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Íiva e l’erukku

Nel documento Il bel matal (pagine 48-61)

1.8 Gli elementi del ma al „Â utal e del culto ßivaita

1.8.2 Íiva e l’erukku

Oltre alla cenere, le ossa, la nudità e la processione, un elemento che gioca un ruolo di primaria importanza nella sovrapposizione tra il cavaliere del ma al e Íiva è l’erukku,

spesso menzionato tra gli attributi tradizionali del dio, ma soprattutto fiore con lui intimamente connesso. Numerosi sono i passi del Tvåram in cui l’erukku è presente,

tra gli altri Tv 1.41.2 in cui si legge:

kokkuiÂak؆u kËvi¬am mattam ko˜Âaiyo†u erukku aˆi ca†aiyar, akki˜o†u åmai pˈ†u aÒakuåka a˜alatuå†um em a†ika¬,

mikka nal v„tav„¬viyu¬ e∫kum viˆˆavar viraimalar tËva, pakkam palpËtam på†i a, varuvår - påmpura na˜nakarår„. (Tv 1.41.2)

Il dio dalle belle trecce ornate di erukku,

con il ko˜Âai, il mattam, il kËvi¬am e la penna di cicogna,

il nostro Signore che danza con il fuoco

è il Signore della bella città di Påmpura,

che arriva mentre numerosi spiritelli affezionati cantano e mentre gli dèi celesti spargono ovunque

fiori profumati nei sacrifici degli ottimi Veda.

Ed ancora in Tv 2.105.3 si dice che vivranno nel cielo coloro che, tenendolo nel cuore,

pensano continuamente a Íiva, il dio “che, insieme ai serpenti, ha mattam sbocciato e bianco erukku sulle trecce molto arruffate, su cui poggia la bianca luna” (Tv 2.105.3 veˆ nilå miku virica ai aravo um ve¬ erukku alarmattam); e anche in Tv 2.109.6 si dice

che non ci sarà rovina per coloro che loderanno sempre Íiva che ha “il denso va˜˜i, il

fitto erukku, il mattam e la bianca luna sulle lunghe e dense trecce” (Tv 2.109.6 tu˜Âu vårca ait tËmati, mattamum, tu˜ erukku, år va˜˜i).

L’erukku non è legato a nessuna particolare manifestazione di Íiva, che pure è il “dio dai molti e molti travestimenti” (Tv 2.85.9 pala pala v„ am åkum para˜). Le raffigurazioni, infatti, lo ritraggono adorno di questo fiore in molte delle sue forme e non solo quando, terrifico, danza sul terreno della cremazione (Zvelebil 1986: 25). Ad esempio, anche in forma di asceta, nudo, con il corpo bianco di cenere e le trecce rosse adornate con la Ga∫gå e una falce di luna crescente, Íiva indossa l’erukku, come si legge in Tv 3.79.5:

to†aittalai malaittu, itaÒi, tu˜˜iya erukku, alari, va˜˜i, mu†iyi˜ ca†aittalai milaicciya tapØta˜a˜; em åti; payilki˜Âa patiåm - pa†ait talai pi†ittu maÂavå¬aro†u v„ arka¬ payi˜Âu kuÒumi, ku†aittu alai natip pa†iya ni˜Âu, paÒi t¥ra nalku kØkaraˆam„. (Tv 3.79.5)

Il nostro Principio, l’asceta che ha le trecce

ornate da una ghirlanda di va˜˜i, di alari, di fitto erukku e di itaÒi,

mescolati sulla testa inghirlandata, è il Signore che noi lodiamo cantando

nel KØkaraˆam, bramato affinché si estinguano i peccati,

dove stanno i cacciatori, salmodiando e raccogliendosi in gran numero, insieme ai guerrieri che impugnano le armi,

Anche quando Íiva è lodato in forma di saggio espositore dei testi vedici e di mendicante in cerca di elemosina, si trovano riferimenti all’erukku indossato sulle trecce come in Tv 3.27.2:

på†i˜år, arumaÂai; pa˜imati ca†aimicaic cˆi˜år, pa†utalai tu˜ erukku ata˜o†um; nå†i˜år, i†u pali; naˆˆi Ør kåla˜aic cå†i˜år; va¬a nakar - cakkarappa¬¬iy„. (T„v 3.27.2)

Cakkarappa¬¬i è la bella città del dio che recita i difficili Veda, che indossa sulle trecce la luna rugiadosa,

insieme al fitto erukku sulla testa inghirlandata, che cerca l’elemosina offerta,

lui che ha ucciso Yåma dopo esserglisi avvicinato.

Nel suo studio sulle immagini meridionali degli dèi, Krishna Sastri (1986: 76), descrivendo Íiva nella forma di Rudra, menziona un particolare gioiello, chiamato

arkapupa “fiore di arka” (nome sanscrito che designa la Calotropis gigantea), che,

insieme al volto femminile della Ga∫gå, orna, poggiato sui capelli intrecciati e raccolti, il lato destro della testa del dio, mentre a sinistra risplende la falce di luna. Anche l’iconografia di Íiva rivelata dai testi sanscriti presenta in alcuni casi il dio ornato dai fiori di Calotropis gigantea (Nagar 1994: 366-387); ad esempio nell’A◊ßubhedågama

Íiva, nella forma di Na aråja “Signore della Danza”, è raffigurato con la testa decorata da ghirlande di fiori di arka, serpenti, un teschio umano e la falce di luna, mentre dal collo pendono collane di vario tipo, fatte di perle, serpenti, fiori di vakula (Mimusops

Elengi) e conchiglie (Nagar 1994: 378-79). Lo Ír¥tattvanidhi descrive un tipo di danza

(tåˆ∂ava) compiuta da Íiva, in cui il dio, di carnagione rossa, con una bellissima

espressione sul volto, ha quattro mani, serpenti come braccialetti e sulle trecce spettinate la luna crescente, il teschio e i fiori di baka (Sesbana grandiflora), dhattËra (Datura alba) e arka (Sivaramamurti 19942: 141).

La Calotropis gigantea non è soltanto un attributo ornamentale di Íiva, quanto piuttosto un fiore che si fonde con la più intima natura del dio, con cui è profondamente e variamente connesso. Fiore comunemente impiegato nell’adorazione di Íiva, a cui è particolarmente gradito (Sadashiv Ambadas Dange 1989: 536-37), viene invece proibito39, pena l’inferno, la malattia e la povertà, nel culto di Vi∑ˆu insieme al

dhattËra, altro fiore tipicamente ßivaita. Arka e dhattËra, piante che crescono ai margini

delle strade e in zone aride e incolte, velenose e impiegate, come nel caso della

Calotropis gigantea, per procurare l’aborto o uccidere i neonati, rimandano,

partecipando della sua natura, al terribile Rudra vedico, che vive isolato, escluso dalla società degli dèi (Duda 2006: 291-96). Inoltre, benchè generalmente nei puråˆa e nei

manuali di prescrizioni rituali si dica che a Durgå siano graditi tutti i fiori cari anche a Íiva, nel suo culto l’impiego del fiore di arka non è nei testi sempre raccomandato, ma talvolta consigliato solo se non ci sono altri fiori disponibili (Duda 2005: 117-18). Negli stessi testi viene anche affermato che, comunque, questo fiore non dovrebbe essere offerto a nessun’altra divinità femminile se non a Durgå, la Grande Dea che in forma di Pårvat¥ è sposa di Íiva. La mitologia ci fornisce proprio un interessante legame tra questa pianta e Pårvat¥. Quando il cieco re dei demoni Andhaka, rivolte le sue morbose attenzioni su Pårvat¥, escogitò un trucco per sottometterla al proprio desiderio, dopo aver assunto l’aspetto di Íiva, coperto di ferite per la recente battaglia contro i demoni, andò da lei in compagnia di un falso Nandin, il toro bianco cavalcatura del dio. Ella, vedendo il marito in quello stato, ordinò alle ancelle di portare bende e unguenti, ma mentre lo medicava, si accorse da alcuni segni40 di non essere in presenza di Íiva e capì di essere stata ingannata. Pårvat¥ fuggí inseguita da Andhaka, che non riuscí a prenderla in quanto lei, nascondendosi in un bianco fiore di arka, aveva trovato rifugio in Íiva stesso (VmP XLIII, 75-97; v. anche Sadashiv Ambadas Dange 1989: 537-38 che, oltre a riportare questo mito, afferma anche che in un bianco fiore di arka risiede Prajåpati, il “Creatore”, epiteto qui probabilmente riferito a Rudra). Kramrisch (1999: 392) afferma

39 Nell’adorazione di Vi∑ˆu il fiore di arka è inaccettabile a tal punto che non possono essere usati

nemmeno i fiori che sono venuti in contatto con lui (Duda 2006: 294).

40 Kramrisch (1999: 392) parla di segni taurini sui fianchi, ma, anche se il toro ha una posizione centrale

nell’iconografia di Rudra/Íiva, non è ben chiaro quali siano effettivamente questi segni sul corpo del dio. In una delle sue primissime rappresentazioni, Íiva viene raffigurato in forma antropomorfa dinanzi al toro; inoltre in MBh VII,173.30-31 egli è elogiato con vari epiteti che richiamano questo animale, riferendosi, ad esempio, al fatto che ha il toro come attributo, che ha l’orgoglio di un toro, che è il Signore dei tori, che è rappresentato dalle corna del toro, che è il toro dei tori, che reca il segno del toro (Kramrisch 1999: 28).

che, benchè nei puråˆa non ci si soffermi sul significato del fiore di arka, anticamente

era noto che tale albero rappresentasse Rudra/Íiva41. Essendo infatti spuntato nel luogo in cui il dio si riposava (ÍB IX, 1,1,9) era a lui intimamente connesso. Con la sua linfa

vitale dava nutrimento a Rudra ed era il cibo sacrificale offerto ritualmente a Íiva nel sacrificio Íatarudriya. Quando il dio fiammeggiante come fuoco desiderò del cibo, gli

dèi gli offrirono sesamo selvatico in una foglia di arka (ÍB IX, 1,1,1-8); questa foglia e

il cibo stesso erano considerati una cosa sola e insieme costituivano l’offerta per Rudra, che egli avrebbe consumato; in tal modo divennero una cosa sola con lui, che si rivelò come “Agni, l’arka” (ÍB X, 3,4,5) (Kramrisch 1999: 392). Rudra “Il Rosso” è Agni, il

Fuoco, nella cui forma Rudra spesso si manifesta, “glorioso come mille soli e fiammeggiante come il fuoco del giorno del giudizio” (KËP I,10,21-22; LP I,41,42-43)

anche quando uscì dalla testa di Brahmå, o secondo un’altra versione del mito dalla bocca del dio, soffio di vita e in quanto tale, fuoco e vitalità della vita stessa (Kramrisch 1999: 127-28).

Da quanto detto finora emerge quindi un intimo legame tra la Calotropis gigantea da una parte e Agni/Rudra/Íiva dall’altra, ma la ricerca porta più lontano, fino al culto di SËrya, il dio Sole con cui il Fuoco, rappresentante del Sole sulla terra, è intimamente connesso. Attraverso Agni anche Íiva, fuoco della vita e fuoco dello yoga concentrato nelle fiamme del terzo occhio, è strettamente collegato al Sole, la cui forza vivificante e la cui luce esso rappresenta, come si intuisce anche dal mito in cui le tenebre calarono su tutta la terra quando per scherzo Pårvat¥ coprì con le mani i tre occhi del marito (v. per il mito e le sue conseguenze, Kramrisch 1999: 393-97). La Calotropis gigantea, prima ancora che nel culto di Íiva, era, in tempi vedici, ritualmente impiegata in quello del Sole (Abbott 1984: 337; Duda 2006: 292; sito di Pandanus42, s.v. erukku), come testimonia anche il rito riferito da Thurston (1989: 45), ancora in uso in tempi moderni, in cui, quando il carro del sole si volge verso nord, ogni indù si applica foglie di arka sulla testa prima di fare il bagno, in onore dell’evento. In tempi antichi questa pianta era temuta (Duda 2006: 292) e si riteneva che potesse accecare coloro che gli si

41 Rudra “Rosso” è il nome vedico di Íiva. Come spiega Kramrisch (1999: 20-21), Rudra “ha due nature

(o due “nomi”) che può assumere a proprio piacere (MS IV,2,12): una crudele e selvaggia (rudra), l’altra benevola (ßiva) e tranquilla (ßånta). Si tratta di due aspetti strettamente connessi, che scaturiscono da una stessa fonte nascosta in profondità nel dio. Rudra è ßiva (ÙV X,92,9)”.

42 Website: http://iu.ff.cuni.cz/pandanus/database/, in cui è offerto un catalogo di numerose piante per

avvicinavano troppo (MBh I,716), credenza che dimostra come alla pianta fossero state attribuite le stesse proprietà dei raggi del sole, del quale essa era probabilmente ritenuta un simbolo terrestre. I termini con cui è designata la Calotropis gigantea confermano, anche dal punto di vista etimologico, il legame con il Sole, dal quale la pianta deriva i suoi nomi (scr. arka, åditya e sËryapattra). Il termine sanscrito arka infatti significa

anche “raggio, lampo, fulmine”, “sole” e “fuoco” (MW p. 89); åditya lett.“che

appartiene o che viene da Aditi”, nome principalmente riferito a SËrya, è usato anche per la Calotropis gigantea (MW p.137) e sËryapattra “foglia del sole” o “foglia del

fulmine” (MW p.1243) è usato in riferimento alle sue foglie, probabilmente per la loro forma allungata che ricorda quella dei raggi solari o del fulmine. E’ a tal proposito interessante ricordare anche l’appellativo Arkakanyå (“figlia o vergine del sole/fuoco”), con cui viene chiamata la Calotropis gigantea durante il finto matrimonio che viene celebrato tra i brammani che si sposano per la terza volta (v.§1.6).

La connessione della Calotropis gigantea con il fuoco (scr. agni) e quindi il calore è molto interessante in quanto l’opposizione binaria caldo / freddo pervade molti aspetti della vita dell’India meridionale (Beck 1969: 553). Il caldo è associato alla vita e alla fertilità, ma se il suo potere non è debitamente controllato può divenire molto pericoloso. All’opposizione caldo / freddo si sovrappone quella rosso / bianco: il rosso, che rappresenta il calore, è ambivalente in quanto, essendo collegato al sangue, da una parte è associato alla vita, alla sessualità, alla fertilità e alla femminilità, dall’altra è associato alla contaminazione, alla battaglia con un nemico e infine alla morte; il bianco, che rappresenta il freddo, esprime per contrasto il benessere ed è il colore appropriato per indicare recupero o guarigione dopo un periodo difficile o critico. Purificazioni, ritorni alla norma, guarigioni e stabilità ritrovate sono pertanto provocate dal controllo del calore e quindi dal suo “raffreddamento” ottenuto attraverso diversi semplici gesti rituali, testimoniati anche dai testi del Cakam, come ad esempio

indossare ghirlande di fiori freschi e serti di foglie di vmpu (Azadirachta indica) o di ma al (Borassus flabelliformis), frizionarsi il corpo di zafferano e pasta di sandalo,

decorare lance e cippi con penne di pavone (Dubianskiy 2000: 12). Anche molte sostanze vegetali e minerali hanno, secondo la credenza indiana, la proprietà del caldo o del freddo e per questo trovano svariati impieghi nella vita quotidiana, divenendo parte

essenziale di essa43 ed essendo usate nei riti religiosi, come rimedio per le malattie44, come prevenzione contro il malocchio45 e come elementi propiziatori per avere figli sani e robusti46. Gli alberi sono intimamente connessi con il fuoco47 e questo determina la loro fertilità (Abbott 1984: 313): la pianta e le foglie di erukku, in particolare, sono ritenute avere la proprietà del caldo al massimo grado (Beck 1969: 569). Beck non menziona esplicitamente il fiore di erukku, è tuttavia da ipotizzare, anche se nei testi del

Cakam non ne viene mai specificato il colore, una sua singolare valenza in quanto in

natura è presente in due varietà, una rossa e una bianca, i colori connessi con i concetti di caldo e di freddo.

E’ interessante rileggere il rito del ma al„Âutal alla luce della dicotomia caldo / freddo.

La passione amorosa, così come la sofferenza e la malattia (v.§1.2) da essa provocate,

43 La profonda importanza che le piante hanno nella vita indiana è testimoniata dal loro frequente uso in

tradizioni ed usanze, come ad esempio in un singolare processo al cui giudizio devono sottoporsi i

kuruvikkårar (“cacciatori di uccelli”): sette foglie di erukku sono legate ai palmi dell’uomo che deve essere giudicato e su queste viene poi appoggiato un pezzo di ferro ardente. L’imputato viene stabilito innocente se è in grado di portare il fardello per sette lunghi passi (Thurston 1912: 52). La Calotropis

gigantea è un elemento spesso presente anche nelle maledizioni, come ad esempio recita il detto “Possa

l’arka crescere abbondante a casa tua!”, e nei proverbi, come quello telugu che retoricamente chiede “Le api cercano mai la pianta di arka?”, e quello tamil che dice: “Costui si guadagna un merito che frantuma i germogli di erukku”. Nelle bocche delle madri che rimproverano i figli è familiare il detto: “Possa tu essere battutto con foglie di erukku!” (traduzioni inglesi in Thurston 1989: 45).

44 La malattia è descritta come uno stato di eccessivo riscaldamento o raffreddamento del corpo; i rimedi

alle malattie tendono in genere a controbilanciare questo stato (elementi caldi per malattie fredde e viceversa), ma non sono assenti casi in cui la malattia viene curata con elementi caratterizzati dalla medesima proprietà del male curato (caldo con caldo e freddo con freddo) (Beck 1969: 561). La pianta di

erukku è ritualmente impiegata contro alcune malattie: se, ad esempio, olio e gh¥, applicati sulla testa di chi è da lungo tempo affetto da malattia, vengono trasferiti su questa pianta, quando essa secca e muore il malato sarà salvo (Thurston 1989: 45).

45 Gli alberi, le loro foglie e i loro frutti sono la più comune protezione contro il malocchio. Anche

l’erukku trova impiego come amuleto contro il male che, secondo la credenza popolare, colpisce i bambini piccoli quando sono visti da una donna al quarto giorno del ciclo che, dopo aver fatto il bagno, abbia ancora i vestiti umidi e lo stomaco vuoto. A questa donna non è concesso neppure di guardare suo figlio o suo marito finchè non si sia cambiata le vesti e non abbia mangiato qualcosa. In questo caso per allontanare il malocchio è usata una cintura di corteccia di erukku (Thurston 1912: 185-86). Anche alcune comunità di lingua telugu, nei giorni di eclissi indossano, gli uomini alla vita o sulle braccia e le donne al collo, un pezzo di radice di erukku (Thurston 1912: 195).

46 Secondo varie credenze indiane centro-meridionali il potere degli alberi assicura alle donne un parto

facile e figli forti e sani. Il braccialetto di una donna durante il travaglio è posto ai piedi di una pianta di

erukku insieme a monete di rame e riso; poi un pezzo della radice dell’albero viene messo nei capelli

della partoriente e dopo la nascita del bambino riportato all’albero al fine di prevenire malattie al neonato. Anche la collana matrimoniale di una donna viene sepolta sotto una pianta di erukku con la preghiera di avere facilmente figli (Abbott 1984: 321). Nelle zone di lingua telugu, alcune caste hanno l’usanza di porre ramoscelli di Balanites Roxburghii o di Calotropis gigantea sul pavimento o sul tetto della stanza in cui giace la partoriente; viene anche acceso un fuoco in cui sono bruciati capelli, unghie, corni, zoccoli e ossa di animali al fine di proteggere la madre e il bambino da spiriti maligni (Thurston 1989: 306).

47 Anche la mitologia lega il fuoco con il mondo vegetale: Agni, il dio del fuoco, non voleva, in origine,

essere al servizio degli dèi e dell’uomo in qualità di sacerdote principale del sacrificio (ÙV X,51,4;6). Per sfuggire quindi a questa carica a cui erano stati vincolati precedentemente anche i suoi fratelli, Agni andò via ed entrò nelle acque e nelle piante (Kramrisch 1999: 29).

sono causate da una presenza eccessiva di calore, che deve trovare controllo nell’appagamento sessuale e nel matrimonio. Come osservato nel §1.3, il ma al„Âutal, è

proprio il mezzo estremo a cui si ricorre per risolvere con le nozze una passione amorosa cresciuta fino alla patologia, e quindi, in questa nuova ottica, esso è il mezzo per “raffreddare” il cocente sentimento imbrigliandolo nei convenzionali schemi di una situazione normale come quella del matrimonio48. L’impiego di certi elementi conferma questa ipotesi: le ghirlande di fiori, il ma al (Borassus flabelliformis) con cui è

intrecciato il cavallo, la cenere e le penne di pavone sono tutti elementi che possiedono la proprietà del freddo e quindi il potere di controllare il fuoco della passione. Il

ma al„Âutal è sotto questo punto di vista confrontabile con il rito di esorcismo compiuto

dal vla˜, il sacerdote di Muruka˜49, dio della fertilità e della sessualità, quando, interrogato dai genitori della ragazza preoccupati per il suo stato di salute (perdita eccessiva di peso, apatia, febbre) e diagnosticata la possessione della giovane da parte del dio, prepara un esorcismo con danze frenetiche, offerte, sacrifici cruenti e canti. Muruka˜ potrà così trovare soddisfazione e la ragazza, la cui guarigione è interpretata come un processo di “raffreddamento” e quindi di controllo dell’eccessivo calore provocato dalla passione50, sarà liberata. Anche in questo caso gli orpelli usati durante il rito simboleggiano controllo (Dubianskiy 2000: 25): fiori, serti di foglie di vmpu

(Azadirachta indica) o di ma al (Borassus flabelliformis), zafferano, amuleti e un filo

rosso legato attorno al polso (v. ad esempio Ai∫ 22 e 138). E’ interessante notare anche che nella letteratura del Cakam sia le danze in onore di Muruka˜ sia il ma al„Âutal

sono inseriti nella fase del ka¬avu, costituendo, insieme alla fuga dei due giovani

amanti, passi fondamentali verso la rivelazione dell’amore clandestino e quindi verso i preparativi del matrimonio.

Le dicotomie caldo / freddo e rosso / bianco giocano un ruolo di fondamentale importanza anche nel culto di Íiva, soprattutto attraverso la sua connessione con il fuoco, elemento che combina le proprietà di caldo e di rosso, e che è a sua volta

48 E’ in questa ottica significativa anche l’interpretazione del ma al„Âutal come battaglia (v.§1.6), altra

situazione caratterizzata da calore eccessivo (Dubianskiy 2000: 11).

49 E’ molto interessante notare che il termine tamil v„¬ “desiderio”, “matrimonio” (TL 3842) si riferisce

sia a Muruka˜, dio di origine meridionale legato alla fertilità e alla sessualità, sia a Kåma, dio pan-indiano dell’amore.

50 Per maggiori approfondimenti dello stretto legame tra passione amorosa e possessione da parte di un

collegato allo yoga e quindi a Íiva, il Grande Yogin51. Secondo la filosofia upani∑adica gli asceti con la forza della meditazione e come risultato dell’astinenza sessuale possono generare un fuoco interno, la cui sede è posta alla base della spina dorsale. Con la

Nel documento Il bel matal (pagine 48-61)