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1 LE CAUSE DEL RITARDO DELLA NASCITA DEL GENERE ROMANZO IN ITALIA LA NATURA COMPOSITA DELLE PRIME ESPERIENZE DEL ROMANZO...

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1 LE CAUSE DEL RITARDO DELLA NASCITA DEL GENERE ROMANZO IN ITALIA ... 3

2 LA NATURA COMPOSITA DELLE PRIME ESPERIENZE DEL ROMANZO ... 4

3 POLEMICHE CONTRO IL NUOVO GENERE LETTERARIO ... 6

4 I CARATTERI DEL NUOVO GENERE ... 8

5 PER UNA DEFINIZIONE DELLA TRADIZIONE DEL NUOVO GENERE E DEL SUO PUBBLICO ... 11

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1 Le cause del ritardo della nascita del genere romanzo in Italia

Lorem La nascita e la diffusione delle prime prove del romanzo in Italia, il suo stabilirsi in genere, la distanza o la ripresa rispetto a modelli europei già circolanti e impostisi come nuove tipologie testuali, è un'area di problemi che circoscrivono la peculiarità italiana di quello che, nell'arco di un secolo, diventava il genere letterario più popolare nella penisola. Un genere capace di dar voce e forma alle istanze di una società in profonda trasformazione. È proprio per l'importanza che assume questa fase storica, momento fondativo di una tradizione che va radicalmente cambiando l'universo della cultura letteraria nell'Italia preunitaria, che è sempre apparsa complessa, talora,

ma utilmente ricca di prospettive e di interpretazioni, la discussione tutti il problema del ritardo, nella nostra cultura, del fissarsi del genere romanzo in forme che possano confrontarsi con le esperienze europee: quelle che avevano segnato la diffusione importante di narrazioni dialetticamente operanti tra storia e immaginazione, rappresentazione ed evocazione. Un topos che a lungo ha circolato nella critica e nella storiografia italiana è stata l'attribuzione del ritardo di cui si diceva a fattori endogeni della nostra tradizione letteraria: primo dei quali l'egemonia della cultura della poesia e, in particolar modo, del modello petrarchesco. Questo per secoli ha mantenuto il primato del genere letterario più tipico della nostra cultura, con un linguaggio codificato ai livelli più/ alti del lessico e dello stile, quali si erano affermati nei secoli in cui la scrittura letteraria per eccellenza era identificata con quella degli imitatori del poeta duecentesco, appunto Francesco Petrarca. Questi era assurto a modello totalizzante della scrittura letteraria. Nella gerarchia dei generi, che i teorici e critici letterari del Rinascimento ricavavano dai testi canonici classici di poetica e retorica (da Aristotele al Platone della Repubblica, da Cicerone all’Orazio della Epistola ad Pisones, a Quintiliano) la poesia lirica aveva il primato e così era assunta dai letterati del Rinascimento, oltre a proporsi, il modello lirico petrarchista, come modello di lingua volgare alta, aristocratica, da porsi come codice privilegiato per la tensione al sublime. E dunque una tradizione lirica così importante non poteva non condizionare la diffusione di tipologie letterarie alternative.

Ma in realtà le cose appaiono, a un'indagine puntuale, alquanto più complesse.

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Giorgio Patrizi - Le origini del romanzo

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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2 La natura composita delle prime esperienze del romanzo

Luca Clerici, introducendo il suo panorama storico Il romanzo italiano del Settecento, ricorda come l'universo della narrativa nell'Italia degli anni del passaggio tra metà Settecento e Ottocento sia caratterizzato da una pluralità di esperienze che connotano in direzione plurilinguistica e pluristilistica una famiglia di testi abbastanza eterogenei» che, in vario modo, possono essere annoverati nella prospettiva del genere romanzo.

E l'elenco che propone descrive effettivamente un coacervo di scelte stilistiche, non riconducibili a momenti unitari: «le grandi potenzialità comunicative del nuovo genere sono trascurate; la mentalità elitaria degli autori si riflette in una serie di testi che guardano all'indietro, incapaci di proporsi come modelli di un tipo di racconto giovane, proiettato con spregiudicatezza verso il futuro. Opere insomma più legate ai canoni del passato che alle libere regole del novel (la primitiva forma-romanzo nata nella narrativa inglese)» Ad esemplificazione di questo processo, Clerici propone una fitta tipologia di modi narrativi riconducibili agli intellettuali più importanti, e di estrazione più diversa, della scena italiana.

Vediamone i passaggi e le esemplificazioni: una scrittura esemplata sugli auctores della tradizione classica (Ippolito Pindemonte); il ricorso a un immaginario radicalmente costruito su matrici iperletterarie (Alessandro Verri, in Le notti romane al sepolcro degli Scipioni); il gioco ammiccante dei rimandi cifrati alla realtà, chiave di parodia e polemica culturale e ideologica (Franesco Algarotti, Il congresso di Citera); l'adozione di procedimenti espressivi allegorici e irrealistici ( II viaggi di Enrico Wanton di cui è autore quella singolare figura di librettista d’opera e scrittore fantascientifico che fu il veneziano Zaccaria Seriman); prevalere della divagazione saggistica sul plot (Gaspare Gozzi, Il mondo morale); una raccolta di contenuti ideologicamente

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orientati, in cui l'invenzione narrativa risulta del tutto strumentale (Vincenzo Cuoco e Il Platone in Italia ); l'autobiografia come romanzo d’avventure ( Giacomo Casanova).

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3 Polemiche contro il nuovo genere letterario

Tutte queste esperienze di narrazione che appaiono finalizzate a esiti extranarrativi, sono colte in un arco di tempo sufficientemente compatto, dall'anno del Congresso di Citera di Algarotti, il 1745, a quello delle Notti romane del Verri, 1815. Sono tutte caratterizzate da un tipo di scrittura connotata in senso satirico e parodico, con una decisiva componente metaromanzesca:

la narrazione è costruita attorno ad una riflessione sulle modalità del proprio discorso. È la prospettiva sperimentale aperta dallo Sterne, già assurto a esempio di un romanzo che contesta la propria tradizionale identità di genere: questa peculiare narrazione sperimentale sarà ripresa, ad esempio, negli abbozzi del foscoliano Sesto Tomo dell'Io, a partire dal 1799. Questa revisione del romanzo - del suo modo di organizzare e ordinare una visione del mondo e dell'esistenza degli individui nasce, in Italia, quasi parallelamente alle prime configurazioni del genere stesso. E ciò non soltanto dai protagonisti di questa contrastata genesi, ma anche da quanti vedevano con diffidenza il progressivo affermarsi di un modello di scrittura teso a coinvolgere strati di fruitori ampi e di varia estrazione sociale.

Se Giuseppe Pecchio (economista e autore di una biografia di Foscolo) ammirava i romanzi inglesi «che a diluvio in oggi si stampano, e che sono letti da tutti», mentre «da noi ...esiste una prevenzione che giunge quasi all'orrore pei romanzi», gli risponde la ferocissima polemica del Baretti che, in una lettera del '63, definiva il popolare Pietro Chiari, gesuita drammaturgo e librettista di grande fama, un «cane», da «trattare come si trattano i cani rabbiosi». L'odio barettiano contro il più popolare autore del nuovo genere doveva scaturire da una resistenza a quella sperimentazione che in questa fase iniziale lo caratterizzava: la mescolanza di materiali scritti di varia natura, una opzione anticlassicista, difficile da accettare da parte dei paladini, di diversa estrazione e cultura, di una tradizione «aulica e aristocratica».

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Nel 1749, nella Difesa della storia contro i romanzi, Chiari indicava il suo cauto passaggio alla famiglia dei romanzieri, preoccupandosi di difendere ancora le ragioni della storia contro la narrativa di invenzione. Ma poi, nella pratica di un raccontare composto secondo le prospettive del nuovo genere, egli si rivela un ingegnoso costruttore di testi, giocando soprattutto con la mescolanza di materiali tematici e linguistici "alti" (dalla tradizione dei poemi cavallereschi, teatro, trattati di etica e retorica) e "bassi" (dalla pubblicistica popolare di quegli anni: almanacchi, prediche religiose, divulgazione di argomenti diversi), intrecciando voci letterarie ed extraletterarie.

Tale vocazione polimorfa, tipica del romanzo, si accompagna nella narrativa di Chiari alla sua destinazione "aperta". Insomma nella prospettiva di quei caratteri che potevano rendere fruibile questi testi a un pubblico vasto, come accadeva in altri paesi europei. In assenza di una produzione "media", concepita cioè senza l'assillo del magistero degli antichi ma nemmeno indulgente verso effetti grossolani, accanto all'attenzione per le narrazioni autobiografiche (di grande successo quelle di Casanova, Goldoni, Alfieri, Baretti), si definisce un'incipiente fortuna del romanzo: fortuna che, pur se ancora non consolidata in un'abitudine sociale diffusa e stabile, accompagnava la circolazione dei nuovi titoli in modo massiccio e inatteso. Ne è una testimonianza, precisa e colorita, l'invettiva contro i lettori (e soprattutto le lettrici!) di narrativa popolare nelle omelie di padre Adeodato Turchi, predicatore cappuccino di grande fama, educatore alla corte di Parma. Ecco come si esprime il reverendo, in una predica del 1791:

La passione di leggere è diventata oggi un furore. Le donne stesse in questo voglion distinguersi, lasciandosi veder sovente con qualche libro alla mano. Si senton dire alla giornata dai loro adoratori, che bisogna istruirsi, coltivare lo spirito, acquistare dei lumi. Va bene: ma con quali libri? Ah quel serpente che volle Eva erudita, non la volle erudita che per suo danno, e per danno dei figli suoi.

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4 I caratteri del nuovo genere

Un'attenta lettrice della diffusione del romanzo in Europa negli anni canonici di questa fase, Rosa Maria Loretelli, sottolinea come le esperienze narrative, agli albori del genere, appaiano, da subito, reader oriented. Osserva, nel 1698, il teologo e letterato svizzero Gotthard Heidegger, - promotore di una feroce polemica contro le nuove narrazioni - che

i romanzi sono infatti costruiti in maniera tale che non si può saltare di qua e di là nel corso della lettura. Bisogna leggerli secondo l'ordine che l'autore ha voluto dare all'intreccio.

Quest'ordine si basa sulla curiosità ingorda e incontrollata dell'uomo; se si comincia (mi riferisco ovviamente ai lettori semplici e ingenui) si diventa voraci, si resta intrappolati nella rete, si trascura il resto del mondo, preoccupandosi solamente di arrivare alla fine del libro'.

Osserva Loretelli che Heidegger scriveva in un'epoca in cui era ancora «pratica corrente leggere per brani e per singoli episodi. Racconti strutturati per episodi vanno bene per questo tipo di lettura ma non riescono a suscitare la curiosità che serve a intrappolare nelle maglie della trama quei lettori -sempre più numerosi nel Settecento - che... potrebbero leggere testi anche lunghi».

Secondo questa specifica esigenza - costruire testi che possano rispondere alla nuova aspettativa dei lettori - quella "curiosità" di cui parlava Heidegger e che Loretelli riprende come peculiarità dei nuovi testi del primo Settecento- va definendosi un nuovo mercato del libro, che sarà il palcoscenico privilegiato su cui si costruisce per eccellenza lo scambio culturale e si creano le basi di una nuova società intellettuale. Testimonia questa complessa gestazione del genere e del suo pubblico il problema della denominazione della nuova classe testuale:

“Da un certo momento in poi, infatti, il termine universalmente usato sarà novel, che è sì parola preesistente, ma alla quale viene assegnato un significato diverso rispetto al passato”. Se il campo semantico della parola inglese aveva compreso i significati di 'nuovo', 'recente' e, come sostantivo, per lo più al plurale, di 'notizie' e 'novità', già all'inizio del Seicento - secondo la

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definizione dell'Oxford English Dictionary - era registrato col significato di 'novella', 'narrazione breve di genere realistico'.

Il genere "romanzo", quindi, assumendo, nell'arco del XVIII secolo, stabilmente la denominazione di novel, ribadisce il carattere innovativo che lo distingue da altre tipologie testuali.

Ne sintetizza le componenti più rilevanti una pagina centrale in questo dibattito, la prefazione di Tobias Smollet nel The Adventures of Ferdinand Count Fathom, del 1753:

Un romanzo (novel) è un grande affresco che comprende i personaggi della vita reale, disposti in gruppi diversi ed esibiti nei vari atteggiamenti secondo gli in tenti di un disegno uniforme e di un evento generale, a cui ogni figura individuale è assoggettata. Ma questo disegno non si può mandare ad effetto con decoro, probabilità o successo, senza un personaggio principale che attiri l'attenzione, unifichi gli incidenti, dipani il bandolo del labirinto e alla fine chiuda la scena in virtù della sua importanza.

La varietà narrativa, tratto fondamentale del romanzo, non elimina tuttavia la necessità di un momento centrale unificante, sede del senso ultimo, più pro- fondo, del testo. Dunque la molteplicità ricondotta a un'unità di fondo, come nella conversazione, in cui infatti Denis Diderot individuava il modello ideale di concatenazione di temi: «tutto si tiene nella conversazione», secondo una modalità di intreccio e di dialettica che veniva percepita, come sottolinea Benedetta Craveri, come «la dinamica stessa della riflessione intellettuale». E il modello di questa ideale architettura della narrazione era individuato nei romanzi di Richardson che offrivano un esempio di coinvolgimento del lettore nei meccanismi degli eventi narrati. Samuel Richardson, ideatore del più importante esempio di costruzione di romanzo attraverso "tessere" testuali come le

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lettere o le pagine di diario (così in Pamela o la virtù premiata, best-seller del 1740) lo ritroviamo costantemente nel dibattito italiano sul genere. E d'altronde è ovvio che a lui e ad altri scrittori inglesi guardi Ugo Foscolo quando stilerà il suo "piano di studi", nel 1896, nell'anno del bilancio e della progettualità letteraria, alla voce "romanzi", pone come sue fonti e modelli, gli ormai classici inglesi (Richardson, Fielding), Rousseau, Goethe, ma poi titoli esemplari di vari generi in prosa: il

"pistolotto" didattico-cortigiano, il racconto allegorico di satira politica, quindi -per gli scrittori italiani - due modelli che difficilmente sembrerebbero poter essere accostati, ma che pure, in modi diversi, rispondevano al gusto del Foscolo: l'Ariosto, definito un "lussureggiante romantico" e Lorenzo Pignotti, toscano autore di fiabe e novelle d'impronta popolare.

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5 Per una definizione della tradizione del nuovo genere e del suo pubblico

La pluralità e la diversità degli esempi testimonia l'approccio vario al genere che pone il problema -storiografico e interpretativo - della difficoltà di definire precisamente il romanzo. Come ha scritto Fasano, «il termine romanzo è usato indiscriminatamente per qualsiasi narrazione, fantastica o realistica, in versi o in prosa, di intrattenimento o educativa, avventurosa o sentimentale o filosofica».

Al di là di note ma non esaustive interpretazioni delle vicissitudini del genere - come la canonica tesi di Jan Watt, che riconduceva la nascita del romanzo all’ascesa sociale e politica della borghesia, classe dinamica per eccellenza -è utile, anche nella lettura della componente di temi di gender, che pure è presente nel nuovo circuito tra scrittrici e lettrici, la fissazione di una peculiarità non limitativa, ma piuttosto connotante la novità, nei tratti di «varietà, mobilità e instabilità» che sembrano accompagnare l'originalità della presenza femminile. Tanto che un acuto storico di questa dinamica, come Carlo Alberto Madrignani, può mettere, a un suo intervento sul tema, un titolo, Il romanzo, catechismo per le riforme, che ben sintetizza la nuova centralità conquistata dal genere.

Se possiamo dare per acquisita una fisionomia romanzesca che si delinea sulla normatività eterodossa delle esperienze di Lawrence Sterne e Alphonse D. De Sade, passando, con un salto temporale che mira a condurre a stagioni in cui poter verificare l'istituzionalizzazione del romanzo, alla coscienza narrativa propria del dibattito ottocentesco, ci imbattiamo in un clamoroso esempio di metanarrativa, di cui si può intendere a pieno il significato soltanto tenendo presente il dibattito delle origini.

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Alessandro Manzoni, nella primitiva stesura del Fermo e Lucia, del '21, costruisce la sua narrazione sul supporto di una fitta rete di elementi metanarrativi. Quegli elementi che espunti, com'è noto, nelle successive redazioni dell'opera, testimoniano eloquentemente l'esigenza di una riflessione in progress. Vediamone qualche esempio, che, come si vedrà, non può non rimandare ai «vertiginosi battibecchi» - come li definisce Bertoni - tra narratore e lettore in Jacques le fataliste (1796) di Diderot e, ancor prima, naturalmente, nel già citato Tristram Shandy (1767). Così nell'opera del francese, dibattono scrittore e lettore: «Come si erano incontrati? Per caso, come tutti quanti. Come si chiamavano? E che ve ne importa? Di dove venivano? Dal luogo più vicino...E gli amori di Jacques? Vedo, lettore, che questo ti indispettisce; ebbene riprendi il racconto dove egli l'ha lasciato, e continualo a tuo piacere”.

Nel Fermo e Lucia, l'introduzione è marcata proprio nella prospettiva di una riflessione costante sulle modalità del testo:

L'autore di questa storia è andato frammischiando alla narrazione ogni sorta di riflessione sue proprie; a me rileggendo il manoscritto ne venivano altre e diverse; paragonando imparzialmente le sue alle mie, io venivo sempre a trovare queste ultime molto più sensate, e per amore del vero ho preferito lo scrivere le mie a copiare le altrui

L’affermazione della relatività del narratore è destinata a sancire indirettamente l'affermazione della veridicità del racconto:

Se questa fosse una storia inventata, non mancherebbe certamente qualche lettore il quale troverebbe un grande difetto di previdenza nella perfidia ordita da Egidio e dalla Signora...Quei lettori i quali vorrebbero che in una storia anche le insidie fossero fatte perfettamente, se la prenderebbero coll'inventore; ma questa critica non può aver luogo perché

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noi raccontiamo una storia quale è avvenuta. Del resto ...le perfidie più studiate a danni altrui non sono mai state bene studiate, tanto bene eseguite che non rimanga sempre qualche traccia della mano che le ha ordite.

I protagonisti della narrazione si definiscono in relazione alle aspettative e alle reazioni dei lettori: «come molti testi metaletterari», qui la narrazione «sovrappone le impronte dell'avventura creativa alle supposizioni sugli effetti della ricezione» L’ingresso nella vicenda di Renzo e Lucia di Padre Cristoforo avviene attraverso un'interlocuzione con il lettore, che poi verrà ridimensionata nella riscrittura del 1840:

Ma perché aveva egli in cuore questo presentimento? E perché si pigliava tanto a cuore gli affari di Lucia? ...E chi era questo Padre Cristoforo? Se il lettore non fa tutte queste interrogazioni per malevola impazienza né per cavillare il povero narratore, ma per una sincera volontà di imparare e di essere informato della storia, legga quello che siamo per dirgli intorno al nostro buon frate e sarà soddisfatto

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