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COLLEGIO DI NAPOLI. Membro designato dalla Banca d'italia. Membro di designazione rappresentativa. dei clienti FATTO

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COLLEGIO DI NAPOLI

composto dai signori:

(NA) CARRIERO Presidente

(NA) SANTAGATA DE CASTRO Membro designato dalla Banca d'Italia

(NA) PORTA Membro designato dalla Banca d'Italia

(NA) ROSAPEPE Membro di designazione rappresentativa

degli intermediari

(NA) GIGLIO Membro di designazione rappresentativa

dei clienti

Relatore SANTAGATA DE CASTRO RENATO

Seduta del 20/12/2017

FATTO

Il ricorrente, titolare unitamente alla cointestataria di due rapporti di conto corrente accesi presso la banca convenuta, riferisce: 1) di aver incaricato un esperto per la verifica degli interessi debitori applicati, “avendo notato dei tassi eccessivi”; 2) dall’analisi effettuata sugli estratti conto limitatamente a due trimestri (al 30/06/2014 e al 31/12/2014), sarebbe emersa l’indicazione di saldi “viziati da tassi usurari, tassi ultralegali, commissioni e spese non pattuite e da anatocismo”.

Riscontrato negativamente il reclamo e dolendosi di non aver ottenuto copia degli estratti conto richiesti relativi ai rapporti, l’istante propone ricorso all’Arbitro, innanzi al quale formula una serie di doglianze enucleabili come segue.

a) Applicazione di interessi usurari: il ricorrente, “da un’analisi dettagliata delle competenze trimestrali”, contesta l’addebito, per i due periodi considerati, di tassi superiori alla soglia usura, per euro 324,85 relativamente al c/c n. xxx453, ed euro 567,45 relativamente al c/c n. xxx790, e che “pertanto dal 2009 ad oggi l’usura presunta, calcolata sulla base dei conteggi effettuati sui due trimestri in possesso, ammonta ad euro 15.300,00”.

b) Anatocismo: secondo quanto riferito dal ricorrente, la banca avrebbe computato, liquidato e addebitato interessi passivi, “in base a criteri privi di sufficiente determinatezza”, in violazione dell’art. 1283 c.c., in mancanza di previsioni scritte circa la capitalizzazione degli interessi ed in assenza di adeguamento alla normativa vigente; a tal

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proposito il ricorrente chiede la restituzione degli interessi anatocistici “riscontrati” per euro 2.000,00.

c) Commissione di massimo scoperto: parte attrice contesta la pretesa applicazione della commissione di massimo scoperto, nonché di eventuali analoghe commissioni applicate in violazione delle previsioni di cui all’art. 117-bis Tub, ritenute illegittime per mancata indicazione delle relative modalità di calcolo nonché per assenza di causa; lamenta inoltre che tali oneri avrebbero contribuito al superamento della soglia usura, dovendo il relativo costo essere incluso nel calcolo del TEG.

d) Spese e costi vari di tenuta conto addebitati “senza causale”: ritiene il ricorrente che, in mancanza di valida pattuizione scritta, anche tali addebiti – da individuare sulla base dell’esame degli estratti conto – dovranno essere scorporati dai saldi dei conti.

e) Mancato invio degli estratti conto più volte richiesti: il ricorrente lamenta che, nonostante il formale reclamo, la banca convenuta non ha mai evaso la richiesta di documentazione presentata ai sensi dell’art. 119 TUB relativamente agli estratti conto scalari a far data dall’apertura dei rapporti.

f) Risarcimento del danno: il ricorrente si duole, infine, di aver subito un notevole pregiudizio a causa degli addebiti illegittimi operati sui conti correnti, che hanno ridotto la liquidità a sua disposizione, “così limitando pesantemente la sua attività economica”;

chiede pertanto il risarcimento del danno non patrimoniale subito.

Il ricorrente formula dunque le seguenti domande all’Arbitro: 1) ordinare all’intermediario convenuto di fornire gli estratti conto bancari, compresi anche i conteggi scalari relativi ai due rapporti di conto corrente già più volte richiesti, dall’apertura del conto corrente sino al 31.3.2014, il trimestre 30.9.2014 e dal 31.3.2015 ad oggi; 2) ritenere e dichiarare, per i motivi di cui in narrativa, la nullità delle clausole contenenti la previsione della capitalizzazione periodica degli interessi passivi ultralegali e delle commissioni di massimo scoperto e di ogni altra spesa o costo di tenuta del conto, sia perché applicati in assenza di valida convenzione scritta, ovvero nell’ipotesi di produzione in corso di causa dei contratti di conto corrente da parte della convenuta e/o dei contratti relativi a conti anticipi de quibus, perché inserite nei contratti di conto corrente ordinari o nei conti anticipi intercorsi tra le parti per insufficiente determinatezza e/o applicate con rinvio a parametri generici ed indeterminati come la clausola uso mercato, uso piazza e/o similari; 3) ritenere e dichiarare la nullità delle clausole contenenti la previsione della corresponsione della commissione di massimo scoperto (in subordine, limitatamente alla parte in cui siano state applicate sull’utilizzo di somme non eccedenti l’affidamento bancario goduto), inserite nei contratti di conto corrente intercorsi tra le parti, per mancanza di causa o insufficiente determinatezza; 4) ritenere e dichiarare nulle in quanto determinate e/o prive di causa le clausole che impongono spese e costi di tenuta del conto, inserite nei contratti di conto corrente intercorsi tra le parti e/o nei contratti relativi ai conti anticipi o nei fogli condizioni;

5) ritenere e dichiarare la nullità delle clausole relative al calcolo della valuta per i motivi di cui in narrativa e comunque perché calcolata con effetto anticipato per le operazioni passive (per il cliente) e posticipato per le operazioni attive (sempre per il cliente) inserite nei contratti di conto corrente ordinari o nei contratti conti anticipi intercorsi tra le parti, e per l’effetto ritenere e dichiarare che le operazioni attive abbiano valuta nella data di acquisizione delle disponibilità del danaro, e quelle passive nella data di effettuazione dell’operazione; 6) ritenere e dichiarare che, per l’effetto dell’anatocismo nascosto, la pattuizione dei tassi di interesse sui conti, risulta non valida e/o indeterminata e/o contra legem e, pertanto, il tasso di interesse applicabile è quello legale; 7) ritenere e dichiarare che il tasso di interesse effettivo globale, ai fini della rilevazione dell’usura debba essere calcolato includendo CMS, costi vari di tenuta conto, effetti dell’anatocismo ed effetti delle valute differenziate (a sfavore del cliente) per le operazioni attive/passive; 8) ritenere e

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dichiarare che, per alcuni periodi, vi è stato superamento del tasso soglia di usura e, per l’effetto ritenere interamente non dovuti detti interessi usurari; 9) accertare nei contratti di conto corrente de quibus la mancata e/o valida pattuizione del tasso di interesse ultralegale e, per l’effetto, ritenere e dichiarare che non sono dovuti tutti gli interessi addebitati in eccedenza rispetto al tasso legale pro tempore vigente; 10) per l’effetto rideterminare il saldo dei conti correnti, depurandoli dal tasso ultralegale, dalle commissioni di massimo scoperto sia intrafido che extrafido, dalle spese e con corretta applicazione della valuta secondo i criteri indicati in narrativa; 11) ritenere e dichiarare non dovute tutte le somme imputate a titolo di interessi passivi e commissioni dal momento in cui, a seguito del ricalcolo contabile, il conto risulti pari a zero e, per l’effetto, condannare gli istituti bancari alla restituzione delle somme indebitamente versate sul conto in positivo, stante che le stesse somme risultano effettivamente versate in conto capitale e non a titolo di competenze; 12) da ultimo, ed in base agli esiti delle verifiche sopra indicate, ricalcolare ed accertare il saldo attuale dei conti intrattenuti da parte ricorrente presso le banche convenute; 13) ritenere e dichiarare che il ricorrente ha diritto al risarcimento del danno procuratogli dalle banche mediante applicazione di clausole illegittime (danno consistente nella privazione di liquidità, utilizzata per pagare debiti insussistenti od in misura superiore al dovuto, anziché essere impiegata in investimenti produttivi o comunque in occasioni di espansione dell’attività economica oggetto d’impresa; 14) all’esito del predetto ricalcolo dell’attuale saldo dei conti intrattenuti presso la banca, accertare se vi è ed a quanto ammonti il debito residuo dell’odierno ricorrente, ovvero se ed in che misura vi è un credito della medesima e ritenere e dichiarare in tal caso l’obbligo della banca di corrispondere detta somma; 15) condannare l’istituto di credito al pagamento della somma, a titolo di restituzione di indebito, tenuto conto della differenza a favore di parte ricorrente, ammontante ad euro 16.192,30 (di cui euro 892,30 calcolati sulla base degli estratti conto in possesso e di cui euro 15.300,00 sulla base di calcoli empirici) per violazione dell’art.

644, comma 3, c.p. e per violazione dell’art. 1, legge 108/1996 e/o la minore e/o la maggiore somma che sarà ritenuta di giustizia, o secondo equità, oltre rivalutazione monetaria ed interessi; 16) condannare l’istituto di credito alla restituzione degli interessi anatocistici illegittimamente applicati pari ad euro 2.000,00; 17) condannare la banca convenuta al pagamento delle spese del presente procedimento, dichiarando la sua responsabilità per il proseguimento del giudizio in sede civile per il risarcimento del danno cagionato al ricorrente.

Costituitosi ritualmente, l’intermediario chiede di respingere il ricorso in ragione dell’eccezione preliminare relativa al decorso del termine di dodici mesi dal reclamo e, nel merito, per infondatezza delle pretese avanzate. A quest’ultimo proposito, l’intermediario convenuto precisa che i due rapporti sono stati accesi rispettivamente in data 5 luglio 2010 (c/c n. xxx790) e in data 4 luglio 2011 (c/c n. xxx453), informando altresì che attualmente la posizione è classificata a sofferenza.

Quanto alle contestazioni sollevate nel ricorso, parte convenuta evidenzia che in nessun caso sono stati applicati interessi usurari, essendosi la banca sempre attenuta al rispetto della normativa in materia (facendo riferimento, in particolare, alle Istruzioni dettate dalla Banca d’Italia) e avendo predisposto apposite procedure interne e presidi informatici per il controllo del tasso soglia. L’intermediario evidenzia peraltro che il ricorrente fa riferimento ad una “presunta” usura dal 2009, data alla quale nessuno dei due rapporti in esame era ancora stato aperto.

Quanto alle contestazioni in tema di anatocismo, l’intermediario riferisce di aver legittimamente operato la contabilizzazione trimestrale degli interessi creditori e debitori in ottemperanza alla Delibera CICR del 2000 sulla base delle clausole esplicitamente approvate dal cliente nei contratti. Pertanto, la richiesta di rimborso di euro 2.000,00

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sarebbe del tutto infondata, in quanto i rapporti risultano accesi in un’epoca in cui la banca si era già adeguata alla nuova normativa.

In merito, infine, alle doglianze relative alla commissione di massimo scoperto, l’intermediario precisa che tale onere non è mai stato applicato, né concordato nei contratti in esame.

Il ricorrente replica alle controdeduzioni precisando preliminarmente che, nonostante il reclamo sia stato presentato oltre dodici mesi prima della presentazione del ricorso, il procedimento ABF deve ritenersi validamente instaurato a seguito del fallimento del tentativo di mediazione. L’istante allega, infatti, copia del verbale di esito negativo della mediazione datato 17 novembre 2015, allorquando la banca manifestava la propria volontà di non aderire alla procedura conciliativa, così rendendo necessario per il cliente rivolgersi all’ABF per ottenere il riconoscimento delle proprie pretese.

Nel merito, il ricorrente insiste per l’accoglimento di tutte le domande avanzate nel ricorso, evidenziando – quanto alla violazione delle norme sull’usura – l’illegittimità della formula utilizzata dalla banca per il calcolo del “TAEG”, poiché la stessa differisce sensibilmente dal tasso effettivo indicato dalla legge 108/96 e si discosta “dall’ordinaria ortodossia matematico-finanziaria” (svolge al riguardo ampie considerazioni critiche in merito al

“ruolo” della Banca d’Italia nella emanazione di norme per la determinazione del TEG).

L’istante soggiunge inoltre che la convenuta si è limitata solo ad asserire la conformità dei propri sistemi informatici alla normativa anti-usura, senza fornirne alcuna prova.

DIRITTO

Il Collegio deve anzitutto respingere l’eccezione preliminare sollevata dalla resistente, in quanto: se è vero che il reclamo agli atti è effettivamente datato 24 giugno 2015, mentre il ricorso innanzi all’ABF è stato presentato il 26 settembre 2016, in seguito alla scadenza del termine di dodici mesi previsto dalla sez. I, par. 1, delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari; è altrettanto incontestabile che il ricorrente, in sede di repliche, ha depositato copia del verbale della procedura di mediazione, instaurata nel settembre 2015 e conclusasi con esito negativo in data 17 novembre 2015. Viene dunque in considerazione la sez. I, par. 4, delle medesime Disposizioni, alla cui stregua “il ricorso all’ABF è … possibile in caso di fallimento di una procedura conciliativa già intrapresa; in questo caso – fermo restando quanto previsto dall’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 – il ricorso può essere proposto anche qualora sia decorso il termine di 12 mesi di cui alla sezione VI, paragrafo 1”. Risultando incontestato tra le parti l’esperimento di un tentativo di mediazione, conclusosi negativamente in data 17 novembre 2015, il decorso di un termine superiore ai dodici mesi tra la presentazione del reclamo deve ritenersi comunque irrilevante (in senso conforme, ad es., ABF Milano, n. 8710/2017; ABF Napoli, n. 4245/2014; ABF Roma, n. 1962/2016).

Respinta l’eccezione pregiudiziale, è possibile venire all’esame del merito della controversia, la quale ha ad oggetto molteplici contestazioni relative a due rapporti di conto corrente intrattenuti con la banca resistente; in particolare, le doglianze del ricorrente concernono, in estrema sintesi, la mancata evasione di una richiesta di rilascio di tutti gli estratti conto sin dall’apertura dei rapporti e l’applicazione di interessi usurari e anatocistici, nonché di oneri e commissioni illegittimamente applicati in quanto non validamente pattuiti.

Prendendo quindi le mosse dall’esame della prima domanda, formulata ai sensi dell’art.

119 Tub, il Collegio deve rilevare che: da un lato, l’intermediario, in sede di

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controdeduzioni, ha solo parzialmente soddisfatto la richiesta di documentazione, versando in atti, per ciascun rapporto, copia degli estratti conto e dei relativi prospetti scalari limitatamente al II, III e IV trimestre 2014, là dove nel ricorso il ricorrente ha chiesto il rilascio degli estratti conto e relativi conteggi scalari “dall’apertura del conto corrente sino al 31.03.2014”, nonché di quelli del “trimestre 30.09.2014 e dal 31.03.2015 ad oggi”;

dall’altro lato, nel riscontro al reclamo la banca capogruppo comunicava al ricorrente di aver provveduto ad informare la filiale competente ai fini della predisposizione della documentazione richiesta, invitandolo al contempo a prendere contatti con l’agenzia per accordarsi sui tempi di consegna e relativi costi di produzione.

Pertanto, il Collegio – rammentato che l’art. 119, comma 4, Tub prevede specificamente il diritto del “cliente [e di] colui che gli succede a qualunque titolo [oltreché di] colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni … di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione” – dichiara l’intermediario tenuto a procurare al ricorrente gli estratti conto e i relativi conteggi scalari mancanti, ossia quelli dall’apertura del conto sino al 31 marzo 2014 e dal 1° gennaio 2015 sino alla data odierna.

Le ulteriori domande oggetto di ricorso sono riconducibili essenzialmente all’applicazione di pretesi interessi usurari e anatocistici, nonché di oneri e spese illegittimi.

Il ricorrente allega copia di una “relazione di consulenza tecnica” nella quale, relativamente ai due rapporti di conto corrente, si contesta anzitutto l’illegittima applicazione della

“commissione di massimo scoperto e delle commissioni sostitutive”.

Il Collegio deve tuttavia rilevare che, nei contratti di conto corrente versati in atti dall’intermediario, non risulta pattuita alcuna commissione di massimo scoperto; sono invece previsti quali oneri a carico del cliente una “commissione di affidamento” nella misura dello 0,50% trimestrale, nonché “spese per utilizzo oltre o assenza fido” in misura fissa a seconda dell’ammontare dello sconfinamento. Inoltre, dagli estratti conto prodotti dalla banca, risulta l’applicazione della CIV nella misura di euro 35,00 per sconfinamento (in media, nr. 1 evento per trimestre).

Occorre rilevare che non sono tuttavia agli atti i contratti di apertura di credito, né eventuali proposte di modifica unilaterale delle condizioni che attestino l’avvenuto adeguamento della banca al nuovo regime commissionale introdotto dall’art. 117-bis Tub, secondo cui: “I contratti di apertura di credito possono prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, una commissione onnicomprensiva, calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell’affidamento, e un tasso di interesse debitore sulle somme prelevate. L’ammontare della commissione … non può superare lo 0,5 per cento, per trimestre, della somma messa a disposizione del cliente. 2. A fronte di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido, i contratti di conto corrente e di apertura di credito possono prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, una commissione di istruttoria veloce determinata in misura fissa, espressa in valore assoluto, commisurata ai costi e un tasso di interesse debitore sull’ammontare dello sconfinamento. 3. Le clausole che prevedono oneri diversi o non conformi rispetto a quanto stabilito nei commi 1 e 2 sono nulle. La nullità della clausola non comporta la nullità del contratto. 4. Il CICR adotta disposizioni applicative del presente articolo, ivi comprese quelle in materia di trasparenza e comparabilità, e può prevedere che esso si applichi ad altri contratti per i quali si pongano analoghe esigenze di tutela del cliente; il CICR prevede i casi in cui, in relazione all’entità e alla durata dello sconfinamento, non sia dovuta la commissione di istruttoria veloce di cui al comma 2”.

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Ebbene, precisato che questo Collegio può decidere sul punto soltanto in base alla documentazione attualmente presente in atti e rammentata la norma testé citata, la domanda formulata dal ricorrente inerente ad una presunta illegittimità nell’applicazione delle commissioni non è fondata: in quanto, da un lato, non risultano al Collegio importi addebitati al ricorrente in eccedenza rispetto alla soglia dello 0,5% per trimestre, soglia massima prevista dall’art. 127-bis Tub; dall’altro lato, le somme addebitate a titolo di commissione di istruttoria veloce si ritengono pienamente conformi al disposto del 2°

comma dell’art. 117-bis Tub, poiché la frequenza degli addebiti (soltanto uno ogni trimestre in corrispondenza di sconfinamenti) costituisce indice presuntivo dell’effettivo svolgimento di un’attività istruttoria remunerata con l’applicazione della commissione per ogni singolo sconfinamento (e v., ABF Milano, nn. 9682/2017; 336/2016; 3708/2015;

6076/2014).

Neppure il Collegio reputa fondate le contestazioni del ricorrente circa la presunta applicazione di interessi usurari.

A tal proposito, va rilevato che l’indagine peritale depositata in atti dal ricorrente richiama la formula del TAEG, intendendo probabilmente sostenere la necessità di includere tra gli oneri rilevanti ai fini del calcolo del tasso anche le commissioni legate all’affidamento o agli sconfinamenti. Tuttavia, nel periodo preso in esame, già le Istruzioni per la rilevazione del TEGM dell’agosto 2009 includevano nella rilevazione del tasso i costi connessi agli affidamenti “gli oneri per la messa a disposizione dei fondi, le penali e gli oneri applicati nel caso di passaggio a debito di conti non affidati o negli sconfinamenti sui conti correnti affidati rispetto al fido accordato e la commissione di massimo scoperto laddove applicabile secondo le disposizioni di legge vigenti …[ed] ogni altra spesa ed onere contrattualmente previsti, connessi con l’operazione di finanziamento” (sub C4, nn. 7 e 8).

Ad ogni modo, la ricostruzione peritale evidenzia indici di costo, nella colonna TAEG applicato, per un tasso di circa il 12%, di poco superiore alla media di sistema e certamente inferiore alla soglia tempo per tempo vigente. Del resto, il ricorrente non ha fornito, a sostegno della propria domanda, alcun elemento attestante la ricorrenza di una usura soggettiva che, a fronte di una richiesta per interessi che lievemente si discostano dalla media, avrebbe presupposto, all’evidenza, la prova della ricorrenza di un approfittamento dello stato di bisogno del debitore, qui del tutto mancante.

In relazione alla domanda concernente la capitalizzazione degli interessi e l’anatocismo, il Collegio rileva che, nella perizia, si evidenzia che i saldi dovranno essere “epurati” da ogni forma di capitalizzazione sugli interessi passivi a partire dal 1° gennaio 2014 e,

“conseguentemente”, si conclude per l’illegittima applicazione di interessi anatocistici quantificati, per i due conti, in euro 2.000,00, senza però il supporto di un conteggio attestante la giustificazione della richiesta di siffatto importo.

Dal canto suo, la banca resistente si è limitata a richiamare la conformità dei contratti alla normativa vigente all’epoca della stipula, essendo prevista, all’art. 7 dei contratti, la stessa periodicità di capitalizzazione degli interessi debitori e creditori; l’intermediario convenuto nulla ha precisato, tuttavia, in merito al regime applicato a far data dal 1° gennaio 2014, data a partire dalla quale, secondo il consolidato orientamento dell’Arbitro, deve ritenersi vigente il novellato art. 120 Tub, con conseguente immediata invalidità sopravvenuta delle clausole contrattuali in linea con la precedente formulazione della norma e con la delibera C.i.c.r. del 2000.

Posto quanto precede, questo Collegio ritiene di applicare al caso di specie il proprio recente orientamento (ABF Napoli, n. 3329/2017), che – sulla scia della pronuncia del Collegio di coordinamento di questo Arbitro (n. 7854/2015) – “è pervenuto ad affermare la natura immediatamente precettiva del nuovo art. 120 T.u.b. Ne consegue l’immediata invalidità sopravvenuta delle clausole contrattuali che, in linea con la precedente

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formulazione della norma e con la delibera C.i.c.r. del 9.2.2000, prevedevano la produzione di interessi anatocistici a condizione che fosse rispettata la stessa periodicità di capitalizzazione per gli interessi attivi e passivi. Nello stabilire questo principio di diritto, il Collegio di coordinamento ha negato l’ultrattività della normativa secondaria emanata in attuazione della previgente disciplina; nel contempo, però, ha riconosciuto che non spetta all’Arbitro Bancario (ma all’Autorità amministrativa competente) il potere-dovere di rivolgere agli operatori bancari indicazioni generali di tecnica contabile e contrattuale. Il Collegio ha pertanto concluso che, fino all’emanazione della nuova delibera Cicr gli intermediari avrebbero dovuto adottare le opportune prassi contabili per renderle coerenti con il divieto di addebito di interessi anatocistici”.

Questo Collegio intende ancora una volta dare continuità all’orientamento manifestato dalla richiamata decisione del Collegio di coordinamento e ritiene che i princìpi ivi affermati restino validi nel caso di specie, ad onta dell’ulteriore modifica subita nel frattempo dall’art.

120, 2° comma, T.u.b. ad opera della legge 8 aprile 2016, n. 49, in sede di conversione del d.l. 14 febbraio 2016, n. 18.

Giova rammentare che il nuovo testo dell’art. 120 T.u.b. dispone che: «Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell’attività bancaria»; nel definire i principi della normativa di attuazione (in seguito emanata con D.M., 3 agosto 2016, n. 343), l’attuale formulazione dell’articolo conferma il principio di uguale periodicità nel conteggio degli interessi, ma precisa che il periodo deve essere «comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti».

Per quanto riguarda specificamente gli interessi debitori, la nuova norma conferma che in via di principio gli stessi «non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale». Tuttavia, si precisa che «per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1º marzo dell'anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili; 2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l'addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l'autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l'addebito abbia avuto luogo».

Il Collegio è consapevole che l’attuale disciplina concede nuovo spazio alla produzione di interessi anatocistici limitatamente alle aperture di credito e agli sconfinamenti non autorizzati in conto corrente; deve tuttavia rilevare che tale reintroduzione di pratiche anatocistiche può essere convenuta fra banca e cliente soltanto per il periodo successivo all’entrata in vigore della legge 49/2016, e cioè dal 15 aprile 2016, ed a condizione che sussistano le ulteriori condizioni previste dall’art. 120, 2° comma, T.u.b., ossia che: 1) la capitalizzazione avvenga con cadenza annuale; 2) sia espressamente autorizzato dal cliente l’addebito degli interessi passivi sul conto corrente. In mancanza di tali condizioni, e comunque per il periodo in cui è stata in vigore la versione dell’art. 120, 2° comma, T.u.b.

introdotta dalla legge 147/2013 l’addebito di interessi anatocistici è illecito.

In definitiva, va pertanto accertato che a partire dal 1.1.2014 e fino all’eventuale adeguamento degli accordi con il cliente in conformità alle previsioni del nuovo art. 120, 2°

comma, T.u.b. (come da ultimo modificato dalla legge 49/2016) e relativa normativa di attuazione, l’intermediario ha addebitato interessi anatocistici indebiti per illiceità sopravvenuta della relativa clausola contrattuale.

Alla luce di quanto precede, il Collegio dichiara l’intermediario tenuto al ricalcolo degli interessi nel periodo indicato utilizzando prassi contabili coerenti con il sopravvenuto

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divieto di anatocismo, quale risultante dall’art. 120 T.u.b. nella formulazione pro tempore applicabile al rapporto, secondo il richiamato orientamento del Collegio di Coordinamento n. 7854/2015.

Per quanto concerne, infine, la richiesta del ricorrente di risarcimento del danno asseritamente subito in conseguenza del comportamento dell’intermediario e “consistente nella privazione di liquidità” e nella conseguente rinuncia ad investimenti produttivi o comunque “occasioni di espansione dell’attività economica oggetto di impresa”, tale domanda va respinta per difetto di prova dei pretesi danni patiti. Ciò anche alla stregua del consolidato indirizzo della Suprema Corte secondo cui, “l'onere probatorio gravante, a norma dell'art. 2697 cod. civ., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l'estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto "fatti negativi", in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivoWXWWDYLDLQWDOFDVROD

relativa prova può esser data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo”

(Cass., 7 maggio 2015, n. 9201; v. anche Cass., 10 ottobre 2007, n. 21140).

Infine, in merito alla richiesta del ricorrente del rimborso delle spese legali, è orientamento di questo Collegio (cfr. ABF Napoli, 3498/2012) che, là dove sia dimostrato che la parte ricorrente si sia avvalsa, nell’intero snodo procedimentale che va dal reclamo al ricorso, dell’ausilio di un difensore sopportandone il relativo costo, quest’ultimo possa e debba prendersi in considerazione, in caso di accoglimento del ricorso che si concluda con l’accertamento di un diritto risarcitorio, non già quale autonoma voce di rimborso non prevista dal Reg. ABF, bensì quale componente del più ampio pregiudizio patito dalla parte ricorrente, da questo Collegio liquidato equitativamente in euro 300,00.

P.Q.M.

In parziale accoglimento del ricorso, il Collegio dichiara l’intermediario tenuto alla consegna della ulteriore documentazione richiesta nonché al ricalcolo degli interessi nei sensi di cui in motivazione; dispone altresì il ristoro delle spese per assistenza difensiva nella misura equitativamente determinata di € 300,00.

Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00 quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente la somma di € 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.

IL PRESIDENTE

firma 1

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