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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.23 (1896) n.1138, 23 febbraio

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L'ECONOMISTA

G A Z Z E T T A S E T T I M A N A L E

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, B A N C H I , FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

AMO XXIII - Voi. XXVII

Domenica 23 Febbraio 1896

N. 1138

LA QUESTIONE COLONIALE

E un dovere di coscienza, al quale non è possibile sottrarsi, quello di far conoscere al pubblico, pel quale si scrive, la propria opinione sulla questione coloniale, che tanto preoccupa, appassiona e sconforta gì' italiani in questo momento. Sebbene abbiamo re-plica tornente esposto il nostro pensiero intorno all' in-dirizzo che andava assumendo la politica coloniale del nostro paese, sentiamo, tuttavia, che su codesta questione ci conviene chiarire nettamente quello che pensiamo, per non essere confusi nè con quelli che sono africanisti o anti-africanisti, a seconda della politica governativa, nè con coloro che, sia pure per ragioni obbiettive, denigrano o esaltano le colonie per sè medesime, senza fare le opportune d i -stinzioni, senza considerare le necessità dei tempi, le condizioni del paese colonizzatore e di quello che dovrebbe essere colonizzato.

E, anzitutto, vogliamo constatare un fatto; il cam-biamento, cioè, che è avvenuto in parte non solo della stampa, ma della stessa opinione pubblica di fronte a questi due mesi e mezzo di inazione, di aspettativa, di preparativi per una guerra che ad ogni momento si affermava doversi ' decidere con qualche imminente battaglia. Questi due mesi e mezzo hanno fatto 1' effetto, ci pare, di una doccia fredda;

molti propositi di vendetta sono dileguati e con quelli molte illusioni; a poco a poco sì è saputo e eapito quello che si sarebbe dovuto sapere e capire hn dal principio, che cioè la lotta contro l'Abissinia non è una lotta contro quattro predoni e che « i nostri pronti battaglioni e le nostre rapide navi » sono un mezzo tardivo per far fronte alle schiere numerose e fìtte degli abissini che tentano di libe-rare il loro paese dagli invasori. È vero che nel no-stro linguaggio ufficiale gl'invasori sono i tigrini e gli scioani, ma quella di chiamare invasori, ribelli, bri-ganti, predoni e simili, gente che difende, bene o male, quella indipendenza politica, qualunque essa sia, che prima aveva, è una misera e vana soddisfazione che si prendono, forse in attesa di meglio, le sfere go-vernative e militari. Il fatto è che ormai, per la

orza stessa delle cose, tutte le affermazioni, tutte le profezie, tutte le promesse di certa stampa e di n h M -a 0 m'n i Po l i t i c i n o n s o n o Pi ù Pr e s e s u l serio dal

pubblico, il quale non solo comincia a discutere se-riamente sulle follie africane, ma ancora a condan-nare sommariamente chi ci ha condotti a questo swto di cose, non sai se più doloroso e triste pel Presente o per l'avvenire.

dirà, forse, da taluno, che noi siamo

anti-africanisti e che naturalmente siamo contrari a tutto quello che si è fatto in Africa; ma chi ragionasse a questo modo s'ingannerebbe. Noi siamo contrari alla politica coloniale che è stata seguita dal Governo nell' ultimo decennio. Politica che fu esclusivamente di conquista, che fu ispirata esclusivamente dai militari e da criteri militari, che considerò la colonia d'Africa come una Piazza d'Armi, una scuola di guerra pel nostro esercito, che mirò soltanto a esten-dere il dominio per l'are le cose in grande, per avere l'impero coloniale che hanno altri Stati. È per que-sto indirizzo che commettemmo errori sopra errori, e massimo fra tutti quello di applicare la politica d'i conquista, laddove occorreva una politica di lenta infiltrazione.

Le conseguenze sono palesi a tutti, ora più che mai. Noi siamo contrari, ripetiamo, a una politica coloniale di tal genere; le sue dolorose e dannose conseguenze, prima dell'Italia risentirono altri Stati, Spagna'e Fran-cia speFran-cialmente. Ma in pari tempo crediamo "che a puro scopo commerciale l'Italia poteva e doveva cer-care di istituire sulle coste del Mar Rosso uno o più scali propri, doveva cioè tentare la formazione di una colonia commerciale, che servisse ad agevolare le relazioni commerciali tra l'interno dell'Africa e il nostro paese. Era una impresa limitata, ma tut-t'altro che facile a compiersi e certo il suo esito dipendeva dalla scelta delle località nelle quali do-vevamo esercitare la nostra attività commerciale. Preferimmo invece la colonia agricola e, doppio er-rore, parve eh' essa non potesse prospera-e se non allargando sempre più il nostro dominio in Africa. Ma è stato un allargamento sulla carta, chè nel fatto esso non aveva alcuna solidità, nè base sicura e

potrebbe averla soltanto dopo uno sforzo tale che nessun altro paese sarebbe disposto a compiere a caso vergine. L'Italia che invece si trova impegnata in una impresa ardua e costosa, sproporzionata di gran lunga alle sue forze, senza un utile sperabile che compensi a breve andare i sacrifici presenti, ormai, per non ritrarsi dal mal passo, è costretta a guardare le cose, ben tristi invero, dal solo punto di vista dell'onore militare, pel quale pare ormai che gli spropositi commessi non sian più spropositi, ma che anzi in omaggio ad essi se ne debba fare di nuovi e di più gravosi.

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suo indirizzo e dei suoi effetti per credere che as-solutamente un paese come il nostro debba disinte-ressarsi dell'Africa e lasciar fare, in quel continente, agli altri Stati d'Europa il loro beneplacito. Ma d'altro canto, perchè dovremmo volere la guerra a fondo, la conquista dell'Abissinia o anche la sua soggezione po-litica, quando le condizioni di quel paese e del nostro possono dirsi incompatibili con una simile politica, quando ad ogni modo la sua applicazione non darebbe alcun risultato positivo, tenuto calcolo degli elementi vari che compongono il problema coloniale quale si è venuto determinando pei nostri errori? Via, abbiamo il coraggio di confessare che una simile impresa sarebbe superiore non solo alla nostra forza economica, ed è già molto, ma an-che alla capacità del nostro Governo, alle attitudini colonizzatrici della nostra classe dirigente, alla loro istruzione e al loro spirito d'iniziativa, alla forza materiale di cui possiamo disporre, e, pare pur troppo vero, anche alla capacità militare dei capi del nostro esercito. Certo con uomini e de-nari un popolo civile può assoggettare un popolo barbaro ; ma la questione coloniale non si pre-senta con questa semplicità all' Italia. L'Abissinia non è il paese barbaro, che taluni si compiacciono di credere e di far credere, e il vincerla, l'assoggettarla non significa togliere di mezzo tutto un ordinamento feudale, che ha per condizione di esistenza una certa indipendenza politica. Di ciò non vogliono persua-dersi i fautori della guerra a fondo, delle espansioni africane, ma è probabile che presto o tardi, e più presto che tardi, i fatti daranno loro quella severa le-zione, che pur sarebbe stato possibile evitare appro-fittando della dura esperienza degli altri popoli.

Senonchè, lasciando al futuro storico della politica coloniale italiana il compito di raccogliere tutti quei fatti che dimostrino I' errore fondamentale di voler sottomettere colla conquista o comunque colla forza un paese che può opporre una lunga e valida e sem-pre nuova resistenza, nello stesso tempo che offre un campo poco adatto alla colonizzazione agricola, è la questione coloniale quale si presenta oggidì al nostro paese, che particolarmente interessa tutti, scrit-tori e letscrit-tori di cose politiche ed economiche.

Insistere sulla gravità della questione, qualunque sia l'esito del conflitto odierno, sarebbe superfluo;

piuttosto gioverebbe mostrare quale sia la perdila che il paese deve subire per gli errori dei suoi po-litici e politicanti invasati della conquista abissina. Chi pensi alle condizioni del paese e ai suoi bisogni d'ogni sorta non può che trovare insensata quella politica che ha distollo tante energie, tanti capitali per gettarli sulle coste del Mar Rosso e per esservi senza scopo perduti. Resterebbe riflettere soltanto a ciò che si poteva fare della campagna romana con i milioni malamente spesi in Africa, per vedere che la politica coloniale non solo ci ha procurato molli malanni e disinganni, ma ci ha impedito e ci im-pedisce di occuparci di molte questioni vitali per la esistenza del paese e pel suo benessere.

In tale condizione non è lecito ridurre la que-stione coloniale a una queque-stione di malintesa dignità nazionale, o di onore militare. L'onore dell'Italia, per fortuna, non può essere macchiato dagli avve-nimenti d'Africa più di quello che possono farlo la trascuranza per altre questioni, gl'insuccessi in altri campi d'azione. Per quanto le apparenze possono far credere diversamente si illuderebbe chi credesse di

poter muovere gl'italiani a favorire una guerra a fondo in Abissinia. Il gran pubblico che si aspettava la vittoria delle nostre truppe nel gennaio è già di-silluso e comprende che la politica coloniale diventa un onere sempre più grave, nonché un pericolo per-manente. Per questo la prospettiva di una pace di-gnitosa non può ripugnargli ed è certo la sola che in questo momento può essere considerata come la via d'uscita preferibile.

La stampa belligera, che vuole la guerra a fondo e dimostra tanta ignoranza delle condizioni delì'Abis-sinia, non meno che dell'Italia, ha protestato subito, dopo conosciute le proposte di pace, ch'esse erano inaccettabili, quantunque in sostanza si riducessero a riconoscere che non esiste il protettorato dell' Italia e a rinunciare ai nuovi territori occupati. Ma fra non mollo troveremo probabilmente di maggior conve-nienza l'accettare quello che con tanta leggerezza si è già detto ora inammissibile, perchè il trattato di Uc-cialli non è necessario e se anche ottenessimo il protet-torato dell*Abissinia le difficoltà sorgerebbero tosto per renderlo effettivo, e quanto ai nuovi territori in verità una volta scelti contini adatti per la difesa al di qua del Mareb, le estensioni maggiori ci sa-rebbero più di danno, che di vantaggio; la nostra

azione dovendo perdere necessariamente in intensità le quante volte acquista in estensione. E scriviamo così ponendoci proprio sul terreno degli africanisti, e ammettendo per dimostrato ciò che andrebbe pro-vato, cioè, la utilità di occupare il territorio fino al Mareb. Non possiamo insistere ora su questo punto, anche perchè ormai la parola è agli avvenimenti militari, ma non dubitiamo eh' esso apparirà logico non appena le vicende militari permetteranno di ap-pagare il sent mento nazionale. Rimarrà a vedere al-lora se quelli stessi uomini che, qui in Italia e lag-giù in Africa, hanno spinto le cose a tal punto ila compromettere la esistenza della colonia, potranno avere anche il compilo di trattare per la pace. Aspettando gli eventi, noi crediamo che gli uni e gli altri siano ormai condannati dall'opinione pubblica.

LE RIFORME NEI TRIBUTI LOCALI

Dai giornali di Milano ri'eviamo che la Commis-sione incaricata di studiare la riforma tributaria di quella città con speciale mira di vedere se fosse possibile 1' abolizione del dazio consumo, avrebbe concluso opinando impossibile 1' allargamento della cinta daziaria in modo da comprendere nella città chiusa anche i Corpi santi, e consigliabile invece la abolizione della cinta interna mantenendo il dazio consumo sul vino e sulla carne in modo da rica-varne una somma che non avrebbe bisogno se non di essere completata con lievi ritocchi delle tasse dirette. La questione del dazio consumo di Milano è al-quanto complessa perchè come, è noto, la città è di-visa oggi in due parti quasi eguali dalla cinta da-ziaria; tuttavia, sembra a noi che le conclusioni a cui verrebbe la Commissione incaricata degli studi finanziari del Consiglio Comunale mostrino come essa abbia troppo presto deposto le armi, che parevano dirette ad una meta molto più alta.

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biso-23 febbraio 1896 L' E C O N O M I S T A 115

gno di una riforma tributaria radicale, che mo-difichi le basi stesse sulle quali venne innalzato tutto l'edificio finanziario dello Stato, dei Comuni e delle Provincie. L'avere aumentato le entrate dello Stato e degli enti locali poco meno del 90 per cento in pochi anni, quasi esclusivamente aumentando le ali-quote ed usando ed abusando delle tasse così dette a larga base, il che vuoi dire tasse che gravano specialmente i consumi popolari, ha, non solo cri-stallizzate le entrate, ma ha diseccate le stesse fonti dalle quali Stato e corpi locali debbono attingere il loro alimento.

Vano, abbiamo già avvertilo, è lo sperare che lo Stato proceda ad una razionale e salutare riforma; è solo lecito ritenere che se i Comuni volessero ve-ramente intraprendere uno stadio accurato e liberale del sistema tributario, potrebbero meno difficilmente riordinare le loro finanze, ed in certo modo obbli-gare anche lo Stato a provvedere alle riforme che pure sono urgenti.

Ma il punto principale dal quale dovrebbero proce-dere i Comuni a nostro avviso è quello di basare il loro sistema finanziario, sulle imposte dirette, lasciando a quelle indirette una parte solo complementare ; i generi di consumo popolare non dovrebbero essere gravati al di là di una modica percentuale sul loro prezzo nominale.

La rivolta di Sicilia ha obbligato lo Stato ad ab-bandonare il dazio di consumo sul pane e sulle fa-rine; è per lo meno prudente non attendere una nuova rivolta per abolire od almeno limitare assai la gra-vezza sul vino, sulla carne, sullo zucchero ecc. Motivi igienici non ne mancano certo in Italia dove il con-sumo dell'alimento sano è così limitato, per consi-gliare tutti i mezzi onde migliorare il nutrimento della popolazione, e non occorrono riflessioni nè confronti a tutti noti per far comprendere, che se non si può esigere l'intervento dello Stato per ot-tenere direttamente tale modificazione nella alimen-tazione delle classi meno abbienti, si ha però tutto il diritto di richiedere che lo Stato ed i Comuni non intervengano a peggiorarla.

Quando sui generi di consumo popolare e che costituiscono il nerbo di una sana alimentazione i Comuni percepissero una tassa non maggiore del cinque o del sei per cento sul valore del prodotto, crediamo che sarebbe più che sufficiente il con-tributo, che con tale tassa indiretta verrebbe a dare il meno abbiente.

Un operaio che guadagni 1200 lire l ' a n n o con-suma certamente più di due terzi di tal somma nei generi anzidetti e, quindi, verrebbe a pagare 40 lire anno per questo solo titolo, quando quei generi fossero tassati del 5 per cento di dazio comunale.

Ma quando, come è oggidì, la carne ed il vino sono colpiti quasi col 30 per cento di dazio, allora non e più un contributo equo che si domanda al meno abbiente, ma la tassa diventa un mezzo di

devia-zione del nutrimento, determina il consumo di

sur-rogati perniciosi, od eccita il commercio e quindi » consumo di generi di qualità inferiore.

Comprendiamo benissimo quali e quante difficoltà pratiche si debbano incontrare per concretare simili enorme ; ma se non possiamo attenderci che sor-gano proposte di simile genere dal Parlamento o da

n Consiglio Comunale, credevamo possibile che una «immissione nominata ud hoc in una città ricca e ona come è Milano, affrontasse coraggiosamente la

questione e la presentasse al pubblico perchè la di-scutesse.

La modificazione del dazio di consumo chiuso in dazio di consumo aperto, è certo importante, spe-cialmente dal lato tecnico della riscossione delle im-poste, e del minor disturbo che la riscossione può portare ai cittadini, ma non è evidentemente uua riforma tributaria, quale i nuovi tempi domandano e quale per mille segni va imponendosi a poco a poco, così che è utile' prevenirla, affinchè non abbia poi ad essere attuata tumultuariamente.

Non è il caso di ricordare qui la proporzione ec-cessiva colla quale sono aumentate le entrate degli Slati e dei corpi locali ; si può dire che negli ultimi trenta anni sono dovunque più che raddoppiate, ma aumentando in tal modo non vennero man-tenute le stesse proporzioni nò il fisco ha col-pito in eguale misura tutta la materia imponibile. Anche senza tener conio delle incidenze e delle ripercussioni delle imposte, abbiamo visto che Stato e Comuni sono andati a gara per aumentare gli aggravi sui consumi più popolari, portando le ali-quote a misure veramente enormi. Basta ricordare il pane che ha già un dazio doganale oltre il 3 0 per cento; il vino che paga il 28 per cento; la carne che paga più del 30 in certi c o m u n i ; il petrolio che paga 2 6 0 per cento, per convincerci che più

di un terzo del salario di un operaio viene

assor-bito dall'imposta, e non occorrono ragionamenti per concludere che questa proporzione è veramente ec-cessiva.

E se si volessero poi considerare i servizi che i Comuni prestano ai cittadini ed il modo col quale questi servizi si reparliscono tra le diverse classi sociali, ancora più a nostro avviso si paleserebbe la sperequazione tributaria e la necessità, quindi, di una riforma razionale.

In tutto questo è puerile vedere, come vogliono alcuni, una tendenza socialista, si tratta soltanto di instaurare la giustizia nei tributi e siccome non c r e -diamo serio sperarla dallo Stato, ameremmo che i Comuni od almeno i grandi Comuni iniziassero questa cura di una delle più gravi malattie della vita moderna.

LA SITUAZIONE DEL TESORO AL 31 GENNAIO 1 8 %

L a Gazzetta Ufficiale del 19 corrente, pubblica il riassunto del conto del Tesoro e da esso rileviamo sommariamente i dati, riserbandoei di dare al pros-simo numero i prospetti completi.

Confrontando le entrate ed i pagamenti per conto del bilancio nei sette mesi dei due esercizi 1898-96 e 1894-98 si hanno le seguenti differenze:

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L ' E C O N O M I S T A

23 febbraio 1896

L e entrate effettive adunque presentano un

au-mento di 16.7 milioni e le dogane danno una mag-giore entrata nel 1895-96 di 18.9 milioni.

1 pagamenti invece che nel 1894-95 erano stati per L 1,038.6 milioni furono nel 1 8 9 5 - 9 6 sol-tanto 975.6 milioni ; però se ad ambedue queste cifre togliamo le rispettive partite di giro indicate nelle entrate si ha : 1894-95 Pagamenti 1033. 7 Partite di g i r o . . . . 74. 7 Spese . 959. 0 1895-96 975.6 51. 1 924.5 L a differenza adunque della spesa tra i sette mesi dei due esercizi sarebbe soltanto di 34.5 milioni, che si riducono ancora a soli 17 milioni circa se si tol-gono anche le spese per costruzioni ferroviarie per somma corrispondente alla entrata.

P e r quanto sia difficile, lo ripetiamo anche ora, precisare le spese effettive, chè non vengono dal rias-sunto del Tesoro comunicate — e sarebbe utile che le spese fossero rese note colle slesse distinzioni delle entrate — tuttavia risulterebbe che economie or-ganiche non se ne sono conseguite se non in minima quantità rispetto al 1 8 9 4 - 9 5 ; e rispetto al 1893-94 essendo stati nei sette mesi di quell'esercizio i pa-gamenti per conto del Tesoro 1011.4 milioni, to-gliendo i 23 milioni di partite di giro ed i 10 mi-ìioni di costruzioni ferroviarie, si ha una uscita di 978.4 milioni, cioè di 54 milioni superiore a quella del 1895-96.

In quanto alla situazione dei debiti e crediti di tesoreria si ha che i debiti erano di 742.6 milioni, ed i crediti di 308 milioni, quindi uno sbilancio di 434.6 milioni.

E LE li

LE GISSE

È stata sollevata la questione se la legge autorizzi le Camere di commercio a colpire le Casse di ri-sparmio delle loro speciali tasse commerciali, e poiché non tutti la intendono a un modo, può essere di qualche interesse alle due specie di istituzioni il tenere sott'occhio le considerazioni che si producono a fa-vore o contro quella imposizione. P r i m a però di farne l'esposizione sarà opportuno dare un cenno della pratica attualmente in uso, per conoscere di che importanza sia la questione.

F r a tutte le 73 Camere di commercio del Regno, hanno l'invidiabile fortuna di annoverare nei propri distretti Casse di risparmio in regolare esercizio, solamente 59, delle quali 35 le assoggettano alle dette tasse, e 13 è certo che no. A completare il conto rimangono altre 8 Camere, le quali nelle proprie circoscrizioni non hanno che filiali della Cassa di risparmio di Milano, ed ignoro come le trattino. So-lamente mi sovviene che in una sentenza del Tribu-nale di Bergamo, che risale al 4 febbraio 1886, e perciò è anteriore alla legge sulle Casse di risparmio, si dice che a quel tempo sottostavano alle tasse com-merciali le £ole fdiali di detta Cassa che operavano nei distretti di due Camere di commercio: e però se teniamo conto che in virtù di quella stessa

sen-tenza, la quale ebbe a qualificare « la istituzione della Cassa di risparmio sotto I' aspetto di un grandioso stabilimento industriale e commerciale », fu ricono-sciuta alla Camera di commercio di Bergamo la fa-coltà d ' i m p o r r e la tassa alla filiale esistente nel suo distretto, e se supponiamo che d' allora in poi non vi siano stati altri mutamenti, arriveremo a questi risultati : di 73 Camere di commercio, quante ne esistono in tutto il Regno, 14 non hanno nei propri distretti Casse di risparmio, e delle rimanenti 59 che ne hanno, 58 le riconoscono come loro contri buenti e 21 le lasciano in pace.

Se poi facciamo il conto delle stesse Casse di ri-sparmio, lasciate da parte le filiali, credo di potere asserire che pagano le tasse commerciali poco meno della metà, ma bisogna pure avvertire che per cia-scuna tale aggravio si riduce a poca somma l'anno, se ne togli qualche Cassa che certamente apporta un discreto contributo alla Camera di commercio che le fa l'onore d ' i n s c r i v e r l a nei ruoli dei suoi contri-buenti; come d'altra parte, per quella virtù che hanno le piccole somme riunite, di formare le grosse, av-viene che nei distretti camerali dove abbondano le Casse di risparmio, queste insieme fruttano ogni anno alla propria Camera di commercio una entrata, la cui mancanza riuscirebbe alquanto sgradita. Inoltre pare che non poche Camere di commercio si siano avve dute di questo beneficio che potevano ritrarre dalle Casse di risparmio, appena da pochi anni, e che altre si siano dimostrate incerte, ora tassandole ed ora no. U n tempo questa incertezza potevasi considerare come un riflesso di quella maggiore, che dominava per determinare la stessa natura giuridica delle Casse di risparmio, avvegnaché, come è noto, mai si ebbe sui proposito un criterio sicuro e costante, in fino alla promulgazione della legge 15 luglio 1888, ma di tratto in tratto si tenevano o come opere pie, o come istituti di previdenza, ovvero come istituti com-merciali.

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altri vorranno paragonarle a società commerciali, se altri lo vorranno paragonare ad opere pie, tradiranno certamente il concetto del legislatore ». Dunque è assodato, con la più sicura certezza che, stando alla legge che le governa, le Gasse di risparmio non sono società commerciali e non sono opere pie, ma sì enti sui generis, istituti di previdenza. Il che per vero dire hanno riconosciuto i Tribunali, compresa la Suprema Corte di Roma.

Ma è poi vero che il legislatore abbia fatto male a dichiarare le Casse di risparmio non commercianti ? lo per me non vedo che avesse potuto fare diver-samente senza cadere in una imperdonabile confu-sione di principi, dopo che assegnò loro lo scopo di previdenza di « raccogliere i depositi a titolo di risparmio e di trovare ad essi conveniente colloca-mento ». Vero è che la stessa legge acconsente alle Ca-se di risparmio di riceverò depositi in conto cor-rente o di altra natura, oltre ai depositi a titolo di risparmio, ma questa concessione, che può o no avere effetto, non che costituire, non modifica in nulla lo scopo delle istituzioni, e serve solamente a meglio raggiungerlo. Io ebbi occasione di accennare nelle colonne di questa Rivista, una fra le tendenze mo-derne delle Casse di risparmio, voglio dire quella di accogliere più largamente i depositi di maggior somme, i quali certamente non si possono mettere in un fascio coi verr depositi di risparmio. Ma non tralasciai di soggiungere che, così facendo, lungi dal venir meno al loro scopo, si aiutano per meglio rag-giungerlo. Il medesimo si può dire rispetto alle ope-razioni attive, agli impieghi.

Se anche da noi fosse prevalso il concetto che trovò attuazione in altri paesi, voglio dire di limi-tare l'opera delle Casse di risparmio ai soli depo-siti di risparmio, per quanto ciò fosse possibile, di limitare gl'impieghi ai soli acquisii di titoli pubblici, ritenendo possessori di questi gli stessi depositanti, e invece di promettere una data ragione d'interesse fissata l a principio, convenire di determinarla in fine d'anno o di semestre in rapporto alla somma delle cedole effettivamente riscossa, la quale dovesse tutta essere destinata a pagare quegli interessi e le semplici spese di amministrazione, io son sicuro che a nessuno sarebbe mai venuto in mente il minimo dubbio sulla natura giuridica delle Casse di rispar-mio e confondere esse coi commercianti ed il loro esercizio col commercio. Invece le nostre Casse di risparmio hanno pensato che fosse preferibile pei depositanti togliere a loro carico l'alea dell'interesse con la formazione di una adeguata massa di rispetto, anzi di elevare la stessa ragione d' interesse più m quanto fosse possibile con la sola amministrazione dei depositi di risparmio, accettando di amministrare anche i depositi di altra natura. Per riuscire a que-sto duplice intento hanno adottato gli ordinamenti Più sicuri delle Banche, senza però confondersi con esse, come spesso le apparenze fanno credere. Basta intatti ricordare che anima d'ogni commercio, e per-ciò anche di quello bancario, è il lucro commerciale »enza del quale si avrà qualunque esercizio deìl'at-nnml ec?nomica, ma mai la figura giuridica del

commercio. Quella stessa massa di rispetto a cui accennammo di sopra, la sola che possa dar motivo d»H, i r e a" ' esistenza di un lucro, è imposta

sitam p e r m ag g 'o r sicurezza degli stessi

depo-ne e per meglio garentire la puntualità depo-negli "Pegni con essi assunti, e non per un benefizio

proprio delle Casse, le quali operano non nell'inte-resse proprio, ma nell'intenell'inte-resse dei depositanti. Se mai esiste un lucro, 'esso è di questi ultimi, i quali nessuno vorrà chiamare commercianti, perchè pra-ticano la virtù della previdenza. Principio e fine d'ogni commercio è il lucro di chi Io esercita, prin-cipio e fine delle Casse di risparmio è la virtù del risparmio, alla cui attuazione tutta la loro opero-sità serve di mezzo. E però il legislatore che con le disposizioni della legge si era" studiato « di to-gliere il minimo dubbio, che esse non abbiano af-fatto nei loro intenti il lucro, ma il solo vantaggio dell'umanità e l'impulso del risparmio » come fu dichiarato nelle discussioni al Parlamento, non ha violato in nulla l'ordine naturale delle cose, non ha dichiarato non commercianti le Casse di risparmio, lasciandole nello stesso tempo praticare il commer-cio (manifesta contraddizione che altri gli fanno il torto di attribuirgli), ma le ha tolte dal novero dei commercianti per necessità, perchè alla loro attività manca un requisito, che è essenziale al concetto giu-ridico del commercio.

Mi sono indugiato alquanto a chiarire il carattere giuridico delle Casse di risparmio, come risulta dalla stessa legge e dalle discussioni a cui diè luogo nel Parlamento, perchè riesca facile l'attribuire il valore che si meritano alle ragioni messe innanzi per giu-stificare la tassa di commercio a carico di esse Casse.

Fino a questo punto si potrebbe dire che se mai ad un ente basti la parola indubbia del legislatore che lo dichiari non commerciante, affinchè non sia disturbato dallo Camere di commercio, queste ab-biano molto indugiato a smettere, a'meno per le Casse di risparmio a cui rincresce quella loro in-tromissione non autorizzata. Eppure, come era da aspettarsi, non tutti si acquietano a questa conclusione.

Prima di tutto si vuol prendere regola dalla stessa legge sulle Camere di commercio, che è del 6 lu-glio 1862, la quale ordinò le tasse commerciali, e si fa presso a poco questo ragionamento: Si con-ceda pure che le Casse di risparmio siano Istituti di previdenza e non commercianti, ma la legge sulle Camere di commercio, nell'indicare coloro che possono essere colpiti dalle tasse commerciali, non parla già di commercianti, ma di esercenti commercio, fra i quali vanno inclusi le Casse di r i -sparmio. « Può ritenersi che la tassa di commercio riguardi e colpisca non l'ente commerciale in ragione di questa sua natura, ma l'esercizio del commercio da chiunque fatto. »

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compreso chiunque esercita la propria attività eco nomica senza essere commerciante, ciò che di fatto nessuno ammette.

In secondo luogo si vuol trarre profitto dalla di-sposizione contenuta nell' articolo 7 del Codice di commercio, dove si legge che lo Stato, le provincie ed i comuni non possono acquistare la qualità di commerciante, ma possono fare atti di commercio, e per questi rimangono soggetti alle leggi ed agli usi commerciali. Ora, si dice, poiché le Casse di risparmio si possono a ragione equiparare agli enti menzionati nel citato articolo, e poiché è certo che fanno alti di commercio, bisogna che si assoggettino anche esse alle leggi commerciali, fra le quali è appunto In legge sulle Camere di commercio, che impone le tasse commerciali.

Altri meglio informati, non sentono neppure bi-sogno di risalire sino al Codice di commercio, tro-vando il fatto loro nella stessa legge sulle Casse di risparmio, e in particolare nell'articolo 22, il quale dispone che il servizio dei depositi in conto corrente o di altra natura è regolalo dal Codice di commer-cio e dalle leggi speciali sugli Istituti di credito, ed è sottoposto alle tasse comuni, come sono gli atti per ogni sorta d'impiego di capitali delle Casse di risparmio. Da quel « sottoposto alle tasse comuni » traggono l'illazione che le Casse di risparmio, le quali oltre ai depositi di risparmio ne ricevono pure di altra natura e provvedono all' impiego dei capitali comunque raccolti, vai quanto dire tutte le Casse di risparmio indistintamente, non possono sottrarsi alle tasse commerciali.

A queste due obbiezioni, dopo le cose dette di sopra, può bastare una sola risposta : Tanto il Codice quanto la legge sulle Casse di risparmio parlano, nelle riportate disposizioni, di atti di commercio e di alti di natura diversa, ma mai del commercio, talché non si è nei termini precisi della legge che impone le tasse di commercio, la quale d'altra parte, pei principi generalmente accolti, non consente una interpretazione estensiva. Ma io desidero approfittare della occasione che mi si offre per ribadire meglio le ragioni dette di sopra, facendo notare ancora una voltal'equivoco in cui incorrono le Camere di com-mercio quando confondono, come spesso si fa nel parlare comune, gli atti di commercio col commer-cio propriamente detto, equivoco che è l'unica cagione della controversia, e dal quale il legislatore ben si guarda, tenendo distinti i due concetti nelle varie e diverse leggi rammentate.

Infine sY accennano ragioni di convenienza per far concorrere, al mantenimento delle Camere di commercio, le Casse di risparmio che nel commer-cio vivono e di esso si avvantaggiano per raggiun-gere il loro fine speciale. Se non che simili ragioni s'e possono avere un valore per dimostrare come la legge avrebbe dovuto disporre secondo coloro che le mettono innanzi, fino a quando essa rimane quale è, non ne hanno punto per farle dire diver-samente di quello che dice. Nel caso nostro sono i depositanti che risentono i vantaggi del commercio,

ma più o meno a questi vantaggi partecipiamo tutti, senza che molti abbiano neppur vista la porta della Camera di commercio. I rappresentanti delle Casse di risparmio contribuenti commerciali, possono per questo titolo sedere nei consigli delle Camere di commercio e dare così maggiore importanza al proprio Istituto; ma per il maggior numero delle Casse di

risparmio questa possibilità è tanto remota, che esse neppure vi pensano, intanto che sarebbero ben liete di risparmiare quella tassa di cui non si sanno dare ragione.

G A S P A R E R O D O L I O O

LE ASSICURAZIONI OPERAIE IN INGHILTERRA

1

'

i i .

L e assicurazioni contro l a malattia e la vecchiaia.

Gli organi dell'assicurazione contro le malattie in Inghilterra sono:

a) L e Industriai Companies.

b) Le Friendly Societies ordinarie (non le Col-lecting Societies).

c) Le Trade-Unions e diverse associations of employed ossia associazione di impiegati.

Le Industriai Companies fanno per principio, l'as-sicurazione contro la malattia, ma questo genere d'affari è poco sviluppato, in confronto all'ammon-tare delle assicurazioni sulla vita. I contratti sono indivi-duali o collettivi (contratti con le Friendly societies).

Durante l'anno 1893 queste compagnie hanno in-cassato 382,000 franchi di premi e pagato agli as-sicurali una somma di 389,000 franchi per indennità di malattie. Queste cifre sono, per così dire, insigni-ficanti riguardo ai premi ed ai capitali d' assicura-zione sulla vita, che si calcolano a diecine e centinaia di milioni.

Nelle Friendly societies, Trade-Unions, ecc., le concessioni di soccorsi pecuniari in caso di ma-lattia è uno degli oggetti fondamentali degli statuti. Il pagamento ha luogo ogni settimana, durante un periodo più o meno "lungo indipendentemente dalla gratuità delle cure mediche e dalla sovvenzione di medicine. Qualche volta il mantenimento all'ospedale è sostituito all'indennità pecuniaria. Non esiste a questo proposito alcuna regola generale ; le disposi-zioni degli statuti sono variabilissime ed in alcuni casi la determinazione del massimo di durata della sovvenzione di soccorso è persino lasciata all'intiera discrezione del comitato centrale esecutivo. Si pos-siedono, per gli anni 1892 e 1893 i seguenti dati

statistici, riguardanti le spese di malattie effettuate per 167 e 228 società :

Ne! 1892, 167 associazioni che comprendevano 531,333 membri hanno speso 5,307,000 franchi.

Nel 1893, 228 associazioni che comprendevano 622,908 membri hanno speso 5,969,000 franchi. Queste cifre non rappresentano però che una parte delle somme spese annualmente per l'assicurazione contro le malattie, perchè le autorità incaricate di raccogliere e centralizzare i risultati statistici non ricevettero rapporti sulla questione che da una frazione del contingente totale delle associazioni.

Noi ci accontenteremo di fare osservare, a questo proposito, che il rapporto del Chief registrar of friendly societies, per il 1892 constata un totale di 441 Trade-unions registrate, con 1,049,000 mene bri e una rendita annua di più di 391 milioni di franchi, e che il rapporto del Chief làbour

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23 febbraio 1896 L' E C O N O M I S T A 119

spondent on Trade-Vnions indica alla fine del 1893 la cifra di 687 unioni (registrate e non registrate), con 1,271,000 membri, aventi una rendita di 49 milioni di franchi e una spesa, durante I' esercizio, di 56 milioni di franchi.

L'assicurazione per la vecchiaia (old agepensione) non fa parte del quadro abituale d' operazioni delle Industriai Companies. Si è visto precedentemente, infatti, che i rapporti annuali di 1 i compagnie indu-striali non faranno alcuna menzione, o solo incidental-mente, delle rendite vitalizie (i rapporti segnalano in tutto una polizza di 375 fr. di rendita).

Queste società non intervengono, per conseguenza, per nulla nelle operazioni di pensioni, il loro campo d'azione è limitato all'assicurazione di capitali e al-l'assicurazione contro le malattie.

Le Friendly Societies ordinarie, non professionali, ed anche le Collecting Societies, non servono presente-mente, salvo rare eccezioni, le pensioni vitalizie. L'as-sicurazione contro la vecchiaia non è ancora che allo stato di progetto fra le Friendly Societies.

Parecchie importanti associazioni studiano i mezzi di trasformare i loro sistemi d' assicurazione contro la malattia in modo ili poter sostituire ai soccorsi di tale specie, a partire dall'età di 60, 65 o 70 anni, una pensione vitalizia costai te; ma la maggior parte sono contrari a qualunque intervento dello Stato, sotto forma di regolamento ed anche d'aiuto pecuniario.

Fino ad ora non è che fra le Trade-Unions ed altre associazioni professionali che la questione delle pensioni operaie comincia ad avere un principio di soluzione. I risultati ottenuti sono, del resto, abba-stanza considerevoli. Secondo le statistiche pubbli-cate dal Labour Department, gli anni 1892 e 1893 hanno dato i seguenti resultati :

N. delle Un'oni N. dei Spese annuali Anni che danno pensioni membri per le pensioni 1892 . . . . 72 428,914 2,649,000 fr. 1893 . . . . 80 454,398 2,915,000 » ossia la spesa media è stata di fr. 6,20 nel 1892 e fr. 6,30 nel 1893.

Le disposizioni adottate per la organizzazione delle pensioni sono assai variabili. Il più spesso, tuttavia, la pensione è concessa, a partire da una età determinata dagli statuti, ai membri che hanno compiuto nella società un certo stadio più o meno lungo. L ' am-montare della pensione dipende dal tempo pel quale la persona ha pagato le quote destinate a funzionare da premi di assicurazione. Ad esempio presso la United Kingdom Society of coachmakers la pen-sione viene pagala a partire da 60 anni ai membri che hanno fatto parte della società durante 30 anni almeno e che sono divenuti incapaci di lavorare. La pensione varia da 7 franchi e mezzo a 10 franchi la settimana.

In certe società (Trades-Unions) è piuttosto la assicurazione contro l'invadi li là senza condizione di età che si trova in vigore. Tale è il caso Amal-gamateti society of railway servants che garantisce una pensione di 500 franchi l'anno a quelli dei suoi membri divenuti invalidi inseguito ad infrmità. In un piccolo numero di società il numero dei pensio-nati ammessi annualmente non deve eccedere un limite (ìsssato in ragione dei mezzi disponibili ; que-sto avviene ad esempio nella Fhilanthropic Society °f Coopers.

Neanche riguardo al sistema finanziario adottato

per garantire il pagamento delle pensioni esiste una regola unica. Quantunque le società siano costrette a far compilare almeno tutti i cinque anni il loro in-ventario da un attuario, e sebbene per principio le loro operazioni relative alle rendite vitalizie devono essere fondate sopra tariffe approvate da un attuario di pieno gradimento dal governo, non è da credere che esse pratichino tutte rigorosamente il sistema di riserve che nella assicurazione libera garantisce esattamente il pagamento delle pensioni senza far calcolo oltre misura sulle risorse future. Un certo numero di unioni non posseggono in realtà che ri-serve insufficienti, e ve ne sono anche che vivono spesso alla giornata, attingendo nel prodotto delle loro entrate animali le somme richieste pel servizio delle rendite.

L'azione padronale in materia di pensioni operaie non è sottoposta ad alcun obbligo. Tuttavia in certe Unioni, sia operaie che miste, i padroni concorrono con versamenti volontari alla costituzione del fondo delle pensioni. Questo ha luogo specialmente per le industrie private.

Si può citare fra gli stabilimenti che forniscono esempi di partecipazione larghissima dei padroni al pagamento di pensioni, la South Wales and Lan-cashire coal-owners Society, la London and North

Westernrailway Company, la London and Brighton Company, la Armstrong's morii Company.

L'azione dello Stato è rimasta finora limitata allo studio di qualche progetto di legge. Si può citare il progetto Chamberlain presentato al Parlamento il 16 marzo 1892, secondo il quale sarebbe istituita una cassa governativa delle pensioni, che riceverebbe una sovvenzione annuale votata dal Parlamento; ogni operaio che ha versato prima dei 25 anni la somma di 125 franchi, alla quale somma lo Stato aggiunge-rebbe la sovvenzione di 375 franchi e che pagasse in segnilo una quota annuale di 25 franchi, avrebbe diritto a 65 anni alla pensione di 6 fr. 25 la set-timana. Questo progetto ha ricevuto 1' approvazione della Poor laws association e della National prò-vident league, ma per contro le associazioni operaie e quelle di mutuo soccorso gli sono in generale avverse.

Ya indicato ancora il progetto presentato alla Ca-mera dei Comuni I' 8 febbraio 1895 dal Bartley col titolo: progetto per assicurare le pensioni per la vecchiaia ai poveri, che avranno fatto atto di pre-videnza.

Nè va trascurato il fatto che la cassa di assicu-razione della Posta (Post office) fa già da parecchi anni operazioni di rendite vitalizie dietro la garanzia dello Stato. Si tratta però di operazioni assai limi-tate e non potrebbe essere diversamente in un paese dove, come si è veduto da questo esame analitico, la iniziativa privata offre il modo di prendere l'as-sicurazione per qualsiasi sinistro.

Rivista Bibliografica

Louis Wuarin. — Une vue d'ensemble de la question sociale. — Le problème, la méthode. — Paris, La-rose, 1896, pag. 266 (franchi 3,50).

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120 L' E C O N O M I S T A 23 febbraio 1896

Questa trascuratezza va tanto più deplorata dac-ché in nessun altro campo si nota un bisogno più imperioso di elevarsi a una altezza tale che -permetta di poter abbracciare gli ele.menti vari e complessi del dibattito, e inoltre è proprio nello studio della questione sociale che bisogna a qualunque costo far giustizia delle opinioni convenzionali, delle teorie antiquate, delle dispute sulle parole, che hanno tanto danneggiato gli studi seri e andare al cuore stesso delle cose, per vie che siano veramente quelle della scienza e non della fantasia. « Noi abbiamo cer-cato — scrive il prof. Wuarin — nella misura delle nostre forze e senza dissimularci le difficoltà del-l'impresa di colmare quella duplice lacuna. Queste non sono che note, un saggio e qualche indicazione; altri faranno meglio. » Il libro comprende quattro parti: 1° un cenno storico della questione sociale; 2° i fattori di essa ; 3° il metodo da applicare al suo studio; 4° gli ostacoli da vincere.

Nella prima parte l'Autore, posto il problema, espone le soluzioni proposte per risolverlo e che egli distingue in sovversive e riformatrici ; alla quale distinzione si potrebbero fare alcuni appunti, perchè le soluzioni riformatrici sono troppo varie, e troppo diversamente ispirate, per poterle mettere tutte in una categoria.

Non crediamo che questa sia la parte migliore del libro ; anche perchè le soluzioni della questione so-ciale non sono esposte con le necessarie dilucidazioni. Migliore è la seconda parte sui fattori della questione sociale, sebbene il titolo non corrisponda alla mate-ria, ma meritano specialmente d'essere lodate le ul-time due parti nelle quali si trovano otul-time consi-derazioni sul metodo col quale va trattata e studiata la questione sociale e sugli ostacoli che bisogna su-perare per avvicinarci alla sua soluzione, ostacoli d'ordine politico, morale, religioso, filosofico. Noi vorremmo che queste pagine fossero lette da tutti quelli che si occupano dell'argomento, non perchè noi possiamo sottoscrivere a tutte le idee svolte dal Wuarin, ma perchè in generale l'Autore è guidato da molto buon senso e da spirito liberale.

H. Becker. — L'Or ; avec 110 figures dans le texte. — Paris, J . Fritsch, 1896, pag. x-341.

Quantunque si tratti di un libro che riguarda la tecnica della industria numeraria aurifera vogliamo farne cenno qui per l'importanza che il terna presenta in questo momento. Il libro del Becker è un trattato pratico che comprende l'analisi, lo studio e la prepa-razione meccanica dei minerali auriferi, i metodi e i processi vari per ottenere l'oro puro. Basta sfogliare questo libro, riccamente illustrato, per convincersi che la tecnica ha avuto in questo ramo d'industria un grande sviluppo; la varietà dei metodi e dei processi, la efficacia loro sono la migliore prova del progresso compiuto. L'Autore, già chimico nelle miniere d'oro al Transvaal, ha potuto con la sua esperienza nel paese dove la tecnica metallurgica ha fatto i maggiori progressi, presentare un quadro completo di tutto ciò che riguarda la estrazione e il trattamento metallurgico del minerale aurifero.

Arthur Desjardins. — P. J• Proudhon. Sa vie, ses

oeu-vres, sa doctrine. — 2 volumi. Paris, Perrin e C.ie,

1 8 9 6 , pag. X X I I I - 2 7 9 e 3 0 3 ( , 7 franchi).

Saint-Beuve ha scritto su Proudhon un libro, pubblicato nel 1873, col titolo; P. J. Proudhon. La sua vita e la sua corrispondenza, 1838-1848;

egli non studia, adunque, che i primi anni della vita e della operosità letteraria del celebre pubblicista. Il Desjardins, invece, lo ha studiato dalla nascita fino alla morte e col sussidio di tutti i suoi scritti, della sua voluminosa corrispondenza, ha potuto darci un'opera interessante e istruttiva, anche per l'eco-nomista, sebbene si posseggano già gli scritti del Diehl, del Putlitz e d'altri.

L'opera che annunciamo è divisa in due volumi. Il primo comincia con una introduzione nella quale l'Autore fa conoscere lo scopo che si è prefisso. I progressi del socialismo in Francia sono tali che gli pare utile di scrutarne le origini, e poiché Proudhon fu il più illustre campione del socialismo francese, il Desjardins ha voluto cercare e stabilire l'influenza ch'egli esercitò sullo svolgimento del partito e sulla evoluzione sociale della nazione francese. Esponendo a gran tratti come Proudhon acquistò quella influenza, il Desjardins spiega pure perchè questo scrittore, a volte rivoluzionario, a volle conservatore, non eser-citò che una azione distruttiva.

Ciò premesso, l'Autore studia, anzitutto, la vita e le opere di Proudhon. Non c'è frammento della sua corrispondenza che non sia stato utilizzato, non c'è lato della sua vita che non sia esplorato dal nostro Autore. L'uomo spiega e completa lo scrittore; ed il Desjardins, come più volte dice, vuole porre sotto i nostri occhi Proudhon tutto intiero. Ci apprende così molte cose dimenticate e altre che il pubblico ignorava. Le principali linee del piano svolto dallo Autore, sono queste: 1°, la giovinezza.di Proudhon (1809-1840); 2°, la rivelazione (1840-47); 3°, Prou-dhon e la seconda repubblica; 4°, dopo il colpo di Stato(1831-58); 5°,gli ultimi anni e le opere postume. Questa esposizione ricca di notizie e dì conside-razioni occupa la prima parte dell'opera, mentre la seconda, più breve, è dedicata all'esame delle dot-trine proudhoniane, non però delle singole teorie economiche, come fece il Diehl, ma di quelle fonda-mentali nel suo sistema politico-economico-filosofico.

L a materia è divisa qui in tre libri, nei quali sono sommariamente esaminate le idee di Proudhon riguardo alla proprietà, all'anarchia e a Dio. Parecchi capitoli offrono un reale interesse ; ad esempio, quelli in cui il Desjardins oppone l'una all'altra e completa le tre teorie successive di Proudhon sulla proprietà, quelli nei quali gli attribuisce, come aveva già fatto, del resto, Io stesso nichilista russo Kropotkine, la concezione scientifica dell'anarchia e riassume la filosofia dell'anarchia secondo le opere proudhoniane; il commento della orazione domenicale annotata da Proudhon, ecc.

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V E C O N O M I S T A 121

Rivista Economica

// movimento delle specie metalliche in Italia — La conferenza monetaria internazionale — Un Mini-stero per le ferrovie in Austria.

Il movimento delle specie metalliche in Italia. — È stata pubblicata la « seconda memoria presentata alla Commissione permanente di vigilanza sulla cir-colazione e sugli istituti di emissione » dalla Dire-zione generale del Tesoro, e riflettente le vicende dell'anno passato.

È nn documento importante e pei dati che for-nisce e per le considerazioni con cui li accompagna, sì che merita di essere conosciuto dal pubblico.

Stralciamo la parte che si riferisce al movimento di entrata e di uscita delle monete d' oro e d' ar-gento, per quanto si sappia che i dati forniti dalle dogane a questo riguardo non hanno che un valore assai relativo, e quasi semplicemente indiziario.

Nel primo semestre del 1895 fu importato oro per L . 5,149,000, contro L . 2,829,000 nello stesso periodo del 1894, e ne fu esportato per L. 8,793,000, contro L. 6,956,000. Le importazioni di argento ascesero a L. 44,028,000 nel 1895 e L. 618,000 nel 1894; e le esportazioni ammontarono rispetti-vamente a L . 5,424,000 e a L. 1,253,000.

Avremmo dunque perduto L. 3,644,000 di oro e introitato in più L. 38,604,000 d'argento, che sono spezzati ritirati dall' estero e pagati a valore d'oro.

L'emissione dei certificati fatta dagli istituti di emissione pel pagamento dei dazi doganali, durante il 1° semestre 1895, ascese a L. 87,916,000 per valuta metallica, e a L. 4,714,000 per cambio, cioè ad un totale di L . 92,630,000.

La somma di L . 4,714,000, riscossa per cambio su L. 87,916,000, dà una media percentuale di 5.35 percento, contro quella di 10.92 nel periodo prece-dente, cominciando dal momento dell' applicazione del pagamento dazi in oro.

Il totale dei dazi doganali riscossi dallo Stato nel 1° semestre 1895 ascese a L. 116,326,000, con-tro L. 115,873,000 nel 2° semestre 1894. Oltre ai certificati degli istituti d'emissione, nella somma già accennata, lo Stato ha riscosso L . 9,233,000 in oro, L. 4,618,000 in iscudi d'argento, L. 4,128,000 in argento divisionario, L . 9,9Ì 0,000 in carta e L. 16,000 in bronzo.

Infine, i pagamenti fatti dal Tesoro all'estero sia per consolidati e debiti redimibili, sia per conto dei vari ministeri, dettero i risultamenti seguenti :

su consolidati . . su debiti redimibili per ministeri . . 2° semestre 1894 37,924,380 41,705,855 79,627,-235 55,296,276 1° semestre 1895 35,435,983 59,102,514 "74,558,497 34,305,331 totale. . 134,923,511 108,843,828 La diminuzione che appare nei pagamenti fatti per conto dei ministeri dipende da ciò che nel 1895 vennero meno i pagamenti pel ritiro degli spezzati d'argento.

Nei pagamenti di debito pubblico sono comprese L. 14,784,944 per semestralità alla Società del sud dell'Austria pel riscatto delle ferrovie dell'alta Italia e L . 10,826,874 per interessi delle obbligazioni ferroviarie 3 per cento.

La conferenza monetaria internazionale. — Il Cancelliere dell'impero portò al Reichstag la di-chiarazione, che aveva promesso, relativa alla deci-sione presa dai Governi confederati nella questione della conferenza monetaria internazionale.

Il Principe di Hohenlohe desidera coi Governi con-federati il rialzo del valore dell'argento al quale la Germania è interessata in prima linea come paese produttore, fornendo le miniere d'argento tedesche circa il 9 per cento della produzione totale di que-sto metallo. L'esportazione della Germania nei paesi a marchio d'argento, soffrì pure delle fluttuazioni e delle vicissitudini dei corsi, tuttavia questa esporta-zione non rappresenta che ®/4 PER cento di tutta

l'esportazione tedesca, ed essa si è sviluppata in modo soddisfacente, malgrado gli ostacoli provenienti dal ribasso dell' argento.

Se bisogna anche tener conto del pareggio della moneta d' argento al posto di moneta fiduciaria, in causa dei ribasso del valore metallico, questo de-prezzamento non costituisce un pericolo pel sistema monetario della Germania, grazie alla quantità d'oro il di cui mercato è provveduto, ed alla riserva in oro che la Banca dell' impero possiede pei biglietti emessi da questo stabilimento ed il denaro in cir-colazione non oltrepassa i bisogni. Non vi sarebbe pericolo che si lasciasse spingere dal basso prezzo del metallo ad un conio supplementare.

Il Cancelliere riconosce i vantaggi sotto il punto di vista economico e .tecnico di un rialzo del prezzo dell'argento, ma bisogna osservare che non si può raggiungere questo scopo che con un accordo in-ternazionale, e che questo non ha alcuna probabilità di essere conchiuso pel momento.

« Gli stessi bimetallisti — dice il Principe di Hohenlohe — sono di parere che nessun accordo internazionale in favore del consolidamento del prezzo dell'argento non potrà farsi prima del ristabilimento del conio libero di questo metallo nell' India. Ora come intesi in uno scambio di vedute col Governo inglese, l'apertura della zecca dell' India non avrà luogo che in un'epoca più o meno lortana e credo che tutti i tentativi fatti prima per rialzarne il prezzo, andranno a vuoto. »

Il Cancelliere pensa che in queste condizioni la Germania non deve prendere l'iniziativa di una con-ferenza monetaria internazionale, e crede coi Go-verni confederati che non è il caso di dar seguito alla risoluzione del Parlamento in favore della con-vocazione di una simile conferenza.

Egli aggiunge però che, se un altro Stato pre-senta delle proposizioni ad un programma accettabile che possa riuscire od un successo, non mancherà la partecipazione della Germania ad una delibera-zione internazionale.

Un Ministero per le ferrovie in Austria. — La Gazzetta Ufficiate dell' impero Austro U n garico ha pubblicato la legge che istituisce in A u -stria uno speciale Ministero per le ferrovie e fissa le attribuzioni sue.

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122 V E C O N O M I S T A 23 febbraio 1896

ferroviario (sludi-coslruzione-esercizio) in tutte le Provincie dipendenti dal Reichsrath.

Esso amministra le ferrovie dello Stato nel ter-ritorio austriaco e la Navigazione a vapore sul lago di Costanza. Spettano a lui le direttive superiori nella costruzione delle linee dello Stato, a lui la sorveglianza sul rendimento economico e sul pro-gressivo suo svolgimento.

Ma specialmente — e qui sta l'importanza del-l' innovazione — incombono su di lui le intelligenze coi ministri della difesa per lo studio e la costru-zione delle linee strategiche e per la organizzacostru-zione dei trasporti militari; la coordinazione e la vigdanza della potenzialità delle singole linee, siano delle Stato, siano private; tutta, insomma la preparazione e la pronta effettuazione dei servizi ferroviari pei biso-gni di guerra.

In caso di mobilitazione il Ministro invia su ogni linea il personale già designato ad assumere il ser vìzio, ed innesta in tutta l'amministrazione gli or-gani che devono volgerne le funzioni allo scopo militare.

Sono posti al suo fianco: un Ispettore generale; un Direttore centrale del materiale; un Consiglio delle Ferrovie dello Stato.

Sono alla sua immediata dipendenza speciali di-rezioni, che preparano ii personale militare e colle-gano il servizio ferroviario coi bisogni dall'esercito.

La lingua impiegata in questi servizi deve "essere la tedesca, eccezione fatta per la Gallizia dove è am-messa anche la polacca.

Nei rapporti col pubblico si usano la lingua te-desca e quelle locali.

La istituzione di questo Ministero risponde a dif-ficoltà speciali dell'Austria ed armonizza colla serietà della sua preparazione militare: ma non è tutto ciò che nelle alte sfere dirigenti austriache si desiderava. Gran parte delle linee austriache più importanti, o vendute nelle strettezze susseguite al 1848-49, o concesse a Società assuntaci perchè lo Stato non aveva mezzi per costruirle, sono in mano di com-pagnie privale.

Lo stesso dicasi di altre molto meno importanti, o d'interesse soltanto locale.

La molteplicità delle lingue, le differenze etno-grafiche da regione a regione, fanno delle Provin-cie austriache un caos, sul quale male si coordina un servizio collettivo.

Più che altrove dunque vi deve essere sentita la necessità d'una organizzazione ferrea, la quale nei fiangenti di guerra passi sopra ad ogni considera-zione locale e privala, nè in altro provveda che alla difesa dello Stato. Ed a questa necessità risponde appunto il nuovo Ministero, e più ancora la per-sona chiamata a reggerlo, il feld-mareseiallo luogo-tenente von Gultemberg, olio, proveniente dal Ge-nio, poi capo di Stato maggiore della divisione che occupò la Bosnia-Erzegovina, capo dell'Ufficio dei trasporti ferroviari e per navigazione, e da ultimo posto'a fianco del capo di Stato maggiore generale, è la personalità più informata dei piani strategici e più in grado di coordinarvi il servizio ferroviario e dirigerlo. Questa scelta dà al nuovo Ministero quasi un carattere eselusivamente militare e per eerto tale che il Ministero della Guerra vi troverà la più ampia cooperazione.

L e alte sfere dirigenti austriache avrebbero però desiderato che questa innovazione si estendesse ad

ambe le parti della Monarchia, e rome una è la suprema autorità, uno il Ministero della Guerra, uno quello degli Esteri, uno quello delie Finanze, cosi quest'altro fattore, tanto importante nella prepara-zione militare, fosse unitario su lutto l'Impero.

Il movimento commerciale e marittimo di Genova

Dalla Camera di commercio di Genova ò stata pubblicata la relazione sul movimento commerciale e marittimo della città e porto di Genova nel 1894. Quantunque quella relazione abbia veduto la luce un po'tardi, tuttavia per l'importanza che ha il primo porto italiano, qual'è quello di Genova, non possiamo dispensarci dal darvi un breve riassunto :

Nell'anno 1894 si verificò nel commercio del Di-stretto camerale di Genova un movimento di merci complessivo per gli arrivi e le partenze di tonnel-late 3,018,298, con un aumento sul 1893 di ton-nellate 607,132.

Il valore totale delle merci in movimento fa di lire 572,461,027, con un aumento di lire 14,303,185.

Questi aumenti riflettono unicamente gli arrivi che, dati nel 1891 da una cifra di tonnellate 3,362,397, crebbero sul 1893 di tonnellate 809,521, mentre-le partenze subirono una diminuzione di tomi. 202,089.

In quanto al commercio speciale che riguarda le merci destinate al consumo nello Stato, si ebbe nel 1894 un movimento di importazione di tonnellate 2,626,925, pari in valore a lire 381,787,617.

L'esportazione di merci nazionali o nazionalizzate ascese in peso a tonnellate 139,450 ed in valore a lire 143,615,142.

In confronto col 1893 si ebbe per l'importazione una diminuzione in valore di lire 1,870,125 ed in peso un aumento di tonnellate 317,498; nell'espor-tazione invece si ebbe un aumento in valore ed in peso rispettivamente di lire 21,053,710 e di tonnel-late 3096.

Le merci in transito uscito per via di mare asce-sero nel 1894 al valore di lire 47,058,268 ed al peso di tonnellate 251,923, con una diminuzione in valore sull'anno precedente di lire 4,880,400 ed un aumento di tonnellate 45,505.

Passando al movimento della navigazione troviamo che nello stesso anno le navi a vela o a vapore, sia entrate che uscite dal porto, furono in numero di 11,398 e della portata complessiva di 7,532,516 ton-nellate, essendosi verificata una diminuzione in nu-mero di 191 ed un aumento in portata di tonnel-late 285,978.

Tali cifre vanno distinte nel seguente modo: Le navi cariche entrate od uscite dal porto furono 7573, con una stazzatura complessiva di 5,813,353 tonnellate.

L e navi scariche entrale od uscite furono 3825, di tonnellate 1,718,663.

Di tali navi 4996, della portata in totale di ton-nellate 5,734,337, furono impiegate per la naviga-zione internazionale, con un anniento sul 1893 di 191 navi e di tonnellate 221,327.

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23 febbraio 1896 L' E C O N O M I S T A 123

Le navi a vela furono 5050 fra approdate e par-tite, con tonnellate 576,480, di stazzatura.

1 piroscafi furono 6318, con lonnell. 6,956,036. Tale movimento si ripartisce nel seguente modo: Bastimenti a vela entrati nel porto 2499, di ton-nellate 285,731; usciti 2551, di tonton-nellate 290,749, con una diminuzione sul 1893 di 186 bastimenti e di tonnellate 20,825 pei bastimenti entrati e di 148 con tonnellate 14,983 per gli usciti.

I bastimenti a vapore entrati in porto nel 1894 furono 3170, di tonnellate 3,455,106, superando gli entrati nel 1893 di 166 per numero e di 126,519 tonnellate per stazzatura.

I bastimenti a vapore usciti furono 3178, con ton-nellate 3,500,930, superando gli usciti nel 1893 di 77 in numero e di tonnellate 195,267 in stazzatura.

Debito Pubblico italiano alla ine del 1895

Dalla situazione al 31 dicembre 1895 rileviamo che il debito pubblico complessivo dell' Italia (Con-solidato e debiti redimibili) era rappresentato da L. 581,948,922. 29 di rendita annua, corrispondente ad un debito capitale di L. 12,883,474,062.76.

Queste cifre d'insieme erano così ripartite tra le varie categorie di debiti :

Amministrati dalla D. G.

del debito pubblico Rendita Capitale debiti consolidati

Gran Libro L. 462,211,442 9,397,562,818 Rendite da trascrivere nel

G. Libro . 341,446 6,829,305 Rendite della Santa S e d e . . » 3,225,000 64,500,000

debiti redimibili

Debiti inelusi separatamente » 14.043,025 332,416,878 Contabilità diverse » 28,146,132 658,882,714 L. 507,957,045 10,460,211,715 Amministrati dalla D. G. del Tesoro debiti redimibili Prestito inglese 3 »/„ „ 366,645 19,221,507 Buoni dei danneggiati in

Si-cilia . 246,775 4,935,500 Annualità riscatto ferrovie

Alta Italia » 27,276,009 993,430,340 Obbligazioni ferr. 3 o/o... » 36,830,250 1,227,675,000 Buoni del Tesoro a lunga

scadenza » 9.262,198 180,000,000 Totale L. 581,948,922 12,883,474,063 In confronto alla consistenza dei debiti pubblici alla chiusura dell'esercizio precedente, si trova una diminuzione di L . 4,309.286 di rendita annua e di L. 58,193,972 di capitale. Questa diminuzione

di-pende dalle ammortizzazioni avvenute durante il 10

semestre dell'esercizio in corso in varie specie di debiti redimibili.

Le ferrorie italiane nel primo trimestre dell'esercizio 1895-96

Dall' Ispettorato Generale delle Strade Ferrate è stato pubblicato il progetto dei prodotti lordi appros-simativi ottenuti dal 1° luglio 1895 a tutto settem-bre, cioè nel primo semestre dell'esercizio 1895-96.

Alla fine di settembre p. p. la lunghezza assoluta delle ferrovie italiane era di 15,323 e quella media di esercizio di chilometri 15,226.

1 prodotti lordi dell'esercizio nei primi tre mesi ascesero a L. 68,280,595 contro L. 66,127,368 nei tre mesi dell'esercizio precedente e quindi un aumen-to nel primo trimestre dell'esercizio in corso per la somma di L. 2,153,227.

I prodotti del primo trimestre nei due anni di confronto si dividono fra le varie reti e linee ferro-viarie nella seguente misura :

ti Differenza 1895-96 1894-95 nel 1895-96 Rete Mediterranea.... L. 32,731,290 31,731,290 - e 1,255,516 . Adriatica > 23,330,537 27,695,067 + 635,470 . Sicula 2,598,672 2,392,833 •+• 205,839 Ferr. dello Stato

eser-citate dalla Società

Veneta » 283,700 299,321 - 15,621 Ferrovie Sarde (Comp.

Reale) 429,319 450,146 — 20,827 Sarde secondarie . 207,457 204,907 — 2,550 Ferrovie diverse 3,669,620 3,609,320 + 90,300

Totale L. 68,280,595 66,127,368 + 2,153,227 All'aumento non parteciparono le ferrovie eserci-tale dalla Socie:à Veneta e le Sarde.

Ecco adesso il prodotto chilometrico :

Differenza 1895-96 1894-95 nel 1895-96 Rete Mediterranea L. 5,830 5,775 + 351

. Adriatica » 5,078 5,042 + 36 » Sicula » 2,377 2,325 + 52 Ferr. dello Stato esercitate

dalla Società Veneta.. » 2,026 2,138 — 112 Ferr. Sarde (Comp. Reale) 1,044 1,095 — 51 Sarde Secondarie » 349 344 + 5 Ferrovie diverse 2,061 2,102 — 41

Media chitoni. L. 4,484 4,458 — 26 Dal 1° luglio 1895 a tutto settembre sono stati aperti all' esercizio 245 chilometri di nuovi tronchi ferroviari.

IL PRESTITO DEGLI STATI UNITI

e la riserva aurea del Tesoro americano

Il prestito 4 per cento di 100 milioni di dollari rimborsabile in valuta metallica ha ottenuto un successo che ha oltrepassalo tutte le speranze, es-sendo stata l'emissione coperta più di cinque volte e mezzo. Il numero delle sottoscrizioni raggiunse la cifra di 6,677 e il totale sottoscritto è stato di 558,269,850 dollari. Il prezzo offerto dai sottoscrit-tori va dalla pari a 120. U n Sindacato composto dei M. M . Morgan, Hawey Fisk e figli e della Banca Germanica ha offerto di prendere tutto il pre-stito a 110-6878. Questo sindacato ottenne 34 mi-lioni. M. Stewart presidente della United States

(12)

124 L' E C O N O M I S T A 23 febbraio 1896

concorso per 50 milioni. È voce accreditata che il prezzo medio a cui lutto il prestito sarà collocato arri vira a circa 111.

Ecco adesso alcuni ragguagli sull'origine, l'am-montare e la destinazione della famosa riserva d'oro, clie il nuovo prestito è chiamato a rinforzare, rag-guagli che vengono forniti dal Segretario stesso del Tesoro degli Stati Uniti

In nessun tempo dalla creazione di questa riserva d'oro, è stata presa alla Cassa generale del Tesoro per costituirne un fondo separato, una somma di 100 milioni di dollari o un'altra per il rimborso dei biglietti degli Stati Uniti, o di qualsiasi altra mo-neta fiduciaria, di cui il governo americano è re-sponsabile. Non esiste alcuna disposizione legale che prescriva la costituzione di un tal fondo, o di un conto separato : tutto quello che il Tesoro ritira dalle sorgenti delle sue entrate è versato nella Cassa generale.

I fondi destinati al rimborso dei biglietti degli Stati Uniti si sono accumulati iti virtù di un auto-rizzazione contenuta nella legge del 14 gennaio 1875 che incaricò il Segretario del Tesoro a provvedere al riscatto di questi biglietti al 1° gennaio 1879. Non era questione di una determinata somma, ma il Segretario del Tesoro era autorizzato a impiegare le eccedenze delle entrate, e a vendere certe cate-gorie di obbligazioni, fino a che non avesse le somme necessarie per dare esecuzione alla legge citata. In virtù dei poteri che gli erano in tal guisa conferiti, il Segretario allo scopo di procederò al rimborso della carta-moneta, vendè nel 1877 e nel 1878 novaniacinque milioni di dollari in obbli-gazioni 4 */, °/0, il cui prodotto, 96 milioni di doli,

in oro, fu depositato in una Cassa speciale. V i si aggiunse dell'oro proveniente dalle eccedenze del bilancio e così fu costituito il fondo destinato al rimborso prescritto dalla legge 14 gennaio 1875.

L'esistenza del fondo di riserva fu generalmente riconosciuta dopo la sua creazione, e una delle mi-sure adottate dal Segretario del Tesoro in vista di impedirne l'esaurimento fu la sospensione della emis-sione dei certificati d'oro, emisemis-sione autorizzata ma non prescritta dalla legge del 3 marzo 1863. Ma sic-come questa sospensione presentava certi inconve-nienti, il Segretario fu incaricato dalla sezione 12 del banks act del 1882 di ricevere dei depositi di moneta d'oro o delle verghe, e di emettere contro questi depositi dei certificati. La legge stabilisce anche che il Segretario deve sospendere l'emissione di questi certificati, ogni qualvolta che l'ammontare delle monete d'oro e delle verghe d'oro riservate dal Tesoro per il rimborso dei biglietti degli Stati Uniti, è caduto al di sotto di 100 milióni di dollari.

Non si trova nella legislazione degli Stati Uniti alcun'altra disposizione concernente la riserva d'oro. Essa non è affatto stabilita dalla legge, ma l'ammon-tare è stato principalmente determinato dal prodotto delle vendite di obbligazioni nel 1877 e nel 1878. Il solo riconoscimento di questo ammontare è con-tenuto nella disposizione che prescrive la sospen-sione della emissospen-sione dei certificati d'oro, allorché la riserva è discesa al di sotto di 100 milioui di dollari.

CRONACA DELLE CAMERE Di COMI

Camera di Commercio di Napoli. — In una

delle sedute dello scorso gennaio il Presidente fece dar lettura di una nota del Ministro di agricoltura industria e commercio del 4 dicembre p. p., nella quale ringrazia la Camera per avere iscritto nel bi-lancio il contributo all'istituzione delle Borse nazio-nali per pratica commerciale all'estero, ma la prega d'elevarla almeno sino a lire 5000, come ha fatto la Camera di Milano, e come faranno le Camere maggiori, e ciò perchè altrimenti non si potrebbe formare il fondo di lire 50000, che la stessa Com-missione, nella quale la nostra Camera fu rappre-sentata, ha ritenuto necessario per poter attuare la iniziativa con serietà ed ampiezza, ed in modo che si possa fin dal primo anno giudicare dei risultati, che la istituzione delle Borse sarà per dare.

Con posteriore Nota del 30 corr. riguardante il bilancio preventivo, della quale sarà dato notizia alla Camera nelle Comunicazioni, lo stesso Ministero parla di nuovo del concorso alle ridette Borse commerciali all'estero, chiedendo che il concorso sia elevato al-meno a lire 5000, e sia iscritto nel bilancio per la intera somma.

La Camera malgrado che la grave spesa cui è sottoposta pel completamento della nuova Borsa le im-ponga di non sobbarcarsi che nella più ristretta mi-sura ad un onere novello, pure sia per l'utilità gran-dissima della istituzione delle Borse di pratica com-merciale all'estero, sia per dovuta deferenza all'auto-revole desiderio del Ministro deliberò di aumentare a lire cinquemila il suo concorso alle dette Borse.

Deliberò però d'iscrivere nel bilancio presuntivo del presente esercizio un sol semestre, e ciò sia in considerazione che non è da presumere che avanti il primo luglio possa cominciare il godimento di dette Borse, sia in quella che la Camera trovasi pel corrente esercizio impegnata per tre Borse presso scuole superiori industriali straniere.

Ciò non pertanto nell'ipotesi che nel corrente primo semestre dell'anno trovinsi conferite le dette Borse e cominciato il godimento dell'assegno ai concessio-nari deliberò di prendere la relativa somma occor-rente dal capitolo 33. Spese imprevedute ovvero dal 34. Fondo di riserva.

Confermò la sua deliberazione del 21 settembre 1895 che col venturo anno scolastico debbono ces-sare le Borse scolastiche presso scuole superiori in-dustriali e commerciali nazionali ed estere ed inca-rica la Presidenza di comunicarla agli attuali con-cessionari.

Camera di Commercio di Macerata. —

Nel-l'ultima riunione il Cons. Lori domandò la parola per proporre che in una prossima adunanza si di-scuta sulla possibilità di difendere equamente le in-dustrie ed il commercio locali dalla concorrenza spietata loro mossa dal di fuori.

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