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GIORNALE ITALIANO DI DIABETOLOGIA E METABOLISMO

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Sindrome dell’ovaio policistico

Polycystic ovary syndrome

P. Moghetti

Unità di Endocrinologia, Diabetologia e Malattie del Metabolismo, Università di Verona e Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona

RIASSUNTO

La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è una condizione molto comune nelle donne in età riproduttiva. L’eziologia è sconosciuta ed è probabilmente legata a fattori sia genetici che ambientali. Tipicamente, le donne con PCOS presentano iperandrogenismo, clinico e/o biochimico, oligoanovulazione con anomalie mestruali e aspetto mi- cropolicistico dell’ovaio. Tuttavia, vi è cospicua eterogeneità clinica. La PCOS è anche una patologia metabolica e molte donne affette mostrano alterazioni della sensibilità insulinica e iperinsulinemia. Fino al 75% di queste donne sono insulino-resistenti e questo fenomeno appare giocare un ruolo cruciale nella patogenesi stessa della sindro- me. L’insulino-resistenza è un fattore patogenetico del diabete tipo 2 e queste donne mostrano anche disfunzione beta-cellulare. Non è quindi sorprendente che alterazioni della tolleranza ai carboidrati siano frequenti in queste pazienti. Questi soggetti hanno anche un aumentato rischio di diabete gestazionale, che ricorre 3-4 volte più spesso che nei controlli senza PCOS. La sindrome può presentarsi anche in giovani donne con diabete tipo 1. Anche in questo caso un eccesso di insulina circolante potrebbe svolgere un ruolo patogenetico, in relazione con le modalità non fisiologiche con cui viene somministrato l’ormone esogeno. È interessante notare che esiste una scala di rischio metabolico fra i diversi fenotipi clinici della sindrome. In particolare, l’insulino-resistenza e le alterazioni metaboliche associate sono tipiche dei soggetti con fenotipo classico, cioè con iperandrogenismo e oligoanovulazione, ma non dei soggetti con fenotipo normoandrogenico, mentre quelli con fenotipo ovulatorio mostrano caratteristiche metaboliche intermedie. Le donne con PCOS dovrebbero essere valutate precocemente per possibili alterazioni della tolleranza ai carboidrati, in particolare quando hanno un eccesso ponderale o altri fattori di rischio per diabete tipo 2 o presentano il fenotipo classico della sindrome.

SUMMARY

Polycystic ovary syndrome (PCOS) is very common among women of reproductive age. Its etiology remains unknown, but probably involves both genetic and environmental factors. Typically women with PCOS show clinical and/or biochemical hyperandrogenism, oligo-anovulation with menstrual irregularities, and micropolycystic morphology of the ovary. However, clinical presentations vary widely. PCOS is also a metabolic disease, as most patients have impaired insulin action and hyperinsulinemia. Up to 75%

are insulin-resistant, and this appears to play a crucial role in the pathogenesis of PCOS itself. Insulin resistance is a pathogenic factor for type 2 diabetes, and beta-cell dysfunction has also been reported. Thus it is hardly surprising that abnormalities of glucose metabolism are common in women with PCOS. These women also have an increased risk of gestational diabetes, which is approximately 3-4 times more frequent than among non-PCOS controls. PCOS may also be seen in young women with type 1 diabetes, probably due to the effect of excess serum insulin caused by non-physiological administration of exogenous hormone. There is a scale of metabolic risk for the clinical phenotypes of PCOS. Insulin resistance and the associated metabolic abnormalities are typical of subjects with the classic phenotype, i.e. women with both hyper- androgenism and oligo-anovulation, whereas the non-hyperandrogenic phenotype does not differ from non-PCOS controls, and the ovulatory phenotype shows intermediate metabolic characteristics. PCOS women should be screened early for altered glucose metabolism, particularly if they are overweight or have other risk factors for type 2 diabetes, or when they have the classic clinical phenotype of the syndrome.

Rassegna

Corrispondenza: Paolo Moghetti, Unità di Endocrinologia, Diabetologia e Malattie del Metabolismo, Dipartimento di Medicina, Università di Verona, Piazzale Stefani 1, 37126 Verona – Tel. +045 812 3110 - Fax 045 802 314 - E-mail: paolo.moghetti@univr.it

Parole chiave: PCOS, diabete mellito, insulino-resistenza, iperandrogenismo • Key words: PCOS, diabetes mellitus, insulin resistance, hyperandrogenism

Pervenuto il 22-11-2017• Accettato il 4-12-2017

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Introduzione

La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è una condi- zione eterogenea e assai comune nella donna in età ri- produttiva, che ha come connotati clinici tipici l’iperan- drogenismo e alcune manifestazioni morfo-funzionali ovariche, in particolare l’anovulazione e l’aspetto micro- policistico della ghiandola. Le dimensioni epidemiologi- che di questa patologia variano a seconda dei criteri di diagnosi utilizzati, ma sono comunque molto rilevanti, non inferiori al 6-8% delle donne in questa fascia di età.

L’eziologia è sconosciuta ed è probabilmente legata a fattori sia genetici che ambientali.

La diagnosi di PCOS poggia su criteri essenzialmente clinici. A questo proposito oggi vengono generalmen- te utilizzati i criteri elaborati nel 2003 dalla consensus di Rotterdam  1, organizzata in quella città dalle socie- tà della riproduzione europea e americana, ESHRE e ASRM. Questa consensus ha concluso che la diagnosi di PCOS può essere posta in presenza di due qualsiasi fra tre elementi, appunto l’iperandrogenismo, l’oligoano- vulazione cronica e il tipico quadro morfologico ovarico, una volta escluse altre patologie che possano dar luo- go a questi aspetti. Si tratta dunque di una diagnosi di esclusione e nessuno degli elementi che caratterizzano la sindrome è specifico o obbligatorio. Va tenuto pre- sente che l’aspetto micropolicistico dell’ovaio, che riflet- te la presenza di multipli piccoli follicoli bloccati allo sta- dio maturativo pre-antrale o antrale precoce, può essere presente in molte donne per il resto sane e da solo non rappresenta un elemento patologico. Fra le patologie da escludere ci sono in particolare altre condizioni che possono provocare eccesso di androgeni, come la sin- drome adrenogenitale o i tumori androgeno-secernenti, l’iperprolattinemia, la presenza di disfunzione tiroidea e altre patologie endocrine più rare, come la sindrome di Cushing o l’acromegalia. La Tabella I riassume le valu- tazioni necessarie ai fini diagnostici.

A rendere le cose ulteriormente complicate e i confini della sindrome non ben definiti ci sono i limiti intrinseci delle valutazioni cui in genere si ricorre per documen- tare la presenza degli elementi necessari alla diagnosi, in modo particolare per quanto riguarda l’accertamento dell’iperandrogenismo. Con le metodiche abitualmente utilizzate, sia la valutazione clinica 2 che l’accertamento biochimico 3 soffrono infatti di rilevanti limiti. Clinicamente l’aspetto più frequente e più specifico è l’irsutismo. La va- lutazione di questo elemento poggia però abitualmente su scale semiquantitative con una rilevante componente soggettiva. Il problema maggiore sotto questo profilo ri- guarda comunque la valutazione dell’iperandrogenismo biochimico. È stato stimato che, con le metodiche abi-

tualmente disponibili nei laboratori di routine, quasi un terzo di queste pazienti possono essere classificate er- roneamente come iperandrogenemiche o normoandro- genemiche  3. Un aspetto assai importante, dal punto di vista medico e fisiopatologico, è che questa sindrome è spesso associata a eccesso ponderale e insulino-re- sistenza. Le donne che presentano questa condizione hanno quindi un’aumentata probabilità di sindrome me- tabolica e in generale delle alterazioni metaboliche as- sociate all’insulino-resistenza. Questi aspetti clinici non sono utili ai fini della diagnosi di PCOS ma la loro valuta- zione è un aspetto importante dell’inquadramento com- plessivo di queste pazienti, che presentano una serie di potenziali patologie associate (Tab. II).

L’adozione dei criteri di Rotterdam e in particolare la scelta di ritenere sufficienti per la diagnosi due qualsi- asi dei tre elementi tipici della sindrome, ha avuto co- me conseguenza il fatto che all’interno della medesima denominazione di PCOS possono esservi presentazioni Tabella I. Valutazioni necessarie ai fini della diagnosi di PCOS.

1) Esame clinico

• ricerca di manifestazioni di iperandrogenismo (irsutismo, acne, alopecia)

• ricerca di segni clinici che indichino possibili cause secondarie di PCOS (sindrome di Cushing, acromegalia ecc.)

2) Indagini strumentali

• ecografia ginecologica, se possibile per via transvaginale (con misura in ciascun ovaio dei tre diametri, per il calcolo del volume ovarico, e di numero e dimensioni dei follicoli)

3) Indagini di laboratorio

• In fase follicolare precoce (in qualsiasi momento in caso di ciclo assai irregolare o di amenorrea):

• testosterone totale (mediante tecnica adeguata) e SHBG, con calcolo del testosterone libero;

• eventualmente altri androgeni (androstenedione, DHEAS);

• 17alfa-idrossiprogesterone;

• prolattina;

• TSH;

• in pazienti selezionate: gonadotropine, insulina, altri ormoni possibili causa di forme secondarie (GH, cortisolo ecc.).

• In fase luteinica (solo se il ciclo è presente e sufficientemente regolare):

• progesterone (in almeno due cicli).

• Test dinamici (in pazienti selezionate):

• ACTH-test per 17alfa-idrossiprogesterone (in caso di valore basale > 5 nmol/L);

• eventuali altri test, quando indicato per escludere il sospetto clinico di altre forme secondarie di PCOS (test di Nugent ecc.)

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queste famiglie sono l’iperinsulinemia e l’obesità, che si osservano nei parenti di entrambi i sessi di queste pa- zienti 4 5. Nel loro insieme queste osservazioni suggeri- scono una suscettibilità genetica nei confronti dell’insuli- no-resistenza, che può associarsi all’iperandrogenismo nelle pazienti e nelle loro parenti di sesso femminile.

Non è noto se le alterazioni alla base dell’insulino-re- sistenza siano specifiche della PCOS. I dati disponibili suggeriscono nel complesso che i meccanismi possano essere comunque eterogenei 6.

Anche se l’esistenza di un’associazione fra PCOS e in- sulino-resistenza si basa su evidenze consolidate, la frequenza del fenomeno in queste pazienti non è ben definita. La grande maggioranza degli studi che hanno valutato questi aspetti ha esaminato campioni limitati e selezionati di donne e ha spesso impiegato indici surro- gati di insulino-resistenza, che sono dei mediocri predit- tori delle misure ottenute con la valutazione diretta della sensibilità insulinica mediante clamp euglicemico ipe- rinsulinemico 7. Adoperando quest’ultima tecnica, è sta- to osservato che circa il 75% delle donne con PCOS che si rivolgono al medico per disturbi mestruali o irsutismo è insulino-resistente, anche se con sensibili differenze sotto questo profilo in rapporto alle caratteristiche an- tropometriche 7. La percentuale variava infatti fra il 64%

nelle donne normopeso e il 94% in quelle obese. Inoltre, nello stesso contesto clinico, la frazione di donne con sindrome metabolica era pure molto elevata, intorno al cliniche diverse, i cosiddetti fenotipi della PCOS: “clas-

sico”, quando sono presenti oligoanovulazione e ipe- randrogenismo, con o senza l’aspetto micropolicistico dell’ovaio, “ovulatorio”, quando vi sono iperandrogeni- smo e aspetto micropolicistico, e “normoandrogenico”, in presenza di oligoanovulazione e aspetto micropolici- stico (Fig. 1). Fra queste diverse forme ci sono alcune differenze sostanziali, anche sotto il profilo metabolico.

Un documento dei National Institutes of Health (NIH), agenzia del Dipartimento della Salute e dei Servizi Uma- ni degli Stati Uniti, ha recentemente sottolineato l’impor- tanza di non limitarsi dunque a formulare la diagnosi di PCOS ma di specificare a quale specifico fenotipo una paziente appartiene. In questa suddivisione l’NIH rac- comanda anche di distinguere all’interno del fenotipo classico i soggetti con o senza aspetto micropolicisti- co ovarico. I primi hanno dunque tutte le manifestazioni della sindrome, ma non è chiaro se una differenza limi- tata alla sola morfologia ovarica sottenda reali diversità fisiopatologiche e cliniche.

Insulino-resistenza e PCOS

Vi è evidenza di tratti familiari associati alla PCOS, in particolare l’iperandrogenismo, che si osserva con fre- quenza aumentata nelle madri, nelle sorelle e nelle figlie delle donne con questa condizione. Altri tratti comuni in Tabella II. Principali aspetti da valutare nelle donne in cui è stata fatta diagnosi di PCOS, per identificare le problematiche potenzialmente associate alla sindrome.

1) Esame clinico

• antropometria (BMI, circonferenza vita)

• pressione arteriosa

• acanthosis nigricans 2) Indagini di laboratorio

• Dosaggi basali:

• glicemia;

• profilo lipidico;

• eventuale insulinemia.

• Test dinamici:

• OGTT, con misura della glicemia a due ore (eventuale misura anche dell’insulinemia)

3) Altre valutazioni

• screening per disturbi ansiosi e/o depressivi

• (in pazienti selezionate) accertamenti per documentare NAFLD, sindrome apnee notturne, iperplasia endometriale

Figura 1. Fenotipi clinici della PCOS. In base alla consen- sus di Rotterdam 1, la PCOS può essere diagnosticata sul- la base di combinazioni diverse degli elementi clinici utiliz- zabili a questo fine, iperandrogenismo, oligoanovulazione e aspetto micropolicistico dell’ovaio. Queste diverse com- binazioni vengono definite fenotipi clinici della PCOS, che sono eterogenei anche in termini metabolici.

Morfologia micropolicistica dell’ovaio Fenotipo 4

(normoandrogenico) Fenotipo 3

(ovulatorio) Fenotipo 2 (classico) Fenotipo 1 (completo)

Iperandrogenismo Oligoanovulazione

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infatti documentato profonde differenze, in particolare in termini antropometrici e di severità dell’iperandrogeni- smo. Inoltre, in questa analisi le donne con PCOS identi- ficate a seguito dello screening sistematico mostravano caratteristiche antropometriche sovrapponibili a quelle dei soggetti che nel corso del medesimo screening era- no risultati non affetti 8. Questa osservazione suggerisce che le donne con PCOS che vediamo nei nostri ambu- latori costituiscano una popolazione in qualche modo selezionata di pazienti, probabilmente quella con le ma- nifestazioni cliniche più pronunciate.

Al di là della effettiva prevalenza del problema insulino- resistenza nella PCOS, una mole di dati indica l’impor- tanza fisiopatologica di questa alterazione nell’ambito della sindrome. L’iperinsulinemia appare in grado di sti- molare, in vivo e in vitro, la secrezione androgenica ova- rica e surrenalica. Inoltre, determina una riduzione nella secrezione epatica della sex hormone binding globu- lin (SHBG), proteina che lega il testosterone circolante modulandone la biodisponibilità, con conseguente au- mento relativo della quota di testosterone libero 6. È in- teressante notare che, in modelli animali, il silenziamen- to del segnale insulinico nelle cellule della teca ovarica impedisce che queste alterazioni possano realizzarsi completamente. In topi femmina resi obesi e iperinsu- linemici mediante una dieta ipercalorica si sviluppano, come nella donna con PCOS, alterazioni della capacità procreativa e iperandrogenismo. In questo modello, l’in- troduzione di un difetto selettivo del gene del recettore insulinico, nelle sole cellule tecali, si traduceva in un’at- tenuazione di queste alterazioni riproduttive ed endocri- ne associate all’eccesso di peso 9. Questa osservazione suggerisce dunque che la PCOS, almeno in un ampio sottogruppo di pazienti, possa essere la conseguenza di un’eccessiva azione insulinica sull’ovaio indotta da una condizione di iperinsulinemia cronica, a sua volta provocata dalla presenza di insulino-resistenza sulla via glicometabolica. In questi termini, la PCOS può rappre- sentare l’espressione riproduttiva della sindrome meta- bolica.

Come sopra ricordato, l’eterogeneità fenotipica della PCOS riflette anche la presenza di differenze metabo- liche. A questo proposito, a Verona è in corso da alcu- ni anni uno studio di fenotipizzazione sistematica delle donne con PCOS (Verona 3P Study) 10, con lo scopo di caratterizzare accuratamente queste pazienti sotto mol- ti aspetti. Fra questi aspetti vi è la sensibilità insulinica, valutata mediante clamp euglicemico iperinsulinemico.

L’analisi di questa coorte osservazionale di pazienti ha documentato che l’insulino-resistenza è una caratteristi- ca del fenotipo classico (includendovi sia i soggetti con che quelli senza morfologia micropolistica ovarica), ma 30%, a fronte di un’età media di appena 23 anni e di un

BMI medio nell’ambito del sovrappeso. Fra le alterazio- ni che contribuiscono alla formulazione della diagnosi di sindrome metabolica quelle che ricorrono più spes- so sono l’obesità centrale e la riduzione del colestero- lo HDL (C-HDL) (Fig.  2). Va tenuto presente che l’ec- cesso di androgeni partecipa verosimilmente in maniera diretta alla patogenesi di alcune di queste alterazioni.

In particolare, proprio le alterazioni più comuni, obesità centrale e riduzione del C-HDL, sono probabilmente in- fluenzate dall’iperandrogenismo.

Nel considerare questi dati, va però tenuto presente che le donne che vengono valutate per sospetta PCOS non sono probabilmente ben rappresentative dell’intera po- polazione delle pazienti con questa condizione. Un con- fronto fra i soggetti in cui la diagnosi di PCOS era stata posta a seguito delle indagini eseguite in un centro a cui le donne si erano rivolte per questi disturbi e quelli individuati invece nel corso di uno screening sistemati- co di donne che avevano fatto domanda di impiego ha

Figura 2. Frequenza delle alterazioni a carico dei diversi elementi che contribuiscono alla formulazione della dia- gnosi di sindrome metabolica, secondo i criteri congiun- ti 2009 di IDF e altre Società 30, nelle donne con PCOS della coorte del Verona 3P Study. Il dato relativo alla gli- cemia è verosimilmente sottostimato, dato che la coorte non include i soggetti con diabete franco.

80 60 40 20

0

Circonferenza vita

C-HDL Pressione arteriosa

Trigliceridi Glicemia

%

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circa 1% per il diabete e 10% per l’alterata tolleranza ai carboidrati 7. Tuttavia, questo studio non includeva i soggetti con diabete franco e quindi la quota di donne diabetiche era certamente sottostimata. Va segnalato che il BMI medio delle pazienti di questo studio, intor- no a 28 kg/m2, era notevolmente più basso rispetto a quello degli studi citati sopra.

È importante sottolineare che queste percentuali sono in ogni caso assai rilevanti per una popolazione di giovani donne. Una metanalisi degli studi caso-controllo, su un campione complessivo di oltre 12.000 donne con PCOS e quasi 57.000 controlli, ha rilevato un odds ratio di 4,43 (95% IC: 4,06-4,82) per il rischio di diabete associato alla PCOS 13. In questo studio, il valore medio dell’odds ratio si modificava di poco quando l’analisi era limitata agli studi in cui il BMI dei due gruppi era confrontabi- le, anche se la dimensione del campione si riduceva drasticamente e l’intervallo di confidenza aumentava di conseguenza considerevolmente.

Questi dati, nel loro complesso, suggeriscono dunque che le alterazioni della tolleranza ai carboidrati siano spesso un fenomeno precoce nella storia clinica di que- sta patologia, soprattutto nei soggetti obesi. Nella pra- tica clinica, però, queste alterazioni possono rimanere a lungo misconosciute, anche perché non vi è correla- zione fra i livelli glicemici a digiuno e in risposta al cari- co orale di glucosio e molte donne con PCOS mostrano una glicemia a digiuno del tutto normale anche quan- do hanno già una ridotta tolleranza ai carboidrati 11. Per questi motivi, diverse linee guida internazionali racco- mandano di eseguire un carico orale di glucosio nelle donne con PCOS. Non vi è peraltro accordo sul fatto che questa indagine debba essere effettuata sistemati- camente in tutte le pazienti o solo in quelle con specifici fattori di rischio per diabete tipo 2, quali obesità, soprat- tutto se a distribuzione centrale, familiarità per diabete, storia personale di diabete gestazionale, età sopra i 35 anni, o in quelle con il fenotipo classico della sindrome.

Nel complesso, in termini di costo/efficacia quest’ultima posizione può essere la più ragionevole.

L’associazione fra PCOS e diabete, oltre che da piccoli studi dedicati, è documentata anche da ampi studi di popolazione, in cui i limiti qualitativi vengono controbi- lanciati dalle grandi dimensioni dei campioni esaminati.

In particolare, in Danimarca l’esistenza di codici sanitari individuali e di svariati registri di patologie permette di raccogliere e incrociare informazioni di vario tipo. Utiliz- zando questi database è stato possibile confrontare le informazioni relative a oltre 19000 donne con diagnosi di PCOS con quelle di un campione all’incirca triplo di controlli, comparabili per età, estratti casualmente 14. Per quanto riguarda l’aspetto glicometabolico questa analisi non del fenotipo normoandrogenico, che ha valori del

tutto simili ai controlli sani, mentre il fenotipo ovulatorio ha da questo punto di vista un comportamento interme- dio 10. Queste differenze sono favorite ma non sono spie- gate integralmente dalle differenze antropometriche. Il fenotipo classico resta infatti associato in modo indipen- dente all’insulino-resistenza anche dopo correzione per età e BMI. Possiamo quindi ragionevolmente aspettarci che il fenotipo classico sia quello prevalente nelle pa- zienti con diabete, anche se le informazioni in merito sono estremamente limitate.

PCOS e diabete tipo 2

Dato che obesità e insulino-resistenza sono connotati ti- pici anche del diabete tipo 2, queste caratteristiche, che si osservano in molte donne con la sindrome, suggeri- scono che la probabilità di incontrare la PCOS in una paziente con diabete possa essere ragionevolmente elevata. Inoltre, nelle donne con PCOS è stata osservata anche disfunzione beta-cellulare. A fronte di questo c’è però il fatto che la PCOS è diagnosticabile solo in età ri- produttiva, il che sfasa temporalmente questa patologia rispetto all’epoca della vita in cui compare o comunque viene abitualmente diagnosticato il diabete. Più spesso il dato può essere dunque quello di un’anamnesi com- patibile con una pregressa PCOS.

Pochi studi hanno ricercato la presenza di PCOS nelle donne in età riproduttiva con diabete tipo 2 manifesto.

Complessivamente, queste ricerche indicano che nel- le giovani donne diabetiche la frequenza della PCOS e quella delle manifestazioni riconducibili a questa sindro- me possano essere superiori a quanto atteso sulla base del caso. Si tratta però di pochi studi, con numerosità assai limitate.

D’altra parte, gli studi che hanno affrontato la proble- matica dal versante opposto, ricercando cioè sistema- ticamente la presenza di alterazioni glicemiche nelle donne con PCOS, indicano dimensioni molto più rile- vanti del problema. La frequenza di queste alterazio- ni differisce comunque sensibilmente fra le varie ricer- che effettuate. Valori molto elevati sono stati osservati in studi americani su campioni multietnici 11, che hanno riportato fino al 7,5% di casi di diabete e intorno al 30%

di casi di ridotta tolleranza ai carboidrati in popolazioni con BMI medio nell’ambito della franca obesità, intor- no a 35 kg/m2. Uno studio condotto in Italia ha riportato percentuali sensibilmente più basse, rispettivamente del 2,5 e del 15%, a fronte di valori di età e BMI simili, suggerendo l’importanza dei fattori etnici e/o di specifi- ci fattori ambientali 12. Nella coorte del Verona 3P Study queste percentuali sono risultate ancora minori, all’in-

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vidanza associati alla PCOS, accanto a preeclampsia, ipertensione gestazionale, parto pretermine e aborto spontaneo.

Sulla base di questi elementi alcune autorevoli linee gui- da internazionali includono la PCOS fra i fattori di rischio di diabete gestazionale e suggeriscono di effettuare in queste pazienti uno screening precoce della tolleranza ai carboidrati in gravidanza. Molto spesso, però, i centri che si occupano di diabete gestazionale sono poco at- tenti nel valorizzare un’anamnesi suggestiva per PCOS e queste indicazioni restano spesso disattese. Questo è probabilmente dovuto in parte al fatto che la donna gravida viene con difficoltà inquadrata come potenzial- mente affetta da PCOS. Inoltre, il documento elaborato dal Sistema Nazionale per le Linee Guida relativo al ma- nagement della gravidanza, pubblicato nel 2011 dal Mi- nistero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità 18, non fa menzione di questa patologia fra le condizioni che indicano l’esecuzione dell’OGTT.

PCOS e diabete tipo 1

Lo studio di popolazione danese citato in precedenza ha rilevato che anche il diabete tipo 1 ricorre con fre- quenza aumentata nelle donne con PCOS 14, con valori che nello studio erano circa due volte superiori a quelli della popolazione di controllo senza PCOS. Questo ri- sultato è in linea con i dati di alcuni piccoli studi che hanno riportato una elevata frequenza di PCOS e mani- festazioni cliniche riconducibili a questa condizione nel- le giovani donne affette da diabete tipo 1 19.

Questi dati possono apparire sorprendenti, visto che il nesso fisiopatologico alla base dell’associazione fra PCOS e diabete mellito è abitualmente attribuito all’insu- lino-resistenza e all’eccesso ponderale, aspetti che non sono caratteristici del diabete tipo 1. L’interpretazione di questa associazione è che comunque sia in gioco an- che in queste pazienti uno stato di iperinsulinemia, do- vuto in questo caso alla terapia con insulina esogena.

Questo trattamento comporta infatti di regola un relati- vo eccesso di insulina nel circolo sistemico, in relazione alla via di somministrazione sottocutanea che deve es- sere utilizzata. In linea con questa ipotesi i livelli circo- lanti di SHBG, espressione dell’insulinizzazione epatica (che a differenza di quella periferica è ridotta quando l’insulina viene iniettata sottocute), non sembrano esse- re diminuiti nelle donne con PCOS affette da diabete tipo 1, a differenza di quanto si osserva comunemente nella PCOS. Inoltre, dati preliminari in un piccolo cam- pione di giovani donne diabetiche tipo 1 hanno mostrato livelli di testosterone non significativamente diversi ma tendenzialmente più bassi in quelle in trattamento con ha confermato, a livello di popolazione, l’esistenza di un

sensibile aumento del tasso di diabete nelle donne con PCOS. In particolare, il rischio di diabete tipo 2 è risulta- to circa cinque volte maggiore in queste pazienti.

Va tenuto presente che la fotografia che questi registri danesi consentono di fare prescinde dal momento in cui si manifestano le patologie. La diagnosi di PCOS può essere stata dunque posta in un momento, necessaria- mente in età riproduttiva visti i criteri usati per la diagno- si, e quella di diabete in un momento diverso, possiamo immaginare spesso successivo anche se non ben da- tabile. Uno studio australiano ha cercato di sincroniz- zare i due aspetti, attraverso l’analisi di una coorte di oltre 8600 giovani donne (età fra 28 e 33 anni), basata su questionari autocompilati 15. Con i limiti della metodi- ca utilizzata, questo studio permette di analizzare il ri- schio di esordio precoce del diabete, che le linee guida in vigore in Australia suggeriscono di cercare sistemati- camente in queste pazienti. In questa analisi il tasso di diabete era di circa il 5% nelle pazienti che riferivano una diagnosi di PCOS e che avevano un BMI medio di circa 28 kg/m2. Questo valore era ben 17 volte superio- re a quello riportato dai soggetti che non riferivano una diagnosi di PCOS (che avevano un BMI medio di circa 25 kg/m2), in cui la frequenza riportata di diabete era dello 0,3%. Anche se si può immaginare una sovrastima del fenomeno, legata al fatto che lo screening è stato ragionevolmente più frequente nelle donne con PCOS rispetto a quelle senza tale patologia, questo studio dà un’idea della possibile dimensione epidemiologica del problema già in giovane età.

PCOS e diabete gestazionale

Entrambi gli studi citati sopra hanno analizzato anche il rischio di diabete gestazionale associato alla PCOS. I ri- sultati ottenuti indicano che in queste pazienti il tasso di questa forma di diabete è 3-4 volte maggiore rispetto a quello rilevato nei controlli 14 15. Questi dati sono in linea con quanto emerso in precedenza da una metanalisi 16, che includeva i risultati di vari piccoli studi, e da una ricerca sugli outcome delle gravidanze singole, esclu- dendo dunque quelle gemellari, condotta analizzando i dati del registro nazionale svedese delle nascite, che comprendeva quasi 4000 donne con PCOS 17. Questi ri- sultati non sono sorprendenti se consideriamo da un la- to la frequenza di alterazioni glicemiche osservate nelle donne con PCOS già in giovane età e dall’altro la con- dizione di insulino-resistenza che è spesso presente e che rappresenta un fattore patogenetico fondamentale anche in questa forma di diabete. Il diabete gestaziona- le è peraltro solo uno degli outcome avversi della gra-

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gli altri casi un’alternativa è l’utilizzo del progestinico da solo, la cosiddetta minipillola, che non è gravata dai me- desimi rischi potenziali.

Su altri strumenti usati nel management terapeutico del- la PCOS non ci sono invece ostacoli in presenza di dia- bete, anzi il trattamento della PCOS e quello del diabete possono coincidere, in linea con gli elementi fisiopato- logici comuni a queste due condizioni. È questo il caso degli interventi sullo stile di vita, che sono un caposaldo nella terapia del diabete tipo 2 e che, pur sulla base di dati limitati, appaiono essere di beneficio per le altera- zioni antropometriche e metaboliche ma anche endocri- ne delle donne con PCOS.

Un’altra terapia spesso utilizzata in queste pazienti e che trova ulteriori motivazioni in presenza di diabete è quella con metformina, trattamento farmacologico di prima scelta nel management iniziale del diabete tipo 2 e farmaco che può indurre benefici specifici nelle don- ne con PCOS. In particolare, in queste pazienti, la met- formina può essere un’opzione alternativa agli estropro- gestinici, in quanto può spesso permettere il ripristino di cicli regolari e ovulatori, e rappresenta una terapia adiuvante nelle procedure di induzione dell’ovulazione, quando queste non risultino da sole efficaci e/o si voglia limitare il loro rischio di indurre una sindrome di ipersti- molazione ovarica 21 22.

Per quanto riguarda l’utilizzo con finalità metaboliche, la metformina viene posta unanimemente in posizione subordinata rispetto alle modifiche dello stile di vita. Va sottolineato che questo orientamento è legato soprat- tutto ai risultati del Diabetes Prevention Program 23, uno studio che non riguardava la PCOS ma che ha mostra- to come questo farmaco abbia una efficacia inferiore a quella dell’intervento sullo stile di vita nel ridurre il ri- schio di sviluppare diabete in soggetti ad alto rischio, con ridotta tolleranza ai carboidrati.

In termini riproduttivi vi è evidenza di una marcata etero- geneità nella risposta individuale a questo farmaco. Ci sono infatti responder e non-responder alla metformina in termini di ciclicità mestruale e ovulazione. Purtroppo non è chiaro quali siano i predittori di questa risposta al trattamento, che consentano di scegliere a priori chi trattare con questo farmaco. Alcuni dati hanno sugge- rito che i risultati della metformina siano migliori nelle donne con livelli di androgeni meno elevati, alterazio- ni mestruali meno severe e livelli di insulina più alti 24, a suggerire un nesso fisiopatologico con l’iperinsulinemia indotta dall’insulino-resistenza. Inoltre, è stato osservato che la risposta alla metformina in termini di bambini nati vivi, quando il farmaco era usato con l’obiettivo di favo- rire il concepimento, era migliore nei soggetti con valori di BMI corrispondenti a quelli di un’obesità di primo gra- microinfusore rispetto a quelle che assumevano terapia

insulinica multi-iniettiva 20. Parallelamente, come atteso, la posologia insulinica era più bassa nel gruppo in trat- tamento con microinfusore, suggerendo un nesso po- tenziale fra i due fenomeni. Tale ipotesi dovrà comunque essere testata su una coorte di pazienti di dimensioni adeguate. È stato però ipotizzato che anche il grado di controllo metabolico possa influenzare questi aspetti, dato che un cattivo controllo glicemico può associarsi ad alterazioni mestruali.

Terapia della PCOS

La PCOS è una patologia a etiologia sconosciuta e la terapia è inevitabilmente sintomatica. Le linee guida in- ternazionali su questo tema indicano come possibili op- zioni terapeutiche, con la necessità di personalizzare il trattamento in base a caratteristiche cliniche e obiettivi specifici di ogni paziente, modifiche dello stile di vita, contraccettivi ormonali, metformina, induttori dell’ovula- zione (quando vi sia desiderio di gravidanza), eventual- mente antiandrogeni (in presenza di rilevanti segni clini- ci di iperandrogenismo).

Nella pratica, molto spesso la terapia della paziente che non ha desiderio immediato di gravidanza si basa sull’u- so di contraccettivi orali combinati, che permettono di correggere le alterazioni mestruali, controllare i rischi di iperplasia dell’endometrio e nel contempo garantire la contraccezione, cosa che può essere spesso utile in donne con cicli irregolari ma non necessariamente sempre anovulatori e in cui si possono talora impiegare farmaci che sono controindicati in gravidanza, come gli antiandrogeni. Esistono però raccomandazioni contro- verse in termini di formulazioni contraccettive da prefe- rire nella donna con PCOS, soprattutto per la carenza di evidenze che indirizzino questa scelta. Età della pazien- te, BMI e problematiche metaboliche possono influen- zare questa decisione  21. L’attenzione nella scelta del- la strategia contraccettiva deve aumentare qualora la paziente sia diabetica. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e altri enti regolatori e società scientifiche indica- no che il diabete può essere un motivo per sconsiglia- re talora l’uso dei contraccettivi combinati, se sono pre- senti complicanze lievi-moderate, o per proscriverlo del tutto, se le complicanze sono severe o la malattia è di lunga durata. Ci sono inoltre altri fattori di rischio, spes- so associati al diabete, che a loro volta limitano questo utilizzo. L’ACOG, la principale Società scientifica ame- ricana di ostetricia e ginecologia, suggerisce di usare il contraccettivo combinato nella donna diabetica solo se questa non fuma, ha meno di 35 anni e non ha compli- canze del diabete o altre problematiche associate. Ne-

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do, con risultati meno buoni sia con valori più alti che più bassi di BMI 25. Speculando, possiamo ipotizzare che il risultato sia massimo quando c’è insulino-resistenza ma questa non è eccessiva. Resta peraltro ancora non do- cumentato se il beneficio della metformina sugli aspetti riproduttivi della PCOS sia legato all’effetto insulino-sen- sibilizzante del farmaco.

Un’altra terapia farmacologica del diabete tipo 2 che ha un potenziale interesse per le pazienti con PCOS è quella con analoghi del GLP-1. I dati disponibili a que- sto proposito sono però ancora molto limitati. Un piccolo studio controllato ha confrontato gli effetti sulla ciclici- tà mestruale di exenatide, metformina e della loro com- binazione, in un campione di pazienti con PCOS non diabetiche e in sovrappeso. Lo studio ha rilevato che la somministrazione di questo analogo a breve durata del GLP-1 aveva effetti riproduttivi benefici, che erano simili e additivi a quelli della metformina e che erano potenzialmente riconducibili, per quanto riguarda que- sto farmaco, alla riduzione che determinava del grasso addominale 26. Altri piccoli studi hanno valutato in que- ste donne gli effetti di analoghi a breve e lunga durata d’azione del GLP-1, avendo come endpoint principale la variazione del grasso corporeo. In generale questi studi confermano l’efficacia del trattamento sulla ridu- zione del grasso totale e viscerale. I dati relativi agli ef- fetti riproduttivi ed endocrini di questa classe di farmaci sono ancora molto limitati, anche se alcuni studi sug- geriscono che vi possano essere benefici anche sotto questo profilo, potenzialmente ascrivibili al risultato sulla adiposità corporea 27. Va sottolineato che, come per la metformina, in assenza di diabete questi trattamenti non hanno al momento una indicazione in scheda tecnica e sono quindi off label. Inoltre, per quanto riguarda que- sto specifico approccio è necessario attendere confer- me sperimentali prima di proporne eventualmente l’uti- lizzo al di fuori del diabete.

Una terapia ampiamente utilizzata nella pratica clini- ca, soprattutto in ambito ginecologico, è quella con al- cune sostanza classificate come integratori. Fra que- ste, quelle più comunemente utilizzate sono alcuni isomeri dell’inositolo, in particolare il D-chiroinositolo e il mioinositolo. Il presupposto teorico è legato al ruolo dell’inositolo come mediatore dell’azione insulinica  28. Diversi studi suggeriscono l’efficacia di tale approc- cio, soprattutto nei confronti dei disturbi riproduttivi di queste donne, ma si tratta di studi quasi sempre non controllati e l’evidenza non è ancora scientificamente

adeguata. Vi è quindi la necessità di RCT per chiarire l’effettiva efficacia di queste sostanze. Inoltre, deve es- sere chiarito meglio quali differenze di effetto esistano fra questi diversi isomeri.

Una terapia utilizzata spesso per controllare i sintomi cutanei della PCOS, in particolare l’irsutismo, è quel- la con farmaci antiandrogeni. Vi sono dati che sugge- riscono un potenziale beneficio di questo trattamento anche in termini di insulino-resistenza  29, a sostegno dell’ipotesi che l’alterata azione insulinica sia in queste donne in parte legata all’eccesso di androgeni. Anche questa forma di trattamento è comunque off label e ri- chiede sia garantita la contraccezione, dati i potenziali effetti negativi, su un eventuale feto di sesso maschile, che possono conseguire all’inibizione dell’azione an- drogenica. Nondimeno va tenuto presente che spes- so questa modalità di trattamento è l’unica in grado di conseguire risultati apprezzabili in caso di irsutismo di grado rilevante 2.

Conclusioni

La sindrome dell’ovaio policistico è una condizione assai frequente e con rilevanti implicazioni anche dal punto di vista metabolico. In particolare queste donne hanno un aumentato rischio di diabete tipo 2, anche in età precoce, e di diabete gestazionale. È probabi- le che la base fisiopatologica di questa associazione sia rappresentata dall’iperinsulinemia, conseguenza dell’insulino-resistenza, e in particolare dagli effetti che questa esercita a livello dell’ovaio e di altri tessuti. An- che il diabete tipo 1 appare ricorrere con frequenza aumentata nelle donne con PCOS ed è possibile che anche in questo caso un ruolo patogenetico possa es- sere svolto dal relativo eccesso di insulina, in questo caso legato alle modalità non fisiologiche con cui viene somministrata l’insulina. Le donne con PCOS dovreb- bero essere attentamente valutate per possibili altera- zioni precoci della tolleranza ai carboidrati, in partico- lare in presenza di eccesso ponderale o di altri fattori di rischio per diabete tipo 2 e di un fenotipo classico della sindrome. In gravidanza, un’anamnesi compati- bile con PCOS dovrebbe essere motivo per effettuare uno screening precoce del diabete gestazionale me- diante OGTT.

Conflitto di interessi Nessuno.

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