germania, Lussemburgo, Spagna, Austria, Fran- cia, Finlandia e Malta; mentre anche in questo caso l’Italia si colloca sotto la media europea con una percentuale di insegnati donne pari al 63,5%.

Nel 2016, nell’Unione Europea a 28, in media ogni insegnante ha circa 12 alunni sia nella scuola secondaria inferiore sia in quella superiore. In particolare, nella scuola secondaria inferiore hanno un rapporto inferiore a 8 alunni per insegnante Grecia, Malta, Lettonia, Lituania e Slovenia; mentre nella scuola secondaria superiore ad avere questo rapporto è solo la Litua- nia. In sedici Stati membri il rapporto alunni-insegnate è superiore nella scuola secondaria di secondo livello rispetto a quella di primo livello. Nella scuola secondaria di secondo livello hanno un rapporto sopra i 14 alunni per insegnante Estonia, Finlandia, Slovenia, Paesi Bassi e Regno Unito.

L’Italia è sotto la media europea in entrambi i casi: registra un numero di alunni per insegnate pari a 11 nella scuola secondaria inferiore e pa- ri a 10 nella scuola secondaria superiore, collocandosi rispettivamente al sedicesimo e al dodicesimo posto in Europa.

Se nel 2016 l’Europa conta 20,5 milioni di alunni nella scuola secondaria inferiore e 22 milioni nella scuola secondaria superiore, qual è la spesa pubblica per questi due livelli di istruzione?

Nei 28 paesi europei la quota di risorse finanziarie pubbliche destina- te per l’istruzione secondaria di primo livello è pari all’1% del PIL: parte dallo 0,6% in Estonia e Irlanda, arriva all’1,2% in Austria, Cipro, Danimar- ca, Francia, Germania e Paesi Bassi; è sotto la media europea in ben 17 paesi, tra cui l’Italia che si ferma allo 0,7%. La spesa pubblica per l’istru- zione secondaria superiore è pari invece all’1,1%: va da un minimo dello 0,5% registrato in Lituania a picchi sopra l’1,5% del PIL registrati in Belgio, Danimarca e Finlandia; è uguale alla media europea solamente in Italia e Ungheria.

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3.4 L’università

L’istruzione terziaria – fornita da università e istituti di alta formazione – è il livello di istruzione successivo all’istruzione secondaria. Ormai indiscus- sa è l’idea che oggi giochi un ruolo essenziale nella società, promuovendo l’innovazione, aumentando lo sviluppo economico e la crescita, e miglio- rando più in generale il benessere dei cittadini. In costante crescita è la domanda di persone altamente qualificate, ma molte lacune sono anco- ra presenti nelle competenze dei cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea.

Secondo la classificazione internazionale standard l’istruzione terziaria comprende quattro livelli: l’istruzione terziaria di ciclo breve, il diploma accademico di primo livello (la laurea triennale), il diploma accademico di secondo livello (la laurea magistrale) e il dottorato. Questi ultimi tre livelli sono presenti in tutti gli Stati membri, mentre l’istruzione terziaria di ciclo breve, che è tipicamente votata alla preparazione degli studenti al mercato del lavoro, non fa parte del sistema di istruzione in Bulgaria, Estonia, Finlandia, Grecia, Lituania e Romania, ed è abbastanza rara in molti altri.

Nell’Unione Europea a 28 nel 2016 complessivamente ci sono quasi 20 milioni di studenti nell’istruzione terziaria; tra questi il 7% segue corsi di ciclo breve, il 61% studia per una laurea triennale, il 28% per una laurea magistrale e il 4% per un dottorato. La Germania – lo Stato membro del- l’UE più popoloso – conta 3 milioni di studenti: il numero più alto, ed equivalente al 15,5% del totale. Oltre alla Germania, sono la Francia (13%

del totale), il Regno Unito (12%), la Spagna (10%), l’Italia (9%) e la Polonia (8%) ad avere le popolazioni studentesche più grandi.

Ma, in particolare, quali sono le quote di partecipazione per livelli di istruzione terziaria? I corsi di ciclo breve sono più comuni in Francia, Spa- gna, Lettonia, Austria e Malta. Insieme, gli studenti che frequentano questo livello di istruzione nei cinque paesi compongono il 67,5% del totale.

Per tutti gli Stati membri Il numero più alto di studenti si ritrova nel secondo livello di istruzione terziaria. Solo in Austria, Francia e Lussem- burgo la quota di studenti che studia per una laurea triennale è inferiore al 50%. In Irlanda, Lituania, Grecia e Paesi Bassi oltre i tre quarti degli studenti sono impegnati in questo livello di istruzione.

Meno di un quinto di tutti gli studenti impegnati nell’istruzione ter- ziaria studia per una laurea magistrale in Belgio, Grecia, Irlanda, Paesi Bassi, Regno Unito e Spagna. Al contrario, più di un terzo degli studenti universitari è impegnato per il conseguimento di una laurea magistrale in Croazia, Cipro, Francia, Italia, Lussemburgo, Portogallo, Repubblica Ceca e Slovacca.

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Nel 2016 la percentuale più alta di dottorandi di ricerca è in Lussembur- go (9%), mentre è inferiore al 3% in Croazia, Italia, Malta, Lituania, Paesi Bassi e Ungheria.

Nei 28 paesi europei le donne rappresentano il 54% di tutti gli studen- ti all’università. La percentuale di donne è leggermente più alta al livello della laurea triennale (57%) mentre è leggermente più bassa al livello della laurea triennale (53%) e dei corsi di ciclo breve (52%). Gli uomini invece sono in maggioranza tra gli studenti di dottorato. L’Italia è sopra la media europea per tre dei quattro livelli di istruzione considerati. Nel 2016 in Ita- lia le studentesse all’università sono il 56%, raggiungono quasi il 60% tra gli studenti che frequentano una laurea magistrale e sono in maggioranza anche tra i dottorandi. Solo nei corsi di ciclo breve la presenza femminile è risicata: tra i circa 8.000 studenti italiani che risultano frequentarli solo il 26% è donna.

Nel 2016 in Europa, la percentuale di studenti in scienze sociali, giorna- lismo, economia o legge è pari al 32% e le donne rappresentano il 58% del totale. Il secondo settore di istruzione più comune è quello dell’ingegne- ria, dell’industria e delle costruzioni: in questo caso gli studenti impegnati sono il 16% e quasi i tre quarti sono uomini. Il terzo campo di studi che assorbe una quota rilevante di studenti è quello della salute e del welfare, con una percentuale di studenti pari al 13% e una presenza delle donne che supera il 70%. Tra i rimanenti campi di studio la quota più alta di studenti donne è nell’ambito della pedagogia e dell’educazione (78%) e in quello delle scienze umane e artistiche (64,5%), mentre nell’ambito delle scien- ze naturali, della matematica, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione la percentuale di uomini è superiore di dieci punti percen- tuali a quella delle donne. In Italia le differenze tra studenti e studentesse appena riscontrate appaiono più marcate: se è vero che rispetto al dato complessivo europeo la quota di donne è superiore a quella maschile in quasi tutti i campi di studio, in quello della pedagogia e dell’educazione le studentesse superano il 90%, mentre nelle discipline legate alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione arrivano appena al 13%.

Nel 2016 nei 28 paesi dell’Unione Europea insegano nell’istruzione ter- ziaria quasi 1,5 milioni di persone, di cui solo una piccola minoranza – circa 100mila – in corsi di ciclo breve. Più di un quarto del personale do- cente europeo lavora in Germania, mentre poco più di un decimo sono in Spagna e nel Regno Unito; solo il 6% lavora in Italia.

Se gli insegnanti delle scuole primarie e secondarie sono in maggioran- za donne, nell’istruzione terziaria la maggior parte del personale docente è costituito da uomini. In Europa nel 2016 la quota di docenti uomini è vicina ai tre quinti, ed è superiore a questa cifra in sei paesi: Grecia,

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Lussemburgo, Malta, Italia, Repubblica Ceca e Germania.

Il rapporto tra studenti e personale accademico è in media pari a 15 nell’Eu- ropa a 28. Tra gli Stati membri il numero di studenti per docente supera le 20 unità in Grecia, Belgio e Italia, mentre resta sotto le 10 unità in Lussemburgo e a Malta, ed è relativamente basso anche in Svezia e Danimarca.

La spesa pubblica per l’istruzione terziaria varia da un minimo dello 0,5% del PIL in Lussemburgo a un picco del 2,4% in Danimarca. È in media in Europa dell’1,2%. È sotto la media europea in undici paesi tra cui l’Italia, che spende per i livelli alti di istruzione solo lo 0,7% del proprio prodotto interno loro.

3.5 L’istruzione per gli adulti

Con l’anno scolastico 2014/2015 in Italia hanno preso avvio i Centri Provin- ciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA). I nuovi centri svolgono le funzio- ni che prima venivano realizzate dai Centri Territoriali Permanenti (CTP) e dalle Istituzioni scolastiche sede di Corsi serali. I CPIA sono dedicati a: adulti, anche stranieri, che non hanno assolto l’obbligo di istruzione e che intendono conseguire il titolo di studio conclusivo del primo livello di istruzione; adulti, anche stranieri, che sono in possesso del titolo di studio conclusivo del primo livello di istruzione e che intendono conseguire un titolo di studio conclusivo del secondo livello di istruzione; adulti stranieri che intendono iscriversi ai percorsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana; giovani che hanno compiuto i 16 anni di età e che, in possesso del titolo di studio conclusivo del primo livello di istruzione non possono frequentare i corsi diurni. I corsi di istruzione per adulti dei CPIA sono quindi organizzati in tre percorsi: percorsi di istruzione di primo li- vello, percorsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana e percorsi di istruzione di secondo livello. I percorsi di istruzione di primo livello e i percorsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italia- na vengono realizzati dai CPIA, mentre i percorsi di istruzione di secondo livello vengono realizzati dalle istituzioni scolastiche di istruzione tecnica, professionale e artistica2.

L’istruzione degli adulti, così come appena descritta nella sua organiz- zazione in Italia, non esaurisce però l’intera gamma della formazione per gli adulti. L’Unione Europea definisce per apprendimento permanente la partecipazione delle persone di età compresa tra i 25 e i 64 anni a program- mi di istruzione e formazione. In generale, l’apprendimento permanente comprende tutte le attività di apprendimento mirate – formali, non for- mali o informali – intraprese su base continuativa al fine di migliorare le

2. https://bit.ly/2lVaS6W

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conoscenze, le abilità e le competenze. L’obiettivo di apprendere è il punto critico che distingue queste attività da altre attività non di apprendimento, come quelle culturali o sportive. Il criterio fondamentale per distinguere le attività di apprendimento dalle attività di non apprendimento consiste dunque nella ricerca intenzionale, di conoscenze, abilità e competenze. Le attività di apprendimento possono essere definite grazie a una classifica- zione denominata Classification of Learning Activities (CLA). L’educazione formale è istituzionalizzata, intenzionale e pianificata attraverso organiz- zazioni pubbliche e organismi privati riconosciuti e nella sua totalità costi- tuisce il sistema di istruzione formale di un paese. L’educazione on forma- le riguarda invece attività di apprendimento organizzate fuori del sistema di istruzione formale. La CLA distingue tre ampie categorie di istruzione non formale: programmi non formali, corsi (lezioni in aula, lezioni priva- te e corsi teorico-pratici, compresi i laboratori) e addestramento guidato sul posto di lavoro. L’apprendimento non formale può svolgersi dunque sia all’interno sia all’esterno delle istituzioni educative e può riguardare persone di tutte le età. L’apprendimento informale è meno organizzato e meno strutturato. Può includere un qualsiasi evento di apprendimento che si verifica in famiglia, sul posto di lavoro o nella vita quotidiana3.

Per analizzare la partecipazione delle persone di età compresa tra i 25 e i 64 anni a programmi di istruzione e formazione l’Unione Europea si serve dei dati raccolti attraverso due survey: the Labour Force Survey (LFS) e the Adult Education Survey (AES).

Il Quadro strategico per la cooperazione europea in merito a istruzione e formazione adottato nel maggio 2009 ha fissato una serie di parametri da raggiungere entro il 2020, tra cui quello relativo alla partecipazione degli adulti all’apprendimento: vale a dire che una quota di almeno il 15% di adulti tra i 25 ei 64 anni coinvolti in progetti di apprendimento permanente.

Secondo i dati raccolti con l’indagine sulle forze di lavoro, nel 2018, nelle quattro settimane precedenti l’intervista la percentuale di europei tra i 25 ei 64 anni che ha partecipato a un programma di istruzione o formazione è stata dell’11%, una quota più alta di circa 0,5 punti percentuali rispetto a quella rilevata nel 2013. Danimarca, Finlandia e Svezia si sono distinti dagli altri Stati membri registrando percentuali sopra il 20%. Pure altri cinque paesi hanno superato il parametro fissato per il 2020, mentre quattrodici paesi tra cui l’Italia sono sotto il 10%. Le donne hanno registrato tassi di partecipazione più elevati rispetto agli uomini in tutti gli Stati membri ad eccezione di Cipro, Germania, Grecia, Romania e Repubblica Slovacca.

Oltre ai dati dell’indagine sulle forze di lavoro che fornisce informazio-

3. https://bit.ly/2kPAKky.

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