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Il caso di Salvatore: Schizofrenia paranoidea

4.5. Casi trattati presso la C.T.A SALUS

4.5.2. Il caso di Salvatore: Schizofrenia paranoidea

Salvatore è nato a San Cataldo in provincia di Enna nel 1968. Nella primissima infanzia, per motivi lavorativi del padre si è trasferito in Germania.

Fu proprio in Germania che iniziò a commettere reati che via via divennero sempre più gravi e fu proprio all’età di 19anni che, in occasione del primo reato, gli venne diagnosticata la Schizofrenia paranoidea75 in concomitanza a fasi di profonda alterazione

della capacità critica e giudizio di realtà, impulsività con aggressività agita eterodiretta con conseguente deriva sociale e relazionale e frequentazione di ambienti criminogeni.

Le condotte suddette hanno motivato svariati ricoveri in ambiente psichiatrico in regime di TSO e internamenti in OPG sia in Germania che in Italia, dai quali ha più volte tentato di evadere. Dall’età dell’esordio pratica una terapia farmacologica con clozapina prescritta da uno specialista psichiatra in Germania, ma l’assume in maniera irregolare e discontinua.

Salvatore durante la sua permanenza in Germania continuava ad avere parecchi attacchi di ira tanto che, un giorno, dopo una discussione animata con il suo datore di lavoro,

74 Il seguente modello di PTI è universale per tutti i casi trattati presso la C.T.A. SALUS per cui resta

invariato anche per il successivo caso.

75“La caratteristica essenziale del tipo paranoide della schizofrenia è la presenza di deliri sistematizzati o

di allucinazioni uditive in assenza di gravi alterazioni del funzionamento cognitivo e dell’affettività. I deliri più frequenti sono di persecuzione o di grandezza, le allucinazioni sono correlate al contenuto dei deliri. Altri sintomi associati sono l’ansietà, collera, distacco, litigiosità. La prognosi per il tipo paranoide può essere migliore rispetto agli altri tipi di schizofrenia, soprattutto per quanto riguarda il funzionamento lavorativo e la capacità di vivere in modo indipendente”. G. Invernizzi, C. Bressi, Psichiatria e psicologia

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lo ha aggredito pesantemente rischiando addirittura di ucciderlo. Il suo datore, vittima dell’aggressione, decide comunque di non denunciare Salvatore.

Dopo svariate vicissitudini Salvatore rientra in Italia con la sua famiglia e si traferiscono a Reggio Emilia. Salvatore è il secondogenito, la sorella più grande si sposa non appena rientrano in Italia, il fratello, invece, è dedito al lavoro, tra tutti i componenti sembra esserci un forte legame affettivo.

Anche in Italia, Salvatore, nonostante continui la terapia che gli era stata prescritta in Germania continua ad avere scatti di ira ed essere irrequieto fin quando un giorno, in pieno centro città, aggredisce un passante pesantemente poiché, a suo dire, lo aveva guardato in modo insistente e provocatorio. Questa volta però viene denunciato per tentato omicidio e a causa anche delle numerose e precedenti segnalazioni, viene internato presso l’OPG di Reggio Emilia, anche qui, dopo aver accertato la presenza di schizofrenia paranoidea, viene prosciolto dal delitto di tentato omicidio, ma continua ad essere sorvegliato e mantenuto in sicurezza.

La famiglia decide di trasferirsi nella propria terra d’origine, in Sicilia, Salvatore così viene trasferito presso la C.T.A. SALUS di Gibellina in libertà vigilata nel 2011 dopo un breve periodo di osservazione presso l’SPD di San Cataldo; all’interno della comunità sembra inserirsi fin da subito adeguandosi alle regole della comunità e assumendo regolarmente la terapia. Purtroppo proprio al momento dell’inserimento in comunità, una notizia sconvolge la famiglia e soprattutto Salvatore, ovvero, il fratello scopre di essere affetto da SLA, di non poter più lavorare di dover essere legato ai respiratori e a macchine che lo terranno in vita fin quando possibile. Questo ulteriore evento sembra far aumentare in Salvatore l’aggressività tutte le volte che rientra a casa invece, l’ambiente della comunità, sembra rassicurarlo.

Salvatore mostra buone capacità di interazione con gli altri ospiti, con gli operatori e con i membri dell’équipe. Fin da subito non ha mai assunto comportamenti oppositivi e aggressivi, accettando ed adeguandosi alle regole della Comunità, aderendo alla terapia psicofarmacologica e non trasgredendo le prescrizioni dettate dall’ordinanza.

Salvatore è una persona molto meticolosa, attenta all’ordine e alla cura personale, presenta buone capacità cognitive tanto da essere idoneo alla partecipazione di un progetto di riabilitazione psico-sociale in accordo con gli obiettivi della C.T.A. Manifesta fin da subito una forte spinta motivazionale ad aderire al progetto nella prospettiva di un reinserimento nella famiglia di origine alla quale si sente unito da un legame viscerale ed in particolare nel desiderio di vicinanza e supporto affettivo e materiale al fratello minore a cui è stata diagnosticata la SLA.

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Salvatore inizia anche un percorso psicoterapico con la psicologa con colloqui settimanali per la rivisitazione e rielaborazione critica delle proprie esperienze di vita, per l’acquisizione d una maggiore consapevolezza degli errori commessi ed esprimendo quindi la disponibilità ad intraprendere un percorso di aiuto che gli consenta di avviare un reale cambiamento al proprio stile di vita. Salvatore però rimane sempre una persona molto riservata, non ha mai assunto, durante la sua permanenza in Comunità, comportamenti oppositivi o aggressivi che invece hanno caratterizzato la sua storia clinica pregressa. Nonostante partecipi attivamente alle attività riabilitative, se non adeguatamente stimolato e sollecitato tende facilmente ad isolarsi. Utilizza meccanismi difensivi che lo portano a ad operare un controllo quasi ossessivo e maniacale della realtà con la tendenza a ripetere le azioni quotidiane in maniera rituale. Mostra scarsa disponibilità a condividere anche momenti importanti della giornata come ad esempio l’assunzione dei pasti ed all’interno della struttura si è ritagliato un significativo spazio personale dedicandosi in gran parte all’accudimento di alcuni cani, provvedendo alla loro cura, alimentazione e pulizia.

Partecipa attivamente ai colloqui di sostegno con la psicologa ed ha intrapreso un percorso di tipo clinico di gruppo che ha come obiettivi, oltre alla rivisitazione critica delle proprie esperienze di vita nel confronto con quelle degli altri e all’acquisizione di una maggiore consapevolezza di sé, anche il superamento delle notevoli resistenze al cambiamento attraverso una maggiore apertura alla relazione con l’altro.

Unici elementi fortemente negativi che Salvatore ha messo in atto negli anni di permanenza presso la CTA, sono stati due allontanamenti arbitrari messi in atto nell’ottobre 2013 e 2014 sempre nelle stesse giornate; in entrambe le occasioni il gesto è stato del tutto inaspettato considerato che il paziente nei giorni precedenti non aveva mostrato alcun segno di malessere o instabilità.

Al suo rientro tramite i colloqui effettuati dall’assistente sociale e dalla psicologa si è cercato di approfondire i motivi che avevano spinto Salvatore a violare le prescrizioni della libertà vigilata; dai colloqui è emerso che si è trattato di un gesto impulsivo, imprevedibile e non premeditato determinato dall’ansia e dalla paura per l’approssimarsi della data di scadenza della misura, della fissazione dell’udienza e quindi della possibilità di lasciare la Comunità per riavvicinarsi al suo contesto di origine, considerati i miglioramenti e la voglia dei familiari di riaverlo a casa poiché avrebbe potuto essere d’aiuto per i genitori anziani nell’accudimento del fratello affetto da SLA.

Salvatore così manifesta più volte di non essere pronto per un eventuale rientro a casa, nonostante i miglioramenti e il suo attaccamento viscerale alla famiglia, ma l’ultimo episodio che ha colpito il fratello sembra aver trasformato quell’ambiente che per lui fino a

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quel momento sembrava idilliaco; così tutta l’équipe della CTA considerando le sue esigenze e che potrebbe avere una recessione una volta rientrato a casa, rispetta le sue scelta continuando a lavorare sulla maggiore acquisizione di consapevolezza, autonomia e acquisizione di responsabilità per un rientro futuro più maturo.

VALUTAZIONE DEL CASO, RIFLESSIONI ED INTERVENTI

Anche nel seguente caso la valutazione ha attraversato più fasi, da quella iniziale quando Salvatore è entrato in Comunità a quelle in itinere per la valutazione del raggiungimento degli obiettivi e per le continue valutazioni sulla sua pericolosità sociale e per la preparazione della valutazione finale che consentirà l’elaborazione del progetto di dimissioni.

Il caso di Salvatore ha impegnato molto l’équipe della comunità, non tanto per l’elaborazione del PTI inerente la sua patologia, ma perché si è comunque dovuta misurare con una realtà “nuova” ovvero, la misura alternativa alla pena e la libertà vigilata di un paziente76.

Le misure alternative alla pena permettono di eliminare la divisione tra carcere e società libera e sono:

- Affidamento in prova al servizio sociale; - Detenzione domiciliare;

- Misure alternative alla detenzione nei confronti di soggetti affetti da aids conclamata o da grave deficienza immunitaria;

- Misura alternativa relativa al regime di semilibertà, - Liberazione anticipata77

L’assistente sociale ha così, nel caso specifico, mantenuto i contatti non solo con il DSM di residenza di Salvatore e con L’SPD in cui era stato prima di essere trasferito in CTA, ma anche con l’ufficio di esecuzione penale esterna U.E.P.E78 e con il Tribunale di

Sorveglianza che aveva deciso le prescrizioni per Salvatore, il quale, se le contravveniva, incorreva nella sospensione della misura tornando a scontare la pena in carcere. La misura

76 La legge 26 Luglio n. 354 “norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative

della realtà” che cerca di rispondere al principio dell’umanizzazione della pena detentiva e difendere i diritti del recluso e facilitarne i contatti con il mondo esterno.

77 I. Bartolini, Trapani, l’ultima provincia? Franco Angeli, Milano, 2008, p.161.

78 Ufficio deputato all’aiuto e al controllo del soggetto che deve espiare una pena all’esterno del carcere.

Struttura autonoma dipendente dal Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (D.A.P).

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alternativa alla pena incide certamente come deterrente grazie alla sua capacità risocializzante permettendo al soggetto di crearsi un futuro non deviante.

Salvatore, come esposto prima, ha avuto sempre la tendenza ad isolarsi in comunità, a crearsi degli spazi propri, manifestava l’esigenza di costruire una propria realtà ed un proprio ambiente di vita all’interno della comunità ed in virtù di questo fondamentali sono stati i colloqui svolti con la psicologa e l’assistente sociale. Gli obiettivi prefissati nel PTI di Salvatore riguardavano quindi non tanto il raggiungimento di autonomia che invece è molto presente, quanto più che altro la socializzazione e la possibilità di schiudersi. Le attività stabilite per una buona riabilitazione, scelti per Salvatore, riguardavano principalmente attività di giardinaggio e quindi cura degli ambienti esterni alla comunità, lavoro di falegnameria o di ristrutturazione di oggetti e mobili presenti all’interno della comunità. Salvatore durante le occasioni di eventi che coinvolgevano anche la comunità territoriale, quali il Carnevale o la realizzazione del progetto la Corrida, si occupava principalmente di allestire i locali e di preparare tutte le strutture e gli strumenti necessari, non partecipava mai in prima linea, non amava stare al centro dell’attenzione e quindi si cercava comunque di renderlo partecipe per tutto ciò che riguardava il “dietro le quinte”.

L’assistente sociale ha quindi cercato da un lato di andare incontro ai suoi interessi ed attitudini e dall’altro di favorire la condivisione e socializzazione.

Si sta ancora lavorando su questi elementi di debolezza ovvero, l’incapacità ad integrarsi veramente nel contesto comunitario o in tutte quelle occasioni che prevedono la partecipazione attiva dei pazienti e la rielaborazione della possibilità di avvicinarsi al suo contesto di vita e alla famiglia, di cui pian piano Salvatore sembra prendere consapevolezza, ma non è ancora pronto. Salvatore è attualmente ospite della CTA SALUS di Gibellina.

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CONCLUSIONI

L’intento della mia tesi è stato quello di affrontare lo studio di una realtà che in passato fu martoriata, la realtà di chi era affetto da patologie mentali e ha vissuto questa condizione come una colpa, rilegato tra le mura dei manicomi.

Alla luce degli studi effettuati e alle ricerche da me portate avanti sul tema scelto, si possono denotare una serie di cambiamenti rispetto al passato certamente positivi, ma anche aspetti ancora lasciati aperti ed irrisolti.

Il cambiamento sicuramente più visibile è costituito dall’aumento della visibilità del fenomeno e dall’incremento degli studi e delle sperimentazioni innovative per il recupero di soggetti affetti da disturbi di natura psichiatrica. Più nello specifico, si è passati dall’accezione di “folle” e “pazzo” e quindi dal vivere questa condizione come una colpa da estinguere attraverso le punizioni, al considerare il folle un soggetto affetto da una malattia mentale da curare, attraverso l’uso di psicoterapia e farmaci ed, infine, alle analisi contemporanee, in cui il disabile mentale viene considerato come persona con una sua centralità, con una sua storia insita di relazioni e con una dignità da rispettare.

Oggi si parla di disabilità psichica come un disturbo nell’espletamento di quei ruoli sociali che ci si aspetti vengano svolti e quindi si interviene sia nell’ambito biologico che psicologico e sociale.

Si è certamente consapevoli, rispetto al passato, che non bisogna intervenire esclusivamente non appena il problema si presenta, ma che si può e si deve provare e soprattutto mettere in pratica la prevenzione. Quest’ultima, alla luce delle mie ricerche e della mia esperienza, presenta ancora importanti carenze, poiché mancano gli strumenti per fare concretamente prevenzione, in particolare modo quella primaria; mancano le risorse che consentono di essere particolarmente sensibili al tema, soprattutto nel contesto meridionale dove io ho condotto la mia esperienza.

Attualmente bisogna riflettere, diversamente dal passato, sul fatto che il paziente, con la sua patologia, è solo la punta dell’iceberg e che la sua malattia riflette anche le difficoltà relazionali in famiglia o nel suo ambiente di vita in genere. Bisogna riflettere di più sul sistema di valori e sui conflitti interni alla famiglia e sul sistema comunicativo, bisogna sforzarsi di più ad attuare un modello di intervento integrato.

Un’integrazione che riguarda non solo il contesto di vita del soggetto, ma anche i servizi e le istituzioni; alla luce degli aspetti considerati nel presente lavoro e legati all’integrazione socio-sanitaria, sappiamo che, in un primo momento, venne regolamentato l’ambito della sanità con la legge 833/78 e poi, in un secondo momento, l’ambito sociale con

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la Legge quadro 328/00. Questo ha fatto sì che, per lunghi anni, l’ambito sanitario continuasse a prevalere e, nonostante si sia poi riconosciuta l’importanza del settore sociale e l’esigenza di operare insieme nell’ottica della gestione unitaria del caso e nella stretta collaborazione, oggi continuano ad esservi parecchi tasselli mancanti. Proprio queste carenze hanno delle conseguenze negative, come nel caso della prevenzione e nella incapacità di intervenire prima che si giunga alla cronicizzazione. Un esempio lampante ne è la mancata definizione del contenuto effettivo dei LIVEAS in cui vengono definiti solo in linea generale misure idonee e gli interventi previsti per cui, di conseguenza, il soggetto pubblico non si sente obbligato a fornire le prestazioni.

Connesso anche a questo vi è il fatto che le figure sanitarie, quali medici ed infermieri, sono state quelle che per lunghi periodi furono preposte in via quasi esclusiva alla cura e riabilitazione del malato. Fu solo negli anni ’50 e ‘60 che la figura dell’assistente sociale venne riconosciuta all’interno di questi servizi, per poi essere ufficialmente sancita nel 1978 ed ebbe riconoscimento giuridico solo nel 1987. Ecco ancora le attuali difficoltà nel riconoscere la validità e la funzionalità di questa professione, anche con i disabili mentali, figura che, grazie agli strumenti quali, colloqui e visite domiciliari, ma soprattutto grazie alla sua capacità di fare rete sia all’interno dei servizi che all’esterno, risulta fondamentale nell’ottica di una corretta e concreta riabilitazione dei pazienti psichiatrici. Il servizio sociale inserito nel contesto dei servizi di salute mentale costruisce un ponte che consente di connettere il servizio di cura con il servizio di comunità.

Un traguardo certamente raggiunto negli ultimi anni, soprattutto dopo la riforma del 78’, è stata la volontarietà dei ricoveri, aspetto indispensabile perché, se si considera che il paziente si può rivolgere direttamente al CSM o a questo tramite il suo medico curante, ciò vuol dire che la sensibilità del tema ha toccato e raggiunto un po’ tutti, ma soprattutto il fatto che si crede fortemente alla possibilità di recupero. L’esperienza dell’associazione Alba di Pisa che ho riportato nella mia tesi ne è esempio lampante; associazione che nasce tramite i gruppi di auto aiuto e che consente a chi ne entra a far parte di diventare poi una guida o, come loro stessi definiscono, un facilitatore sociale, che avendo vissuto sulla sua pelle tutte le difficoltà inerenti la malattia può, poi, essere una guida ed un esempio concreto per gli altri.

Ciò consente di fare una riflessione su come siano positivamente cambiate anche le attività di riabilitazione rispetto al passato, che non sono più rivolte solamente al recupero esclusivo del paziente, ma a garantire una sua connessione con la comunità in cui poi, si auspica, debba ritornare.

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Facendo riferimento proprio alle attività svolte dai pazienti della C.T.A. SALUS sono state numerose le attività rivolte a favorire i contatti tra comunità assistita e comunità territoriale. Sulla base delle mie osservazioni e delle mie valutazioni si può confermare quanto effettivamente abbiano contribuito a creare una crasi tra il territorio della provincia trapanese e la realtà dei disabili mentali della comunità; è un dato di fatto che i pazienti della C.T.A. SALUS vengano considerati ormai facenti parte del territorio e questo ci rimanda a riflettere su un altro espetto di cambiamento positivo rispetto al passato, ovvero, in precedenza le case di internamento o i manicomi erano collocati fuori dai centri abitati e lontano dalla gente comune e “normale” che ne aveva paura, adesso, invece, le strutture residenziali sono in pieno centro abitato proprio per favorirne l’integrazione.

Riporto a tal proposito un passo già citato all’interno della tesi “non è più la società che deve essere salvaguardata dalla follia, ma è il malato che deve essere salvaguardato dai danni che la società eventualmente gli rimanda”. L’importanza oggi dedicata anche all’inclusione lavorativa dei pazienti con patologie mentali è un’altra bellissima faccia della medaglia, l’obiettivo dovrebbe essere diffondere l’idea che l’individuo non dovrebbe più dipendere in senso stretto, dal sistema assistenziale, ma attraverso l’incentivazione e la partecipazione, diventare parte attiva della società inseguendo l’obiettivo della piena autonomia. L’aver preso contatto con l’associazione Alba e l’aver conosciuto i ristoranti ed i lidi balneari da loro gestiti, mi ha certamente fatta riflettere su un aspetto dolente, che è il divario tra Nord e Sud. I pazienti con cui ho avuto a che fare all’interno della C.T.A. SALUS e rimando, al tal proposito, al caso trattato nella mia tesi, il caso di Rosalia, erano spesso desiderosi di trovare lavoro e a volte ce ne erano le condizioni, ma concretamente mancavano le risorse territoriali non solo per questa fascia di popolazione, ma in genere, al Sud la difficoltà nel realizzare progetti del genere è certamente maggiore. Riuscire a lasciare qualcosa di solido su cui contare una volta usciti dalla comunità, come il lavoro che acquista a tutti gli effetti una veste terapeutica, è davvero difficile. Questa criticità non aiuta a mantenere i risultati raggiunti, a meno che, come nel caso di Rosalia, ci si debba accontentare di lavori precari e saltuari. Mi preme comunque sottolineare che un numero crescente di persone non si fanno più condizionare dall’iter di vita di un soggetto che è un ex paziente psichiatrico, riconoscendo la validità del recupero e della riabilitazione, aiutando in maniera indiretta chi in questo settore lotta, affinché questo concretamente si realizzi.

In merito proprio alla C.T.A. SALUS non posso non riflettere su un aspetto per certi versi critico. La C.T.A. SALUS è una struttura privata, ma convenzionata con l’ASP di Trapani, questo fa sì che, tendenzialmente, si sia portati a ragionare ed agire in termini aziendali, più pazienti vi sono meglio è, quindi, c’è il rischio di relegare i pazienti all’interno

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della struttura portandoli alla cronicizzazione e questo denota come spesso, nonostante vi siano gli strumenti, la voglia, la preparazione ed una maggiore sensibilità, i valori ed i principi del servizio sociale o delle figure preposte al recupero dei pazienti psichiatrici,