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Una rilevante conseguenza dell’impatto della malattia mentale sulla dimensione sociale dell’individuo è il suo distacco dalle attività significative, dalle convenzioni e dalle regole significative della comunità, dando vita al fenomeno dell’esclusione sociale.

Da alcune ricerche sociali è stato possibile delineare diverse accezioni di inclusione ed esclusione sociale.

Vi è un tipo di inclusione ed esclusione sociale che ha implicazione direttamente sul piano dei diritti dei cittadini che dipendono dalla disponibilità dei servizi a far accedere coloro i quali avrebbero diritto ad usufruirne e garantendo l’aiuto necessario in diversi settori quali l’occupazione, l’alloggio, la sanità, l’istruzione e così via; un altro tipo di inclusione ed esclusione sociale, ha ripercussione direttamente sui professionisti dei servizi, riferendosi quindi alla condivisione dei valori, alla condivisione e coesione frutto dell’appartenenza a quel gruppo e a quel servizio51.

Le politiche di salute mentale, oltre a favorire l’accesso ai servizi, devono anche indirizzare gli interventi volti all’inclusione e al recovery, dimensioni fortemente interdipendenti fra di loro. Entrambi sono concetti cardine per la salute mentale che deve incorporarli per rispondere concretamente ai bisogni delle persone con malattia mentale, le quali non vogliono soltanto essere visti come utenti che usufruiscono servizi, ma richiedono anche informazioni, sostegno per il recupero di ruoli sociali e nella quotidianità.

Il recovery, inteso come la ricostruzione di una vita oltre e nonostante la malattia52 è

strettamente connesso all’inclusione sociale, per cui, si pone l’obiettivo di favorire il contatto e le relazioni positive con altre persone al di fuori degli utenti e dell’équipe multiprofessionale, favorendo quindi la possibilità di diventare dei validi membri della comunità di cui si fa parte.

Si può quindi parlare di personal recovery che non prevede obbligatoriamente il ritorno allo stato precedente la malattia, ma il mantenimento del nuovo modo di vivere e delle abilità acquisite cercando di superare il trauma della malattia e dei trattamenti che

51 P. Carozza, Dalla centralità dei servizi alla centralità della persona. L’esperienza di cambiamento di un dipartimento di salute mentale. Franco Angeli, Milano, 2014.

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hanno favorito la perdita di capacità ed impedito l’opportunità di accedere ad attività che hanno un significato importante per la vita del soggetto.

Gli operatori devono quindi avere la capacità favorire la trasmissione e l’elaborazione della possibilità di guarigione o miglioramento all’interno di un processo terapeutico che consenta al paziente di sbagliare ed imparare dai propri errori, che si basi non solo sulla cura della malattia, ma soprattutto sulla possibilità di vivere la propria vita, garantendogli il diritto ad una piena cittadinanza.

Essere in recovery significa quindi riuscire a gestire la malattia continuando a seguire i propri sogni e obiettivi, costruirsi una vita dignitosa e sicura nella comunità in cui si decide di vivere, continuare ad occuparsi delle conseguenze dei disturbi derivanti dalla malattia mentale53.

Durante questa fase, si sottolinea certamente, la capacità degli operatori di “stare accanto” e di fare sentire la loro presenza durante le fasi di ripresa, ma anche nella fasi successive in cui dovranno emergere rapporti di reciprocità e parità percepiti come meno tutelanti, favorendo un sé competente e dotato di più autonomia.

Da ciò emerge quanto l’esclusione sociale, intesa come incapacità dei soggetti di partecipare alla vita economica, culturale e sociale della loro comunità rappresenta un problema assolutamente rilevante che se non corretto e attutito rappresenta un fattore di peggioramento della disabilità.

Le persone con malattia mentale sono tra i gruppi più marginalizzati nella nostra società sia per la mancanza di risorse, sia per l’incapacità di partecipare ad attività produttive e socialmente importanti quali il lavoro e l’istruzione. In virtù di questo, l’aumento della partecipazione dei disabili psichiatrici alla vita comunitaria, dovrebbe essere uno degli obiettivi principali di tutta la salute mentale e degli operatori sanitari e sociali che di questo si occupano.

Individuare e capire l’effetto devastante che l’esclusione sociale ha sugli utenti dovrebbe favorire lo sviluppo di servizi che aiutino le persone a rientrare nel loro ambiente di vita e non rimanere rilegati nelle varie strutture sanitarie e sociali sforzandosi di favorire il riavvicinamento alle loro residenze abituali.

È fondamentale riconoscere e comprendere i sentimenti di disagio e vergogna causati dalla discriminazione, e favorire il processo di traslazione di una percezione negativa in positiva o quanto meno essere superata, individuando strategie per l’acquisizione di abilità

53 R. Barone, S. Bruscetta, M. D’Alema, L’inclusione sociale e lavorativa in salute mentale, Franco

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specifiche; bisogna sforzarsi affinché si consenta l’accesso degli utenti ai gruppi sociali e la partecipazione alle attività di comunità.

Un servizio che è veramente in grado di sostenere il processo di recovery promuovendolo, è in grado di sostenere gli utenti a riconoscere le proprie aspirazioni, ad affrontare i problemi di salute mentale, a riconoscere i propri limiti resistendo alle ostilità, ha un approccio positivo verso gli utenti ed è realmente convinto che la discriminazione possa essere contrastata, che le occasioni di coinvolgimento e partecipazione, se lo si vuole, possono essere create e che la cittadinanza possa realmente accogliere le persone con disabilità mentale creando l’occasione di contatto con quest’ultima.

Un professionista nell’area della salute mentale raccoglie informazioni sulle risorse, sui talenti e capacità degli utenti per poterli valorizzare fornendo gli strumenti adatti all’utente per raggiungere i propri obiettivi, coinvolgendo gli utenti nei loro piani di trattamento e potenziando la loro identità.

Tutto ciò presuppone un cambiamento culturale dei servizi che, tenendo sempre in considerazione le cure farmacologiche ed il trattamento psicoterapico, metta al centro le scelte dei pazienti, il sostegno all’empowerment ed i processi di recovery.

Sostenere l’empowerment degli utenti significa consentire una maggiore autonomia nella scelta e la possibilità di controllare gli eventi della loro vita; per favorire questo aspetto, è indispensabile rimuovere le barriere formali ed informali che impediscono questo.

Essere inclusi nella società in cui si vive è vitale per l’empowerment che sta alla base del benessere mentale, a livello individuale, l’empowerment, comprende l’autostima, la partecipazione alle decisioni, la dignità ed il rispetto e ricorrere ad un pensiero positivo che aiuti a superare una visione negativa e pessimista della vita ed infine, l’appartenenza e la partecipazione ad una comunità più ampia54 e quest’ultimo aspetto si connette con

l’empowerment della comunità che comprende appunto il rafforzamento del senso di appartenenza alla comunità, liberando gli individui dal senso di minorità, contrastando i processi di stasi legati all’isolamento e all’esclusione.

Fattori di sviluppo dell’empowerment sociale sono rappresentati dall’interazione tra empowerment “promosso”, “facilitato” e “voluto”: il primo si riferisce alle politiche e normative che riguardano diritti e libertà dei cittadini, ovvero, Legge 180 traslata poi nella Legge 833/78 che istituisce il SSN, Legge 68/99 che definisce le norme per il diritto al lavoro dei disabili e la Legge 6/2004 che istituisce la figura dell’amministratore di sostegno; il secondo pone al centro la comunità in cui si dispiega il servizio di salute mentale in cui si va nella direzione di integrazione tra reti formali e informali; infine l’ultimo ovvero

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l’empowerment voluto fa riferimento alla dimensione personale del soggetto poiché è necessario in primis che la persona voglia e desideri la sua determinazione e autonomia a livello sociale.

Per favorire sia l’empowerment individuale che di comunità, sia il recovery e forme di inclusione sociale, l’obiettivo principale della presa in carico è l’inserimento socio- lavorativo degli utenti.

Le pratiche di inclusione socio-lavorativa maggiormente utilizzate sono le borse lavoro, i tirocini formativi, la cooperazione sociale di tipo B, le fattorie sociali.

In particolare modo le borse-lavoro ed i tirocini sono volti più che altro alla formazione, ma non ad un vero e proprio inserimento lavorativo, consentono la possibilità di relazionarsi con gli altri promuovendo nuove amicizie e contatti, consentono di acquisire nuove competenze, di acquisire nuova fiducia in se stessi, di stimolare la collaborazione con gli altri, ma il limite è che sono a tempo determinato non consentendo mai all’utente di essere veramente immesso nel mercato del lavoro attraverso la forma classica che rimane il contratto di lavoro.

Un’ altra tecnica utilizzata è l’IPS ovvero, il sostegno all’impiego di persone con disturbi mentali gravi che vengono indirizzati all’inserimento diretto nel mondo del lavoro attraverso un sostegno individuale ed una individuazione concreta delle proprie abilità. Questo metodo motiva l’utente, che non viene visto più come un paziente, ma come una persona che, a tutti gli effetti, in base alle proprie preferenze ed ambizioni, può raggiungere buone posizioni sociali che ne sanciscono l’inclusione sociale con numerosi vantaggi in termini di benessere sia per lui che per la famiglia.

L’IPS considera il lavoro come un pilastro portante della recovery della patologia mentale grave ed i principi metodologici della recovery risultano fondamentali per la comprensione del metodo IPS. Alcuni di questi principi sono l’olismo ovvero il fatto che il lavoro dia la possibilità di realizzare un bisogno umano come quello di salute; la responsabilità sul cercare di mantenere il lavoro trovato; il focus sui punti di forza poiché i servizi individuano le risorse e le abilità su cui puntare per favorire il reinserimento degli utenti; il rispetto che permette di sviluppare autostima e sicurezza di sé; empowerment ed autodeterminazione55.

I principi che stanno alla base dell’IPS sono: il lavoro competitivo perché gli specialisti cercano di inserire gli utenti nello svolgimento di lavoro competitivo, lavorando nella stessa posizione degli altri e ricevere lo stesso stipendio aiuta certamente a ridurre l’effetto dello stigma e della discriminazione; il sostegno integrato poiché comunque gli

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specialisti IPS collaborano con i servizi di salute mentale per favorire il recupero dell’utente; Zero esclusione poiché ogni persona che intenda intraprendere un percorso IPS, a prescindere dalla diagnosi psichiatrica, può farlo poiché il principio base è che tutti a prescindere dalla loro disabilità possono occupare un posto di lavoro competitivo; attenzione alle preferenze dell’utente nella scelta dell’occupazione; rapida ricerca del lavoro in quando entro trenta giorni dall’inizio della collaborazione gli specialista IPS aiuteranno gli utenti a trovare lavoro.

Gli specialisti IPS hanno ricevuto una formazione specifica ed hanno in carico, più o meno, 25 utenti che sosterranno nella ricerca e mantenimento del lavoro, monitoreranno gli esiti e i feedback.

Negli anni uno strumento divenuto fondamentale, per aiutare le persone svantaggiate, è stata la cooperazione sociale. La legge quadro nazionale sulla cooperazione sociale56 nasce con l’intento di garantire un unico contenitore normativo ad un fenomeno in

espansione. La nascita e lo sviluppo delle cooperative è legato principalmente a due fenomeni, da un lato, vi è l’esternalizzazione dei servizi da parte degli Enti pubblici che gli affidano servizi educativi, sanitari e relativi alle politiche giovanili, dall’altro lato alla autoorganizzazione di cittadini o volontari che promuovono la nascita di cooperative sociali per rispondere ai bisogni degli svantaggiati. Con la Legge 381 del 1991 furono quindi disciplinate le cooperative sociali che hanno il fine di perseguire l’integrazione sociale dei cittadini e la loro promozione e si dividono in due tipologie: cooperative sociali di tipo A che gestiscono i servizi sociosanitari ed educativi e di tipo B che permettono lo svolgimento di attività diverse finalizzate all’inserimento socio-lavorativo. Le cooperative sociali di tipo B sono nate con l’intento di favorire l’integrazione dei cittadini svantaggiati attraverso lo svolgimento di attività che possano poi favorire l’inserimento lavorativo, attività agricole, industriali, artigianali e così via, favorendo quindi la specializzazione dell’utente. Le cooperative di tipo B svolgono una sorte di formazione professionale direttamente “sul campo”.

In Italia stanno iniziando a diffondersi le aziende agricole che abbinano le finalità produttive a finalità sociali e collaborano quindi con i servizi pubblici, con le scuole e con enti ed associazioni varie, cercando d coniugare da un lato il profitto dell’azienda, dall’altro il bene delle fasce sociali più svantaggiate. Le fattorie sociale hanno un’ottima valenza terapeutica poiché da un lato, mettendo a contatto le persone con disabilità con la natura e con gli esseri viventi di cui si prendono cura, possono trarre ottimi benefici sia sul piano

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fisico che psichico, dall’altro consentono lo sviluppo di responsabilità e di investire comunque nel proprio compito.

L’agricoltura sociale rappresenta un interessante potenzialità allo sviluppo agricolo e rurale sia perché tenta di integrare i processi produttivi in agricoltura alla creazione di percorsi di cura ed inclusione , sia perché favorisce i percorsi di sviluppo nelle aree rurali, consolidando le reti di servizi disponibili per le popolazioni locali, accrescendo la reputazione e la capacità delle imprese agricole di operare in nuove reti di soggetti, diversificando le opportunità di reddito (Di Iacovo, 2009).

Il concetto che sta alla base di queste iniziative è quello della partecipazione sociale, cioè il sostenere la realizzazione di progetti di cura che consentano la partecipazione delle persone con disagio psichico garantendogli sia un aiuto socio-economico che una promozione e lo sviluppo di specifiche competenze.

La mancanza di lavoro e la precarietà ad esso legata, rappresentano un vero e proprio disagio esistenziale, il lavoro è essenziale per tutti sia perché rappresenta un mezzo di sostentamento, sia perché permette di stabilire rapporti con gli altri, di modificare la visione della realtà e di sentirsi veramente inclusi nella società.

In relazione al paziente con disturbo psicotico, si è più volte affermato che è comunque dotato di risorse per cui come tale ha diritto di accedere ai diritti fondamentali. È importante a questo proposito ricordare l’articolo 4 della Costituzione italiana il quale recita: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di volgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

La convenzione ONU del 2006 sui diritti delle persone con disabilità, dedica l’intero articolo 27 al tema del lavoro e dell’occupazione per favorire l’inclusone e l’accessibilità al mercato del lavoro, in particolare modo recita che:

“Gli Stati Parti riconoscono il diritto delle persone con disabilità al lavoro, su base di parità con gli altri; ciò include il diritto all’opportunità di mantenersi attraverso il lavoro che esse scelgono o accettano liberamente in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, che favorisca l’inclusione e l’accessibilità alle persone con disabilità”.

Gli Stati Parti devono garantire e favorire l’esercizio del diritto al lavoro, incluso per coloro che hanno acquisito una disabilità durante il proprio lavoro, prendendo appropriate iniziative – anche attraverso misure legislative – in particolare al fine di: (a) Proibire la discriminazione fondata sulla disabilità con riguardo a tutte le questioni concernenti ogni forma di occupazione, incluse le condizioni di reclutamento, assunzione e impiego, il

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mantenimento dell’impiego, l’avanzamento di carriera e le condizioni di sicurezza e di igiene sul lavoro; (b) Proteggere i diritti delle persone con disabilità, su base di eguaglianza con gli altri, a condizioni lavorative giuste e favorevoli, comprese l’eguaglianza delle opportunità e la parità di remunerazione per un lavoro di pari valore, condizioni di lavoro sicure e salubri, comprendendo la protezione da molestie e la composizione delle controversie; (c) Assicurare che le persone con disabilità siano in grado di esercitare i propri diritti del lavoro e sindacali su base di eguaglianza con gli altri; (d) Permettere alle persone con disabilità di avere effettivo accesso ai programmi di orientamento tecnico e professionale, ai servizi per l’impiego e alla formazione professionale e continua offerti a tutti; (e) Promuovere le opportunità di impiego e l’avanzamento della carriera per le persone con disabilità nel mercato del lavoro, come pure l’assistenza nel trovare, ottenere e mantenere e reintegrarsi nel lavoro; (f) Promuovere la possibilità di esercitare un’attività indipendente, l’imprenditorialità, l’organizzazione di cooperative e l’avvio di un’attività in proprio; (g) Assumere persone con disabilità nel settore pubblico; (h) Favorire l’impiego di persone con disabilità nel settore privato attraverso politiche e misure appropriate che possono includere programmi di azione positiva, incentivi e altre misure; (i) Assicurare che accomodamenti ragionevole siano forniti alle persone con disabilità nei luoghi di lavoro; (j) Promuovere l’acquisizione, da parte delle persone con disabilità, di esperienze lavorative nel mercato aperto del lavoro; (k) Promuovere programmi di orientamento e riabilitazione professionale, di mantenimento del posto di lavoro e di reinserimento al lavoro per le persone con disabilità. 2. Gli Stati Parti assicureranno che le persone con disabilità non siano tenute in schiavitù o in stato servile e siano protette, su base di parità con gli altri, dal lavoro forzato o coatto”.

A livello nazionale, nel 2008, il Ministero della Sanità, ha emanato le Linee di Indirizzo Nazionale per la Salute Mentale approvate dalla Conferenza Stato/ Regioni confermando come l’inclusione sociale e lavorativa dell’utente possa favorire un’occasione reale di cambiamento.

È ormai sempre più diffusa la consapevolezza che il lavoro migliora l’esito di molte patologie mentali. Ci si è serviti sicuramente degli accordi con le cooperative sociali di tipo B e quindi uno degli obiettivi fu proprio quello di erogare progetti integrati fra cooperative e DSM il qual deve attivare percorsi di formazione, e riconoscere il valore delle cooperative.

Ogni Dipartimento dovrà promuovere l’attivazione di un piano di concertazione sociale per l’attuazione delle politiche di salute mentale e di integrazione socio-sanitaria attraverso il PAL ovvero Piano di Azione Locale in cui convergono tutte le agenzie dai distretti, agli enti locali, alle associazioni.

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La presa in carico del paziente e lo svolgimento di attività volte all’inclusione socio lavorativa comprendono tre ampie categorie:

- La prima riguarda la classica riabilitazione psichiatrica che si basa sulla partecipazione a laboratori di produzione agricola o artigianale che generalmente vengono organizzate direttamente dai servizi di salute mentale.

- La seconda riguarda l’individuazione delle competenze specifiche dei pazienti e delle loro caratteristiche e prevede l’orientamento al lavoro attraverso la formazione di competenze psico-sociali e tecnico professionali specifiche motivando il paziente all’investimento occupazionale.

- La terza è quella più recente e si basa sull’esperienza della cooperazione, gli interventi sono rivolti alla tutela dei disabili psichici attraverso le “liste di collocamento” e tramite l’IPS di cui prima.

È interessante poiché si indirizza il paziente non solo dopo averlo coinvolto e dopo aver individuato le sue parti sane e le sue capacità, ma si consente a quest’ultimo di ritrovare competenze a lui stesso sconosciute attraverso il lavoro, favorendo così il recupero di una maggiore autostima e riconoscimento di sé, il lavoro gli consente, inoltre, di comunicare attraverso una forma non verbale ovvero attraverso il raggiungimento di risultati concreti e pratici agendo in funzione di qualcosa. Il lavoro è quindi un’azione responsabile che acquista significato in termini di produzione, perché rappresenta una risposta a bisogni materiali e di relazione con altri soggetti57. Se non si attivassero e promuovessero gli elementi sani del

soggetto e si continuasse a dare adito a quelli compromessi, invece, si promuoverebbe il senso di inadeguatezza del soggetto ad assumersi le proprie responsabilità e il fallimento verso se stesso. Dare la possibilità al paziente di lavorare, vuol dire dare risposte concrete in merito al raggiungimento dei risultati attesi all’interno del PTI, vuol dire ridare fiducia al paziente, ma anche alla sua famiglia.

Il sostegno lavorativo consente di attivare le social-skills nei soggetti con grave patologia mentale, ovvero, aiutare a distinguere le responsabilità immaginarie da quelle reali, valutare l’effettiva realizzazione o fallimento di un lavoro, aiutare il paziente a valutare da sé i risultati raggiunti confrontandosi direttamente con la realtà lavorativa ed infine sviluppare una vera e propria identità sociale.

La possibilità che hanno i cittadini di dare senso alla propria vita, rendendosi utili per la propria comunità di appartenenza, è alla base dello sviluppo di benessere e di salute mentale comunitaria e rappresenta un fondamentale capitale sociale.

57 Ivi, pag. 38.

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La WHO nel suo rapporto sulla Salute Mentale, definisce infatti: “salute mentale