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Giovanni Di Giandomenico - L'attività giuridica

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Academic year: 2022

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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Indice

1. FATTO, ATTO E NEGOZIO ... 3

1.1 FATTO E FATTISPECIE ... 3

1.2 FATTO, ATTO E NEGOZIO GIURIDICO ... 5

2. IL NEGOZIO GIURIDICO E LE SUE PRINCIPALI CLASSIFICAZIONI ... 8

2.1 IL NEGOZIO GIURIDICO ... 8

2.2 I PRESUPPOSTI DEL NEGOZIO GIURIDICO ... 9

2.3 GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DEL NEGOZIO ... 12

2.4 LE PRINCIPALI CLASSIFICAZIONI DEI NEGOZI GIURIDICI ... 14

2.5 SCHEMA ESPLICATIVO ... 15

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1. Fatto, atto e negozio

1.1 Fatto e fattispecie

L’ordinamento giuridico può assumere nei confronti di un accadimento (naturale o umano) una duplice posizione: può considerarlo estraneo alla propria sfera di interesse oppure ritenerlo giuridicamente rilevante: in questo secondo caso, viene in rilievo la figura del fatto giuridico cioè un accadimento al quale l’ordinamento ricollega conseguenze rilevanti per il diritto.

Fatto giuridico può essere un accadimento naturale, del tutto indipendente dall’opera dell’uomo. Se un fiume, ad esempio, modifica il proprio corso abbandonando l’alveo originario e formando un nuovo letto, i proprietari confinanti con le opposte rive dell’alveo abbandonato ne diventano proprietari per la metà che è dalla loro parte: qui i nuovi diritti di proprietà si sono costituiti come conseguenza di un semplice evento naturale, al di fuori di ogni concorso dell’opera dell’uomo1. Ma fatto giuridico può essere anche un fatto umano: il pescatore diventa proprietario, ad esempio, del pesce che cattura.

Un fatto (umano o naturale) assume rilievo nel mondo del diritto quando una norma ricollega al suo concreto verificarsi delle conseguenze giuridiche. Se analizziamo, ora, più da vicino la struttura della norma, osserviamo che essa prevede un certo accadimento in astratto (es. la compravendita: art. 1470 c.c.) e - sia pure, talvolta, implicitamente - dispone che, ove quell’accadimento dovesse verificarsi nella realtà, debbano prodursi determinati effetti giuridici (Tizio diventa proprietario di un bene a seguito della stipulazione di un contratto di compravendita con Caio).

1 GALGANO, Diritto privato, Padova, 1990, 24.

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Utilizzando una terminologia risalente alla dottrina tedesca del secolo scorso2, si parla di

«fattispecie» (Tatbestand) per indicare l’astratta previsione legislativa dei fatti e delle condizioni in presenza delle quali la concreta realizzazione del fatto ipotizzato dà luogo alla nascita di effetti giuridici.

La fattispecie può essere articolata nella previsione di un unico fatto produttivo dell’effetto (si pensi, appunto, alla morte di una persona) e si tratterà di una fattispecie semplice, ma potrà articolarsi nella previsione di una molteplicità di fatti e si tratterà allora di fattispecie complessa. Si consideri, ad esempio, la vendita di una cosa futura, nella quale il trasferimento della proprietà richiede, oltre al contratto, anche la venuta ad esistenza del bene (art. 1472 c.c.).

A volte, poi, la fattispecie, più che complessa, è a formazione progressiva: è tale quella fattispecie che necessariamente consta di fatti che devono venire ad esistenza in uno spazio temporale più o meno lungo e legati tra loro da un nesso di causa-effetto, nel senso che ad uno di essi non può che seguire l’altro. Ne consegue che, al verificarsi solo di alcuni di essi, l’effetto finale non potrà ancora prodursi, derivandone una «fase preliminare di gestazione» alla quale si ricollegano taluni effetti prodromici che concretizzano la nozione di «aspettativa».

Analizzando, poi, le conseguenze che la norma riconduce al verificarsi del fatto da essa ipotizzato (cioè gli effetti giuridici), ricordiamo che, in un primo momento, tali conseguenze furono ravvisate nella «nascita, modificazione o estinzione dei diritti soggettivi», concezione questa che fu poi sostituita dal riferimento alla «nascita, modificazione ed estinzione di situazioni giuridiche soggettive»3. In tal senso, allora, può dirsi che le situazioni giuridiche soggettive nascono, si modificano e si estinguono in dipendenza dell’avverarsi di un evento che la norma giuridica seleziona e qualifica, isolandolo dalla più ampia sfera dei fenomeni naturali o sociali. Si comprende, allora, come la teoria del fatto giuridico si ponga, in un certo senso, al centro della stessa parte generale del diritto civile e non a caso essa si sviluppò in Germania proprio in

2 THOL, Einleitung in das deutsche Privatrech, Gottingen, 1851, 9. Per la verità, l’espressione fu utilizzata, in origine, per indicare l’insieme degli elementi materiali del reato e solo successivamente nel significato riportato nel testo: cfr. MAIORCA, Fatto giuridico. Fattispecie, in Noviss. dig. it., VII, Torino, 1961, 111-113.

3 Cfr. MAIORCA, o.l.c.

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concomitanza con lo sviluppo di quella «giurisprudenza dei concetti» che si fece portatrice dell’esigenza di dare vita a costruzioni generali del diritto civile che, poi, costituirono la premessa per la più ampia nozione di «negozio giuridico».

1.2 Fatto, atto e negozio giuridico

L’espressione «fatto giuridico» esprime una nozione di genere, nella quale è si individuano tipologie diverse. In tale ambito, si distingue tra fatto giuridico in senso stretto ed atto giuridico e il criterio distintivo è ravvisato nella partecipazione dell’uomo alla causazione dell’evento: se l’uomo ne è causa, si tratterebbe di un atto giuridico, mentre se ne è estraneo si tratterebbe di un fatto giuridico in senso stretto.

Questo criterio, però, è valido in prima approssimazione4 (in quanto, di regola, i fatti giuridici in senso stretto sono riferibili ad eventi naturali), ma non in assoluto, poiché - ricordando il ruolo fondamentale che assume la norma nel processo di giuridicizzazione del fatto - occorre tenere conto della rilevanza o meno che assume, per l’ordinamento, la volontà del soggetto nella causazione del fatto5: se detta volontà è presa in considerazione ai fini dell’efficacia giuridica dell’avvenimento umano, si tratterà di un atto giuridico, mentre, se essa rimane del tutto irrilevante, si tratterà di fatti giuridici in senso stretto. Alla stregua di tale impostazione, allora, gli eventi naturali (quali il fulmine, l’alluvione, il terremoto, la morte) sono, senza dubbio, sempre dei fatti giuridici, mentre, con riguardo agli eventi umani, occorrerà stabilire se, per l’ordinamento, la volontà costituisca o meno presupposto necessario per la nascita di certi effetti. Si consideri, ad esempio, la piantagione, la costruzione o l’opera fatta dall’uomo sul suolo altrui: in questi casi, nonostante si tratti di fatti umani, la legge ricollega ad essi determinate conseguenze giuridiche, a prescindere da ogni indagine sulla volontarietà e consapevolezza in ordine alla loro realizzazione: si è qui in

4 GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 1987, 87.

5 «L’unica fenomenologia che il pensiero giuridico moderno abbia utilizzato con larghezza é la fenomenologia della volontà»: FALZEA, Fatto giuridico, in Enc. dir., XVI, Milano, 1965, 948.

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presenza, perciò, di fatti giuridici in senso stretto. Viceversa, il contratto o il fatto illecito devono considerarsi atti giuridici.

La categoria degli atti giuridici, peraltro, richiede non solo la volontarietà, ma anche la capacità del soggetto che li compie, precisandosi, però, che, ai nostri fini, ciò che rileva non è tanto e solo la capacità legale di agire (art. 2 c.c.), quanto, soprattutto, la c.d. capacità di intendere e volere, ossia l’attitudine dell’individuo di rendersi conto della portata dell’atto che compie e delle conseguenze che ne derivano. Sotto tale ultimo aspetto è necessario distinguere tra atti leciti ed atti illeciti6. I secondi producono, a carico dell’autore, l’obbligazione di risarcire il danno causato nell’altrui sfera giuridica, ma, a tal fine, occorre che l’atto lesivo sia volontario (doloso o colposo, come si esprime l’art. 2043) e che il soggetto, al momento della causazione, sia capace di intendere e volere (art. 2046).

Diversi, invece, sono i requisiti di capacità e volontarietà necessari per il compimento degli atti leciti: oltre alla capacità di intendere e di volere (art. 428), la legge chiede la capacità legale di agire, che si acquista con il compimento della maggiore età.

Aspetti particolari, invece, presenta - sempre con riguardo agli atti leciti - il profilo della volontarietà, in quanto - sulla scorta di una elaborazione dottrinale risalente al secolo scorso - occorre distinguere tra atti giuridici in senso stretto e negozi giuridici (o atti negoziali).

Nel caso, infatti, di atti giuridici in senso stretto, l’ordinamento richiede la volontarietà del mero comportamento tenuto, irrilevante restando invece la volontarietà degli effetti prodotti, i quali sono sempre fissati dalla legge e ricollegati alla condotta in modo automatico. Viceversa, nel negozio giuridico, la volontarietà investe altresì gli effetti che conseguono all’atto, nel senso che essi non si producono se non voluti dal soggetto.

Per comprendere, si prendano due atti umani apparentemente simili: una richiesta scritta di pagamento che un creditore rivolge ad un debitore (art. 1219) e una diffida scritta che un contraente rivolge ad un altro contraente in un contratto a prestazioni corrispettive (art. 1454).

6 Cfr. RESCIGNO, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1985, 286.

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Nel primo caso, gli effetti giuridici (interessi di mora, rimborsi, risarcimento dei danni) seguono, automaticamente, anche se essi non siano previsti e voluti dal soggetto; nel secondo caso, invece, gli effetti giuridici (risoluzione del contratto) seguono soltanto se il soggetto li abbia previsti e voluti, per cui, se l’intento della soluzione non sussiste, l’effetto che seguirà sarà solo quello della costituzione in mora7.

Negli atti giuridici in senso stretto, dunque, l’ordinamento si limita ad assumere l’atto volontario come il presupposto cui ricollegare effetti giuridici, con la conseguenza che essi sono tutti tipici, cioè sono tutti previsti dalla legge. Diversamente è a dirsi per la categoria degli atti negoziali, caratterizzati - lo ripetiamo - da ciò che la volontarietà e consapevolezza non è limitata al comportamento, ma si estende agli effetti che sono, pertanto, anch’essi voluti dal soggetto.

7 BIGLIAZZI GERI,BRECCIA,BUSNELLI e NATOLI, Diritto civile, I, 2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1987, 449.

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2. Il negozio giuridico e le sue principali classificazioni

2.1 Il negozio giuridico

Il negozio giuridico va inteso quale «autoregolamento impegnativo», espressione con la quale si intende, per l’appunto, sottolineare come il negozio costituisce lo strumento mediante il quale il soggetto persegue i propri interessi e ciò attraverso la fissazione di una regola che diventa per lui impegnativa. Consideriamo, ad esempio, la compravendita. Quando due soggetti si accordano nel senso di scambiarsi un bene contro un prezzo, pongono in essere una regola che, se da un lato costituisce mezzo per autoregolamentare certi interessi individuali, dall’altro è impegnativa per gli autori del contratto, dal momento che essi, d’ora in poi, saranno vincolati a quel certo accordo, senza possibilità di sottrarsene in via unilaterale. L’autoregolamentazione degli interessi, peraltro, è particolarmente limitata nei negozi costitutivi di rapporti familiari come il matrimonio o l’adozione dove sono in gioco prioritariamente interessi che attengono alla personalità etico-sociale dell’individuo8. Essa, invece, assume il suo massimo vigore nell’ambito della regolamentazione di interessi patrimoniali che avviene, ordinariamente, mediante lo strumento del contratto.

Il carattere vincolante del negozio assume rilievo, poi, anche sotto un altro profilo. Per comprendere, poniamo che Tizio, ritenendo per errore che un certo oggetto sia d’argento, propone la stipula di un contratto di compravendita a Caio che accetta, senza rendersi conto dell’errore altrui. In una ipotesi del genere, può ritenersi quel negozio vincolante per Tizio? In linea di principio, la risposta dovrebbe essere negativa, dal momento che Tizio si è indotto alla stipulazione sulla base di una falsa rappresentazione della realtà. Tuttavia, un’analoga esigenza di tutela sussiste anche per Caio che, non potendosi rendere conto dell’errore, ha il diritto di mantenere in vita il negozio da quale consegue comunque un beneficio. Nell’Ottocento - quando dominava la

8 MAJELLO, in Istituzioni di diritto privato, a cura di Bessone, Torino, 1996, 72.

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teoria della volontà - si preferiva tutelare, in ogni caso, il dichiarante, essendo inconcepibile la permanenza in vita di un negozio che non corrispondesse all’intimo volere del soggetto. Col tempo, però, ci si è resi conto - come detto - che una eccessiva attenzione alla volontà interna era in contrasto con le esigenze di certezza dei traffici giuridici e, soprattutto, di tutela dell’affidamento del destinatario della dichiarazione. La prospettiva, così, è cambiata: il negozio rimane vincolante per il soggetto quando - pur non essendo conforme all’interno volere - si sia creato un affidamento in capo ad altri individui. Ovviamente, tale protezione trova un limite costituito dal carattere incolpevole dell’affidamento: se il soggetto era, ad esempio, in grado di rendersi conto dell’altrui errore, viene meno ogni giustificazione che consenta di mantenere in vita il negozio, dal momento che, concretamente, non può dirsi esistente alcun affidamento da tutelare. Anzi, ammettendo, in questo caso, la vincolatività del negozio, si legittimerebbe un odioso privilegio a favore di una parte che, invece, non merita alcuna protezione, avendo essa, in sostanza, abusato dell’altrui condizione di errore.

2.2 I presupposti del negozio giuridico

Il negozio - quale manifestazione di volontà con cui un soggetto autoregolamenta i propri interessi - presuppone, ovviamente l’esistenza di uno o più soggetti che lo pongono in essere e di un oggetto. Sono questi i c.dd. presupposti o termini del negozio, cioè elementi che - pur se necessari per la sussistenza del negozio - non fanno parte della sua struttura, ponendosi, invece, come dati ad essa esterni, dai quali comunque dipende.

Tanto i soggetti che l’oggetto, per essere presupposti del negozio, debbono presentare determinati requisiti.

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Con riferimento ai soggetti, si parla di requisiti soggettivi e tali sono:

a) La capacità giuridica

Come è noto, la capacità giuridica si identifica con l’idoneità del soggetto ad essere titolare di diritti e di obblighi e, più in generale, di situazioni giuridiche soggettive. Essa si acquista con la nascita e può subire solo eccezionali limitazioni, essendo inammissibile una incapacità giuridica assoluta che renderebbe un soggetto privo di ogni suo diritto. Limitazioni alla capacità giuridica si ravvisano, ad esempio, nel diritto del lavoro: il minore di anni quindici non può essere titolare di diritti e di obblighi connessi ad un rapporto di lavoro subordinato. Ricordiamo che le limitazioni alla capacità giuridica danno luogo alle c.dd. incapacità speciali;

b) La capacità di agire

Affinché il negozio sia valido ed efficace, occorre che esso sia posto in essere da chi abbia la capacità di agire, capacità che, come è noto, si acquista con il raggiungimento della maggiore età, salva l’ipotesi della interdizione della persona maggiorenne e salva, altresì, l’ipotesi della emancipazione del minore;

c) La legittimazione

La legittimazione (o potere di agire) è il potere di un soggetto di disporre di un diritto mediante un negozio giuridico. Tale potere, in linea di principio, è attribuito al titolare del diritto stesso: posso vendere una casa solo se ne sono proprietario. Nel caso manchi la legittimazione, il negozio di per sé è valido, perché la legittimazione non è un elemento costitutivo dell’atto: esso, però, è inefficace, cioè non è in grado di produrre l’effetto perseguito dal soggetto. Se vendo un bene altrui, la proprietà non può trasferirsi al compratore. Eccezionalmente, la legittimazione può essere attribuita ad un soggetto diverso dal titolare del diritto. Tale attribuzione può derivare dalla legge, quando il soggetto titolare del diritto non è in grado di provvedere in modo adeguato ai propri interessi: si pensi, ad esempio, al potere attribuito ai genitori in relazione ai diritti appartenenti ai figli minori. Altre volte, invece, l’attribuzione può derivare da un atto di volontà dello stesso soggetto titolare del diritto: è quanto accade nella rappresentanza dove un soggetto (c.d.

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rappresentato) attribuisce ad altro (c.d. rappresentante) il potere di concludere negozi che poi produrranno effetti nella sfera giuridica del primo. In entrambe le ipotesi, il soggetto è titolare di una potestà che, come si ricorderà, è il potere attribuito ad un soggetto per la realizzazione diretta di un interesse altrui.

Con riferimento, invece, all’oggetto del negozio, si parla di requisiti oggettivi per indicare quelle particolari caratteristiche che l’oggetto deve presentare, secondo quanto dispongono gli artt. 1346 ss. c.c. Requisiti oggettivi sono:

a) La possibilità

Possibilità dell’oggetto vuol dire che la cosa o il comportamento si presta, per sua natura, ad essere oggetto del negozio o di un certo negozio: così può costituire oggetto della locazione solo un bene improduttivo e oggetto del contratto di affitto solo un bene produttivo. Del pari, oggetto del mutuo può essere solo un bene fungibile e del comodato solo un bene infungibile.

b) La liceità

Liceità vuol dire che la cosa o il comportamento debbono prestarsi, per volontà della legge, ad essere oggetto del negozio o di un certo negozio. E così, ad esempio, non possono costituire oggetto lecito del negozio i beni demaniali oppure le parti del proprio corpo (oltre i limiti fissati dall’art. 5). Un limite speciale stabilisce la legge per le cose future: esse possono essere, in generale, oggetto del negozio (art. 1348), ma diventano oggetto illecito con riguardo a determinati negozi, come ad esempio, la donazione, che, per l’art. 771, non può avere ad oggetto beni futuri.

c) Determinatezza o determinabilità

Determinatezza o determinabilità dell’oggetto vuol dire che, per la validità del negozio, è necessario che esso sia esattamente definito o, quanto meno, siano fissati i criteri per la sua definizione. Ricordiamo, però, che la legge riconosce alle parti la facoltà di attribuire ad un terzo il compito di determinare l’oggetto del negozio.

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Mentre i requisiti soggettivi debbono esistere al momento della conclusione del negozio, quelli oggettivi debbono sussistere al momento in cui il negozio comincia a produrre effetti. Ciò si desume, ad esempio, dalla norma dell’art. 1347 per la quale, se al momento della conclusione di un negozio sottoposto a condizione sospensiva o a termine la prestazione era impossibile, il negozio è pur sempre valido se, al momento del verificarsi della condizione o alla scadenza del termine (momento a partire dal quale il negozio produce effetto), la prestazione è divenuta possibile.

2.3 Gli elementi costitutivi del negozio

Diversi dai presupposti, sono gli elementi del negozio, cioè quegli elementi da cui dipende l’esistenza stessa del negozio. Se i presupposti sono fattori estranei, gli elementi sono, per così dire, i mattoni che compongono la struttura stessa del negozio, in mancanza dei quali questo non viene ad esistenza. Si distinguono, tradizionalmente, gli elementi essenziali cioè quelli che debbono necessariamente sussistere per la sussistenza del negozio, dagli elementi accidentali, cioè quelli elementi che gli autori del negozio sono liberi di apporre o meno, precisandosi, però, che una volta apposti, essi diventano essenziali, cioè diventano parte integrante della struttura dell’atto. Un esempio di elemento accidentale è la condizione.

Elementi essenziali sono:

a) La volontà (il contenuto)

Quando si parla di volontà, occorre distinguere due profili. Può venire in considerazione, anzitutto, la facoltà umana di voler concludere un negozio (c.d. volontà volente), che rimane, ovviamente, un dato esterno alla struttura dello stesso, quale mero atteggiamento psicologico del soggetto. Quando, invece, il soggetto conclude il negozio, quella generica intenzione trova la sua concreta attuazione, traducendosi nell’insieme di clausole che costituiscono il c.d. contenuto del negozio (c.d. volontà voluta). È questa la volontà che assume la connotazione di elemento costitutivo del negozio, dal momento che essa cessa di essere un atteggiamento interno al

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soggetto per divenire il nucleo essenziale del negozio, cioè l’insieme delle pattuizioni poste in essere dalle parti.

b) La forma

La forma sta ad indicare il modo in cui la volontà si manifesta all’esterno, diventando così percettibile da altri. Il concetto di forma è strettamente connesso a quello di volontà, poiché essa costituisce il veicolo mediante il quale la volontà interna ad un soggetto trova estrinsecazione nella realtà. Essa può essere scritta o orale: vige, al riguardo, il principio di libertà della forma (cioè i soggetti possono scegliere la forma di manifestazione della volontà che ritengono opportuno), ma talvolta, la legge richiede, ai fini della stessa esistenza del negozio, la forma scritta (c.d. forma scritta ad substantiam).

c) La causa

La causa è l’elemento essenziale più controverso nella teoria generale del negozio giuridico.

L’ordinamento non attribuisce protezione ad ogni negozio posto in essere dai privati, ma solo a quegli atti finalizzati a realizzare un risultato che renda l’atto stesso meritevole di tutela. Per compiere tale valutazione, allora, l’ordinamento richiede che ciascun negozio evidenzi la ragione per cui è stato posto in essere: tale ragione giustificatrice dell’atto prende il nome di «causa» e la sua mancanza determina la nullità dell’atto (art. 1418), cioè, in definitiva, il suo disconoscimento da parte del legislatore.

Esaminando, adesso, più da vicino il concetto di causa, ricordiamo che secondo la teoria tradizionale - che va sotto il nome di teoria oggettiva - la causa si identifica, in particolare, con la funzione che il negozio assolve sul piano economico-sociale. In altre parole, la causa sarebbe la finalità che il tipo astratto di negozio persegue così come si desume oggettivamente dall’atto posto in essere dai soggetti. Ad esempio, la causa del contratto di compravendita è lo scambio di un bene contro un prezzo, quella del contratto di appalto è l’esecuzione di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo, ecc.: le funzioni assolte dai vari negozi costituiscono la ragione che

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giustificano il compimento dell’atto e la protezione da parte dell’ordinamento. Questa impostazione, però, è stata superata dalla dottrina e di recente anche dalla giurisprudenza in favore della nozione della causa c.d. in concreto. (o teoria soggettiva della causa):

Questa propone di individuare un nuovo concetto di causa che tenga conto non tanto della funzione che il negozio è in grado di realizzare astrattamente, quanto, soprattutto, della finalità concreta che attraverso esso le parti intendono conseguire: si parla, al riguardo, di «ragione concreta del negozio». In tale prospettiva, la causa sarebbe lo scopo che le parti del negozio vogliono conseguire, scopo che può anche essere diverso da quello che, in astratto, il negozio è di per se in grado di realizzare. Tale impostazione ha risvolti pratici notevoli.

2.4 Le principali classificazioni dei negozi giuridici

Numerose sono le classificazioni dei negozi giuridici.

Tra le principali ricordiamo le seguenti.

In relazione al numero delle parti i negozi si distinguono in unilaterali (ad es. testamento e la promessa unilaterale), bilaterali (ad es. matrimonio e contratto) e plurilaterali (ad es. atto costitutivo di un’associazione), a seconda che siano necessari per la loro idoneità strutturale la dichiarazione di una sola parte, l’accordo di due parti o l’accordo di più di due parti.

Rispetto al contenuto si differenziano i negozi a contenuto patrimoniale (come il contratto) da quelli a contenuto non patrimoniale (come il matrimonio). Sotto tale profilo vi sono anche negozi misti come il testamento che può avere ad oggetto sia disposizioni patrimoniali che non patrimoniali.

Rispetto alla causa si distinguono i negozi causali (come il contratto) da quelli astratti (come i titoli di credito) a seconda che la dichiarazione negoziale debba enunciarsi oppure no.

Rispetto alla forma si differenziano i negozi solenni o formali (come il testamento e la donazione) da quelli non solenni (come, ad esempio, alcuni contratti aventi ad oggetto beni

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mobili) a seconda che per la loro validità strutturale sia necessario che la volontà o l’accordo risultino o meno da un atto scritto.

Rispetto all’incidenza causale dell’evento morte si distinguono i negozi mortis causa (come il testamento) da quelli inter vivos (come il contratto ed il matrimonio)

Rispetto all’aspetto funzionale si distinguono i negozi a titolo oneroso (ad es. il contratto di compravendita) da quelli a titolo gratuito (ad es. la donazione), a seconda che chi, mediante il negozio concede al altri un vantaggio economico, ricavi o meno, in conseguenza dello stesso negozio, un altro vantaggio economico.

2.5 Schema esplicativo

FATTO GIURIDICO

FATTO IN SENSO STRETTO

Atti naturali e atti umani involontari Si prescinde da qualsiasi volontà

ATTO GIURIDICO Atti umani volontari

ATTO GIURIDICO IN SENSO STRETTO volontà solo del comportamento

NEGOZIO

Volontà anche degli effetti

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