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Il caso di Rosalia: Disturbo Borderline di Personalità

4.5. Casi trattati presso la C.T.A SALUS

4.5.1. Il caso di Rosalia: Disturbo Borderline di Personalità

Rosalia, ultimogenita di sei figli (4 femmine e due maschi), è nata a Palermo nel 1971 dove ha trascorso la sua infanzia e adolescenza.

La madre casalinga ed il padre operaio si sono sempre occupati poco dei figli, spesso venendo meno alle responsabilità genitoriali, il fratello maggiore costituiva l’unica figura di riferimento per Rosalia soprattutto da un punto di vista affettivo.

Rosalia all’età di 16 anni conosce il suo attuale compagno che svolge saltuariamente l’attività di operaio e con il quale ha avuto tre figli, un maschio e due femmine.

Il compagno, Salvatore, ha sempre avuto un atteggiamento prevaricatore nei confronti di Rosalia, la quale passava le sue giornate chiusa in casa ad occuparsi, per quanto possibile, dell’accudimento dei figli e della cura della casa.

Rosalia non aveva alcun tipo di rapporto sociale, la sua rete familiare ed amicale era molto esigua, i genitori non si interessavano più a lei e intratteneva solo conversazioni sporadiche con il fratello al quale era comunque molto legata.

Il compagno Salvatore rientrava a casa la sera tardi e puntualmente si impegnava ad accusare Rosalia denigrandola ed accusandola di essere una poco di buono, un’incapace, di non occuparsi adeguatamente dei figli e della casa. Rosalia subiva una vera e propria violenza psicologica che pian piano sì è trasformata anche in violenza fisica. Salvatore spendeva quei pochi spiccioli che riusciva saltuariamente a guadagnare durante la settimana in alcool. La sera tornava a casa ubriaco scagliandosi contro Rosalia ed i bambini. Rosalia comincia anch’essa a bere e trascurare veramente i figli.

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Dietro segnalazione degli insegnanti e della scuola, iniziano la prime indagini da parte dei servizi sociali i quali rilevano una situazione di assoluto degrado e di pericolosità per i minori, così, su richiesta del Tribunale dei Minori, i tre bambini, rispettivamente di 11 anni la maggiore, 10 anni il maschio e 7 anni la piccola, vengono inseriti in una Comunità per minori.

I genitori per circa quattro anni continuano a convivere, vengono seguiti dai servizi sociali territoriali, vanno a trovare ogni settimana i bambini in Comunità e di tanto in tanto li prelevano per portarli a casa. Ma ad un certo punto la situazione inizia a precipitare sempre di più: Rosalia non trova più un valido motivo per andare avanti; il compagno, a causa dell’alcol, diventa sempre più aggressivo e violento; la donna sente ogni giorno di più il peso del suo fallimento come figlia, compagna e madre cercando sempre più rifugio nell’alcol. Pertanto, dopo un’attenta osservazione da parte della Comunità ed indagini condotte dai servizi sociali territoriali, il T.M. applica alla coppia genitoriale il divieto di visita e prelevamento dei figli.

Questa situazione va avanti per altri due anni e nel frattempo la situazione psichica dei coniugi precipita, entrambi iniziano ad accusare episodi allucinatori uditivi e subiscono diversi ricoveri in reparti psichiatrici, il compagno viene ricoverato presso una C.T.A. e dopo alcuni mesi, anche per la donna viene presa la decisione di ricoverarla in una struttura specialistica per intraprendere un percorso terapeutico-riabilitativo.

Quindi il 25 Febbraio del 2012 la paziente fa il suo ingresso presso la C.T.A. SALUS di Gibellina dove vi rimane per due anni e mezzo.

La diagnosi all’ingresso è di Disturbo Borderline di Personalità73 con abuso di

alcool.

Il PTI elaborato per Rosalia è quindi finalizzato al miglioramento del quadro psico- patologico, al raggiungimento di un buon grado di autostima e capacità di autodeterminazione, di un adeguato funzionamento sociale e quindi ad intraprendere un percorso di reintegrazione socio-familiare.

73“Il soggetto presenta una forte instabilità nelle relazioni interpersonali, ritengono gli altri responsabili

dei loro problemi e difficoltà e cercano di manipolare le persone per i propri scopi, ma i loro comportamenti aggressivi e scostanti fanno allontanare gli altri piuttosto che avvicinarli. Alle esperienze frustranti rispondono con rabbia o con gesti altamente distruttivi (abuso di droghe, alcol, gesti autolesivi) per compensare i sentimenti di frustrazione. Non riescono a differenziare i propri sentimenti e pensieri da quelli degli altri, cercano di stabilire relazioni esclusive in cui non sia possibile una situazione di abbandono, ma una volta raggiunta l’intimità da un lato, hanno paura di essere fagocitati dall’altro e di perdere la propria intimità, dall’altro hanno paura di essere abbandonati quindi vivono costantemente questo conflitto ambivalente. Il disturbo borderline di personalità è più frequente nelle donne (75%). Nella prima decade il disturbo presenta un percorso difficile, ma nella seconda decade i pazienti mostrano un sostanziale miglioramento”. G.Invernizzi, C.Bressi, Psichiatria e Psicologia clinica 4e, McGrawHill, Milano 2012, pag. 424.

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Tutte queste informazioni, che hanno permesso di fare un’anamnesi della vita di Rosalia, sono state raccolte nel corso dei colloqui effettuati con la paziente, dall’assistente sociale singolarmente o in équipe con medico psichiatra e psicologo nel primo mese dal suo ingresso presso la CTA SALUS di Gibellina, ma grazie anche al materiale fornito da altri operatori che si sono occupati della paziente prima del suo inserimento, quali relazioni del DSM di Palermo.

Rosalia al primo incontro si presenta tutto sommato curata nell’aspetto, ma depressa, con frequenti attacchi di panico, disturbi del sonno e disturbi somatici quali forte cefalea.

Viene accolta da tutto il personale sanitario e dall’équipe professionale che tenta un primo approccio, ma Rosalia è poco loquace, diffidente ed introversa e risponde in maniera stentata ad alcune domande con voce fioca.

Si attende ancora qualche giorno dopo il ricovero per iniziare i colloqui con Rosalia e redigere il piano terapeutico e, immediatamente, ci si rende conto che la situazione è parecchio complessa e critica sia dal punto di vista clinico che psicologico e sociale.

Quando a Rosalia viene chiesto di parlare dei propri figli, manifesta subito il desiderio di vederli poiché non lo fa da oltre due anni. Pertanto in equipe si decide di avviare l’iter per permettere alla donna di riprendere i contatti con i propri figli, ormai adolescenti. Si contatta la comunità alloggio per minori indicata dalla donna che fornisce subito informazioni sui ragazzi. Solamente le due femmine sono ancora ospiti loro, il maschio è stato da poco trasferito presso un’altra struttura: la maggiore frequenta il quinto anno del liceo pedagogico e la piccola il primo anno della stessa scuola; il maschio, conseguita la licenza media non ha voluto proseguire gli studi ed essendo ormai più grande e non potendo più rimanere presso quella struttura, viene trasferito in un'altra comunità a pochi chilometri, dove hanno attivato un percorso di formazione professionale con una successiva borsa lavoro. Contemporaneamente si intraprende anche un lavoro con l’equipe della C.T.A. che ospita il compagno al fine di supportare la coppia e cercare di aiutarli a superare i conflitti, migliorare il loro rapporto fino ad oggi disfunzionale per entrambi e quindi, trovare una “soluzione” o di ricongiungimento o di separazione quanto meno dolorosa possibile per tutta la famiglia.

Si stabilisce un incontro tra assistenti sociali e psicologi delle due strutture che accolgono la coppia genitoriale e delle comunità alloggio che accolgono i minori per approfondire il caso. Considerato che il Tribunale per i Minorenni, anni prima, aveva emesso un decreto che applicava il divieto di visita e prelevamento da parte dei genitori, congiuntamente con tutti i servizi coinvolti nel caso, decide di fare richiesta al T.M. per rivalutare la situazione del nucleo familiare e, considerato il percorso terapeutico-riabilitativo

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intrapreso dai genitori, autorizzare le visite in comunità, monitorate dagli assistenti sociali delle strutture e gradualmente ricostituire il nucleo familiare lavorando sulla relazione tra la coppia, ma soprattutto tra genitori e figli per riallacciare i rapporti e poter ristabilire una relazione funzionale madre-figli e coppia genitoriale-figli.

Nell’arco di circa due mesi il T.M. emette un nuovo decreto che permette ad entrambi i genitori di far visita ai figli all’interno delle rispettive comunità con cadenza settimanale, alternando una settimana separatamente ed un’altra insieme.

Per Rosalia questo è un grande traguardo, inizia ad acquisire fiducia in se stessa, nella comunità e nei confronti dell’équipe. Appare più loquace, riesce ad esprimere bisogni e desideri ed inizia a chiedere di poter incontrare regolarmente anche il compagno, separatamente dai figli.

Dagli incontri con quest’ultimo e dai colloqui si evince che da sempre Rosalina ha avuto un ruolo subordinato al compagno, emerge una scarsa capacità decisionale ed una carente considerazione di sé come madre, donna e compagna.

Rosalia pian piano, grazie all’instaurarsi di una relazione terapeutica ed umana con le diverse figure dell’équipe, ha iniziato ad acquisire fiducia e ad esprimere la volontà di intraprendere un percorso di aiuto, iniziando a lavorare sui suoi limiti e sulla riacquisizione di autostima, al fine di favorire anche la relazione con i figli il cui riavvicinamento stava contribuendo a migliorare le sue capacità progettuali e la spinta motivazionali ad un cambiamento del suo stile di vita fino a quel momento autodistruttivo.

Durante il ricovero in CTA emergono problemi di natura giudiziaria; Rosalia durante la convivenza con il compagno, a seguito di una lite, ha sporto denuncia per lesioni e maltrattamenti, successivamente però ha ritrattato tutto facendo scattare da parte del Tribunale una denuncia a suo carico per falsa testimonianza. Il processo ha inciso pesantemente sulla sua condizione psicologica, sia perché ha dovuto rivivere momenti difficili della sua vita, ma anche perché tutta la vicenda poteva concludersi con una condanna a suo carico. Grazie alla collaborazione tra l’assistente sociale della C.T.A. e il difensore e, grazie alle valutazioni cliniche effettuate dallo psichiatra della struttura e da un perito nominato dal tribunale, è stato possibile dimostrare che si trattava di una donna con problematiche psichiche, fortemente soggiogata dal compagno ed è stata concessa l’assoluzione.

Un altro evento spiacevole che ha gravato parecchio su di lei e sul suo stato psicologico è stata la morte del fratello che rappresentava per lei un punto fermo.

Nonostante gli eventi negativi subentrati durante il percorso, nel periodo di permanenza in C.T.A., la situazione della paziente, grazie al lavoro di rete fatto, è migliorata

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notevolmente sia dal punto di vista socio-familiare che psichico. Infatti la donna ha acquisito piena consapevolezza della sua condizione di subordinazione al marito, riuscendo a recuperare autostima, capacità di autodeterminazione e quindi maggiore capacità progettuali e di autonomia sulle proprie scelte, migliorando notevolmente la relazione con i figli che l’hanno molto supportata nel provare a ricostruire un rapporto con il compagno fondato sul reciproco rispetto, sulla fiducia e non più sulla sottomissione e sulla paura, al fine di ricomporre il nucleo familiare.

Grazie a questi cambiamenti, Rosalia, durante l’ultimo anno di permanenza, ha lavorato sodo per affermarsi e migliorare le proprie condizioni di vita: infatti, chiede di poter conseguire la licenza media presso l’istituto comprensivo di Gibellina e dopo un periodo di studio intenso con gli operatori riesce nell’intento; inoltre, manifesta il desiderio di potersi sperimentare in qualche attività lavorativa e, avendo anche “riacquisito le capacità e la voglia di eseguire mansioni domestiche e di cura degli ambienti”, assieme all’amministrazione della C.T.A., l’assistente sociale elabora in suo favore un progetto di inserimento lavorativo all’interno della struttura e nel corso dell’ultimo anno, sotto forma di volontaria, affianca gli ausiliari nella gestione del servizio lavanderia, ricevendo anche un compenso quale rimborso spese. Ciò gratifica molto la paziente, rendendola più sicura di sé e fiduciosa verso la possibilità di potersi costruire una vita migliore anche fuori da un contesto protetto.

Nel frattempo i due figli più grandi, essendo diventati maggiorenni, vengono dimessi dalla comunità e vanno a vivere con un sorella nata dal primo matrimonio del compagno che purtroppo però versa in condizioni economiche poco agiate e non può aiutare i fratelli per un lungo periodo.

La situazione di precarietà in cui versano i figli spinge la donna a sollecitare anche il marito a cercare una sistemazione che possa eventualmente permettere al nucleo di ricomporsi e vivere discretamente. Infatti l’uomo, che nel frattempo ha anche lui raggiunto dei buoni risultati, aiutato dalla C.T.A. che lo ospita, riesce a trovare un lavoro come addetto alla manutenzione e giardiniere, presso una Comunità di Palermo che ospita immigrati e senza tetto, gestita da un ordine religioso. Conseguentemente a questo Rosalia manifesta sempre più la voglia di uscire dalla Comunità e ricominciare una vita assieme alla propria famiglia.

Pertanto, l’assistente sociale della C.T.A. inizia a prendere contatti con coloro che stanno aiutando il compagno e assieme si inizia un percorso per poter trovare una sistemazione idonea per questa famiglia. Viene trovato loro un alloggio di proprietà dell’ordine religioso, quindi i due figli vanno a vivere col padre, mentre la piccola decide di

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rimanere in Comunità fino al conseguimento del diploma di maturità. Rosalia comincia a fare dei rientri settimanali nella nuova casa e quindi comincia a sperimentarsi come compagna e madre e nel frattempo cerca anche un lavoro al di fuori della struttura.

Questi rientri permettono alla donna di capire se il cambiamento del compagno è reale e soprattutto di continuare ad avere un supporto e un rinforzo nei progressi raggiunti, e a noi di monitorare la situazione affinché si arrivi alla chiusura del progetto e quindi alle dimissioni con risultati veramente positivi.

Nel mese di novembre del 2015, dopo circa sei mesi di sperimentazione e monitoraggio della convivenza di questo nucleo, assieme alla paziente e al Servizio di Salute Mentale territoriale che aveva inviato la donna, si decidono le dimissioni considerato che, nel frattempo, la signora ha pure trovato un lavoro come donna delle pulizie per alcune ore settimanali presso una famiglia palermitana.

VALUTAZIONE DEL CASO, RIFLESSIONI ED INTERVENTI: è possibile rintracciare le tre fasi della valutazione ovvero

- Ricezione della richiesta di accoglienza della paziente presso la C.T.A. SALUS da parte del DSM territoriale e prima valutazione per una effettiva presa in carico

- Attenta valutazione dopo la presa in carico per la costruzione del progetto di intervento

- Verifiche in itinere e finali per comprendere l’effettivo raggiungimento degli obiettivi.

La valutazione è un processo lungo, dinamico e soprattutto provvisorio in quanto può essere rivista e va comunque condivisa con l’utente. Nel momento in cui si è stilato il progetto terapeutico per Rosalia gli elementi a cui si è cercato di rispondere sono stati: qual è il problema evidenziato? Chi lo ha segnalato? Che tentativi sono stati fatti in precedenza per risolverlo? Come l’utente vive questo momento? Che risorse possiede? Che risorse esistono nella rete di servizi per offrire un supporto adeguato? In che direzione bisogna andare? Quali sono le aspettative di soluzione?

La risposta a queste domande è stata possibile sia grazie al materiale fornito dal DSM inviante e di competenza, sia grazie al primo colloquio.

In particolare modo per la valutazione del caso è possibile evidenziare alcune linee guida individuando tre macrocategorie:

- Utenti: Rosalia, i figli, il marito, il fratello. - Servizi: territoriali e istituzionali

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- Autorità giudiziarie: Tribunale per i Minori e Tribunale Ordinario.

Poi si effettua un’attenta lettura della richiesta inviata dal DSM per l’inserimento di Rosalia presso la CTA effettuando una prima valutazione.

Nel momento in cui Rosalia ha varcato la soglia della comunità si sono raccolte le informazioni che, nel caso specifico, sono state fornite dalle relazioni del DSM, ma anche dai colloqui diretti effettuati con Rosalia; ciò è stato fondamentale per la formulazione della diagnosi sociale che si basa sulla rielaborazione di tutti gli elementi raccolti nell’indagine definendo il problema che nel caso specifico consisteva nel Disturbo Borderline Di Personalità, nell’assenza di responsabilità genitoriali, alcolismo, tensioni con il marito e nell’intraprendere poi un percorso terapeutico riabilitativo per il miglioramento del quadro psicopatologico, per il raggiungimento di un buon quadro di autostima, capacità di autodeterminazione ed un percorso di reintegrazione familiare.

In virtù di questo si individuavano così le strategie adottabili per il miglioramento che, nel caso specifico, consistevano in continui colloqui con la psicologa per il recupero di una maggiore sicurezza, autostima e capacità decisionali, nell’impegno di una buona terapia sostenuta dal medico psichiatra, nella scelta delle attività laboratoriali da parte della pedagogista e nell’attivazione dell’assistente sociale che ha svolto un intenso lavoro di rete.

L’assistente sociale, nello specifico, non appena Rosalia ha manifestato la voglia di vedere i figli, ha contattato la comunità alloggio per minori effettuando degli incontri con l’assistente sociale di suddetta comunità stabilendo con essa la possibilità di effettuare incontri periodici, ha poi contattato l’équipe della CTA in cui era inserito il marito incontrandone, anche in questo caso, l’assistente sociale e proponendo anche ad essa la possibilità di fare vedere il padre ai propri figli ed effettuare degli incontri congiunti con Rosalia.

In seguito a questi incontri sia l’assistente sociale della C.T.A. SALUS che, l’assistente sociale della Comunità di minori e l’assistente sociale della C.T.A. del marito di Rosalia, decidono di relazionare al Tribunale dei minori il quale, in precedenza, aveva disposto il divieto di visita ai genitori nei confronti dei figli, che sarebbe auspicabile riprendere gli incontri per favorire un ricongiungimento familiare in virtù delle future dimissioni sia dei minori che dei coniugi.

Mettendo in atto così quello che in precedenza è stato definito lavoro di rete e definendo concretamente il ruolo che l’assistente sociale svolge in questi servizi ovvero di lavorare in équipe, ma anche con tutte le reti formali ed informali che possono essere considerate in ogni singolo caso, coordinando così tutti gli interventi anche in virtù delle risorse personali e sociali.

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Il Tribunale dei minori ha accettato tale richiesta decretando la possibilità di vedere i figli con cadenza settimanale, una volta separatamente ed una volta congiuntamente.

In merito alle attività laboratoriali da effettuare all’interno della comunità, Rosalia, per il raggiungimento di una maggiore autonomia e necessità di sentirsi gratificata e valorizzata, manifestava l’esigenza di svolgere attività concrete che si rivolgessero principalmente alla salvaguardia e cura dei beni e spazi comuni, in virtù di questo, l’assistente sociale, dopo essersi confrontata con tutta l’équipe, ha elaborato un progetto di inserimento lavorativo all’interno della comunità che impiegasse Rosalia nello svolgimento di aiuto lavanderia e pulizia degli ambienti comuni come volontaria con un semplice rimborso spese.

Raggiunti i primi obiettivi quali la capacità di autodeterminazione e progettuale, maggiore autonomia nelle scelte, un miglioramento nella relazione con i figli e con il marito, l’assistente sociale in virtù delle future dimissioni di Rosalia e soprattutto in merito al suo manifestato interesse di essere una buona madre e moglie una volta fuori dalla comunità, di sentirsi gratificata e valida, di avere la necessità di valorizzarsi ed impegnarsi in qualcosa per poi raggiungere gli obiettivi prefissati e con la speranza poi di poter trovare qualche occupazione, propone a Rosalia la possibilità di conseguire la licenza media, la quale accetta con immenso piacere e interesse; si impegna moltissimo aiutata e seguita dagli operatori che l’aiutano a studiare, Rosalia consegue il diploma.

Adesso è più serena, fa progetti sul suo futuro, manifesta quotidianamente la voglia di ritornare a vivere serenamente e dignitosamente con la propria famiglia, è più sicura di sé, si valorizza come donna, crede più in se stessa, è ferma in qualunque decisione, è più espansiva e loquace durante i colloqui. Rosalia sembra pian piano aver raggiunto gli obiettivi prefissati dal PTI.

In seguito alle dimissioni del marito e dei figli poiché divenuti maggiorenni, l’assistente sociale si mobilita nuovamente lavorando in rete con l’ordine religioso che aveva aiutato il marito una volta dimesso, concordando con essi la necessità di trovare un alloggio sicuro alla famiglia nel loro luogo di residenza. Una volta trovato l’alloggio, l’assistente sociale propone dei rientri settimanali a Rosalia, monitorandoli di volta in volta e continuando i colloqui anche con la psicologa dopo ogni rientro lavorando così ancora su quegli aspetti deboli o insicuri che chiaramente erano consequenziali alla ripresa della quotidianità in cui Rosalia doveva nuovamente sperimentarsi come madre e moglie senza