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LABORATORIO DI MISURE per il corso di laurea in SCIENZE BIOLOGICHE

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(1)

LABORATORIO DI MISURE

per il corso di laurea in SCIENZE BIOLOGICHE

MODULO A

GUIDA ALL’ESPERIENZA DI LABORATORIO a.a. 2002/03

Dott. A. Giussani Prof.ssa L. Perini

Indice

1. Introduzione

...2

2. Richiami di elementi di elettromagnetismo ed ottica

...2

2.1 Elettrolisi...2

2.2 Assorbimento...4

2.3 Spettrofotometro...5

3. Scelta dei parametri iniziali

...7

4. Descrizione dell'esperienza

...8

4.1 Misura della carica...8

4.2 Misura diretta della massa depositata al catodo...9

4.3 Misura indiretta della massa depositata al catodo...10

4.3.1 Misura della massa dalla variazione di concentrazione...10

4.3.2 Misura dello spettro di assorbimento della soluzione...11

4.3.3 Misura del coefficiente ...11

4.3.4 Una variante alla misura indiretta della massa depositata al catodo...12

5. Valutazione della precisione delle misure

...13

5.1 Interpretazione statistica delle misure...13

5.2 Errore su F utilizzando la propagazione degli errori...13

5.3 Errori sulle concentrazioni...15

5.4 Errori sulle misure di assorbanza...15

5.5 Errori sui volumi prelevati con pipetta...15

(2)

1. Introduzione

L'esperienza proposta è la misura della costante di Faraday ottenuta svolgendo un'elettrolisi di una soluzione di solfato di rame ed effettuando misure di carica, di massa depositata e di variazioni di concentrazione del soluto tramite uno spettrofotometro.

Nel cap.2 di questa guida vengono richiamati alcuni concetti di base, indispensabili per la comprensione dell'esperienza, riguardanti l'elettrolisi e gli elementi di ottica che stanno alla base del funzionamento di uno spettrofotometro. La descrizione dettagliata delle diverse misure che si devono effettuare in laboratorio viene data nel cap.4, preceduta nel cap.3 da una discussione sulla pianificazione dell'esperienza.

Nel cap.5 si considera la precisione delle misure ottenute ed il modo di quantificarla.

Nell' esposizione si è seguito un ordine logico, che non coincide necessariamente con quello temporale di esecuzione in laboratorio.

2. Richiami di elementi di elettromagnetismo ed ottica

2.1 Elettrolisi

Una cella elettrolitica è essenzialmente costituita da:

- Una soluzione elettrolitica = la soluzione di un elettrolita cioè di una sostanza che disciolta in acqua si dissocia in ioni positivi e negativi

- Due elettrodi = due conduttori inseriti nella soluzione e mantenuti a potenziale diverso (ad esempio collegati ad un generatore di tensione), l'elettrodo a potenziale piu' elevato è detto elettrodo positivo (anodo), l'elettrodo a potenziale piu' basso è detto elettrodo negativo (catodo).

Nella regione di liquido posto tra gli elettrodi viene a stabilirsi un campo elettrico il quale esercita una forza sui portatori di carica (ioni) presenti in soluzione. Sotto l'azione di tale forza gli ioni positivi migrano verso il catodo, gli ioni negativi verso l'anodo. Nella soluzione elettrolitica si ha quindi il passaggio di una corrente elettrica: tale fenomeno è detto elettrolisi.

Poichè il passaggio di corrente avviene per lo spostamento degli ioni, sia positivi che negativi, esso risulta legato ad uno spostamento di materia dalla soluzione verso gli elettrodi, a differenza di quanto avviene comunemente in un conduttore percorso da corrente.

Giungendo sul catodo (anodo) gli ioni positivi (negativi) cedono la loro carica; una volta rimasti neutri possono, a seconda dei casi, svilupparsi allo stato gassoso, reagire col liquido, depositarsi sugli elettrodi. La massa delle sostanze liberate agli elettrodi risulta proporzionale alla carica elettrica che ha attraversato la cella e, per ogni elemento, al rispettivo equivalente chimico (l'equivalente chimico di un elemento è il rapporto tra il suo peso atomico M e la valenza z: M/z).

Consideriamo ad esempio cio' che avviene al catodo:

sia Q la carica che attraversa la cella, il numero n di ioni positivi, di valenza z, che migrano al catodo sarà dato da:

e z n Q

  (e = carica dell’elettrone = 1.60218·10-19 C) (1) la massa mi di ciascuno ione è data da:

Avo

i N

m  M (NAvo = numero di Avogadro = 6.02214·1023 mol-1) (2) La massa totale trasportata risulta

(3)

i

Av

Q M Q M

m = n m = =

z e N F z

 

  (3)

dove:

-1

F = e N = 96485 Coulomb molAv

è detta costante di Faraday.

Affinchè l'elettrolisi si realizzi è necessario che la differenza di potenziale tra gli elettrodi superi un valore minimo detto potenziale di decomposizione. Tale potenziale corrisponde alla differenza dei potenziali necessari affinchè gli ioni negativi e positivi possano rispettivamente ossidarsi all'anodo e ridursi al catodo:

Vdec = Vrid – Voss (4)

Quando la differenza di potenziale tra gli elettrodi è superiore a Vdec, la corrente che circola nella cella risulta proporzionale alla differenza di tensione tra gli elettrodi: i  (Va-Vc) secondo la legge di Ohm (fino a valori di correnti tali da non portare il liquido all'ebollizione). Il fattore di proporzionalità è la resistenza della cella elettrolitica, che è data dal prodotto della resistività  della soluzione per un fattore dipendente dalle dimensioni degli elettrodi e dalla reciproca distanza. Nel caso più semplice della cella rappresentata in figura 1 si ha:

A

R l (5)

Figura 1.

La resistività dipende da diversi parametri fra cui: la concentrazione della soluzione, il grado di dissociazione dell'elettrolita, la mobilità degli ioni, la temperatura (al crescere di T cresce la mobilità).

Per soluzioni diluite la dipendenza della resistività dalla concentrazione si può ricavare considerando il moto degli ioni in soluzione. Consideriamo la componente del campo elettrico diretta lungo la direzione della congiungente gli elettrodi: essa impartisce agli ioni un’accelerazione:

mi

E

a q (6)

Facendo l'ipotesi che dopo ogni urto con gli altri ioni della soluzione, lo ione riparta da fermo, la velocità che avrà acquistato nella direzione del campo elettrico (detta velocità di

(4)

deriva) è data da:

 

i

d m

E

v q (7)

dove  è il tempo medio intercorso tra due urti successivi.

Definiti:

n = numero di portatori di carica per unità di volume V = volumetto attraversato dallo ione = lA

si ricava la corrente:

vd

A q dt n A d q dt n q dV dt n

idQ       l    

(8) e la densità di corrente J:

i 2

d

m E q J n

v q A n J i

 

(9)

Dalla relazione tra densità di corrente e campo elettrico si ottiene quindi l'espressione per la conducibilità  e la resistività  = 1/:

2 i

q n

m 1 E E J

(10)

Risulta quindi che la resistività è inversamente proporzionale alla concentrazione dei portatori di carica (n).

2.2 Assorbimento

Un'onda luminosa che si propaga in un mezzo materiale viene assorbita quando la sua energia diminuisce perchè in parte trasferita al materiale attraversato. Le conseguenze di assorbimento di energia possono essere diverse: riscaldamento del mezzo, eccitazione o ionizzazione degli atomi o molecole del mezzo, reazioni fotochimiche, fotoluminescenza ecc.

L'assorbimento dipende dalla lunghezza d'onda della luce, dalla natura chimica e dallo stato della sostanza attraversata e dalla lunghezza del percorso nel materiale. La quantità di luce assorbita da un mezzo isotropo puo' essere espressa facendo riferimento a due grandezze: la prima è la trasmittanza T definita come rapporto tra l'intensità di luce trasmessa (I) e l'intensità di luce incidente (I0):

I0

T I (11)

La seconda è l’assorbanza A definita da:

T log 1 I log I

A 10 010 (12)

La legge di Lambert-Beer afferma che l'assorbanza di uno strato di materiale è proporzionale al suo spessore l e alla concentrazione dei "centri di assorbimento":

A= ε c l (13)

dove la costante di proporzionalità  è detta coefficiente di estinzione o assorbanza specifica ed è diversa per ogni lunghezza d'onda e per ogni sostanza. Abitualmente si considera il

(5)

valore di  corrispondente alle lunghezze d'onda maggiormente assorbite, cioè corrispondenti ai picchi dello spettro di assorbimento della sostanza.

La legge di Lambert-Beer si ricava facilmente considerando che la frazione di luce assorbita nell'attraversamento dello spessore dl è proporzionale al numero dn di centri assorbitori incontrati e alla loro capacità di assorbimento p (legata alle proprietà fisiche e chimiche della sostanza):

dn I p

dI   (14)

dove dn è dato dalla concentrazione c per la superficie s presentata dal centro assorbitore per lo spessore attraversato:

dn = c s dl (15)

quindi:

dl c ' dl s c I p

dI       (16)

avendo riunito in ' le quantità dipendenti dalla specifica sostanza (' = p s).

Integrando si ottiene

l c l c ' 4343 . 0 e log l c ' e

I log log I A

e I I

l c I '

log I

dl c I '

dI

l 10 c 10 ' 10 0

l c 0 '

0 e I I

l 0 0

 

(17)

con = ’·log10(e) =0.4343 ’.

L'assorbimento in un mezzo isotropo appena descritto non va confuso con la diminuzione di energia di un'onda che si propaga in un mezzo otticamente eterogeneo (un mezzo torbido, contenente piccole particelle aventi indice di rifrazione diverso da quello del mezzo) dovuto alla diffusione.

La diffusione è dovuta alle oscillazioni forzate degli elettroni negli atomi (molecole, ioni) del mezzo diffondente prodotte dalla luce incidente, con conseguente emissione di radiazione secondaria, ed è accompagnata dalla variazione della direzione di propagazione dell'onda luminosa.

Va ricordato infine che anche i fenomeni di rifrazione (passaggio tra due mezzi aventi indice di rifrazione diverso) e di riflessione corrispondono ad una diminuzione dell'intensità luminosa della luce incidente.

Pertanto quando si vuole utilizzare la legge di Lambert-Beer per ricavare informazioni sulla sostanza attraversata dalla misura dell'assorbanza A, è necessario separare gli effetti dei vari fenomeni descritti.

2.3 Spettrofotometro

Viene detto spettro l'insieme delle diverse componenti monocromatiche (cioè di lunghezza d'onda diversa) di una radiazione elettromagnetica.

Lo strumento che permette la separazione e l'osservazione delle componenti monocromatiche di una radiazione è lo spettroscopio.

Ogni sostanza assorbe in maniera diversa le diverse lunghezze d'onda, sottraendo in modo piu' o meno marcato alcune delle componenti monocromatiche dallo spettro della luce che la

(6)

attraversa. Uno strumento in grado di misurare la luce trasmessa o assorbita da un campione in funzione della lunghezza d'onda della luce incidente è detto spettrofotometro.

Le componenti essenziali di uno spettrofotometro sono:

- una sorgente luminosa: diversa a seconda della regione dello spettro di radiazione elettromagnetica che interessa utilizzare;

- un monocromatore: per selezionare la componente di radiazione della lunghezza d'onda voluta. Puo' essere costituito da un prisma o da un reticolo di diffrazione;

- uno spazio destinato al campione di sostanza da esaminare;

- un rivelatore di intensità luminosa: una fotocella o un fotodiodo che converte il segnale luminoso in un segnale elettrico che viene successivamente misurato e trasformato in informazione numerica.

Dal confronto tra lo spettro della luce con e senza campione è possibile risalire ad alcune proprietà microscopiche del campione.

Usando la legge di Lambert-Beer è possibile determinare la concentrazione di una soluzione in esame.

Consideriamo una cuvetta piena di soluzione posta in uno spettrofotometro. Per quanto si è detto nel cap.2.2, la luce che attraversa la cuvetta oltre ad essere assorbita dalla soluzione nel modo descritto dalla legge di Lambert-Beer, è anche riflessa ed assorbita dalle pareti della cuvetta. La relazione (17) va quindi corretta, e la luce trasmessa dalla cuvetta contenente la soluzione è data in realtà da:

 

I e T I 0 'cl

(18)

dove T() esprime la diminuzione di intensità luminosa dovuta all'assorbimento, riflessione, rifrazione ecc. da parte delle pareti della cuvetta. Abbiamo usato il simbolo T() per ricordare la dipendenza di tali fenomeni dalla lunghezza d'onda della luce.

Per poter determinare con lo spettrofotometro la concentrazione di una soluzione è quindi necessario essere in grado di sottrarre questi altri effetti. Cio' è possibile tramite la cosiddetta

"sottrazione del bianco", utilizzando cioè due cuvette identiche una contenente acqua distillata ed una contenente la soluzione in esame. Per una cuvetta contenente acqua distillata, la luce trasmessa sarà data da (c=0):

Ib = I0·T(λ) (19)

Pertanto si puo' ricavare:

 

b

0 l c '

I I T

I

e I 

 

(20)

e passando ai logaritmi:

b

b 10 0 10 0

10 b

A A l c

I log I I log I I log I l c ' 4343 . 0

 (21)

La quantità proporzionale alla concentrazione della soluzione non è quindi l'assorbanza direttamente letta allo spettrofotometro, ma la differenza tra tale valore ed il valore che si ha per una cuvetta identica contenente acqua distillata.

Ogni misura di assorbanza si effettua quindi allo spettrofotometro in due passi, prima misurando la cuvetta contenente acqua distillata per definire il valore di zero, e successivamente la cuvetta contenente la soluzione in esame.

3. Scelta dei parametri iniziali

(7)

Prima di procedere alla descrizione dettagliata dell'esperienza e alla discussione delle singole misure da effettuare, vogliamo fare qui alcune considerazioni sulla pianificazione dell'esperienza. Sapendo che cosa si vuole misurare e che strumenti si hanno a disposizione ciascuno deve progettare la propria esperienza fissando i parametri liberi (ad es. la quantità di soluzione da utilizzare, l'intensità della corrente ecc.) in modo tale che le misure siano fattibili e si ottengano risultati con la massima precisione possibile.

Questo comporta da una parte fare attenzione alle caratteristiche degli strumenti disponibili (si ricorda ad esempio l'importanza della lettura dei manuali corrispondenti), in modo da utilizzarli nella configurazione in cui forniscono la maggior attendibilità e precisione, dall'altra lo studio ed il confronto delle diverse fonti di errore, in modo da determinare quali siano i fattori che influiscono maggiormente sulla precisione finale di F.

Si determinano così i termini su cui è necessario ottenere una maggior precisione e si individuano i fattori che possono limitare intrinsecamente la misura.

Questo studio va fatto a priori, prima di iniziare 1'esperimento. Per abituare gli studenti a questo tipo di approccio, si sono volute anticipare delle linee guida già parzialmente definite, basate sui risultati ottenuti dagli studenti negli anni precedenti. Avendo poi la possibilita' di ripetere più volte l'esperienza in laboratorio, lo studente puo' di volta in volta riconsiderare le scelte fatte ed i procedimenti seguiti, alla luce dei risultati ottenuti, e migliorarli in vista di un’esperienza successiva.

Per definire quantitativamente i parametri dell'esperienza partiamo ad esempio dalla precisione con cui peseremo il rame depositato all'elettrodo.

La bilancia ha una precisione ai 0.1 mg, quindi per avere errori dell'ordine dell'1% è necessario considerare depositi dell'ordine di 10 mg di rame. Questo significa (dall'eq.(3)) una carica trasportata di circa 30 C. Se si vuole impiegare per ogni elettrolisi un tempo di circa 30' è necessaria una corrente di circa 16 mA. La corrente per unità di superficie non deve superare il limite di 3 mA/cm2 (vedi cap.4.2 ), se la superficie del catodo usato è di circa 5 cm2 (fili lunghi 30 cm, diametro 0.5 mm) dobbiamo restare entro i 14 mA.

Consideriamo le misure allo spettrofotometro: secondo quanto è indicato nel manuale, l'intervallo di assorbanze in cui gli spettrofotometri usati consentono maggior precisione è 0.1<A<1.0 (vedi fig. B.4, pag. B-7 del manuale). Siccome il fattore di proporzionalità  tra concentrazione di rame in soluzione (espressa in g/l) e lettura di assorbanza è pari a circa 1.2, ciò significa usare concentrazioni iniziali c  1.2 g/l. Per c = 1 g/l 10 mg di rame sono contenuti in 10 ml: dovremo quindi usare un volume di soluzione superiore a 10 ml. Per ottenere una buona precisione sulla misura della massa è necessario considerare variazioni di concentrazione significative (mdep = c  V, σmmσcccc); se ad esempio vogliamo una variazione di almeno il 20%, facendo depositare 10 mg di rame, dobbiamo partire da non piu' di 50 cc di soluzione.

Un esempio di scelta iniziale puo' essere allora: i = 12 mA, t = 40' (da cui Q= 28.8 Coulomb, mattesa = 9.5 mg) c1 = 1 g/l, V = 50cc ( Δc cattesa = 19 %)

(8)

4. Descrizione dell'esperienza

4.1 Misura della carica

La carica che attaversa la cella nel tempo T è definita da:

T

0

Q = i(t)dt

(22)

La corrente viene misurata con un amperometro posto in serie nel circuito, il tempo con un orologio-cronometro. Se la corrente i(t) è mantenuta costante per tutto il tempo T dell'elettrolisi, si ha

T

0

Q = idt= iT

(23)

Il circuito che utilizziamo puo' essere rappresentato nel modo seguente:

Figura 2

la parte superiore della figura comprende il generatore di tensione V e la resistenza esterna Re

posta in serie, quella inferiore è una schematizzazione della cella elettrolitica come la somma di due termini: un generatore di tensione Vdec, che è il potenziale di decomposizione, ed una resistenza Rc che è la resistenza della cella elettrolitica.

L'equazione del circuito è:

e dec C

V - i R - V - i R = 0 (24)

dec

e c

i = V V

R R

 (25)

Se si misura la corrente per vari valori di V si può ottenere un grafico del tipo mostrato in figura 3, dove si può notare che nel circuito circola corrente tra anodo e catodo solo per V maggiori di Vdec.

Poiché la resistenza della cella varia durante l’elettrolisi, dato che diminuiscono i portatori di carica, varia in conseguenza la corrente i (per V, Vdec ed Re costanti ). La resistenza esterna Re è stata scelta di valore molto superiore ad Rc in modo da rendere minima questa variazione di corrente durante l'elettrolisi. Infatti, dall'equazione (25):

(9)

Figura 3.

per Re = 0:

c c

ΔR Δi

i  R (25a)

per Re>>Rc

e c c e

e e

c c e

c

R R R R

R R

R R R

R i

i 

 



 

 (25b)

In questo modo è facile compensare la piccola diminuzione di corrente osservata durante l’elettrolisi, aumentando via via il valore della tensione V applicata.

Prima di chiudere il circuito si misura con il tester la resistenza Re. Si può calcolare quindi dalla (25) un limite inferiore per la tensione V, necessaria ad ottenere la corrente voluta i, da utilizzare come valore di partenza.

4.2 Misura diretta della massa depositata al catodo

La misura della massa depositata al catodo viene fatta in due modi diversi. Il confronto dei due risultati permetterà di fare considerazioni interessanti sull'esperienza.

La misura diretta consiste nel ricavare il peso del rame depositatosi sul catodo dalla differenza di peso dell'elettrodo prima e dopo l'elettrolisi. Si utilizza una bilancia elettronica avente una precisione di 0.1 mg. Per poter effettuare la misura è necessario che il deposito di rame sia compatto e ben aderente al catodo, affinchè non si perda nell'estrarre l'elettrodo dalla soluzione e nel trasporto. A questo scopo è necessario che la densità superficiale di corrente usata (corrente per unità di superficie dell'elettrodo) non sia troppo elevata in modo da permettere agli ioni di rame di aderire al catodo facendo sì che il deposito cresca regolarmente sul substrato. Un valore limite misurato in laboratorio è di 3 mA/cm2, sopra il quale incominciano a formarsi detriti. Bisogna quindi controllare quale sia la superficie totale di elettrodo immersa in soluzione e verificare che l'intensità di corrente non superi tale limite.

Si cercherà anche di sistemare gli elettrodi ben allineati, in modo che il campo elettrico sia uniforme lungo tutta la superficie del catodo, in caso contrario la densità di corrente può risultare localmente troppo elevata.

Quando si estrae il catodo dalla soluzione, prima di pesarlo, è necessario asciugarlo con cura.

(10)

4.3 Misura indiretta della massa depositata al catodo

4.3.1 Misura della massa dalla variazione di concentrazione

La misura indiretta della massa di rame depositata sul catodo si effettua attraverso la misura della quantità di rame perso dalla soluzione in cui si è effettuata l'elettrolisi. Si misura cioè la variazione di concentrazione della soluzione e il suo volume:

mdep = m1- m2= c1 V - c2V (26)

dove:

mdep= massa di rame depositato

m1 = massa di rame in soluzione prima dell'elettrolisi m2 = massa di rame in soluzione dopo l'elettrolisi

c1 = concentrazione del rame in soluzione prima dell'elettrolisi c2 = concentrazione del rame in soluzione dopo dell'elettrolisi V = volume di soluzione utilizzato per l'elettrolisi

E' quindi necessario misurare c1 , c2 e V.

c1 è la concentrazione della soluzione iniziale che viene preparata sciogliendo alcuni mg di CuSO4 (penta idrato), pesati con la bilancia, in acqua distillata, utilizzando un matraccio tarato.

Quella che interessa è la concentrazione del rame in soluzione che è data da:

4 2

4 2

CuSO 5H O (Cu)

1

matraccio (CuSO 5H O)

m peso atomico

c V peso molecolare

  (27)

pesi atomici che interessano sono:

Cu = 63.55 S = 32.06 O = 15.99 H = 1

CuSO45H2O=249.68

La concentrazione della soluzione dopo l'elettrolisi è ignota. Per poterla misurare si ricorre alla legge di Lambert-Beer che dà la relazione tra la concentrazione di una soluzione e l'assorbimento della luce da parte di tale soluzione. L'equazione (13) dà: A =  c l

da cui:

c =  A (28)

con

α 1

ε l

 (29)

La concentrazione è quindi direttamente proporzionale all'assorbanza, attraverso il coefficiente di proporzionalità  che, per la soluzione in esame, è un parametro costante, una volta fissati l e la lunghezza d'onda della luce usata. Si deve quindi misurare A e conoscere, o aver precedentemente misurato, .

L'assorbanza di una soluzione è facilmente misurabile con uno spettrofotometro quando questa assorbe nel visibile, cioè quando la soluzione appare colorata alla vista. Una soluzione di solfato di rame di concentrazione circa 1 g/l è invece quasi completamente trasparente alla luce bianca. Pertanto per poter eseguire la misura di concentrazione con uno spettrofotometro (che copre lo spettro visibile) si aggiunge ammoniaca alla soluzione ottenendo la formazione di tetra-ammino-rame: Cu(NH3)4 che ha un'intensa colorazione azzurra. Questo significa che assorbe la luce rossa, cioè di lunghezza d'onda attorno ai 600 nm.

(11)

Affinché la legge di Lambert-Beer sia direttamente applicabile è necessario che la soluzione sia omogenea, in modo che l' intensità luminosa non si riduca anche a causa della diffùsione.

Questo si ottiene quando il CuSO4 è perfettamente disciolto e tutto il rame è complessato dall'ammoniaca (altrimenti la soluzione appare lattiginosa alla vista).

Poichè non conosciamo a priori il valore della costante di proporzionalità  la misuriamo in laboratorio, in un'esperienza a parte descritta nel paragrafo seguente.

L'aggiunta dell'ammoniaca provoca la diluizione della soluzione in esame, la relazione (26) va quindi riscritta. Considerando di aver prelevato un volume V3 per la misura della concentrazione dopo l'elettrolisi, di averci aggiunto un volume V4 di ammoniaca [fattore di diluizione V3:(V3+V4)] e di aver misurato un valore di assorbanza A2, la massa depositata risulta data da:

V V V A V

c m

3 4 2 3

dep 

 

 

 (30)

essendo V il volume di soluzione usato per l'elettrolisi.

4.3.2 Misura dello spettro di assorbimento della soluzione

Si è detto che il valore di  dipende dalla lunghezza d'onda della luce usata, le misure di assorbanza vanno quindi eseguite tutte ad una lunghezza d'onda fissata. Si sceglie la lunghezza d'onda corrispondente al massimo di assorbimento per dare maggior stabilità alle misure, posizionandosi in una regione dello spettro a derivata nulla.

Il primo passo è quindi la determinazione di max ossia lo studio dello spettro di assorbimento della soluzione.

Gli spettrofotometri a disposizione in laboratorio permettono una scansione in  al nm, con un accuratezza di  2 nm.

Si puo' analizzare lo spettro in tutto il visibile, ma è sufficiente una risoluzione fine solo nella regione vicino al massimo.

Per ogni  selezionata si misura l'assorbanza che si riporta in grafico. Come visto nel capitolo 2.3, la misura si effettua utilizzando due cuvette, una contenente la soluzione ed una contenente acqua distillata, in modo da poter sottrarre il contributo all'assorbimento dato dalla cuvetta.

4.3.3 Misura del coefficiente 

Utilizzando luce di  = max si vuole ora verificare la relazione di proporzionalità tra c ed A e determinare il valore della costante  relativo alla soluzione in esame.

A questo scopo si preparano 4-5 soluzioni di tetramminorame usando dei matracci tarati, si calcolano le concentrazioni ci come rapporto tra la massa di solfato di rame pesato ed il volume del matraccio, si misurano le assorbanze corrispondenti Ai con lo spettrofotometro.

Entrambe le quantità ci ed Ai sono affette da un errore di misura, è possibile verificare che, nelle nostre condizioni, la precisione con cui viene misurata A è molto maggiore di quella con cui viene misurata c, pertanto possiamo trascurare l'errore su A rispetto l'errore su c e considerare A variabile indipendente, nota senza errore, e c variabile dipendente nota con un errore i.

Riportando graficamente i valori di Ai ottenuti per le diverse concentrazioni ci, ed in ordinata i valori di ci, ci aspettiamo che le misure effettuate corrispondano a punti che giacciono su

(12)

una retta, con uno sparpagliamento determinato da ci, come illustrato in fig. 4.

Figura 4.

Le diverse soluzioni possono essere preparate utilizzando sempre lo stesso volume e quantità di solfato di rame tali da ottenere concentrazioni i cui valori si estendono nella regione che interessa per le misure che si faranno per l'elettrolisi (c da 0.3 a 1.0 g/l). Assumendo che gli errori ci siano tutti uguali si utilizza il metodo dei minimi quadrati per determinare il valore dei parametri a,b della retta y = ax + b, essendo qui xi = Ai, yi = ci.

Il parametro a è la costante  che ci interessa, l'intercetta b ci si aspetta risultare circa uguale a zero, visto che per c = 0 si deve avere A = 0.

In questa ipotesi1 si possono anche semplificare i conti, calcolando per ognuna delle soluzioni il valore di  come rapporto tra concentrazione ed assorbanza, e fare poi la media tra i singoli valori di .

4.3.4 Una variante alla misura indiretta della massa depositata al catodo

Abbiamo visto che la massa di rame presente in soluzione si può ottenere dalla misura della concentrazione (tramite assorbanza) della soluzione e del suo volume. Abbiamo usato questo metodo per determinare la quantità di rame presente in soluzione dopo l'elettrolisi. Si può pensare di usare lo stesso metodo anche per determinare la quantità di rame presente in soluzione prima dell'elettrolisi. Dopo aver calcolato se l'errore associato a questo procedimento è maggiore o minore di quello associato al calcolo di c dal rapporto tra il peso del solfato di rame ed il volume usato, si vedrà se si tratta di una alternativa interessante o meno.

Analogamente a quanto visto prima, si prende un volume V1 della stessa soluzione con cui si farà poi l'elettrolisi, lo si diluisce con un volume V2 di ammoniaca e si misura l'assorbanza A1.

La relazione (30) diventa allora:

V V V A V

V V A V

m

3 4 2 3

1 2 1 1

dep 

 

     

 (30’)

5. Valutazione della precisione delle misure

1 La bonta' dell'assunzione b = 0 puo' essere verificata eseguendo i conti per la retta y=ax+b, ricavando b e b, e calcolando quante bil valore ottenuto per b dista da zero.

(13)

5.1 Interpretazione statistica delle misure

L'esperienza effettuata ci ha portato a misurare la carica Q che ha attraversato la cella elettrolitica e la massa mdep di rame che si è depositata al catodo, mediante la relazione (3) abbiamo cosi' potuto ricavare il valore della costante di Faraday F. Il valore ottenuto per F risulterà affetto da una incertezza di misura.

L'informazione ottenuta corrisponde in realtà ad un intervallo (F-F, F+ F) entro il quale si trova il vero valore di F con una certa probabilità (ad esempio, se la distribuzione di probabilità è Gaussiana e F indica la deviazione standard, la probabilità sarà del 68%). F

indica la precisione con cui si è effettuata la misura e conoscerne la grandezza è di fondamentale importanza per poter dare un significato al numero ottenuto come misura di F.

Nell'ipotesi in cui le sorgenti di errore nella misura di F siano tutte di origine casuale, scorrelate tra loro, possiamo ottenere una stima del valore di F e del suo errore ripetendo più volte l'elettrolisi, costruendo un istogramma per i valori di F, calcolando F medio e la deviazione standard F. In laboratorio si farà anche un istogramma comune per i risultati ottenuti da tutti i gruppi di lavoro, in modo da poter calcolare F medio e F con un campione statisticamente più significativo.

Se nelle misure effettuate ci sono anche errori sistematici, il valor medio dell'istogramma può risultare spostato rispetto al valore vero di F, e l'errore calcolato essere sottostimato. Questi aspetti verranno discussi in laboratorio.

D'altra parte, ad ogni grandezza che si è misurata nel corso dell'esperienza (ad esempio la corrente i, il tempo t, il volume V, ecc.) siamo in grado di associare un errore di misura, stimato in base alla precisione delle tecniche usate (strumenti di misura e metodologie utilizzati).

Come è noto, quando si hanno alcune grandezze fisiche x,y,z... di cui è possibile effettuare una misura diretta, ed un'altra grandezza F che è calcolabile come funzione di x,y,z..., applicando la legge di propagazione degli errori si può calcolare l'errore su F tramite gli errori su x,y,z...:

2 2 2 2 2

F x y

F F

σ ( ) σ ( ) σ

x y

 

    

   (31)

In questo modo l'incertezza da associare alla misura della costante di Faraday F si calcola in due passi: prima si stimano gli errori sulle grandezze misurate direttamente (i, t, V, ecc.) e poi si utilizza la (31) per propagare tali errori ed ottenere F.

5.2 Errore su F utilizzando la propagazione degli errori Applicando la (31) alla relazione

mdep

z Q F M

(32)

si ricava:

2

dep 2 m

F Q

m Q

F

dep

 





 

(33)

essendo M e z delle costanti.

A sua volta per la carica (Q = i t) si ha:

(14)

2 2

Q i t

σ σ σ

Q i t

 

 

     (34)

I valori di m, i e t vanno stimati in base alla precisione degli strumenti di misura usati e al modo in cui sono stati usati. Quando mdep è misurata direttamente, come una differenza.

Il calcolo di m, quando questa è misurata indirettamente, risulta più complesso, lo descriviamo in dettaglio.

Riportiamo qui la formula (30) ed applichiamo la propagazione degli errori:

V V V A V

c m

3 4 2 3

dep 

 

   

2 V dep 2

V 4 dep 2

V 3 dep

2 A 2 dep 2

dep 2

c 2 dep

m

V m V

m V

m

A m m

c m

4 3

2 dep

























(35)

Qualora, per ricavare mdep, si usi il metodo proposto nel capitolo 4.3.4, l'errore va calcolato applicando la propagazione degli errori alla relazione (30') invece che alla (30):

V V V A V

V V A V

m

3 4 2 3

1 2 1 1

dep 

 

     

In questo caso, le variabili dipendenti da errore presenti nella formula sono:

il coefficiente 

le misure di assorbanza A1 e A2

i volumi usati per le misure di assorbanza V1, V2, V3, V4

il volume di soluzione usato per l'elettrolisi V

Per applicare la formula della propagazione degli errori, bisogna calcolare le derivate della formula per mdep rispetto ad ognuno dei termini indicati sopra. In dettaglio:

 



 

     

 

dep

3 4 2 3

1 2 1 1

dep m

V V V A V

V V A V

m (36a)

V m V

V A V

V V A V

V

m dep

3 4 2 3

1 2 1 1

dep 

 

 

 

 

 (36b)

V V V V A

m

1 2 1 1

dep   

 (36c)

V V V V A

m

3 4 3 2

dep   

 (36d)

V V A V V

m

12 1 2 1

dep   

 (36e)

1 1 2

dep

V A V V

m  

 (36f)

(15)

V V A V V

m

32 2 4 3

dep   

 (36g)

3 2 4

dep

V A V V

m  

 (36h)

5.3 Errori sulle concentrazioni

E necessario distinguere l'errore c sulla concentrazione ottenuta pesando la massa di sale (concentrazione della soluzione iniziale) dall'errore sulla concentrazione ottenuto mediante la misura di assorbanza, situazione che è stata già considerata nel paragrafo precedente. Il valore della concentrazione iniziale è ottenuto dal rapporto tra la massa di CuSO45H2O pesato ed il volume di H2O in cui è stato disciolto. Il valore di c può quindi essere stimato usando la propagazione degli errori ed i valori di m e V stimati a loro volta in base alla precisione della bilancia e del matraccio usato. L'errore sul volume misurato col matraccio è normalmente maggiore di quello intrinseco dello strumento (ad esempio matracci da 100 cc quotano tipicamente un errore di taratura di 0.1 cc) poichè si compie un errore nel valutare la posizione del menisco e nel lasciare alcune gocce lungo il collo del matraccio.

L'errore così calcolato può essere confrontato con il c che si è ottenuto nel capitolo 4.3.3 dallo sparpagliamento dei punti attorno alla retta di taratura al momento di fare il fit.

5.4 Errori sulle misure di assorbanza

Un modo per stimare quale sia la precisione associata alla misura dell'assorbanza di un campione di soluzione con lo spettrofotometro e le cuvette a disposizione nel laboratorio è il seguente:

utilizzando una stessa soluzione di tetramminorame si preparano 8-10 cuvette diverse e si misura per ognuna l'assorbanza alla lunghezza d'onda max Si calcola il valore di A medio e

A.

Tipicamente si ottiene un errore relativo σA

A di qualche per mille.

5.5 Errori sui volumi prelevati con pipetta

Alcuni dei volumi che che compaiono nelle relazioni (30) e (30’) saranno stati misurati facendo uso di una pipetta (essendo questo il metodo più preciso per la misura di piccoli volumi a disposizione nel nostro laboratorio). Ad esempio se V = 40 ml si è usata per 4 volte la pipetta da 10 ml.

Bisognerà quindi propagare l’errore associato all’uso di tale pipetta (σp), tenendo conto che facciamo 4 pipettate successive

p V 4

(37)

Per stimare il valore di p si deve innanzitutto considerare la precisione intrinseca della pipetta utilizzata (per una pipetta da 10 ml può essere 0.1 ml) e aggiungere poi l'errore compiuto dallo sperimentatore nel valutare la posizione del menisco e nel versare eventuali gocce aggiuntive.

(16)

Per valutare l’effetto combinato (intrinseco + sperimentatore) viene effettuata una serie di misure con lo spettrofotometro.Si procede nel modo seguente: da una determinata soluzione (di cui si è preventivamente misurata, come visto in (5.4), il valore di assorbanza media Ā e la deviazione standard A, indicativa della precisione del metodo), si prelevano con la pipetta 10 ml (Vs), si versano in un bicchierino e si diluiscono con 10 ml di ammoniaca (Va) prelevati con un pipetta uguale alla precedente. Si ottiene cosi' una diluizione 1:1 della soluzione madre: la precisione nel rapporto di diluizione riflette la precisione nella misura dei volumi.

Conoscendo la relazione lineare tra concentrazione ed assorbanza, ci si aspetta che la assorbanza della soluzione diluita sia pari alla metà della assorbanza misurata con la soluzione di partenza:

2 A V V A V 2 A

C V V C V C

a s ' s 0

a s 0 s

1

 

 

 (38)

Si misura quindi l’assorbanza della soluzione diluita, e si ripete l’operazione per una decina di volte, prelevando ogni volta nuovi campioni di soluzione e di diluente. Si calcola infine l'assorbanza media Ā’ e la deviazione standard A’, rappresentativa della precisione di questo secondo metodo, che tiene quindi conto non solo dell’errore associabile allo spettrofotometro (A), ma anche quello introdotto per via della pipetta nell’effettuazione delle diluizioni.

L’errore su A’ lo si ottiene propagando l’errore sulla relazione (38):

   

2 2 Va a s

s 2

2 Vs a s

s 2

A a s

s

2 Va a 2 Vs s 2 A A

V V A V V

V A V V

V V

V ' A V

' A A

' A

'













(39)

Nel caso scelto in cui Vs=Va=V, e Vs=Va=p

2 2 p 2 2 A 2 p 2

p 2

2 A

A 8V

A 4 V

4 A V

4 A

' 2

 

(40)

da cui

2 2A

2 A 2 2 2 A

2 2

2 2

2 A

p '

' 4

A V 2 A

V 2 A

V

8      



 (41)

Dagli errori determinati sulle misure di assorbanza nei due casi (soluzione madre e soluzione diluita) è quindi possibile risalire all’errore tipico commesso nella pipettata.

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