• Non ci sono risultati.

LuigiManni Candidato ClaudioCorian`o Relatore . Aspetticomputazionalidiequazionidifferenzialidiinteressefisico Universit`adelSalento

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "LuigiManni Candidato ClaudioCorian`o Relatore . Aspetticomputazionalidiequazionidifferenzialidiinteressefisico Universit`adelSalento"

Copied!
93
0
0

Testo completo

(1)

Universit` a del Salento

Facolt`a di Scienze MM.FF.NN.

Corso di Laurea in Fisica

Tesi di Laurea triennale

Aspetti computazionali di equazioni differenziali

di interesse fisico.

Relatore

Claudio Corian`o

Candidato Luigi Manni

Lecce, 20 dicembre 2007

Anno accademico 2006/2007

(2)

Prefazione

Lo studio numerico di equazioni differenziali di interesse fisico e, pi`u in ge- nerale, scientifico, `e uno tra i settori pi`u interessanti sia nell’ambito teorico- formale che nelle applicazioni di carattere tecnologico. Basti pensare che la modellizzazione della dinamica dei fluidi o lo studio di processi dissipativi nell’ambito di complessi sistemi dinamici o ancora in fisica statistica richiede non solo una corretta formulazione matematica nel continuo delle corrispon- denti equazioni differenziali, ma anche un’opportuna discretizzazione su reti- colo delle medesime. Questa complementariet`a o convergenza di intenti per la risoluzione di problemi che hanno una forte rilevanza scientifica e pratica impone lo sviluppo di strumenti sofisticati di analisi ma anche l’elaborazione di specifiche tecniche numeriche.

Mentre lo studio (analitico/formale) del problema di Cauchy di equazioni di propagazione (cio`e di equazioni non ellittiche) permette di distinguere tra problemi ben posti e problemi mal posti nella ricerca dell’esistenza ed unicit`a delle corrispondenti soluzioni, lo studio numerico da la possibilit`a di studiare casi molto complessi per i quali una soluzione analitica `e molto difficile da ot- tenere. Per queste ragioni una vera e propria branca della fisica/matematica applicata che ha un forte connotato informatico si `e venuta affermando in ambito internazionale, caratterizzandosi come un’attivit`a scientifica multi- disciplinare che riceve nelle migliori Universit`a straniere una collocazione accademica specifica: la Scienza Computazionale o Computational Science. Sotto questo nome si inquadrano gli studi che confinano con la matematica applicata, la fisica e l’informatica (Computer Science) e che si avvalgono dell’uso massiccio delle capacit`a di calcolo offerte dalle moderne reti di calcolatori e dal calcolo distribuito.

L’obiettivo di questa tesi `e quello di passare brevemente in rassegna alcuni degli aspetti fondamentali di questo processo e di descrivere le basi salienti e pi`u elementari di questo tipo di studi, cos`ı da fornire un punto di partenza per analisi pi`u estese che l’autore spera di poter mandare avanti nella seconda parte del corso di studi.

Nell’ambito di questo lavoro che, come abbiamo appena accennato, `e es-

(3)

senzialmente di rassegna, in cui introduciamo la metodologia essenziale per passare dalla descrizione di equazioni al continuo al caso discreto, abbiamo anche avuto modo di affrontare una tematica originale e molto complessa che illustra in modo molto diretto le difficolt`a che si incontrano a livello nume- rico. Questa consiste nello studio di un’equazione molto specifica introdotta da Eduardo Pascali in alcuni lavori recenti [14, 15, 16] che forse porta ad uno tra i casi pi`u complessi di ricerca di soluzioni numeriche di equazioni differenziali di tipo diffusivo e che motiveremo in seguito. Tali equazioni, che possono essere formulate sia in forma scalare che matriciale, sono caratte- rizzate da un lato destro di tipo non-locale e, come chiariremo nel corso del lavoro, auto-referenziale. Equazioni di questo tipo sono particolarmente difficili da analizzare numericamente perch`e, come vedremo nel corso della nostra analisi, sono caratterizzate da una soluzione marciante che presenta una regione di influenza che tende a diventare troppo ampia nella direzione spaziale a mano a mano che si avanza nella direzione temporale. Equazioni di questo tipo, che possono essere utili in vari contesti applicativi, sono, sotto un profilo fisico, classificabili come processi deterministici non-markoviani in cui la auto-referenzialit`a dell’equazione svolge, in un certo senso, il ruolo di memoria del processo stesso.

Prima di passare ad uno studio dell’equazione auto-referenziale di Pascali introdurremo alcuni dei concetti di base che riguardano la classificazione dei tipi pi`u semplici di equazioni differenziali. Successivamente ci occuperemo della loro discretizzazione, definendo l’ordine di accuratezza ed i parametri che sono essenziali per una caratterizzazione della stabilit`a (o instabilit`a) di un certo schema discreto. Nel terzo capitolo introdurremo e giustificheremo l’equazione di Pascali nel caso scalare e cercheremo di definire le proprieta della corrispondente soluzione numerica marciante. Introdurremo un algo- ritmo che permette di risolvere questa equazione nell’ambito di uno schema marciante e ne descriveremo l’implementazione.

Abbiamo optato per una descrizione literate dei programmi numerici, se- condo la definizione data da D. Knuth, che altro non sono se non programmi scritti in un linguaggio di programmazione specifico (nel nostro caso in lin- guaggio C) interleaved, cio`e intermezzati con il testo usuale. Questo stile di presentazione (detto anche di dissezione, o by dissection) rende i li- terate programs pi`u facili da leggere e permette di comunicare al lettore che conosce il linguaggio la struttura dell’implementazione.

(4)

Indice

1 Introduzione alle equazioni alle derivate parziali 5 1.1 Classificazione di equazioni alle derivate parziali quasi lineari. 5

1.1.1 Metodo di Cramer . . . 6

1.1.2 Metodo agli autovalori . . . 10

1.2 Tipi di equazioni alle derivate parziali quasi lineari. . . 11

1.2.1 Equazioni iperboliche . . . 11

1.2.2 Equazioni paraboliche . . . 13

1.2.3 Equazioni ellittiche . . . 14

2 Introduzione alla discretizzazione 16 2.1 Il processo di discretizzazione . . . 16

2.2 Metodo delle differenze finite . . . 17

2.3 Equazioni alle differenze . . . 24

2.4 Approcci alle soluzioni . . . 26

2.5 Analisi degli errori e studio della stabilit`a . . . 31

2.6 Risoluzione numerica dell’equazione di propagazione del calore in una dimensione . . . 40

3 Equazioni autoreferenziali 49 3.1 Equazioni evolutive in fisica fondamentale ed in statistica . . . 50

3.2 Un’equazione con memoria . . . 52

3.3 Interpretazione e discretizzazione . . . 53

3.4 Codice sorgente e grafici . . . 56

4 Verso la CFD 70 4.1 Cenni preliminari . . . 70

4.2 Le equazioni della CFD . . . 71

4.2.1 L’equazione di continuit`a . . . 71

4.2.2 L’equazione del momento . . . 73

4.2.3 L’equazione dell’energia . . . 75

4.2.4 Equazioni di Navier-Stokes . . . 78

(5)

4.2.5 Equazioni di Eulero . . . 79 4.3 Il metodo di Lax - Wendroff . . . 81

5 Conclusioni 86

A Dimostrazioni relative alle equazioni differenziali alle deriva-

te parziali 87

A.1 Dimostrazione: la (2.28) `e parabolica . . . 87 A.2 Dimostrazione: la (2.28) `e iperbolica . . . 88

B Il metodo di Gauss-Legendre 89

Bibliografia 91

(6)

Capitolo 1

Introduzione alle equazioni alle derivate parziali

In questo primo capitolo vogliamo avvicinarci allo studio delle equazioni dif- ferenziali alle derivate parziali. Introduciamo quindi alcuni metodi che con- sentono di classificare tali equazioni e procediamo quindi ad una loro analisi pi`u particolareggiata mettendo in luce le loro caratteristiche salienti.

1.1 Classificazione di equazioni alle derivate parziali quasi lineari.

Definiamo sistema quasi lineare un sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali in cui le derivate all’ordine pi`u alto si presentano n´e molti- plicate tra loro n´e tanto meno sottoforma di esponenziali, bens`ı linearmente moltiplicate per coefficienti che risultano essere funzioni delle variabili dipen- denti.

Dallo studio delle equazioni alle derivate parziali, notiamo che esse presen- tano dei comportamenti matematici molto diversi tra loro. E’ dunque utile classificare tali tipi di equazioni. Queste possono essere di tipo iperbolico, parabolico, ellittico o misto (se non presentano uno dei primi tre andamen- ti). Di seguito esponiamo due diversi metodi che permettono di analizzare un sistema di equazioni quasi lineari allo scopo di determinarne la classificazione.

(7)

1.1.1 Metodo di Cramer

Consideriamo il seguente sistema di equazioni alle derivate parziali quasi lineari

a1∂u

∂x + b1∂u

∂y + c1∂v

∂x + d1∂v

∂y = f1 (1.1)

a2∂u

∂x + b2∂u

∂y + c2∂v

∂x + d2∂v

∂y = f2 (1.2)

dove u e v sono le variabili dipendenti (funzioni di x e y), e i coefficienti a1, a2, b1, b2, c1, c2, d1, d2, f1 ed f2 possono essere funzioni di x, y, u e v. u e v sono funzioni continue di x e y. Quindi, il loro differenziale totale pu`o essere scritto come

du = ∂u

∂xdx +∂u

∂ydy (1.3)

dv = ∂v

∂xdx + ∂v

∂ydy. (1.4)

Notiamo anche che ad ogni punto nel piano xy `e associato un unico valore di u e un unico valore di v, mentre le loro derivate risultano essere ivi finite.

Con riferimento alla figura 1.1, fissato un punto P nel piano xy, cerchiamo le linee o direzioni passanti per P lungo le quali le derivate di u e v sono indeterminate e attraverso le quali possono presentarsi delle discontinuit`a.

Tali direzioni sono dette linee caratteristiche.

Consideriamo ora il sistema di quattro equazioni in quattro incognite (∂u/∂x,

∂u/∂y,∂v/∂x,∂v/∂y) costituito dalle equazioni lineari (1.1), (1.2), (1.3) e (1.4). Possiamo scrivere il tutto in forma matriciale



a1 b1 c1 d1 a2 b2 c2 d2

dx dy 0 0 0 0 dx dy





∂u/∂x

∂u/∂y

∂v/∂x

∂v/∂y



 =



f1 f2

du dv



 (1.5)

Denotiamo con [A] la matrice dei coefficienti, cio`e

[A] ≡



a1 b1 c1 d1 a2 b2 c2 d2 dx dy 0 0

0 0 dx dy



 (1.6)

Risolviamo ora, con la regola di Cramer, l’equazione (1.5) per l’incognita

∂u/∂x. Introduciamo quindi la matrice [B], costruita a partire dalla matrice

(8)

[A] sostituendo la prima colonna col vettore colonna dei termini noti della (1.5)

[B] =



f1 b1 c1 d1 f2 b2 c2 d2 du dy 0 0 dv 0 dx dy



 (1.7)

Utilizzando la regola di Cramer scriviamo

∂u

∂x = |A|

|B| (1.8)

in cui con |A| e |B| abbiamo indicato rispettivamente i determinanti delle matrici [A] e [B]. Per ottenere un valore dall’equazione precedente dobbia- mo per`o assegnare alle quantit`a dx, dy, du e dv dei valori ben definiti.

Figura 1.1: Esempio di curva caratteristica.

Con riferimento alla figura 1.1 immaginiamo di muoverci lungo una linea ab passante per il punto P nel piano xy. Supponiamo di effettuare uno sposta- mento infinitesimo ds verso il punto Q. In questo caso sia x che y subiranno una variazione infinitesima data da dx = xQ − xP e dy = yQ− yP. Ana- logo discorso pu`o esser fatto per le quantit`a u e v, quindi du = uQ− uP e dv = vQ − vP. Una volta note queste quantit`a, possiamo porle all’interno delle matrici [A] e [B], e attraverso la (1.8), calcolare una delle quattro inco- gnite del sistema (1.5).

Il valore cos`ı trovato risulta essere indipendente dalla direzione lungo la quale ci allontaniamo dal punto P, sempre nell’ipotesi di un cammino infinitesimo.

Se ad esempio ci muoviamo lungo la linea cd, i valori di dx, dy, du e dv sono naturalmente diversi dai precedenti, tuttavia svolgendo i calcoli si ottiene un identico valore della variabile ∂u/∂x. Questo valore risulta essere fissato,

(9)

potremmo intenderlo come valore puntuale, mentre la scelta della curva pas- sante per P sulla quale ci muoviamo `e del tutto arbitraria.

Definiamo come curva caratteristica quella curva, ef nella figura 1.1, muovendosi lungo la quale le variazioni infinitesime sono tali da rispettare la seguente condizione

|A| = 0. (1.9)

Proprio ponendo questa condizione siamo in grado di trovare, se esistono, le curve caratteristiche passanti per il generico punto P nel piano xy. Natural- mente la determinazione di tali linee `e indipendente da quale delle quattro equazioni andiamo a risolvere dal momento che il denominatore |A| `e comu- ne a tutte le equazioni analoghe alla (1.8). Quando queste particolari linee esistono, possiamo calcolare le loro equazioni ed in particolare la pendenza nel punto P, infine tracciarle nel piano xy, come nel caso della linea ef nella figura di cui sopra. Riscriviamo allora la (1.9) e risolviamo il determinante.

¯¯

¯¯

¯¯

¯¯

a1 b1 c1 d1

a2 b2 c2 d2 dx dy 0 0 0 0 dx dy

¯¯

¯¯

¯¯

¯¯

= 0 (1.10)

(a1c2− a2c1)dy2− (a1d2− a2d1)dxdy + (b1d2− b2d1)dx2 = 0. (1.11)

Dividiamo a questo punto ambo i membri per dx2, ottenendo (a1c2− a2c1)

µdy dx

2

− (a1d2 − a2d1) µdy

dx

+ (b1d2− b2d1) = 0. (1.12)

Notiamo che quest’ultima `e un’equazione quadratica in (∂y/∂x). La soluzio- ne dell’equazione (1.12) ci da le pendenze delle curve caratteristiche passanti per il generico punto P. Poniamo ora

a = (a1c2− a2c1) (1.13)

b = −(a1d2− a2d1 + b1c2− b2c1) (1.14)

c = (b1d2− b2d1) (1.15)

di modo che la (1.12) assuma la forma seguente

a µ∂y

∂x

2 + b

µ∂y

∂x

+ c = 0. (1.16)

(10)

Quest’ultima equazione pu`o essere integrata per ottenere l’equazione y = y(x) della curva caratteristica, oppure pu`o, attraverso la determinazione della pendenza

∂y

∂x = −b ±√

b2− 4ac

2a , (1.17)

indicarci la direzione della stessa curva caratteristica nel piano xy.

Inoltre, la (1.17) ci permette, attraverso la determinazione del valore del suo discriminante, di classificare il comportamento delle varie linee caratteristi- che.

Sia D il discriminante della (1.17), cio`e

D = b2− 4ac. (1.18)

Se D > 0 esistono due caratteristiche reali e distinte passanti per ogni punto del piano xy. Il sistema costituito dalle equazioni (1.1) e (1.2) `e detto iper- bolico.

Se D = 0 il sistema in questione `e detto parabolico.

Se D < 0 le linee caratteristiche sono immaginarie ed il sistema `e definito ellittico.

L’origine degli appellativi iperbolico, parabolico ed ellittico, con i quali ven- gono definiti i sistemi di equazioni alle derivate parziali quasi lineari, trae origine da un’analogia con le sezioni coniche, la cui equazione generale `e data da

ax2+ bxy + cy2+ dx + ey + f = 0. (1.19) In questo caso, se

b2− 4ac > 0 si ha un’iperbole;

b2− 4ac = 0 si ha una parabola;

b2− 4ac < 0 si ha un’ellisse.

Torniamo a considerare l’equazione (1.8) e notiamo che qualora fosse rispet- tata la condizione (1.9), la derivata (∂u/∂x) risulterebbe infinita, contrav- venendo all’ipotesi stessa che riguarda le curve caratteristiche. La derivata deve essere indeterminata ma non infinita. Per ovviare a tutto ci`o occorre che anche il determinante di [B] sia nullo in modo tale che la (1.8) si presenti nella forma

∂u

∂x = |A|

|B| = 0

0, (1.20)

(11)

mentre

|B| =

¯¯

¯¯

¯¯

¯¯

f1 b1 c1 d1 f2 b2 c2 d2 du dy 0 0 dv 0 dx dy

¯¯

¯¯

¯¯

¯¯

= 0 (1.21)

Lo sviluppo di tale determinante genera un’equazione differenziale ordinaria nelle variabili du e dv, mentre dx e dy sono limitati a restare lungo la linea caratteristica. Procedendo con la sua risoluzione si ottiene un’equazione per le variabili dipendenti u e v che `e detta equazione di compatibilit`a. Tale equazione risulta avere una dimensione in meno di quelle alle derivate par- ziali di partenza, ed essere, in generale, pi`u facile da risolvere. Ci`o conduce ad una tecnica risolutiva del problema originario nota come metodo delle caratteristiche, secondo cui si risolve la semplice equazione di compatibi- lit`a solo sulle linee caratteristiche individuate nel piano xy. Tale metodo, richiedendo almeno due curve caratteristiche, `e applicabile al solo caso delle equazioni iperboliche. Rimandiamo il lettore al [12] per l’applicazione di tale tecnica al caso di fluidi supersonici non viscosi.

1.1.2 Metodo agli autovalori

Questo metodo, basato sugli autovalori del sistema, `e pi`u generale e legger- mente pi`u sofisticato del precedente.

Consideriamo il sistema formato dalle equazioni (1.1) e (1.2) del paragrafo precedente, in cui per semplicit`a supponiamo che sia f1 che f2 siano nulli, quindi

a1∂u

∂x + b1∂u

∂y + c1∂v

∂x + d1∂v

∂y = 0 (1.22)

a2∂u

∂x + b2∂u

∂y + c2∂v

∂x + d2∂v

∂y = 0. (1.23)

Utilizzando il formalismo matriciale, ed introducendo il vettore colonna W , dato da

W =

· u v

¸

(1.24) possiamo scrivere il tutto come

· a1 c1 a2 c2

¸∂W

∂x +

· b1 d1 b2 d2

¸∂W

∂y = 0. (1.25)

(12)

Ponendo quindi [K] e [M] uguali alle matrici che moltiplicano rispettivamente (∂W/∂x) e (∂W/∂y) si ha

[K]∂W

∂x + [M]∂W

∂y = 0. (1.26)

Moltiplicando la precedente equazione per [K]−1, inversa1 della matrice [K], otteniamo

∂W

∂x + [K]−1[M]∂W

∂y = 0 (1.27)

o equivalentemente

∂W

∂x + [N]∂W

∂y = 0 (1.28)

in cui [N] = [K]−1· [M]. Proprio gli autovalori di quest’ultima matrice deter- minano la classificazione del sistema in quanto non sono altro che le pendenze delle linee caratteristiche. Infatti, se gli autovalori sono tutti reali le equazio- ni sono iperboliche, mentre se sono immaginari le equazioni sono ellittiche2. Talvolta per`o gli autovalori di [N] possono presentarsi come un misto tra valori reali e complessi. In questi casi non `e possibile classificare in una delle categorie viste prima le equazioni date poich´e queste presentano un compor- tamento eterogeneo.

1.2 Tipi di equazioni alle derivate parziali qua- si lineari.

Attraverso l’utilizzo dei metodi presentati nel paragrafo precedente possia- mo classificare le varie equazioni, oggetto dei nostri studi, in tre categorie principali che rispecchiano altrettanti comportamenti a livello matematico.

1.2.1 Equazioni iperboliche

Consideriamo un’equazione iperbolica nelle variabili indipendenti x e y.

Come gi`a osservato un’equazione iperbolica ammette due curve caratteristi- che reali e distinte per ogni punto P nel piano xy. Denotiamo tali curve con il nome di direzione destra e sinistra. Per fare ci`o immaginiamo di porci nel

1Per ottenere la matrice inversa di una data se ne calcola prima la matrice dei cofattori, quindi la trasposta, ed infine si moltiplica quest’ultima per il determinante della matrice di partenza.

2[13] per maggiori dettagli ed esempi.

(13)

punto P del piano xy con lo sguardo volto verso la direzione positiva dell’as- se x. La curva che si trova alla nostra destra viene quindi chiamata curva caratteristica con direzione destra, e viceversa per quella alla nostra sinistra.

Queste due linee che passano per P ne determinano la relativa area d’in- fluenza. Una lieve perturbazione che coinvolge tale punto produce una certa modificazione nei punti che si trovano nella regione I della figura 1.2 che `e perci`o detta regione d’influenza di P. Al contrario la parte di piano indi- viduata dall’asse y e dalle due caratteristiche passanti per P ne determinano il cosiddetto dominio di dipendenza di P (regione III) poich´e il compor- tamento nel punto P dipende solo da ci`o che avviene in tale regione, in cui vengono fissate le condizioni al contorno.

Figura 1.2: Dominio e contorni della soluzione di un’equazione iperbolica in due dimensioni.

Un generico punto c che non ricade in nessuna delle due regioni appena esposte non `e legato in alcun modo al punto P, ma avr`a una propria area di influenza (come mostrato in 1.2 dalla regione II), ed anche un dominio di dipendenza se non `e caratterizzato da x = 0, cio`e se non si trova sul contorno costituito dall’asse y.

Queste equazioni vengono risolte con degli algoritmi basati su metodi iterati- vi che prendono le mosse dalle condizioni iniziali fissate, ad esempio, sull’asse y.

(14)

1.2.2 Equazioni paraboliche

Consideriamo un’equazione parabolica nelle variabili indipendenti x e y.

Ricordiamo che un’equazione parabolica presenta un’unica curva caratteri- stica passante per il generico punto P del piano xy. Analizziamo questa soluzione schematizzata nella figura 1.3.

Figura 1.3: Dominio e contorni della soluzione di un’equazione parabolica in due dimensioni.

Supponiamo che le condizioni iniziali del problema siano date sull’asse y nel- l’intervallo ac e che siano note le condizioni al contorno lungo le curve ab e cd. La linea caratteristica, denotata con un tratteggio nella figura, `e data da una linea verticale passante per P e congiungente le linee di contorno. La regione di influenza di P si estende allora tra tale linea e le curve sulle quali sono definite le condizioni al contorno nella direzione delle x crescenti.

Questo tipo di equazioni, cos`ı come le precedenti, presenta delle soluzioni marcianti nel senso che partendo dalle condizioni iniziali, assegnate sulla li- nea ac, la soluzione, tra i contorni cd e ab, `e ottenuta procedendo nel verso positivo dell’asse x.

La figura 1.4 mostra un esempio di una possibile estensione in 3D, dove le variabili indipendenti risultano essere tre (ad esempio x,y, z). Le condizioni iniziali non sono pi`u date lungo una linea (1D) bens`ı sull’area con contorno abcd (2D) nel piano yz. Risulta invece essere ancora valida la propagazione dell’informazione lungo la direzione positiva delle x. In questo caso la regio- ne di influenza del generico punto P non `e un’area (2D) ma il volume (3D) tratteggiato.

(15)

Figura 1.4: Dominio e contorni della soluzione di un’equazione parabolica in tre dimensioni.

1.2.3 Equazioni ellittiche

Consideriamo un’equazione ellittica nelle variabili indipendenti x e y.

Dal momento che in questo caso le due curve caratteristiche sono immagi- narie non possiamo ricorrere al metodo delle caratteristiche per risolvere il problema. Per le equazioni ellittiche le regioni di influenza e i domini di di- pendenza risultano essere non limitati. Inoltre, l’informazione si propaga da ogni punto in tutte le direzioni.

Con riferimento alla figura 1.5 immaginiamo che il dominio sia definito dal quadrato abcd e che il generico punto P sia al suo interno. La peculiarit`a del sistema considerato `e che il punto P influenza tutti gli altri punti del domi- nio e, a sua volta, viene influenzato dall’intero contorno abcd. La risoluzione dell’equazione nel punto P dovrebbe avvenire contemporaneamente con tutti gli altri punti del dominio.

Ci`o `e in netto contrasto con i processi iterativi visti fin ora per le equazio- ni iperboliche e paraboliche. I problemi che coinvolgono equazioni ellittiche sono detti problemi di giuria (jury problems) in quanto la soluzione dipende dalle condizioni applicate all’intero contorno del dominio. Queste condizioni al contorno possono essere ottenute

1. assegnando il valore delle variabili dipendenti u e v lungo il contor- no. Questo tipo di condizione al contorno `e detto condizione alla Dirichlet;

(16)

2. assegnando il valore delle derivate delle variabili dipendenti lungo il contorno. Questo secondo tipo di condizione al contorno `e detto con- dizione alla Neumann;

3. con una sovrapposizione di condizioni alla Dirichlet e alla Neumann.

Figura 1.5: Dominio e contorni della soluzione di un’equazione ellittica in due dimensioni.

In questo primo capitolo ci siamo occupati della classificazione delle equazio- ni differenziali alle derivate parziali attraverso due metodi: quello di Cramer e quello degli autovalori. Siamo poi passati a esplicitare le caratteristiche re- lative alle soluzioni di ciascun tipo di equazioni, illustrando con degli esempi grafici (figure 1.2, 1.3, 1.4, 1.5) i diversi domini.

Ulteriori esempi e approfondimenti in merito alle equazioni differenziali pos- sono essere trovati in [3], [10] e [13].

(17)

Capitolo 2

Introduzione alla discretizzazione

Passiamo ora allo studio del processo di discretizzazione che permette di determinare il valore di una funzione continua a partire da quello che essa assume su un insieme discreto di punti. Nel fare ci`o introduciamo diversi tipi di stencil, cio`e di configurazioni che possono essere utilizzate, nonch`e le problematiche relative ai diversi tipi di approccio alle soluzioni e allo studio della stabilit`a delle stesse.

2.1 Il processo di discretizzazione

La discretizzazione delle equazioni alle derivate parziali `e detta alle dif- ferenze finite, quella delle forme integrali invece ai volumi finiti.

La discretizzazione consiste in un processo che permette di risolvere un’equa- zione differenziale o integrale, che coinvolge delle funzioni definite su domini con la potenza del continuo, attraverso delle approssimazioni, queste ultime definite su insiemi discreti di punti o volumi all’interno del dominio origina- rio.

Ricordiamo che le soluzioni analitiche costituiscono soluzioni continue de- finite su tutto il dominio, mentre le soluzioni numeriche possono essere calcolate solo su un insieme discreto di punti che formano un reticolo, come indicato in figura 2.1.

La spaziatura del reticolo non deve essere per forza uniforme. ∆x pu`o avere un passo diverso da ∆y. Inoltre, anche la distanza tra le stesse coppie di pun- ti in una direzione pu`o cambiare. In quest’ultimo caso i calcoli non vengono eseguiti sul piano di partenza bens`ı su uno ottenuto dal primo attraverso una trasformazione dei punti in modo tale da ottenere un reticolo regolare, molto

(18)

Figura 2.1: Esempio di reticolo bidimensionale.

pi`u facile da trattare dal punto di vista computazionale.

Se consideriamo delle equazioni alle derivate parziali possiamo cercare di ottenere due tipi di soluzioni. La soluzione analitica, come gi`a detto, ci per- mette di calcolare i valori delle incognite su ogni punto del dominio, tuttavia non sempre si pu`o pervenire ad un tale tipo di soluzione, o comunque non facilmente. D’altro canto si possono usare delle approssimazioni delle fun- zioni originarie, soppiantando cos`ı l’equazione alle derivate parziali con un nuovo sistema di equazioni algebriche che possono essere risolte solo sui punti del reticolo considerato. Il metodo di discretizzazione appena introdotto `e detto metodo delle differenze finite in quanto le derivate parziali sono approssimate con dei quozienti che fanno riferimento a un numero finito di punti del reticolo.

2.2 Metodo delle differenze finite

Vediamo ora come `e possibile approssimare una derivata parziale con il quo- ziente di una differenza algebrica, cio`e usando il metodo alle differenze finite.

Generalmente per fare ci`o si usa lo sviluppo in serie di Taylor della funzione considerata. Con riferimento alla figura 2.1 se supponiamo che u(i, j) sia il valore della funzione u nel punto P di coordinate (i, j), allora il valore di u nel punto (i + 1, j) pu`o essere scritto come

ui+1,j = ui,j+ µ∂u

∂x

i,j

∆x + µ2u

∂x2

i,j

(∆x)2 2! +

µ3u

∂x3

i,j

(∆x)3

3! + . . . . (2.1) Naturalmente nel caso limite in cui i termini della sommatoria sono infiniti e l’intervallo ∆x tende a zero, l’equazione (2.1) fornisce il valore esatto della

(19)

funzione nel punto di coordinate (i+1, j). Risolvendo la precedente equazione in termini della pendenza della funzione u si ottiene

µ∂u

∂x

i,j

= ui+1,j − ui,j

∆x

µ2u

∂x2

i,j

∆x 2

µ3u

∂x3

i,j

(∆x)2

6 + . . . . (2.2) Consideriamo ora i termini scritti sulla destra. Il primo di essi altro non `e che la rappresentazione alle differenze finite della derivata parziale scritta a sinistra nella (2.2), mentre i restanti termini corrispondono all’errore di tron- camento che si commette nell’approssimazione. Dal momento che il primo termine ivi presente `e dell’ordine di ∆x, allora possiamo dire che un’equa- zione alle differenze finite, come la seguente (2.3), `e approssimata al primo

ordine. µ

∂u

∂x

i,j

ui+1,j − ui,j

∆x . (2.3)

Pi`u propriamente possiamo scrivere il tutto come µ∂u

∂x

i,j

= ui+1,j − ui,j

∆x + O(∆x) (2.4)

in cui il termine O(∆x) sta ad indicare l’accuratezza della rappresentazione.

Figura 2.2: Differenza al primo ordine avanti.

Inoltre, la (2.4) `e detta differenza al primo ordine avanti o first-order forward difference in quanto, con riferimento alla figura 2.2, per la sua risoluzione si fa riferimento solo ai valori della funzione a destra del punto di coordinate (i, j). Il disegno schematizza l’equazione di cui sopra illustrando quali punti sono coinvolti nella rappresentazione alle differenze finite appena illustrata, nonch´e il segno + o −, e l’eventuale peso, dei vari termini.

Se, al contrario, sviluppiamo in serie di Taylor la funzione u a partire dal

(20)

punto di coordinate (i, j) per ricavarne il valore immediatamente alla sua sinistra, otteniamo

ui−1,j = ui,j µ∂u

∂x

i,j

∆x + µ2u

∂x2

i,j

(∆x)2

2

µ3u

∂x3

i,j

(∆x)3

6 + . . . . (2.5) Quindi, risolvendo rispetto a (∂u/∂x)i,j

µ∂u

∂x

i,j

= ui,j− ui−1,j

∆x + O(∆x). (2.6)

Figura 2.3: Differenza al primo ordine retro.

Con analogo ragionamento visto per la (2.4), facendo attenzione al fatto che ci spostiamo verso sinistra, possiamo dire che la precedente equazione costi- tuisce una differenza al primo ordine retro o first-order rearward difference.

Dalle rappresentazioni di cui sopra `e possibile ottenere facilmente un’appros- simazione con un’accuratezza del secondo ordine. Sottraendo la (2.5) dalla (2.1) si ha

ui+1,j− ui−1,j = 2 µ∂u

∂x

i,j

∆x + 2 µ3u

∂x3

i,j

(∆x)3

6 + . . . , (2.7)

da cui µ

∂u

∂x

i,j

= ui+1,j − ui−1,j

2∆x + O(∆x)2. (2.8)

Notiamo come in questo caso, a differenza della (2.4) e della (2.6), per calco- lare il valore approssimato della pendenza di u nel punto P si fa riferimento ai due punti ad esso adiacenti mentre l’errore di troncamento risulta essere

(21)

Figura 2.4: Differenza centrale al secondo ordine.

dell’ordine di (∆x)2. La (2.8) `e appunto detta differenza centrale al se- condo ordine o second-order central difference.

Espressioni analoghe alla (2.4), (2.6) e (2.8) si ottengono se invece di spo- starci lungo l’asse x nella figura 2.1, lo facciamo lungo l’asse y.

Talvolta per`o si ha a che fare con delle derivate parziali di ordini superiori al primo. Di seguito vediamo come possono essere rappresentate quelle del secondo ordine col metodo delle differenze finite.

Sommando la (2.1) e la (2.5) si ha ui+1,j + ui−1,j = 2ui,j +

µ2u

∂x2

i,j

(∆x)2+ µ4u

∂x4

i,j

(∆x)4

12 + . . . (2.9) e risolvendo rispetto alla derivata seconda di u rispetto a x

µ2u

∂x2

i,j

= ui+1,j − 2ui,j+ ui−1,j

(∆x)2 + O(∆x)2. (2.10)

Figura 2.5: Differenza al secondo ordine centrale per la derivata seconda.

(22)

Quest’ultima `e detta differenza centrale al secondo ordine per la de- rivata seconda, o second-order central second difference, di u rispet- to a x. Il problema `e ora quello di trovare le rappresentazioni per le derivate miste del secondo ordine. Per far ci`o deriviamo rispetto alla variabile y la (2.1) e la (2.5) ottenendo

µ∂u

∂y

i+1,j

= µ∂u

∂y

i,j

+

µ 2u

∂x∂y

i,j

∆x

+

µ 3u

2x∂y

i,j

(∆x)2

2 +

µ 4u

3x∂y

i,j

(∆x)3

6 + . . . (2.11) µ∂u

∂y

i−1,j

= µ∂u

∂y

i,j

µ 2u

∂x∂y

i,j

∆x

+

µ 3u

2x∂y

i,j

(∆x)2

2

µ 4u

3x∂y

i,j

(∆x)3

6 + . . . .(2.12) Sottraendo quest’ultima alla (2.11) si ha

µ∂u

∂y

i+1,j

µ∂u

∂y

i−1,j

= 2

2u

∂x∂y

i,j

∆x +

µ 4u

3x∂y

i,j

(∆x)3 6 + . . .

#

(2.13) ed infine, risolvendo rispetto alla derivata mista di secondo ordine

µ 2u

∂x∂y

i,j

= (∂u/∂y)i+1,j − (∂u/∂y)i−1,j

2∆x

µ 4u

3∂y

(∆x)2

6 + . . . . (2.14) Quest’ultima pu`o essere esplicitata tenendo conto delle formule di rappre- sentazione delle derivate parziali del primo ordine viste sopra. Utilizzando formule analoghe alla (2.10), scritte nella variabile y per i punti di coordinate (i + 1, j) e (i − 1, j), e sostituendole nella (2.14) risulta

µ 2u

∂x∂y

i,j

= ui+1,j+1− ui+1,j−1− ui−1,j+1+ ui−1,j−1

4∆x∆y + O[(∆x)2, (∆y)2].

(2.15) L’errore di troncamento `e del secondo ordine tanto rispetto a ∆x quanto a ∆y. Si parla allora di differenza centrale al secondo ordine per la derivata mista (∂2u/∂x∂y)i,j, o anche second-order central mixed difference.

E’ ovvio che le rappresentazioni viste sin ora non sono n´e le uniche n´e tan- to meno le pi`u accurate. Come detto in precedenza, possiamo migliorare

(23)

Figura 2.6: Differenza centrale al secondo ordine per la derivata mista.

la precisione dell’approssimazione andando a considerare termini di ordine via via maggiore nello sviluppo di Taylor della funzione u. Ad esempio, la differenza finita centrale al quarto ordine, o fourth-order central difference, per ∂2u/∂x2 `e

µ2u

∂x2

i,j

= −−ui+2,j + 16ui+1,j − 30ui,j+ 16ui−1,j− ui−2,j

12(∆x)2 + O(∆x)4.

(2.16) Vediamo come nella precedente, a differenza della (2.10), si fa riferimento a cinque punti del reticolo, e non a tre.

Un’approssimazione del comportamento della funzione sui punti che costi- tuiscono il contorno nel caso di un reticolo unidimensionale pu`o presentare dei problemi nel caso in cui ci sia un’unica direzione possibile e cio`e quella d’allontanamento dal contorno.

Con riferimento alla figura 2.7, l’approssimazione al primo ordine `e data semplicemente da µ

∂u

∂y

1

= u2− u1

∆y + O(∆y). (2.17)

Per ottenere una rappresentazione della derivata del secondo ordine col me- todo del punto centrale dovremmo conoscere il valore della funzione in 2’, simmetrico rispetto a 2. Tuttavia nel caso considerato il punto 2’ `e al di fuo- ri del dominio della nostra funzione. Per bypassare tale problema si pu`o far ricorso alla condizione al contorno di riflessione secondo la quale la funzione assume gli stessi valori nei punti simmetrici rispetto al contorno considerato.

Ovviamente tale posizione pu`o risultare anche troppo azzardata.

Consideriamo quindi un nuovo approccio, detto approccio polinomiale.

Supponiamo quindi che la funzione u sul contorno possa essere espressa in forma polinomiale, cio`e

u = a + by + cy2. (2.18)

(24)

Figura 2.7: Esempio di reticolo unidimensionale in allontanamento dal bordo.

E’ facile dimostrare che al punto 1 y = 0. Allora

u1 = a . (2.19)

Al punto 2 y = ∆y quindi

u2 = a + b∆y + c(∆y)2 . (2.20)

Al punto 3 y = 2∆y e

u3 = a + b(2∆y) + c(2∆y)2. (2.21) Da queste ultime tre equazioni possiamo calcolare b come

b = −3u1+ 4u2− u3

2∆y . (2.22)

Deriviamo ora la (2.18) rispetto a y ottenendo

∂u

∂y = b + 2cy. (2.23)

Quindi nel punto 1, in cui y = 0, si otterr`a µ∂u

∂y

1

= b (2.24)

e ricordando la (2.22) possiamo scrivere µ∂u

∂y

1

= −3u1+ 4u2− u3

2∆y . (2.25)

(25)

Quest’espressione `e detta differenza finita lungo una direzione poich´e per la sua risoluzione si fa riferimento solo ai punti che si trovano da un lato del contorno. Concludiamo determinandone il grado di approssimazione.

Scriviamo lo sviluppo in serie di Taylor della (2.18) u(y) = u1+

µ∂u

∂y

1

y + µ2u

∂y2

1

y2 2 +

µ3u

∂y3

1

y3

6 + . . . (2.26) i cui primi tre termini possono essere posti in corrispondenza proprio con quelli della (2.18). Di conseguenza quest’ultima (cos`ı come u1, u2, u3) `e un’approssimazione al terzo ordine. Tenendo per`o conto del ∆y presente al denominatore della (2.25) si conclude che questa rappresenta un’approssi- mazione del secondo ordine che pu`o essere messa, pi`u correttamente, nella seguente forma

µ∂u

∂y

1

= −3u1+ 4u2− u3

2∆y + O(∆y)2. (2.27)

2.3 Equazioni alle differenze

Nel precedente paragrafo abbiamo visto com’`e possibile approssimare una derivata parziale con un quoziente alle differenze finite. Nel momento in cui in una data equazione differenziale sostituiamo tutte le derivate con delle rappresentazioni alle differenze finite otteniamo un’equazione algebrica che prende il nome di equazione alle differenze. Cerchiamo di tradurre in pratica quanto esposto finora studiando un’equazione alle derivate parziali propria della fluidodinamica.

Consideriamo allora l’equazione della conduzione del calore messa nella forma

∂T

∂t = α∂2T

∂x2. (2.28)

Da quanto espresso nel precedente capitolo `e facile dimostrare che si tratta di un equazione parabolica1. Essa ammette dunque una soluzione marciante rispetto al parametro t.

Consideriamo una griglia costruita come in figura 2.8.

Siano cio`e i ed ∆x l’indice e l’intervallo sulle ascisse, n e ∆t quelli sulle ordina- te. Evidenziamo il fatto che n caratterizza la variabile marciante ponendolo, per convenzione, come apice nell’espressione del quoziente alle differenze fi- nite. Rappresentiamo la derivata parziale di T fatta rispetto al tempo con

1Si rimanda all’appendice A.1 per tale dimostrazione

(26)

Figura 2.8: Griglia bidimensionale.

un’espressione di tipo forward analoga alla (2.4) µ∂T

∂t

n

i

= Tin+1− Tin

∆t

µ2T

∂t2

n

i

∆t

2 + . . . , (2.29) mentre sostituiamo la derivata rispetto alla x con una differenza centrale del tipo della (2.10), cio`e

µ2T

∂x2

n

i

= Ti+1n − 2Tin+ Ti−1n

(∆x)2

µ4T

∂x4

n

i

(∆x)2

12 + . . . . (2.30) A partire dalla (2.28), portando ambo i termini al primo membro si ottiene

∂T

∂t − α∂2T

∂x2 = 0 (2.31)

da cui, sfruttando la (2.29) e la (2.30), si ha

∂T

∂t − α∂2T

∂x2 = 0 = Tin+1− Tin

∆t − αTi+1n − 2Tin+ Ti−1n (∆x)2 +

·µ2T

∂t2

n

i

∆t 2 + α

µ4T

∂x4

n

i

(∆x)2 12 + · · ·

¸

.(2.32) In ultima analisi, troncando la serie, la (2.32) pu`o essere scritta come

Tin+1− Tin

∆t = αTi+1n − 2Tin+ Ti−1n

(∆x)2 . (2.33)

Quest’ultima `e un’equazione alle differenze che approssima la (2.28).

E’ questo un concetto fondamentale poich´e l’equazione alle differenze `e solo

(27)

un’equazione algebrica che `e risolvibile soltanto su un certo insieme di punti costituenti un reticolo. I valori ivi calcolati possono non essere identici a quelli ricavati per mezzo di una soluzione analitica, tuttavia tendono a que- sti ultimi al diminuire del passo di discretizzazione dal momento che l’errore di troncamento, come si nota dalla (2.32), dipende da ∆x. A tal proposi- to se il passo `e opportunamente piccolo si dice che la rappresentazione alle differenze finite `e consistente con l’equazione differenziale data entro l’errore di troncamento. Tuttavia non basta sostituire le derivate con dei quozienti alle differenze finite ed eventualmente far tendere a zero il passo per ottenere dei buoni risultati. Bisogna infatti tener conto della stabilit`a dell’algoritmo usato per calcolare il valore della funzione sulla griglia, nonch´e del corretto trattamento delle condizioni al contorno del problema. Naturalmente qualo- ra ∆x fosse nullo otterremmo un risultato esatto. Ci`o non pu`o mai verificarsi in pratica dal momento che il calcolatore ha comunque una precisione finita, legata al numero finito di bit in cui vengono salvati i numeri e agli errori di arrotondamento. Potremmo allora pensare di mantenere costante l’interval- lo e contemporaneamente far diminuire rapidamente il passo. Questo per`o comporterebbe un aumento altrettanto repentino del numero di mesh (maglie della griglia), quindi dei tempi macchina ed anche della memoria necessaria per salvare i valori.

Capiamo allora come sia opportuno trovare, di volta in volta, un punto d’e- quilibrio tra la precisione che vogliamo ottenere e le problematiche relative all’utilizzo dei calcolatori.

2.4 Approcci alle soluzioni

Un ulteriore passo in avanti nello studio dei metodi di risoluzione delle equa- zioni differenziali attraverso processi di discretizzazione consiste nel conside- rare i vari possibili approcci al problema. I due metodi pi`u usati consistono in un approccio di tipo esplicito o implicito. Per capire in cosa consistono consideriamo nuovamente la (2.28), che esprime la conduzione del calore nel caso monodimensionale.

Nel precedente paragrafo abbiamo visto come la (2.28) possa essere messa sottoforma di equazione alle differenze come

Tin+1− Tin

∆t = αTi+1n − 2Tin+ Ti−1n

(∆x)2 (2.34)

da cui, banalmente, si ottiene

Tin+1= Tin+ α ∆t

(∆x)2(Ti−1n − 2Tin+ Ti−1n ). (2.35)

(28)

A questo punto ricordiamo che la (2.28) `e un’equazione di tipo parabolico che ammette una soluzione di tipo marciante. In questo caso la variabile che evolve `e costituita dal tempo t. Per l’appunto, come evidenziato dall’equa- zione (2.35), i valori della variabile T sulla mesh con indice temporale pari a n + 1 sono determinati a partire dai valori della stessa funzione sulla mesh precedente. Schematizziamo questa situazione nella figura 2.9.

Figura 2.9: Esempio di approccio esplicito.

Nell’area tratteggiata sono evidenziati i punti interessati dall’equazione di cui sopra.

Considerando ancora la (2.35), notiamo che tutti i valori (noti) della mesh con indice n compaiono a destra dell’uguaglianza, mentre l’unica incognita presente `e rappresentata dal valore di T nel punto di coordinate (i, n + 1).

Siamo di fronte quindi ad un’equazione con un’unica incognita che pu`o essere risolta conoscendo i valori di T negli istanti di tempo precedenti.

Per definizione, in un approccio esplicito ogni equazione alle differenze contiene una sola incognita ed inoltre pu`o essere risolta esplicitamente in maniera abbastanza semplice.

Tuttavia la (2.34) non `e l’unica equazione alle differenze che si pu`o ottenere dalla (2.28). Ad esempio, possiamo svilupparla in termini di propriet`a medie tra i livelli con indice temporale n ed n + 1, ottenendo

Tin+1− Tin

∆t = α

1

2(Ti+1n+1+ Ti+1n ) + 12(−2Tin+1− 2Tin) + 12(Ti−1n+1+ Ti−1n )

(∆x)2 .

(2.36) Questo tipo di differenziazione, usato spesso per risolvere problemi che coin- volgono equazioni paraboliche, `e detto Crank-Nicolson [6]. In tal caso sono presenti tre incognite legate ai valori della funzione sui punti del livel-

(29)

lo n + 1. Capiamo allora perch´e, in questo secondo caso, occorre che tutte le equazioni che interessano i punti del reticolo a n + 1 devono essere risol- te simultaneamente. La (2.36) altro non `e che un esempio di un approccio implicito al problema considerato. Per definizione infatti, in un approccio implicito le incognite devono essere ottenute dalla risoluzione simultanea delle equazioni alle differenze applicate a tutti i punti della griglia disposti su una data mesh. E’ cos`ı spiegato il motivo per cui nell’approccio implicito si fa ricorso al calcolo matriciale.

Nella figura 2.10 `e schematizzata l’area di influenza di un approccio implicito su una griglia avente sette punti su ogni livello.

Figura 2.10: Esempio di approccio implicito.

Esplicitiamo ora la (2.36) portando a sinistra tutti i termini che si trovano sul livello temporale n + 1 e a destra quelli che appartengono alla mesh pre- cedente.

α∆t

2(∆x)2Ti−1n+1

·

1 + α∆t (∆x)2

¸

Tin+1+ α∆t

2(∆x)2Ti+1n+1 =

− Tin α∆t

2(∆x)2(Ti+1n − 2Tin+ Ti−1n ). (2.37) Ponendo dunque

A = α∆t

2(∆x)2 , (2.38)

B = 1 + α∆t

(∆x)2, (2.39)

(30)

Ki = −Tin α∆t

2(∆x)2(Ti+1n − 2Tin+ Ti−1n ), (2.40) si ottiene

ATi−1n+1− BTin+1+ ATi+1n+1 = Ki (2.41) in cui Ki `e una quantit`a nota in quanto fa riferimento ai valori di T al passo precedente della griglia. Con riferimento alla figura 2.10, applichiamo la (2.41) ai punti della griglia da 2 a 6 sul livello temporale n + 1.

Per il punto 2 si ottiene

AT1− BT2+ AT3 = K2. (2.42) Dal momento che l’equazione parabolica `e definita sul contorno per x = 1 e x = 7, allora sia K2 che T1 sono quantit`a note, che possiamo portare perci`o tutte al secondo membro

−BT2+ AT3 = K2− AT1 (2.43)

e sostituire col valore K20

−BT2+ AT3 = K20. (2.44)

Analogamente, procedendo con gli altri punti nel punto 3 si ha

AT2− BT3+ AT4 = K3; (2.45) nel punto 4

AT3− BT4+ AT5 = K4; (2.46) nel punto 5

AT4− BT5+ AT6 = K5; (2.47) nel punto 6

AT5− BT6+ AT7 = K6. (2.48) Per l’ultima equazione vale il discorso fatto per la (2.42) in quanto T7 `e calcolato sul contorno, quindi `e noto. Possiamo allora riscrivere la (2.48) come

AT5− BT6 = K6− AT7 = K60. (2.49) Le equazioni dalla (2.44) alla (2.47), con la (2.49) formano un sistema di cin- que equazioni in altrettante incognite; in forma matriciale possiamo scrivere





−B A 0 0 0

A −B A 0 0

0 A −B A 0

0 0 A −B A

0 0 0 A −B









T2

T3 T4 T5

T6





=





K20 K3 K4 K5

K60





 (2.50)

(31)

La matrice dei coefficienti `e una matrice tridiagonale avente, cio`e, ele- menti non nulli solo lungo le tre diagonali centrali. Questo tipo di matrice pu`o essere risolta facendo ricorso all’algoritmo di Thomas 2.

Notiamo che l’equazione di cui ci siamo occupati finora, cio`e la (2.28), `e un’e- quazione differenziale alle derivate parziali di tipo lineare. Anche le equazioni alle differenze dedotte, sia con l’approccio esplicito (2.35) che con quello im- plicito (2.36), sono di tipo lineare.

Assumiamo ora che il fattore di diffusione termica α dipenda dalla tempera- tura T , di modo che l’equazione (2.28) non risulti essere lineare. Scriviamo allora

∂T

∂t = α(T )∂2T

∂x2. (2.51)

Analogamente alla (2.35), per l’approccio esplicito otteniamo Tin+1 = Tin+ α(Tin) ∆t

(∆x)2(Ti+1n − 2Tin+ Ti−1n ). (2.52) Quest’equazione risulta essere ancora lineare nell’unica incognita Tin+1 poi- ch´e α `e stimata a partire dal valore di T sul livello n, che `e ben noto.

Se applichiamo alla (2.51) la Crank-Nicolson otteniamo un’equazione analoga alla (2.36), tenendo conto che α `e ora rappresentato da 1/2[α(Tin+1+ α(Tin)].

In questo caso, risolvendo l’equazione, otteniamo dei termini dati dal pro- dotto delle variabili dipendenti α e T calcolate al passo n + 1. Ne consegue un’equazione alle differenze non lineare. Per risolvere allora un tale problema dovremmo risolvere un sistema formato da equazioni non lineari, il che non `e certamente semplice. Per superare tale ostacolo si pu`o approssimare il valore di α sulla mesh n+1 a quello ch’essa assume nella precedente.

Dopo aver abbondantemente esposto ambedue gli approcci facciamo delle considerazioni finali. Notiamo allora come gli incrementi ∆x e ∆t appaiono sia nella (2.35) che nella (2.36). Per quanto riguarda l’approccio esplicito, una volta fissato ∆x il valore che ∆t pu`o assumere non `e arbitrario, ma deve essere minore o uguale di un certo valore prescritto dal criterio di stabilit`a.

Se ∆t risulta maggiore di questo limite il processo diviene subito instabile.

Per ovviare a ci`o si preferisce un passo molto piccolo con un conseguente aumento del numero di processi che la macchina deve eseguire per ottenere

2Il metodo di Thomas consiste nel risolvere un sistema di equazioni lineari in forma tridiagonale attraverso un processo iterativo. In particolare si trasforma il sistema origi- nario in uno bidiagonale eliminando con opportune moltiplicazioni e sottrazioni i termini della diagonale inferiore e facendo delle sostituzioni di variabile. A questo punto, partendo dall’ultima equazione, avente una sola incognita, si procede a ritroso risolvendo il sistema.

Per maggiori informazioni si consulti [18].

Riferimenti

Documenti correlati

La necessità di strutture specificamente dedicate alla presa in carico riabilitativa di pazienti con gravi lesioni cerebrali acquisite trova conferme anche nelle linee di

La domanda di partecipazione dovrà essere presentata sulla base del fac simile allegato (allegato 1) e firmata dal soggetto munito dei necessari poteri di rappresentanza

Il testo del compito deve essere consegnato insieme alla bella, mentre i fogli di brutta non devono essere consegnati.. Durante la prova non ` e consentito l’uso di libri,

Dimostrare che fra esse vi è una similitudine, di cui si chiedono

• si sostituiscono ed nell’equazione del fascio ottenendo le equazioni delle rette tangenti equazione della retta tangente nel punto dell’iperbole: formula di

Tutoraggio Analisi

Appena arrivato a destinazione presi il mio zainetto che conteneva tanti oggetti, infatti c’erano la merenda, il taccuino, la biro, la macchina fotografica ed una

La colonna int./TRK indica gli integrali dei soli dati sperimentali diviso per il valore della TRK corrispondente a ciascun nucleo, le altre i valori degli integrali