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COLLEGIO DI ROMA. Membro designato dalla Banca d'italia. Membro di designazione rappresentativa. dei clienti FATTO

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COLLEGIO DI ROMA

composto dai signori:

(RM) SIRENA Presidente

(RM) PROTO Membro designato dalla Banca d'Italia

(RM) POZZOLO Membro designato dalla Banca d'Italia

(RM) MINCATO Membro di designazione rappresentativa

degli intermediari

(RM) CESARO Membro di designazione rappresentativa

dei clienti

Relatore ESTERNI - MINCATO NICOLETTA

Seduta del 27/11/2020

FATTO

Con ricorso preceduto da regolare reclamo, il ricorrente, assistito da rappresentante volontario e rimasto insoddisfatto dell’interlocuzione con l’intermediario, rappresenta che in relazione a un contratto di finanziamento stipulato in data 8 luglio 2009 l’intermediario convenuto si sarebbe reso responsabile di molteplici inadempimenti, schematicamente riassumibili come segue:

- avrebbe in primo luogo previsto in contratto tassi di interesse superiori alla soglia di usura, con particolare riguardo al tasso di mora, fissato nel 18% a fronte di un tasso soglia del 14,295%, in contrasto con quanto statuito anche dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 24675/17 richiamata dal ricorrente, secondo cui l'art.

1 della I. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori e nella sentenza n. 350/13 secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’art. 644 del codice penale e dell’art. 1815 co. 2 c.c., si devono intendere come usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti con il conseguente diritto al recupero integrale degli interessi, allorché i tassi (anche di mora) superino la soglia di usura. Ne conseguirebbe la nullità della clausola relativa agli interessi del contratto di mutuo, ai sensi e per l’effetto dell’art. 1815 cod. civ., con il conseguente obbligo in capo all’intermediario di restituire tutti gli interessi indebitamente incamerati nel corso del rapporto;

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- anche la penale sulle somme non pagate applicata in caso di decadenza del beneficio del termine sarebbe superiore del tasso soglia;

- l’oggetto del contratto sarebbe affetto da indeterminatezza e/o indeterminabilità ai sensi dell’art. 1346 cod. civ. e si porrebbe in violazione dell’art. 6 della circolare del CICR del 9 febbraio 2000 sulla trasparenza bancaria nonché del canone della buona fede contrattuale, in quanto i tassi indicati effettivamente applicati dal mutuante non sarebbero quelli concordati, venendo incrementati in maniera non esplicita, per iniziativa unilaterale del mutuante. Sarebbe infatti stato indicato un TAN Tasso Nominale Annuo del 10,4500% su base annuale che non corrisponderebbe al tasso effettivo pari ad un TAE Tasso Annuo Effettivo del 10,9653% per effetto della capitalizzazione composta. Ne discenderebbe, stante la previsione di cui all’art. 1418 cod. civ., la nullità del contratto (e, specificamente, della pattuizione dell’interesse ultra-legale) per contrarietà a norme imperative quali quelle contenute negli artt. 1325 e 1326 cod. civ.;

- il contratto si porrebbe, ancora, in violazione dell’art. 117 TUB, comma 4 e comma 6, in quanto l’intermediario avrebbe indicato nel contratto il solo tasso TAN (Tasso Annuo nominale) mentre, al fine di rendere edotto il sottoscrittore del costo del finanziamento, avrebbe dovuto rappresentare al cliente il valore del TAE (Tasso Annuo Effettivo);

- il contratto indicherebbe poi erroneamente il TAEG/ISC, non tenendo conto di tutte le spese previste e pattuite nel contratto, e ciò con particolare riguardo ai costi relativi all’“assicurazione vita e infortuni” e al “servizio assicurativo aggiuntivo”, in violazione di quanto previsto dall’art. 125 bis, comma 6, TUB, sicché a fronte di un TAEG indicato in contratto nell’11,57%, esso ammonterebbe in realtà al 14,1633%.

Infine, in violazione dell’art. 125 sexies TUB, l’intermediario al momento dell’estinzione anticipata avrebbe retrocesso al ricorrente, a titolo di rimborso delle somme non maturate,

€ 846,30 anziché € 843,30.

Alla luce di quanto sopra, il ricorrente si rivolge all’Arbitro per ottenere:

1) la restituzione delle somme indebitamente corrisposte all’intermediario;

2) la restituzione della differenza tra gli interessi corrisposti e quelli ricalcolati al tasso BOT, maggiorati degli interessi dall’indebito a oggi;

3) la redazione di un nuovo piano di ammortamento “ove il finanziamento sia ancora in essere”;

4) il risarcimento del danno, da liquidarsi anche in via equitativa;

5) la refusione delle spese di difesa, quantificate in € 200,00.

Si è costituito l’intermediario, il quale, con le proprie controdeduzioni, ha precisato come tra le parti sia stato stipulato un contratto di finanziamento del tipo prestito personale al TAN del 10,45%, TAEG dell’11,57% e TEG (per la normativa all’epoca vigente uguale al TAEG) dell’11,57%, poi estinto anticipatamente.

In relazione alle varie censure sollevate dal ricorrente al predetto contratto, e partendo dall’asserito superamento del tasso soglia fissato a fini anti-usura, rammenta l’intermediario che la rilevazione dei tassi soglia previsti dalla L. 108/96 avviene mediante la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, con cadenza trimestrale, di decreti del Ministero del Tesoro e che il parametro di riferimento ai fini della verifica del rispetto delle c.d. soglie usura da parte degli interessi di dilazione e spese accessorie all’operazione di finanziamento è costituito dal TEG (Tasso Effettivo Globale). L’insieme dei TEG rilevati per una categoria di operazioni costituisce difatti il TEGM (Tasso Effettivo Globale Medio),

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parametro sulla base del quale vengono poi trimestralmente stabilite le c.d. soglie, superate le quali un tasso deve essere considerato usurario.

In particolare, eccepisce l’intermediario che sono incluse nel TEG: a) il rimborso del capitale e il pagamento degli interessi; b) le spese di istruttoria e apertura della pratica di credito; c) le spese di riscossione dei rimborsi e di incasso delle rate, se stabilite dal creditore; d) le spese per le assicurazioni o garanzie, imposte dal creditore, intese ad assicurargli il rimborso totale o parziale del credito in caso di morte, invalidità, infermità o disoccupazione del consumatore; e) il costo dell'attività di mediazione svolta da un terzo, se necessaria per l'ottenimento del credito; f) le altre spese contemplate dal contratto;

mentre sono escluse, per quanto qui interessa, le somme che il consumatore deve pagare per l'inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora e le spese per le assicurazioni o garanzie diverse da quelle di cui alla lettera d) di cui sopra.

Ebbene, coerentemente con tale previsione il TEG relativo al rapporto in esame, pari al l’11,57%, è stato determinato con l’esclusione degli interessi di mora ed è ben al di sotto della soglia indicata dal D.M. 24/06/2009 (allegato dalla resistente), per la categoria

“Anticipi, sconti commerciali, crediti personali e altri finanziamenti effettuati dagli intermediari non bancari”, che per importi superiori ad € 5.000,00, come nel caso di specie, era pari al 16,095%. Rileva come il ricorrente abbia assunto come riferimento una tipologia di finanziamento errata, quella dei “Crediti personali e altri finanziamenti alle famiglie effettuati dalle banche”.

Peraltro, con riferimento ai tassi di mora, l’art. 3, co. 4, del D.M. 25/03/2003 (e così per ogni successivo decreto trimestrale) prevede che: “i tassi effettivi globali medi di cui all’art.

1, comma 1, del presente decreto non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento”. Ad ogni buon conto il tasso soglia per gli interessi di mora, sempre per il periodo di riferimento, era fissato al 19,245%

e dunque anche gli interessi di mora, di cui specifica che non sono mai stati applicati nel caso di specie, come risulta dall’estratto conto allegato, in quanto fissati nel 18%, risultano essere ampiamente al di sotto delle soglie specificatamente previste per questa tipologia di tassi.

Quanto poi all’asserita violazione della normativa in materia di trasparenza bancaria, eccepisce l’intermediario che, per i contratti di credito rivolti ai consumatori, l’art. 117 TUB non trova applicazione se non limitatamente ai commi 2, 3 e 6, ai sensi dall’art. 125 bis, comma 2, del TUB. All’epoca del contratto era vigente l’analoga previsione contenuta nell’art. 124 del TUB. Ebbene, tali norme non contengono alcun riferimento al TAE a cui si riferisce il ricorrente, prevedendo invece l’inserimento quale indicatore di costo del TAEG, definito espressamente come “il costo totale del credito espresso in percentuale, calcolato su base annua dell’importo totale del credito”. Al contrario, nessuna previsione normativa in materia di credito al consumo prevede l’obbligo di pubblicizzare il TAE, sicché in nessuna violazione sarebbe incorsa la resistente.

Quanto alla ulteriore censura relativa alla capitalizzazione composta degli interessi, rileva la resistente come nel piano di ammortamento alla francese, con tasso fisso e rata costante, la rata comprende una quota capitale crescente e una quota interessi decrescente. Per ciascuna rata, la quota interessi è però computata con la formula dell’interesse semplice in funzione del tasso, dei giorni e del capitale residuo, e non anche degli interessi pregressi. Pertanto tale tipologia di piano di rimborso non produce una capitalizzazione composta, come riconosciuto dalla giurisprudenza di merito e dall’ABF e contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente.

Con riguardo, poi, alla censura relativa alla mancata inclusione dei costi assicurativi nel TAEG, l’intermediario rileva come ciò sia avvenuto correttamente in ragione della natura facoltativa della relativa polizza, come si ricava da molteplici indici (tra cui la circostanza

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che nel contratto di finanziamento e nel modulo di adesione l’assicurazione viene indicata come facoltativa); quanto alla polizza CPI, l’intermediario afferma di aver offerto condizioni simili a soggetti con il medesimo merito creditizio senza la stipula di alcuna polizza - e a tal fine produce copia di tre contratti di prestito personale conclusi nel medesimo periodo con clienti aventi la medesima “classe di merito” del ricorrente, senza la previsione di alcuna copertura assicurativa “credit protection”, a parità di TAN. Precisa ancora che la ulteriore polizza sottoscritta unitamente al contratto di finanziamento, la c.d. polizza

“indennitaria”, non svolge funzione di garanzia del credito. Si sofferma poi sul fatto che, di contro, il ricorrente non ha fornito la prova della sussistenza delle circostanze atte a dimostrare che la polizza rivestirebbe invece carattere obbligatorio né che la conclusione del contratto di assicurazione abbia costituito un requisito necessario per ottenere il credito alle condizioni offerte.

Quanto poi alla restituzione dei costi non maturati al momento dell’estinzione anticipata, la resistente premette di avere corrisposto, in data 13 dicembre 2019, le somme di € 180,00 per estinzione della polizza di tipo “indennitario” e di € 666,30 per estinzione anticipata della polizza CPI, già offerte in sede di riscontro al reclamo, e censura poi la fondatezza delle pretese avverse (che si sostanziano peraltro nella restituzione di ulteriori € 2,00) in quanto il calcolo pro rata temporis del ricorrente è erroneamente effettuato con riferimento a 104 rate residue, mentre il contratto oggetto di ricorso è stato estinto anticipatamente in data 15 novembre 2010, residuando 103 rate. Evidenzia come in realtà la somma rimborsata di € 846,30 è maggiore di quanto sarebbe spettato al cliente dal conteggio pro rata (€ 840,23).

Si oppone infine al riconoscimento di alcunché a titolo di risarcimento del danno, in quanto pretesa destituita di fondamento fin nell’an, e di spese di difesa, in considerazione della natura seriale del ricorso.

Con successive repliche il ricorrente insiste per l’accoglimento del ricorso, rilevando che, anche con riferimento alla categoria di finanziamenti “Anticipi, sconti commerciali, crediti personali e altri finanziamenti effettuati dagli intermediari non bancari”, il tasso di mora risulta superiore alla soglia, poiché i previsti “Costi in caso di ritardato pagamento” al tasso dell’1,5% al mese comportano su base annua un tasso del 18%, oltre alle altre spese.

Inoltre, secondo le indicazioni della Corte di Cassazione a S.U. nella sentenza n. 24675/17 è riconosciuta la natura originaria dell’usura nella mora, con riferimento al tasso soglia ex art. 1 della I. n. 108 del 1996, che riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori.

In relazione alla violazione della normativa contrattuale sul TAEG, poi, l’intermediario non avrebbe fornito prova della valutazione del merito creditizio e la documentazione depositata in atti dall’intermediario relativamente alle polizze sarebbe priva delle norme generali.

DIRITTO

Il ricorso non merita accoglimento per le ragioni che si vanno ad esporre.

La controversia verte su molteplici censure che il ricorrente, mutuatario in un contratto di finanziamento stipulato con l’intermediario, muove all’operato di quest’ultimo in conseguenza della applicazione di clausole contrattuali considerate illegittime.

Si procederà qui di seguito a valutare i vari profili di censura fatti valere dal ricorrente.

La prima censura riguarda l’asserito superamento del tasso soglia fissato in funzione anti- usura ad opera del tasso di mora pattuito contrattualmente.

Sul punto va innanzi precisato che risulta condivisibile l’argomentazione dell’intermediario secondo cui la categoria di operazioni da assumere come parametro di riferimento non è rappresentata dai “Crediti personali e altri finanziamenti alle famiglie effettuati dalle banche”, bensì dagli “Anticipi, sconti commerciali, crediti personali e altri finanziamenti

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effettuati dagli intermediari non bancari” di ammontare superiore a € 5.000,00, essendo l’intermediario resistente una società finanziaria iscritta all’Albo degli intermediari finanziari ex art. 106 TUB (c.d. "albo unico") sicché parrebbe da escludere la categoria individuata dal ricorrente in quanto riferita alle banche.

La serie storica dei TEGM per il periodo e la categoria di riferimento individua allora come tasso soglia il 16,095%. Con specifico riguardo all’interesse di mora, le previsioni contrattuali stabiliscono, all’art 22, che che l’intermediario ”ha la facoltà di addebitare al Cliente, in caso di mancato, inesatto o ritardato pagamento, un importo pari all’1,5%

mensile sull’importo dovuto alla scadenza di ciascuna rata”.

Già su queste basi il tasso di mora si pone nettamente al di sotto del tasso soglia.

Non solo: va pure rilevato come sempre all’art. 22 sia contenuta la c.d. clausola di salvaguardia; prosegue infatti la suddetta clausola contrattuale: “se al momento della conclusione del contratto tale tasso fosse superiore a quello determinato ex art. 2 L 108/96 e successive modifiche, il tasso effettivamente convenuto sarà quello corrispondente al tasso soglia così come determinato ai sensi di detta legge”. Trattasi – come noto – di clausola sulla cui legittimità si sono favorevolmente espressi giurisprudenza e Arbitro Bancario Finanziario e che non è in alcun modo messa in discussione dal recente arresto della Suprema Corte (Cass., 17 ottobre 2019, n. 26286) che, confermato che si tratta di clausola che garantisce che gli interessi pattuiti restino sempre entro la soglia della c.d.

“usura oggettiva”, con ciò prevenendo il rischio che il tasso convenzionalmente stabilito sia dichiarato nullo (in quanto usurario) ai sensi dell’art. 1815, secondo comma, cod. civ., in punto di onere probatorio ha precisato che “In tema di rapporti bancari, l'inserimento di una clausola "di salvaguardia", in forza della quale l'eventuale fluttuazione del saggio di interessi convenzionale dovrà essere comunque mantenuta entro i limiti del c.d. "tasso soglia" antiusura previsto dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4, trasforma il divieto legale di pattuire interessi usurari nell'oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della banca, consistente nell'impegno di non applicare mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge.

Conseguentemente, in caso di contestazione, spetterà alla banca, secondo le regole della responsabilità ex contractu, l'onere della prova di aver regolarmente adempiuto all'impegno assunto”. E tuttavia nel caso all’esame nulla deve essere concretamente provato, essendo pacifico tra le parti che il tasso di mora non ha mai trovato concreta applicazione, avendo il mutuatario regolarmente pagato le rate in scadenza fino alla anticipata estinzione del finanziamento.

Ed allora la prima censura mossa all’operato dell’intermediario risulta destituita di fondamento.

In relazione alla pretesa violazione degli obblighi di trasparenza per non aver indicato il TAE nel contratto e per la discordanza tra tassi indicati e tassi effettivamente applicati dal mutuante, venendo questi incrementati in maniera non esplicita, per effetto della capitalizzazione composta legata al piano di ammortamento alla francese, il consolidato orientamento di questo Arbitro si è espresso in senso contrario. Da un lato ha infatti ritenuto che la presenza di tale indicatore nel contratto (il TAE) non sia imposta dalla normativa sulla trasparenza poiché il maggior onere derivante dalla frequenza infra- annuale del versamento delle rate risulta già rappresentato dall’indicazione del TAEG del finanziamento; dall’altro ha costantemente escluso che il piano di ammortamento alla francese rechi in sé un effetto anatocistico non esplicitato e non reso pertanto evidente al mutuatario (in tale senso di recente Collegio di Roma, decisione n. 6069/20 che ha precisato che “la normativa di trasparenza all’epoca in vigore (i.e. Istruzioni di Vigilanza per le banche, Circ. Banca d’Italia n. 229 del 21 aprile 1999 - 9° aggiornamento del 25 luglio 2003; delibera CICR del 4 marzo 2003; delibera CICR del 9 febbraio 2000) non

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richiedeva l’indicazione in contratto del tasso annuo effettivo (TAE), come pure, per vero, la disciplina attualmente in vigore. Il TAE, a differenza del TAN, tiene conto del maggior onere derivante dalla frequenza infra-annuale del versamento delle rate e, quindi, della diminuzione, nel corso dell’anno, delle somme a disposizione del mutuatario. Siffatta informazione, del resto, è fornita al cliente attraverso l’indicazione del TAEG/ISC, calcolato, tra l’altro, in base alla periodicità del versamento delle rate. In ogni caso, l’eventuale indicazione del TAE, nel caso di specie, non avrebbe sortito l’effetto, indicato dal ricorrente, di far emergere gli “effetti della capitalizzazione”, trattandosi di mutuo da rimborsare secondo l’ammortamento c.d. alla francese, nel quale gli interessi corrispettivi maturano (e devono essere pagati) rata per rata e non vengono portati a capitale.

L’orientamento consolidato di questo Arbitro, d’altronde, esclude che vi sia un effetto anatocistico implicito nel piano di ammortamento alla francese o, comunque, l’applicazione di interessi composti, come parrebbe opinare il ricorrente, in sede di repliche. Ciò in quanto “ciascuna rata ingloba interessi, semplici (non composti), sempre calcolati, al tasso nominale, sul residuo capitale da restituire (com’è corretto: gli interessi essendo il corrispettivo del godimento del denaro da altri concesso; cfr. l’art. 821, comma3, c.c.)”

(cfr., ex multis, Coll. Milano, n. 9732/2017, Coll. Roma, n. 3228/2016, Coll. Napoli, nn.

7015/2017 e 1127/2014). L’anatocismo di cui all’art. 1283 c.c., per vero, «si determina soltanto se gli interessi maturati sul debito in un dato periodo si aggiungono al capitale, costituendo in tal modo la base di calcolo produttiva di interessi. Per contro, la previsione di un piano di rimborso con rata fissa costante, vale a dire l’ammortamento “alla francese”, non comporta violazione dell’art. 1283 c.c., giacché gli interessi di periodo vengono calcolati esclusivamente sul capitale residuo e alla scadenza della rata gli interessi maturati non vengono capitalizzati, ma sono pagati come quota interessi della rata di rimborso» (così Trib. Roma, sez. IX, 13/04/2017, n. 7495; per la medesima conclusione Trib. Catania, sez. IV, 11/07/2018, n. 2948; Trib. Bologna, sez. IV, 24/06/2017, n. 1292;

Trib. Padova, 29/05/2016). Le considerazioni sin qui svolte portano a escludere che l’art.

6, delibera CICR 9 febbraio 2000, preveda l’obbligo di indicare nei mutui “alla francese” il TAE, come, invece, adombrato nel ricorso. La disposizione sopra richiamata, infatti, prevede che «i contratti relativi alle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito stipulati dopo Pag. 4/4 l'entrata in vigore della presente delibera indicano la periodicità di capitalizzazione degli interessi e il tasso di interesse applicato. Nei casi in cui è prevista una capitalizzazione infrannuale viene inoltre indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione. Le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto». Sennonché, come sopra chiarito, non vi è un fenomeno di capitalizzazione degli interessi nell’ammortamento alla francese, a differenza di quanto può avvenire in altre forme di finanziamento. Per le suesposte ragioni, le censure mosse dal ricorrente non meritano di essere accolte”).

Pertanto non può essere mossa censura all’operato della resistente neppure sotto questo profilo.

Quanto invece alla censura relativa alla mancata inclusione del costo delle polizze assicurative nel calcolo del TAEG, va rilevato come dalla documentazione in atti risulti stipulata una polizza “Assistenza – RC – Tutela Giudiziaria”, con durata limitata a 24 mesi, di cui può senz’altro escludersi il carattere obbligatorio, non avendo essa funzione di copertura del credito, nonché una polizza denominata “Coperto” con funzione di “copertura del presente finanziamento”. In relazione a quest’ultima emergono i seguenti indici di obbligatorietà della polizza: la polizza è stata sottoscritta contestualmente al prestito (connessione genetica), all’interno del medesimo modulo contrattuale; l’oggetto è la copertura del rischio di mancato rientro del credito. E tuttavia l’intermediario ha prodotto in

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atti tre contratti recanti condizioni simili a quello oggetto di controversia, senza la stipula della polizza, ad altri soggetti di cui afferma che hanno il medesimo merito creditizio del ricorrente.

Come noto, sul tema della obbligatorietà o meno delle polizze assicurative stipulate contestualmente a un contratto di finanziamento ai fini della inclusione del relativo costo nel TAEG si è pronunciato in più occasioni il Collegio di Coordinamento (nelle decisioni nn.

10617/17, 10620/17, 10621/17, 11870/17, 11871/17, 13316/17 e 11869/17), enunciando il seguente principio di diritto: “Premesso che in presenza di un contratto di finanziamento nel quale le parti hanno indicato come facoltativa la polizza assicurativa abbinata spetta al mutuatario dimostrare che essa rivesta invece carattere obbligatorio, quantomeno nel senso che la conclusione del contratto di assicurazione abbia costituito un requisito necessario per ottenere il credito alle condizioni concretamente offerte, è consentito al ricorrente assolvere l’onere della prova attraverso presunzioni gravi precise e concordanti desumibili dal concorso delle seguenti circostanze:

- che la polizza abbia funzione di copertura del credito;

- che vi sia connessione genetica e funzionale tra finanziamento e assicurazione, nel senso che i due contratti siano stati stipulati contestualmente e abbiano pari durata;

- che l’indennizzo sia stato parametrato al debito residuo”.

E tuttavia lo stesso Collegio di Coordinamento ha ritenuto che tali presunzioni possano essere superate dall’intermediario documentando, in via alternativa:

“- di aver proposto al ricorrente una comparazione dei costi (e del TAEG) da cui risulti l’offerta delle stesse condizioni di finanziamento con o senza polizza;

- ovvero di avere offerto condizioni simili, senza la stipula della polizza, ad altri soggetti con il medesimo merito creditizio;

ovvero che sia stato concesso al ricorrente il diritto di recesso dalla polizza, senza costi e senza riflessi sul costo del credito, per tutto il corso del finanziamento”.

Nel caso di specie l’intermediario ha esibito tre contratti senza stipula di polizza assicurativa ma con condizioni assimilabili (o con scostamenti entro i limiti stabiliti dal Collegio di Coordinamento). Sul punto si richiama ancora il Collegio di Coordinamento che con decisone n. 16291 del 2018 ha stabilito che “Per quanto attiene alla prova “di aver offerto condizioni simili, senza la stipula della polizza, ad altri soggetti con il medesimo merito creditizio”:

- è sufficiente la mera dichiarazione dell’intermediario circa l’uguaglianza del merito creditizio degli altri soggetti;

- è necessario che l’intermediario produca almeno due contratti;

- i soli cinque parametri e i rispettivi scostamenti dal benchmark da riscontrare al fine di ritenere raggiunta detta prova sono:

1. TAN: scostamento marginale ±50bp;

2. durata: ±25%;

3. importo: ±25%;

4. periodo di offerta: ±3 mesi;

5. coobbligati/altre garanzie: limitata varianza (quest’ultima specificata nel senso che, se il benchmark è senza coobbligati e l’intermediario ha prodotto due contratti “comparativi”, almeno uno di questi deve essere anch’esso senza coobbligati).”

Deve peraltro rilevarsi come nel caso di specie il ricorrente non abbia neppure prodotto le polizze il cui costo vorrebbe fosse incluso nel calcolo del TAEG, con ciò non assolvendo all’onere della prova su di lui gravante proprio per non aver allegato le polizze su cui si fonda la sua pretesa (in tale senso si veda Collegio di Roma, decisione n. 14179 del 2018).

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Anche sotto tale profilo può dunque escludersi l’illegittimità della condotta dell’intermediario.

Quanto, infine, all’asserito non equo rimborso degli oneri a seguito dell’estinzione anticipata del finanziamento, va rilevato come lo scostamento contestato dal ricorrente sia di appena 2 € e come tale, attesa la consistenza irrisoria, non meriti di essere apprezzato e valutato, in base al consolidato orientamento di questo Arbitro che ritiene che le pretese infime/irrisorie (d’importo inferiore alla soglia di 10 euro) non sono meritevoli di tutela quando rappresentano la pretesa originariamente azionata dal ricorrente, in quanto egli deve ritenersi sostanzialmente privo dell’interesse ad agire – come sembrerebbe nel caso di specie - e che il cliente deve considerarsi sostanzialmente soddisfatto quando l’importo pari o inferiore a 10 euro rappresenta il risultato residuo delle pretese azionate (ad esempio per effetto di rimborsi e restituzioni intervenuti in corso di procedura).

Alla luce di quanto finora detto, non potendo ravvisarsi una condotta contraria alla legge nella previsione ed applicazione delle varie clausole contrattuali, non può trovare accoglimento la domanda di parte ricorrente tese ad ottenere la restituzione della differenza tra gli interessi corrisposti e quelli ricalcolati al tasso BOT, maggiorati degli interessi dall’indebito a oggi (perché come detto non può rinvenirsi superamento della soglia di usura che possa essere produttivo di una simile conseguenza).

Essendo il rapporto di finanziamento cessato neppure può trovare accoglimento la domanda tesa alla redazione di un nuovo piano di ammortamento.

Ed ancora, non può trovare accoglimento, in difetto di una condotta illecita, la domanda di risarcimento del danno, così come, in base alla regola della soccombenza, non può procedersi al ristoro delle spese di difesa.

P.Q.M.

Il Collegio respinge il ricorso.

IL PRESIDENTE

firma 1

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