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L’équipe è un particolare lavoro di gruppo, perché fondamentalmente il lavoro di gruppo rappresenta il metodo operativo più utilizzato all’interno di aziende o strutture residenziali. Negli anni 70’ però, con i cambiamenti avvenuti all’interno dei servizi e nella loro organizzazione, in particolare con l’introduzione di nuove figure professionali, si inizia a parlare di lavoro in gruppo ovvero di équipe.

Già Lewin negli anni 50’ affermava che: “il gruppo è qualcosa di più o, per meglio dire, qualcosa di diverso, dalla somma dei suoi membri: ha struttura propria, fini peculiari e relazioni particolari con altri gruppi. Quel che ne costituisce l’essenza non è la somiglianza o dissomiglianza riscontrabile tra i suoi membri, bensì la loro interdipendenza. Il gruppo può definirsi come totalità dinamica. Ciò significa che un cambiamento di stato di una sua parte, o frazione qualsiasi, interessa lo stato di tutte le altre” (Lewin, 1951).

Lewin per certi versi aveva anticipato quella che fondamentalmente era la Teoria Generale dei Sistemi secondo cui: “Ogni cambiamento in una piccola parte del sistema, influenzerà il cambiamento di tutto il sistema”.

Il lavoro all’interno dei servizi psichiatrici non può essere svolto se non dentro un’équipe in cui si dovrà trovare un punto di incontro tra le diverse professionalità, si dovrà creare un’area di condivisione ed accettazione.

Il lavoro di gruppo è un mezzo efficace e dinamico attraverso cui le diverse figure professionali si coordinano per lavorare meglio e per raggiungere gli obiettivi prefissati, mantenendo ciascuno il proprio ruolo e le proprie funzioni; il lavoro di gruppo consente di confrontarsi consapevolmente attorno a temi o problemi specifici per poterli affrontare ed

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analizzare arricchendoli ciascuno con il proprio punto di vista, con le proprie esperienze e competenze43.

L’assistente sociale oltre a partecipare a tantissimi gruppi istituzionali, viene a contatto con tanti altri gruppi, sia di utenti con i loro problemi e bisogni da affrontare in maniera coordinata secondo il principio di autodeterminazione e della partecipazione consapevole e condivisa ai progetti di aiuto, sia con gli operatori per il perseguimento di obiettivi di prevenzione, informazione, di ricerca, di studio e condivisione.

Per poter lavorare positivamente nei gruppi e con i gruppi è importante mantenere alcuni atteggiamenti quali: il rispetto per gli altri, l’attenzione ai sentimenti altrui, la convinzione che dietro a qualunque cosa la persona faccia c’è sempre un motivo, la consapevolezza che le altre persone possano avere esigenze diverse dalle nostre, incoraggiare alla partecipazione i timidi, la convinzione che ognuno porta con sé un bagaglio culturale esito di altre esperienze44.

Il lavoro all’interno di équipe interdisciplinari consente l’attivazione di maggiori risorse per l’attuazione degli interventi di aiuto, favorendo una visione più ampia dei fatti e dell’osservazione del caso.

Affinché possa realizzarsi un buon lavoro di équipe, soprattutto all’interno dei servizi di salute mentale che sono servizi complessi in cui si richiede una certa stabilità e serenità lavorativa, bisogna tenere in considerazione la qualità della vita lavorativa prendendo in considerazione sia la qualità del lavoro che la qualità del rapporto fra lavoro e vita.

Per quanto riguarda la qualità del lavoro si prende in considerazione la dimensione economica, della complessità, dell’autonomia, del controllo e simbolica45.

La dimensione economica riguarda la possibilità di soddisfacimento dei bisogni ovvero, si riferisce concretamente alla retribuzione ed al reddito da lavoro che, oltre a garantire una reale fonte di mantenimento, rappresenta una fonte di sicurezza quindi, quanto più è sicura e gratificante tanto più rappresenta una fonte di serenità per il lavoratore che così è in grado di dedicarsi al lavoro e supportare progetti di lungo e medio termine.

La dimensione ergonomica riguarda il benessere psico-fisico-sociale del lavoratore e prende in considerazione il tempo, quindi orario, ferie, lo spazio ovvero la possibilità di personalizzare il proprio posto di lavoro, l’ambiente fisico di lavoro e le condizioni igienico-ambientali, l’ambiente sociale quindi, la cooperazione, la fiducia o la conflittualità tra i colleghi, gli strumenti ed i materiali messi a disposizione per lavorare.

43 A. Bartolomei, A.L. Passera, L’assistente sociale, Cierre, Roma, V edizione. 44 Ivi, p. 217.

45 G. Gosetti, Qualità della vita lavorativa nelle organizzazioni complesse. Il caso dei servizi di salute mentale, Franco Angeli, Milano, 2016, p.31.

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La dimensione della complessità si riferisce proprio alla varietà di compiti da svolgere nell’ambiente di lavoro e alla possibilità di crescita personale e professionale.

La dimensione dell’autonomia riguarda il bisogno di discrezionalità del lavoro e la possibilità di autodeterminarsi; la dimensione dell’autonomia è comunque fortemente legata a quella del controllo, poiché comunque il lavoratore deve poter intervenire ed influenzare eventuali processi decisionali venendo coinvolto e partecipando soprattutto nelle strutture in cui, come i servizi di salute mentale, opera un’équipe multiprofessionale.

In merito alla qualità della relazione fra lavoro e vita, questa è determinata dall’organizzazione lavorativa che deve coincidere e favorire quella familiare.

Da studi e analisi effettuate in merito si vince che la soddisfazione per il lavoro, per l’ambiente lavorativo è comunque elevata invece, cala in merito alla sicurezza ed alla retribuzione ovvero un insufficiente riconoscimento economico del lavoro svolto, in questo caso però bisognerebbe tenere in considerazione numerose variabili, in linea di massima certamente si può affermare che una buona riuscita lavorativa deve tenere in considerazione tutte queste dimensioni.

Nel lavoro sociale si possono distinguere diversi tipi di gruppo, quali gruppi terapeutici, di sostegno, di discussione, di formazione, di prevenzione, si parla inoltre di lavoro con i gruppi quando si deve perseguire un obiettivo comune ma i partecipanti devono comunque mantenere una certa distanza emotiva e lavoro in gruppo quando si prevede un maggiore coinvolgimento.

L’assistente sociale deve sempre programmare il lavoro sulla base di un progetto specifico definendone gli obiettivi, deve darsi e dare dei tempi per il raggiungimento di quest’ultimo e garantire delle verifiche e delle valutazioni con il proprio gruppo, documentandone ed evidenziandone i momenti salienti.

È chiaro che, all’interno dei servizi psichiatrici, le difficoltà sono parecchie perché i gruppi non si scelgono per affinità, ma semplicemente si trovano a lavorare nello stesso contesto lavorativo, appartenenti ad aree di studio diverse, vi è lo psicologo, il pedagogista, l’assistente sociale, lo psichiatra, l’educatore, l’animatore, l’ausiliario, insomma convergono professionalità vecchie e nuove aumentando la confusione tra i ruoli ed ognuno deve mettere in campo le proprie risorse.

Vi sono comunque funzioni comuni a tutti gli operatori. Innanzi tutto, è necessario che gli operatori, nell’occasione di primo contatto con il paziente, siano in grado di coglierne i segnali, le esigenze ed i bisogni in modo da poter rispondere prontamente e garantire una graduale integrazione di quest’ultimo. Vi sono infatti pazienti che al primo incontro si mostrano chiusi, introversi e chiedono esclusivamente l’essenziale ovvero, un letto, un bagno, qualcosa di cui cibarsi e nient’altro, chiedono in maniera esplicita di veder rispettata la propria intimità e

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riservatezza; vi sono altri pazienti che invece si mostrano aperti, che possibilmente hanno già vissuto un’esperienza del genere e quindi sanno a cosa vanno incontro e si mostrano subito pronti a pendere parte alle attività e ai laboratori del servizio.

Riconoscere tutto questo è importante per commisurare il tipo di intervento.

All’interno dell’équipe psichiatrica ci sono inoltre miti che bisogna sfatare, ad esempio che l’assistente sociale sia abilitato a curare l’ansia o l’aggressività questo, invece, è un compito del terapeuta, non mancano certamente occasioni in cui d’istinto si provi ad improvvisarsi psicologi, ma affinché un’équipe possa ritenersi veramente valida è indispensabile per un proficuo lavoro di équipe non varcare la sfera di competenza degli altri operatori. L’assistente sociale inoltre, nonostante abbia possibilmente una buona conoscenza delle caratteristiche e delle funzione dei farmaci, non deve mai ritenersi competente in questo ambito, ma deve sempre chiedere un consulto al medico e all’infermiere presenti nella struttura. Questi accorgimenti sono fondamentali non solo per un corretto lavoro d’équipe, ma anche funzionali per il paziente stesso che in questo modo saprà a chi rivolgere le proprie richieste, rispettando così la divisione dei ruoli in base alle sue esigenze.

All’interno di un’équipe psichiatrica, l’assistente sociale, deve saper fare una buona diagnosi sociale rispettando la gradualità degli interventi in base all’obiettivo prefissato, saper controllare l’ansia o la paura del paziente e quindi rassicurarlo in merito al progetto personalizzato concordato anche insieme a lui ed infine porsi come coordinatrice di un progetto terapeutico che coinvolge gli altri ruoli professionali, porsi come figura di riferimento per favorire l’evoluzione del programma; l’assistente sociale non è l’unico che potrebbe essere il coordinatore del progetto, ma tendenzialmente rappresenta colui che ha più dimestichezza con l’attività di rete e dovrebbe concretamente stilare il calendario delle riunioni, redigerne il verbale, e la verifica dell’attuazione del piano terapeutico evidenziando eventuali incongruenze che spesso derivano da problematiche e difficoltà che il gruppo stesso incontra e quindi, in alcuni casi, riconoscere la necessità della presenza di un eventuale supervisore.

Un’équipe ben integrata, con una buona disponibilità alla collaborazione con i colleghi è quindi la premessa per favorire l’inclusione dell’utente.

L’integrazione si realizza veramente quando i componenti dell’équipe sono concretamente disponibili a confrontarsi su aspetti che riguardano l’utente, sono aperti e disponibili a discutere le varie possibilità di intervento ed è fondamentale che questo approccio continui e perduri nel tempo poiché, i bisogni del paziente cambiano e si evolvono e devono cambiare le risposte anche da parte dell’équipe che deve saperli riconoscere.

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All’interno dell’équipe bisogna imparare a porsi come professionisti che, per compiere un intervento e procedere, necessitano di informazioni preliminari e facilitare l’integrazione dell’équipe attraverso la discussione dei dati ritenuti più importanti e rilevanti per il caso.

L’équipe può servirsi della cosiddetta scheda sociale o scheda del paziente in cui vengono annotati dati oggettivi e soggettivi del paziente, la motivazione della richiesta d’intervento ed i vissuti ad essa correlati; la compilazione della scheda comporta anche la raccolta di informazioni che derivano da altri soggetti o servizi che sono entrati in contatto con il paziente poiché, è materialmente impossibile, raccogliere una certa mole di informazioni solo con i primi colloqui inoltre, la scheda va costantemente aggiornata.

Negli ultimi anni gli operatori parlano sempre più di reti sociali riferendosi sia al modo di lavorare in équipe, sia alla capacità di fare rete con la realtà esterna.

Le reti sociali sono quell’insieme di risposte e/o risorse umane ed istituzionali che si “legano” con rapporti o relazioni stabili in funzione del percorso di aiuto46.

Si può parlare di reti sociali primarie quindi riferite alla famiglia, al vicinato, alle amicizie e reti secondarie ovvero reti artificiali o che riguardano la sfera informale come la comunità, l’associazionismo, il volontariato o formale come le istituzioni; posso inoltre designare le realtà intra ed extra familiari che svolgono funzione di supporto e sostegno.

La conoscenza delle reti sociali formali ed informali sono di fondamentale importanza per l’assistente sociale che deve mettere in atto interventi di sostegno e aiuto.

Il lavoro di rete quindi, costituisce l’insieme di interventi finalizzati a legare fra loro persone, gruppi o istituzioni tramite connessioni di significative relazioni interpersonali in funzione del miglioramento della qualità della vita dei singoli e della comunità47.

L’interesse per le reti sociali e il loro riconoscimento nasce dal fatto che sempre più ci si rende conto che non sempre determinati comportamenti sociali sono comprensibili a partire dalle caratteristiche individuali dei soggetti e che ad esempio, la famiglia, deve rappresentare il fulcro che consente al soggetto di muoversi tra rete primaria e secondaria e come tale va presa in considerazione; dai colloqui effettuati con gli utenti si può evincere che questi spontaneamente parlano di un numero considerevole di persone e che quindi vivono all’interno di una rete in cui, se si effettuano dei cambiamenti questi possono avere un riscontro positivo nel migliorare il loro benessere.

Studiosi come Rousseau e Brodeur hanno osservato che nella realtà sociale possono esservi due movimenti: uno che va dall’individuo al collettivo ed uno che va dalla dipendenza alla

46A. Bartolomei, A.L. Passera, L’assistente sociale, Cierre, Roma, V Edizione, p.221. 47 Ivi, p.225.

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autonomia48. Chiaramente quando un individuo presenta un problema o delle difficoltà

condivide il suo bisogno ed il suo problema con la rete che va quindi dall’individuo al collettivo e di questo collettivo fanno certamente parte la famiglia, gli amici, i compagni o i colleghi di lavoro, tutte quelle persone vicine al soggetto che inizialmente condividono il problema e poi, qualora questo non riesce a risolversi, fanno ricorso alle reti formali in modo mirato e dopo un’attenta valutazione. Vi sono casi in cui però l’utente si rivolge a servizi che non prendono in carico una domanda collettiva, ma che lavorano individualmente con l’utente ed il suo bisogno, dando delle risposte mirate che, paradossalmente, non prendono in carico il reale problema e quindi danno un sostegno che si basa esclusivamente su ciò che loro possono offrire e, non andando incontro alle reali esigente di quest’ultimo, ecco così che vi sono casi in cui l’utente è costretto ad adattarsi al servizio offerto.

All’interno dei servizi di salute mentale, l’assistente sociale, esplora le reti dei pazienti psichiatrici, considerandole un valido aiuto ed un valido modo per poter esplorare veramente il contesto di vita della persona, individuando le criticità che avrebbero potuto scatenare il problema e le risorse che possono essere attivate per la risoluzione di quest’ultimo.

L’assistente sociale quindi, in un primo momento, individua le reti presenti nel contesto di vita del paziente, poi esplora le reti primarie ovvero famiglia, amici, vicinato, lavoro verificando i legami esistenti e le funzioni svolte da ogni singolo membro ed infine osserva il rapporto esistente tra reti primarie e secondarie ovvero la modalità con cui le reti primarie si sono rivolte alle secondarie, che tipo di rapporto si è instaurato e se le risposte sono andate nella direzione della dipendenza o dell’autonomia.

Nell’analisi delle reti l’assistente sociale si serve di indicatori quali, l’ampiezza ovvero il numero di persone presenti, la densità come quantità di persone che si conoscono fra loro in modo da individuare figure capaci e disponibili all’aiuto, l’intensità ovvero l’analisi delle cose concrete od intime che le persone delle reti condividono, l’età dei rapporti ovvero da quanti anni si conoscono, il tipo di scambi e di supporto che viene dato e ricevuto e che effetti hanno sui singoli membri, è stato più volte evidenziato che in relazione all’insorgere dei disturbi psichici e alla loro evoluzione, l’avere una rete ad alta densità ed in grado di tollerare il disturbo comporta un rallentamento nell’evoluzione o peggioramento di quest’ultimo, viceversa l’impoverimento della vita relazionale accompagna i disturbi psichiatrici maggiori.

Le risorse informali inoltre svolgono una funzione preventiva e protettiva rispetto alla malattia, invece, l’assenza attorno al soggetto di un ambito sociale in grado di sostenerlo, determina un aumento della vulnerabilità ed una incapacità a sviluppare comportamenti positivi nei confronti della salute e dei servizi.

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Tutto questo consente all’assistente sociale di individuare una rete centrata sui servizi, la rete centrata sulla famiglia e la rete con allargamento su amicizia e vicinato49.

Qualora si individui una rete centrata sui servizi ci si trova solitamente di fronte ad un paziente grave con rapporti conflittuali con la rete primaria per cui, l’unico punto di riferimento è il servizio; il paziente solitamente è ricoverato ed in situazioni del genere può crearsi un rapporto di dipendenza con la rete, da cui il paziente non si aspetta solo sostegno materiale, ma anche affettivo, ovvero, tutto ciò che la famiglia non è in grado di dare, quindi il rischio è di cronicizzazione e dipendenza, per cui compito dell’operatore sociale è consolidare la rete primaria e creare dei canali di apertura affinché questa possa riappropriarsi del proprio ruolo.

Nella rete centrata sulla famiglia il paziente ha come unico punto di riferimento quest’ultima che, sembra rispondere alle sue richieste di sostegno, ma si constata un certo isolamento sociale e questo non è certamente positivo, questo tipo di rete fa ricorso ai servizi di salute mentale solo in casi di estrema necessità considerandoli come ultima spiaggia. Questi fattori possono aggravare la patologia psichiatrica ed aumentare l’isolamento quindi, l’operatore, deve cercare di allargare la rete, creare nuovi punti di accesso e favorire l’acquisizione di fiducia da parte di questi soggetti nei confronti del servizio.

La rete allargata rappresenta una minoranza ed in questo caso il paziente tendenzialmente soffre di una patologia lieve e non trovando sostegno nella famiglia si rivolge alla rete amicale trovando in essa ciò che gli manca, chiaramente i rapporti sono instabili e temporanei per cui il servizio deve favorire la nascita di rapporti solidi e stabili ovvero con una rete che ci sia sempre e non solo nei casi di estrema necessità.

In ambito psichiatrico è quindi di fondamentale importanza prendere in considerazione le reti sociali in cui il soggetto è inserito, poiché rappresentano un fattore cruciale nel trattamento.

A fare da sfondo al lavoro di rete vi è certamente il lavoro in rete ovvero, tutte quelle azioni di coordinamento tra i servizi e professionisti, per potersi confrontare ed adottare delle decisioni, per prevenire situazioni di disagio che possano sfociare in fenomeni di burn-out e riorganizzare i servizi in relazione ad eventuali problemi riscontrati evitando così uno spreco di risorse; l’assistente sociale quindi attiva sinergie e relazioni, connettendo i singoli interventi anche con il territorio, gestendo le reti, coordinando, collegando e mediando le persone coinvolte nel progetto di intervento, rispettando sempre i compiti ed i confini delle altre professionalità, valorizzando l’apporto dei membri dell’equipe50.

49 Ivi, p.252.

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CAPITOLO 3

3. Inclusione sociale dei disabili mentali