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Integrazione socio-sanitaria e ruolo del servizio sociale

In Italia le storie dell’assistenza sociale e sanitaria sono state per lunghi anni caratterizzate dalla separazione, ma la nascita di nuovi bisogni e nuove problematiche in ambito sociale e sanitario hanno obbligato i due settori a confrontarsi e collaborare.

In passato il sistema sociale italiano fu caratterizzato dalla beneficienza privata (legge 735 del 1865) che mirava a regolamentare le attività caritative ed il patrimonio che veniva destinato ai poveri; l’insieme delle istituzione di beneficienza fu contrassegnato con il termine Opere Pie per salvaguardare le classi meno agiate.

In ambito sanitario si prefigurò il primo intervento statale con la legge 2248 del 1865 per la tutela della salute pubblica.

Una prima svolta però si ebbe con la Legge Crispi che nel 1890 rinominò le Opere pie in IPB ovvero istituzioni di pubblica beneficienza che vide lo Stato prendere parte attiva negli interventi di aiuto per le classi più deboli prevedendo l’erogazione di sussidi in denaro e ricoveri in strutture di vario genere. La legge Crispi tradusse quindi l’interesse dello Stato a controllare il funzionamento di tutte le organizzazioni che erano impegnate nel settore che oggi definiamo dell’assistenza sociale. Alla legge Crispi si fa risalire il passaggio dalla fase della carità privata a quella della beneficienza legale, si passa da uno Stato che si limitava a guardare l’attività di soccorso svolta da altri, ad uno Stato che controlla a tutti gli effetti quegli Enti che svolgono attività di soccorso ai bisognosi ed a cui ha attribuito carattere pubblico. Tutti aspetti che verranno poi regolamentati e rivisti con la legge 328 del 2000.

In seguito le IPB vennero rinominate in IPAB con l’introduzione del termine assistenza, volto proprio a sottolineare l’esigenza da parte dello Stato di assistere sia il singolo che la collettività, garantendo interventi sia in ambito assistenziale che sanitario, in cui fu avviata la nascita del sistema mutualistico statale attraverso gli Enti nazionali quali l’INAIL per gli infortuni, l’INPS per la previdenza e l’INAM per le malattie, i quali, operavano in favore di quelle categorie che ne alimentavano l’esistenza attraverso i contributi e fu proprio l’introduzione del sistema mutualistico che, per certi versi, non ha fatto altro che rappresentare una vera e propria separazione tra ambito sanitario e assistenziale; gli interventi assistenziali quindi, vengono erogati dal Comune, gli interventi sanitari sono garantiti dagli Enti assicurativi a cui i lavoratori sono iscritti.

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Durante il periodo fascista si inizia a sviluppare un sistema sul versante assistenziale, sanitario e previdenziale nella direzione dell’integrazione sanitaria ed è proprio in questo periodo che inizia ad affermarsi l’esigenza di un personale preparato in ambito sociale e sanitario cosi, dopo le esperienze europee, nascono anche in Italia le prime scuole per assistenti sociali e tra le due guerre mondiali, il sistema sanitario fu potenziato e consolidato.

Dopo la seconda guerra mondiale l’Italia diviene una Repubblica e con l’istituzione della Carta Costituzionale in vigore dal 1° Gennaio 1948 si rafforzano gli impegni per le tutele sociali basati sulla prevenzione, sull’inclusione e sul territorio.

Passaggio fondamentale è l’istituzione delle Regioni a cui viene conferita autonomia organizzativa e potestà legislativa e l’ordinamento per la tutela dei diritti. All’articolo 117 del titolo V della Costituzione si inizia quindi ad intravedere la beneficienza pubblica e l’assistenza sanitaria ed ospedaliera quale materia unitaria.

Nella Costituzione, all’articolo 32, la salute è descritta quale diritto fondamentale e interesse della collettività, all’articolo 38 viene assicurato il diritto all’assistenza sociale dei cittadini inabili e indigenti, il diritto a mezzi adeguati per la sopravvivenza in caso di malattia, vecchiaia o indigenza ed il diritto all’ educazione.

In tale ottica ed in tale contesto si sono presi in considerazione il principio della funzionalità, del buon andamento e della imparzialità. La funzionalità deve intendersi come garanzia che le prestazioni siano effettivamente erogate nel rispetto della dignità della persona ed in risposta al suo bisogno; in relazione al buon andamento si fa riferimento al buon esercizio dei poteri rispettando le leggi ed i cittadini; il principio di imparzialità fa riferimento all’agire nell’interesse dei cittadini ammettendo tutti i soggetti a godere dei servizi pubblici.

Anche se con ostacoli e difficoltà l’avvio delle Regioni ha rappresentato il primo passo del decentramento, nonostante esistessero ancora le IPAB e le competenze statali in materia di sicurezza sociale.

Le funzioni attribuite alle Regioni furono individuate tramite settori organici quali: ordinamento e organizzazione amministrativa, servizi sociali, sviluppo economico, assetto del territorio28.

In realtà in seguito, nonostante i primi impegni e le prime proposte che andavano nella direzione dell’integrazione socio-sanitaria, si creò una vera e proprio biforcazione tra ambito sociale e sanitario poiché, quello sanitario, venne regolamentato dalla legge 833/78 e quello sociale, solo in un secondo momento, con la legge 328/2000.

28 L. Brizzi, F. Cava, L’integrazione socio-sanitaria. Il ruolo dell’assistente sociale, Carocci Faber,

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La legge 833/ 78 sull’ Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, all’articolo 1, recita che “il SSN è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinate alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali e sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio”, e con suddetta Legge vennero introdotte numerose innovazioni soprattutto nel campo della sicurezza sociale e furono estete a tutti i cittadini le prestazioni di cura, prevenzione e riabilitazione garantendo a tutti, quindi anche ai poveri, l’assistenza sanitaria.

Il Servizio Sanitario Nazionale ha potuto contare su un proprio Fondo Nazionale, ha previsto la costituzione delle USL, ha fatto ricorso alla programmazione per gli interventi assistenziali le cui linee di indirizzo, gli obiettivi e le attività rimandano al Piano Sanitario Nazionale predisposto dal parlamento ogni tre anni.

La legge 833/78 nonostante rimandi al concetto di sanità per il benessere psico-fisico- sociale, evidenzia la necessità di coordinare le attività in ambito sanitario e sociale e di rinviare alla legislazione regionale il compito di definire le norme per l’integrazione dei servizi delle USL con quelli sociali presenti sul territorio.

Inizia così ad emergere una nuova concezione dei servizi che mira al sostegno della popolazione più debole e all’attivazione di risorse per tutta la collettività, accentuando la relazione tra Servizio Sociale come metodo di intervento dell’assistente sociale e politiche sociali come espressioni del welfare state.

Continua però ad esistere il divario tra settore sanitario e sociale d’altronde, l’ambito sanitario, è stato regolamentato nel 1978 invece, il sociale, deve aspettare gli anni 2000, per cui, nonostante vi sia questa forte esigenza di favorire l’integrazione, continuano ad esservi delle differenze.

La sanità rappresenta un diritto soggettivo per cui da un punto di vista giuridico vi è l’obbligo di erogare le prestazioni invece, l’assistenza, rappresenta un diritto condizionato, forti differenze vi sono anche da un punto di vista economico poiché il settore sanitario possiede un proprio fondo, il settore assistenziale ha sempre avuto risorse scarse e frammentate fin quando non è stato istituito il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali. Differenze copiose vi sono anche per quanto riguarda il personale, in ambito sanitario il personale è stato sempre ordinato per ruolo sanitario, professionale, amministrativo e tecnico, in ambito sociale vi sono Comuni in cui tutt’ora mancano gli assistenti sociali, quindi da sempre l’ambito sanitario ha occupato un posto privilegiato rispetto a quello sociale.

Con la rimodulazione della legge 833 del 78 nel 1992, la sanità diviene azienda e si inizia a parlare di ASL ovvero Azienda Sanitaria Locale che prevede un’estensione territoriale per

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Provincia, un’articolazione in distretti e l’affidamento della gestione dell’azienda ad un Direttore Generale in collaborazione con il Direttore Sanitario ed Amministrativo.

Le Asl devono elaborare e programmare l’Atto aziendale per assicurare i livelli essenziali di assistenza ed i progetti-obiettivo che riguardano la tutela della salute della donna, la tutela dell’età evolutiva, la prevenzione, tutela della salute degli anziani, tutela della salute mentale e riabilitazione dei disabili psichici, prevenzione delle tossicomanie e riabilitazione e socializzazione dei disabili fisici. Con questa nuova rimodulazione resta ai Comuni la sola gestione del settore socio-assistenziale rappresentando quindi un momento oscuro che tutto sembra presagire piuttosto che un andare verso l’integrazione socio-sanitaria.

In realtà a seguito del Progetto Obiettivo 1998/2000 si iniziò nuovamente a sottolineare l’esigenza di andare nella direzione dell’integrazione socio-sanitaria ed un ampio processo di innovazione si ebbe con la riforma-ter (D. Lgs. 229/1999) la quale iniziò a dare forza al tema dell’ integrazione socio-sanitaria dando una prima definizione delle prestazioni e dei principali attori coinvolti nell’organizzazione, anche alla luce del nuovo concetto di salute, intesa come benessere globale della persona (OMS 1978) , considerata come diritto fondamentale di ogni individuo e di tutta la popolazione e quindi la sua salvaguardia non deve competere esclusivamente ai professionisti sanitari, ma anche a tutti coloro i quali possono intervenire nell’ambiente fisico e sociale della persona.

Il D.Lgs. n.229 del 1999 ha provveduto a dare dell’integrazione socio-sanitaria una definizione specifica e coerente con i principi costituzionali. Al primo comma si legge: “Si definiscono prestazioni socio-sanitarie tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione”. Il secondo comma procede poi alla tipizzazione delle prestazioni sanitarie: “le prestazioni sanitarie comprendono: a) prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, b) prestazioni sociali a rilevanza sanitaria di competenza dei Comuni.

Il punto di partenza è comunque la tutela della salute e l’individuazione dello stato di bisogno e, in questa direzione, dell’assistenza sanitaria si afferma che: “viene prestata alle persone che presentano bisogni di salute che richiedono prestazioni sanitarie ed azioni di promozione sociale, anche di lungo periodo, sulla base dei progetti personalizzati redatti sulla scorta di valutazioni multidimensionali”.

La nuova concezione di salute vede la persona come sistema composto da unità bio- psichiche che interagiscono anche con il suo ambiente sociale per cui, all’interno del concetto di salute ritroviamo una interdipendenza tra benessere fisico, mentale e sociale, quindi, la gestione

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di tale forma assistenziale iniziò a realizzarsi su tre livelli: istituzionale, gestionale e professionale29.

L’integrazione istituzionale nasce dal bisogno di creare una cooperazione tra Istituzioni diverse che abbiano però obiettivi di salute comuni attraverso concertazioni, convenzioni o accordi di programma ed il distretto viene così scelto come struttura che deve garantire la collaborazione tra le istituzioni ed i Piani Regionali che dovranno dare delle linee guida per quanto riguarda l’ambito dei finanziamenti.

L’integrazione gestionale serve a garantire funzioni di coordinamento tra i diversi servizi presenti nel distretto, garantire l’efficace svolgimento delle attività e prestazioni e favorire la valutazione dei servizi anche da parte degli utenti.

L’integrazione professionale si serve di linee guida per orientare il lavoro multiprofessionale, favorisce la gestione delle documentazioni e l’individuazione di responsabilità nel lavoro integrato, la gestione unitaria della documentazione, la continuità terapeutica tra ospedale e distretto, la collaborazione tra strutture residenziali e territoriali, la predisposizione di percorsi assistenziali appropriati per tipologia di intervento. Si può a questo livello parlare di community care come intreccio di cure formali ed informali da parte sia delle istituzioni quali Asl ed Enti Locali, che di cooperative sociali e società non profit nell’ottica di un sistema welfare mix, fa quindi riferimento a forme di cooperazione e a sinergie utilizzate dai professionisti che vogliono mettersi in relazione ed utilizzare le proprie abilità per raggiungere obiettivi comuni.

Il Distretto che ha acquisito autonomia gestionale e di budget è tenuto a garantire continuità assistenziale, attività integrate in ambito sociale e sanitario per quanto concerne l’ambito materno-infantile, dipendenze, anziani, psichiatria, handicap, lungodegenze ecc.

Rimangono di competenza statale la determinazione di principi ed obiettivi della politica sociale e della programmazione degli interventi da attuare in maniera integrata a livello locale, la fissazione dei requisiti per stabilire i ruoli professionali degli operatori sociali e i livelli di formazione.

A Regioni ed Enti Locali spettano funzioni nell’ambito di minori a rischio, giovani, anziani, famiglie, portatoti di handicap, tossicodipendenti e invalidi, le Regioni in particolare gestiranno il Fondo Sociale da trasferire a Province e Comuni; i Comuni e le Province si sono riappropriati del proprio ruolo con funzioni proprie e quelle tramandate secondo il principio di sussidiarietà da Stato e Regioni. In particolare modo i Comuni si servono degli Accordi di Programma per concordare ed attuare interventi che richiedono l’integrazione sia del pubblico che del privato e dei Piani di Zona.

29 Ivi, Pag. 46.

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È in tale contesto che con il D.P.R. 14/1978 che la professione di assistente sociale ottiene degli importanti riconoscimenti per la validità del titolo di studio abilitante, la formazione in ambito accademico, l’istituzione dell’albo professionale con la legge 84/ 1993 ed infine la legge 328/2000 che inquadra il servizio sociale professionale tra le prestazioni essenziali da realizzare. A distanza di anni viene finalmente promulgata la legge 328/2000 Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, pronta a fronteggiare un situazione in ambito assistenziale caratterizzata da eccessiva discrezionalità, disomogeneità nell’organizzazione dei servizi e nell’erogazione delle prestazioni, carenza di integrazione tra sociale e sanitario, scarsa attenzione ai nuovi bisogni ed ai cambiamenti demografici , necessità di ridefinire le politiche sociali.

Il nuovo sistema integrato di interventi e servizi sociali risulta connotato da carattere di universalità con maggiore attenzione alle situazioni di particolare bisogno, utilizza il metodo della programmazione, permette la gestione di interventi sanitari, dell’istruzione e di politiche attive mediante concertazione e cooperazione degli attori coinvolti e tra Comuni ed Asl secondo il modello di integrazione socio-sanitaria.

Lo Stato oltre a regolare i rapporti tra Enti locali e terzo settore emana una serie di decreti per determinare la quota da riservare agli anziani non autosufficienti, determinare le figure sociali, definire la Carta dei Servizi, riordinare le misure previdenziali per gli invalidi, regolare la ripartizione del Fondo Nazionale, emanare il Piano Nazionale degli interventi e servizi sociali.

Le Regioni regolano i rapporti tra Enti Locali e terzo settore, stabiliscono i requisiti minimi per l’accreditamento delle strutture erogatrici dei servizi, adottano il Piano Regionale per gli interventi ed i sevizi sociali, stabiliscono i livelli essenziali delle prestazioni erogabili in forma di beni e servizi che consistono in : misure di contrasto alla povertà e sostegno al reddito, interventi di sostegno per minori ed inserimento presso altre famiglie o comunità, misure di sostegno per le responsabilità familiari, interventi per la piena integrazione dei disabili, interventi di sostegno per gli anziani, prestazioni di tipo socio-educativo per contrastare situazioni di dipendenza30; ai fini dell’attuazione dei LEA, in ambito assistenziale, le Regioni

dovranno garantire in ogni ambito territoriale prestazioni di servizio sociale professionale, servizio di pronto intervento per le emergenze sociali, assistenza domiciliare, strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali, centri di accoglienza a carattere comunitario, residenziali o diurni.

Dando uno sguardo all’evoluzione normativa sanitaria emerge che i Livelli Essenziali delle Prestazioni risale alla fine degli anni 70’ con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale ed è,

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con il D. Lgs. 502/1992, che si trasforma in Livelli Essenziali di Assistenza ed i nuovi livelli sono stabiliti in funzioni di garanzia dell’uniformità delle prestazioni sull’intero territorio nazionale31.

Una definizione compiuta dei LEP viene offerta dal Piano sanitario nazionale 1998/2000 nel quale è sancito che: “sono definiti essenziali i livelli di assistenza che, in quanto necessari ed appropriati, debbono essere uniformemente garantiti su tutto il territorio nazionale ed all’intera collettività, tenendo conto delle differenze nella distribuzione delle necessità assistenziali e dei rischi per la salute”.

La legislazione socio-sanitaria relativa al D. Lgs 229/99 e L.328/00 e la modifica al Titolo V della Costituzione hanno introdotto quindi un compito nuovo allo Stato, ovvero, la definizione dei LEA in campo sanitario e dei LIVEAS in campo socio-assistenziale, ovvero quali sono le prestazioni sociali e sanitarie che devono essere garantite a tutti i cittadini in tutte le Regioni italiane sulla base di standard comuni.

L’articolo 22 della 328/00 prevede che il sistema integrato di interventi e servizi sociali garantisca al cittadino, nell’ambito del Distretto socio-sanitario, l’erogazione di alcune prestazioni essenziali che rappresentano i livelli essenziali delle prestazioni di assistenza sociale, i cosiddetti LIVEAS. I LIVEAS garantiscono un sistema di prestazioni e servizi sociali idonei a garantire, alle persone e alle famiglie, qualità della vita e cittadinanza sociale, nonché pari opportunità e tutela ai soggetti più deboli. I livelli essenziali devono definire prestazioni con carattere di universalità e la loro individuazione è stata connessa all’individuazione di aree di bisogno ed all’identificazione delle prestazioni e degli interventi necessari a soddisfare i bisogni.

L’articolo 22 identifica due gradi dei livelli essenziali, il primo è rappresentato dagli interventi che costituiscono il livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi secondo le caratteristiche ed i requisiti fissati dalla pianificazione nazionale regionale e zonale quali misure di contrasto alla povertà e sostegno al reddito, interventi a sostegno dei minori, disabili, anziani ed altre categorie vulnerabili; il secondo è costituito dall’erogazione delle prestazioni che le leggi regionali devono comunque prevedere come il servizio sociale professionale, servizi di pronto intervento sociale, assistenza domiciliare, strutture residenziali e semi-residenziali per soggetti con fragilità sociali.

L’articolo 22 però, presenta un limite, ovvero non determina il contenuto effettivo delle prestazioni, non soddisfacendo l’esigenza di garantire un diritto all’assistenza sociale uniforme in tutto il territorio nazionale, in conformità al principio di uguaglianza. Si limita infatti ad una

31 L. Degani, R. Mozzanica, Integrazione socio-sanitaria. Le ragioni, le regioni, gli interventi. Maggioli

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mera elencazione generale delle misure e degli interventi demandando alla pianificazione nazionale e regionale il compito di specificare le caratteristiche ed i requisiti delle prestazioni essenziali.

Un ulteriore apporto alla definizione dei LIVEAS è stato profuso dal Piano sociale nazionale 2001-2003 redatto a norma dell’articolo 18 della legge 328/00 e dedica il paragrafo 1 della parte III ai livelli essenziali delle prestazioni sociali, sancendo tre linee per la costruzione dei livelli: aree di intervento concernenti le responsabilità familiari, diritti dei minori, persone anziane, contrasto alla povertà, disabili, droghe; le tipologie di servizi e prestazioni quali servizio sociale professionale e segretariato sociale, servizio di pronto intervento sociale, assistenza domiciliare, strutture residenziali e semiresidenziali centri di accoglienza; le direttrici per l’innovazione ovvero partecipazione attiva della persona nella definizione delle politiche, integrazione degli interventi, promozione del dialogo sociale, diversificazione e personalizzazione degli intervento32.

La normativa prevede però che l’individuazione dei LIVEAS sia effettuata “ferme restando le competenze del Servizio sanitario nazionale in materia di prevenzione, cura e riabilitazione, nonché le disposizione in materia di integrazione socio-sanitaria di cui al decreto legislativo 30 Dicembre 1992, n.502”.

Un ulteriore passaggio si ha con la riforma del Titolo V della Costituzione in cui avviene la definizione dei livelli essenziali relativi all’ambito sanitario, sociale e socio-sanitario ai sensi della Legge 328/00, in cui si afferma che è competenza esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale concernenti i diritti civili e sociali, demandando alle Regioni la definizione delle modalità di organizzazione dei servizi e la possibilità di prevedere ulteriori livelli di assistenza, in riferimento ai LIVEAS la declinazione degli stessi spetta anche ai Comuni titolari delle funzioni amministrative in tema di servizi sociali. L’introduzione dell’accezione “essenziali” ha creato un dibattito perché c’è chi crede che essenziale è ciò che è necessario ed indispensabile a soddisfare uno specifico bisogno sociale strettamente legato alla persona che presenta il bisogno e a cui si dirige la prestazione e chi invece ritiene che significhi minimo, di base , compatibile alle risorse finanziarie e ciò ne svilisce il senso poiché, proprio in ambito sanitario, è essenziale ciò che risponde ai reali bisogni di salute è qualcosa di più della logica del livello minimo al di