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Il bel matal

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Academic year: 2021

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(1)

U

NIVERSITÀ DEGLI

S

TUDI DI

P

ISA

DOTTORATO DI RICERCA IN LINGUISTICA GENERALE, STORICA, APPLICATA, COMPUTAZIONALE

E DELLE LINGUE MODERNE

(ITALIANO, INGLESE, FRANCESE, SPAGNOLO, TEDESCO) Cod. L-LIN/12

T

ESI DI

D

OTTORATO

rpj;jpu kly;

Il bel ma

 

al

PRESIDENTE DEL CORSO DI DOTTORATO

Chiar.ma Prof. Giovanna Marotta TUTORI

Chiar.ma Prof. Emanuela Panattoni Chiar.mo Prof. Filippo Motta

CANDIDATA

Sandra Gracci

(2)

A Stefano,

che in questi anni mi è stato accanto con amore, aiutandomi nei momenti difficili.

Un pensiero va anche a tutti coloro che nella vita si trovano a cavalcare con coraggio il loro maal. Al mio maal.

Un ringraziamento speciale va alla Prof.ssa Emanuela Panattoni che in questi anni di ricerca mi ha seguito con professionalità e pazienza nella stesura della presente tesi.

(3)

I

NDICE

INTRODUZIONE p. i

Traslitterazione e pronuncia del tamil p. iv

Abbreviazioni p. vi

CAPITOLO 1 Il ma al

1.1 Il ma al p. 1

1.2 Il rito del ma al„Âutal nella poesia del Cakam p. 1

1.3 Cause e scopi del ma al„Âutal p. 7

1.4 Il contesto letterario del ma al„Âutal p. 10 1.4.1 Il ma al„Âutal negli aintiˆai e nel peruntiˆai p. 14

1.5 Il ma al in epoca medievale p. 18

1.6 Il ma al„Âutal: cerimonia nuziale o cerimonia funebre? p. 23 1.7 Il ma al„Âutal e la devozione ßivaita p. 32 1.8 Gli elementi del ma al„Âutal e del culto ßivaita p. 33 1.8.1 Íiva e le ossa, le ceneri, la nudità e la processione p. 34

1.8.2 Íiva e l’erukku p. 36

1.8.3 Nuovi valori degli attributi di Íiva p. 46

1.9 Parallelismi tra il ma al„Âutal e le caratteristiche di Íiva p. 49 1.10 Alcune riflessioni sull’origine del rapporto tra il ma al e il culto di Íiva p. 53

CAPITOLO 2 Il Cittira ma al

2.1 Kå¬am„ka Pulavar p. 57

2.2 Introduzione al Cittira ma al p. 62

Testo e traduzione del Cittira ma al p. 65

CAPITOLO 3 Commento al Cittira ma al

(4)

Commento letterario e linguistico p. 102 3.2 Conclusioni p. 292 APPENDICE Tolkåppiyam KuÂuntokai NaÂÂiˆai Kalittokai TirukkuÂa¬ p. 301 p. 303 p. 308 p. 318 p. 346 GLOSSARIO p. 349 BIBLIOGRAFIA p. 375

(5)

I

NTRODUZIONE

Il Cittira ma al (“Il bel ma al”) si inserisce nella tradizione medievale che ha avuto

origine dal ma al„Âutal (“il cavalcare il ma al”), un antico tema letterario in cui un

giovane uomo, reso folle da una passione amorosa inappagata, cavalca ritualmente un cavallo finto foggiato di foglie di borasso, il ma al appunto, nelle vie e ai quadrivi della

città. Questo tema, già menzionato nel Tolkåppiyam, il più antico trattato tamil che tenta

di formulare e studiare i principi della produzione letteraria classica, trova posto nelle convenzioni letterarie del Cakam, non soltanto nella sezione marginale del peruntiˆai

(“situazione eccessiva”) in cui sono descritti gli amori inappropriati o male assortiti, ma anche nelle sezioni dedicate all’amore armonioso tra un uomo e una donna sullo sfondo dei cinque paesaggi degli aintiˆai (“cinque sezioni”). In epoca medievale, grazie ad

opere prestigiose come il Periya tirumaal (“Il grande ma al sacro”) e il CiÂiya tirumaal (“Il piccolo ma al sacro”) di Tiruma∫kai Ó¬vår (“l’ÓÒvår di Tiruma∫kai”),

questo tema si sviluppa come genere letterario indipendente sia nella letteratura di carattere amoroso sia in quella di carattere devozionale (bhakti), trovando la sua massima fioritura nel XV–XVI sec.d.C.

Risale al XV sec.d.C. anche la stesura del Cittira ma al di Kå¬am„ka Pulavar, che

appartiene al genere dell’ulåma al “il ma al della processione”, in cui un giovane uomo

si innamora di una bellissima ragazza e, dopo aver sognato di fare l’amore con lei, si risveglia con il fermo proposito di cavalcare il ma al, estremo gesto eroico per

conquistarla anche nella vita reale. Il testo, che è stato qui tradotto per la prima volta in una lingua europea e commentato dal punto di vista letterario e linguistico, offre interessanti spunti di riflessione che inducono a rileggere il tema del ma al„Âutal e

soprattutto i suoi sviluppi più tardi secondo una nuova chiave interpretativa. Dagli elementi rituali impiegati nel ma al„Âutal è infatti possibile ipotizzare un collegamento,

mai notato da altri studiosi, tra questa usanza e uno dei culti più tipici e significativi dell’India, il culto del dio Íiva; questa ipotesi è confermata dal Cittira ma al, che gioca

in tal senso un ruolo fondamentale, in quanto esplicita chiaramente il rapporto tra il cavaliere disperato, ma che a partire dai testi classici più tardi assume tratti eroici e guerrieri, e Íiva nel quale il giovane si trasforma assumendo gli attributi più tipici del dio.

(6)

Sebbene sia un argomento molto interessante, il ma al„Âutal trova spesso negli studi

moderni trattazioni frettolose ed approssimate, prive di spessore diacronico, in cui vengono mescolati elementi e caratteristiche ascrivibili a periodi letterari differenti. Il presente lavoro tenta dunque anche di colmare, sulla base dei testi classici e del Cittira

ma al, le lacune delle precedenti trattazioni e di gettare nuova luce su questo tema,

analizzandone sistematicamente le caratteristiche, le motivazioni e gli scopi all’interno delle rigide strutture convenzionali che vincolano il sistema letterario tamil. Anche se i dati linguistici e letterari costituiscono la prima fonte, quella più immediata e sicura, da cui attingere conferme alle ipotesi, tuttavia la ricerca deve essere estesa ai dati antropologici e culturali, che fanno riferimento all’antichissimo patrimonio di miti e credenze popolari e religiose, che hanno senza dubbio influenzato i temi e i motivi rielaborati e divulgati dai testi letterari. Tale patrimonio, testimoniatoci anche dalle relazioni moderne degli etnografi, che descrivono una lunga e radicata tradizione di credenze e superstizioni che hanno dato vita a numerosi rituali conservatisi fino ai giorni nostri, offre interessanti materiali confrontabili con le caratteristiche e le modalità psicologiche del ma al„Âutal, che quindi deve essere inserito e riletto all’interno di un

contesto più ampio che esce dai confini strettamente letterari.

Per concludere sono di seguito presentate le varie sezioni che compongono la tesi, suddivisa in tre capitoli, ai quali si aggiungono un’appendice e un glossario. Il primo capitolo discute il tema antico del ma al„Âutal, descrivendone gli aspetti e gli elementi

peculiari, analizzandone le cause e gli scopi all’interno del sistema delle convenzioni letterarie classiche e negli sviluppi più tardi e offrendo una panoramica dei riti e delle tradizioni tribali confrontabili con esso. Nella seconda parte del capitolo viene analizzato il rapporto del rito con il culto ßivaita, ne viene motivata l’origine e discussa la possibile direzione. Il secondo capitolo è dedicato alla traduzione, con testo tamil in interlinea, del Cittira ma al, preceduta da un paragrafo dedicato alla biografia di

Kå¬am„ka Pulavar. Il terzo capitolo offre il commento letterario e linguistico del Cittira

ma al, nel quale sono spiegate le caratteristiche peculiari del testo, discusse le scelte

interpretative e fornite tutte le indicazioni letterarie e mitologiche necessarie per la piena comprensione dello stesso. Nella sezione finale della tesi è prevista un’appendice che propone i testi e le traduzioni di tutti i componimenti del Cakam (KuÂu 14, 17, 32, 173,

(7)

ma al„Âutal, oltre a tre passi (984, 1000 e 1003) del Tolkåppiyam e uno (1131-1140) del TirukkuÂal (“Il sacro kuÂal”), parimenti interessanti ai fini della ricerca. Infine per una

piena comprensione del Cittira ma al, degli altri testi proposti e in generale dell’intero

lavoro nel glossario vengono spiegati i principali termini tamil e sanscriti e i nomi propri e vengono brevemente descritte le convenzioni letterarie del Cakam.

(8)

TRASLITTERAZIONE E PRONUNCIA DEL TAMIL

Per la traslitterazione e le regole di pronuncia sono state seguite le indicazioni come in Panattoni (2002: 630-31), dove il sistema adottato è quello del Tamil Lexicon di Madras.

Consonanti

labiali

dentali

alveolari retroflesse palatali velari

occlusive p t

 

c k

nasali m n ˜

ˆ

ñ

r l

¬

liquide

Â

Ò

semivocali v

y

Sono di seguito fornite alcune indicazioni generali sulla pronuncia del tamil: - le vocali lunghe hanno durata maggiore delle brevi;

- /u/ finale è generalmente brevissima;

- /ai/ in sillaba non iniziale è pronunciato [ei];

- la pronuncia delle occlusive varia in base alla loro posizione;

Vocali

brevi

lunghe

a å

i ¥

u Ë

e „

o Ø

ai au

(9)

o /k/ iniziale o doppia è pronunciata sorda; /k/ intervocalica è debolmente sonora e fricativa o aspirata; /k/ dopo nasale è sonora;

o /c/ iniziale o intervocalica è affricata o sibilante; /c/ doppia è sorda; /c/ dopo nasale è sonora;

o / / doppia è sorda; / / intervocalica o dopo nasale è sonora;

o /t/ iniziale o doppia è sorda; /t/ intervocalica è debolmente sonora e fricativa; /t/ dopo nasale è sonora;

o /p/ iniziale o doppia è sorda; /p/ intervocalica è debolmente sonora e fricativa; /p/ dopo nasale è sonora;

o /Ò/ si pronuncia approssimativamente come la [r] americana; o /Â/ e /r/ non sono generalmente distinte, così come /˜/ e /n/; o /ÂÂ/ si pronuncia [tt] o [tr];

o /˜Â/ si pronuncia [nd] o [ndr].

L’accento, pur non seguendo regole fisse, cade generalmente sulla vocale lunga o precede i gruppi consonantici; in parole polisillabiche possono esserci accenti secondari.

(10)

A

BBREVIAZIONI

Ai: AikuÂunËÂu Aka: AkanånËÂu

BhP: Bhågavata-Puråˆa

CDIAL: A Comparative Dictionary of the Indo-Aryan Languages Cilap: Cilappatikåram

CiÂupåˆ: CiÂupåˆåÂÂuppa ai

DEDR: A Dravidian Etymological Dictionary Revised

fig.: figurato

IA: IÂaiya˜år Akapporu¬

IAC: commentario di Nakk¥rar al IÂaiya˜år Akapporu¬ I¬am: I¬ampËraˆar.

ingl.: inglese Kali:Kalittokai KK: Ka¬aviyaÂkårikai KËP: KËrma Puråˆa KuÂu: KuÂuntokai lett.: letterale LP: Liga Puråˆa MBh: Mahåbhårata MS: Maitråyaˆi Saµhitå MV: Muttuv¥riyam MW: Monier - Williams

NA: Akapporu¬ vi¬akkam scritto da Nårkaviråca Nampi

Nampi: Nårkaviråca Nampi, autore del Akapporu¬ Vi¬akkam NaÂÂ: NaÂÂiˆai

od.: odierno

Pa  i: Pa  inappålai Poru: PorunaråÂÂuppa ai PuÂa : PuÂanå˜ËÂu ÙV: Ùg Veda Saµhitå ÍB: Íatapatha Bråhmaˆa ÍP: Íiva Puråˆa

(11)

Tv: Tvåram Tiru: TirukkuÂal

Tirumuru: TirumurukåÂÂuppa ai Tk: TirukkØvaiyår

TL: Tamil Lexicon Tol: Tolkåppiyam

TNV: TamiÒneÂi ViÒakkam TP: Tolkåppiyam Poru¬atikåram

v.: vedi vb: verbo VmP: Våmana Puråˆa vr: variante NEL COMMENTO ACC: accusativo AUS: ausiliare CAUS: causativo COM: comitativo COND: condizionale CONG: congiunzione DAT: dativo EP: epiceno F: femminile FUT: futuro GEN: genitivo GER: gerundio IMP: imperativo INC: incremento INF: infinito INT: interrogativo LOC: locativo M: maschile N: neutro NVB: nome verbale

(12)

NEG: negativo

NEG.G: gerundio negativo, marcato dal suffisso negativo -å- o -åt- a cui si unisce il suffisso zero di gerundio

NEG.P: participio negativo, marcato dal suffisso negativo -å- a cui si unisce il suffisso zero di participio

NSG.F: terza persona neutra singolare dell’indicativo futuro, marcata dal suffisso temporale zero + la desinenza personale –um (ugualmente 1SG.F indica la prima persona singolare dell’indicativo futuro)

NVB: nome verbale ON: onorifico PL: plurale PRON: pronome PRS: presente PRT: participio

PRT.F: participio futuro, marcato dal suffisso temporale zero + il suffisso di participio – um

PRTC: particella PST: passato

PST.G: gerundio, marcato dal suffisso zero unito a un suffisso di passato SG: singolare

STR: strumentale SUF: suffisso T: tema

(13)

C

APITOLO

1

Il ma

 

al

1.1 Il ma al

Il termine maal (TL 3020) designa la foglia di palma, banano e pandano, il gambo

dotato di aculei della foglia di borasso, il “cavallo” fatto di foglie e gambi di borasso. Oltre che in tamil, la parola ma al ricorre anche in malayalam (ma  a, ma  al “ramo di

palma”; ma al “ramo di palma”, “foglia di palma”, “guscio di cocco”), kanna∂a (ma  e, mo  e “ramo di palma”, “albero di cocco”; maal “ramo dell’albero di cocco”), ko∂agu

(ma  a “base delle fronde dell’albero di cocco”), tulu (maalu “ramo di palma”, “ramo

di cocco con foglie seghettate”), telugu (ma  a “ramo di palma”, “foglia di aloe o di

piante simili”, “giovane albero di palma”) e ga∂ba (ma  a “spata dell’albero di palma”)

(DEDR 4663) e può essere ricostruita come *ma - -ay / *ma -al “gambo di foglia di

felce o palma” (Zvelebil 1986: 22).

Questo termine designa anche un genere letterario di epoca medievale (v.§1.5), in metro

kaliveˆpå, sviluppatosi da un piú antico tuÂai “tema” della letteratura amorosa del Cakam (ma al„Âutal o ma alËrtal, “il montare / il cavalcare il ma al”), in cui un

innamorato respinto, debitamente acconciato, decide di cavalcare un cavallo finto, fatto di foglie e gambi aguzzi di borasso (ma al), nelle strade della città tra i pettegolezzi

della gente.

1.2 Il rito del ma al„Âutal nella poesia del Cakam

Nel corpus della poesia tamil classica il tema del maal„Âutal è menzionato in sedici

componimenti, trovandosi già nei testi piú antichi del KuÂuntokai (14, 17, 32, 173, 182)

e del NaÂÂiˆai (146, 152, 220, 342, 377), come anche nella poesia classica piú tarda del Kalittokai (57, 60, 137, 138, 139, 140). Il ma al„Âutal descrive la minaccia, talvolta

concretizzata1, da parte di un innamorato respinto e sofferente, di cavalcare nelle strade della città svelando il sentimento, fino a quel momento segreto, che lo lega alla ragazza

1 Secondo Manickam (1962: 40), c’è una differenza fondamentale nel trattamento dell’usanza negli

aintiˆai, da una parte, e nel peruntiˆai, dall’altra. Infatti negli aintiˆai c’è la sola minaccia da parte dell’amante di ricorrere a tale atto, nel peruntiˆai, invece, l’usanza è realmente messa in pratica (v. a proposito §1.4.1).

(14)

e attirando su di sé e sulla donna amata i pettegolezzi del villaggio. La cavalcatura dell’uomo è costituita da un “cavallo” fatto di foglie ruvide e gambi aculeati di borasso (Borassus flabelliformis), decorato con campanelli e ghirlande. Con questa minaccia l’uomo spera di convincere la confidente della donna a combinare un appuntamento con l’amata, spinta dal timore che egli possa realmente compiere questa degradante usanza, rivelando la relazione amorosa ancora clandestina. Il ma al„Âutal, essendo un’usanza

altamente ritualizzata e ben inserita nelle convenzioni che regolano la letteratura amorosa del Cakam, è rigidamente strutturato e ha delle componenti significative che

devono essere presenti, anche se non tutte contemporaneamente2, affinchè il rituale sia efficace. Tali elementi rituali sono oggetti materiali che l’eroe deve usare nel compiere il rito e anche sentimenti ed emozioni che devono essere manifestati affinchè tutto avvenga secondo le norme e il ma al„Âutal svolga la sua funzione. Gli elementi rituali

sono:

ƒ il cavallo (må, må˜) finto (Na 220.3 uˆˆå na˜må “un buon cavallo che non

mangia”), fatto di rami, fronde e gambi di borasso (pa˜ai, peˆˆai); tale pianta è

menzionata in tutte le descrizioni (tranne in Na 220), ad esempio in Na 146.3 si dice ne u må peˆˆai ma al må˜ “cavallo fatto di lunghi e scuri gambi di borasso”, in

KuÂu 173.2 pa˜ai pa u kali må “robusto cavallo fatto di borasso”, in KuÂu 182.1 viÒuttalai peˆˆai vi¬aiya˜ måma al “cavallo fatto di gambi maturi di borasso dalle

ricche fronde”, in Kali 137.12 pa˜ai ¥˜Âa må “cavallo fatto di borasso”;

ƒ i campanelli (maˆi) legati al collo del cavallo (KuÂu 182.2 maˆiyaˆi peruntår “una

grande ghirlanda decorata di campanelli”; KuÂu 173.3 pˈmaˆi karaka “facendo

tintinnare i campanelli attaccati”; NaÂÂ 220.1 ciÂumaˆi to arntu “appesi piccoli

campanelli”; Kali 138.9 maˆi årppa “facendo tintinnare i campanelli”; 139.6 pi i amai nËlo u peym maˆi ka  i “adornato di campanelli legati alle briglie”); KuÂu

182.2 maˆiyaˆi peruntår marapi pË  i “legando una grande ghirlanda di campanelli

in base alle regole stabilite”, conferma che questo ornamento è convenzionale;

2 Essendo il ma al„Âutal altamente convenzionale, non è necessario che tutti gli elementi costitutivi siano

ogni volta menzionati per intero: al lettore esperto è sufficiente avere alcuni elementi per cogliere il quadro completo del rito, così come ogni componimento di genere akam del Ca∫kam è facilmente ascrivibile ad uno dei cinque tiˆai attraverso il riferimento a poche sue caratteristiche fondamentali e comunemente riconosciute.

(15)

ƒ le ghirlande3 (kaˆˆi, tår, målai) di fiori, indossate dall’uomo o legate al collo del

cavallo; i fiori sono spesso germogli (mukiÒ) non ancora sbocciati o comunque fiori di nessun valore4, come è spiegato in Na 146.1 villa pËvi˜ kaˆˆi cË i “indossando ghirlande di fiori che non sono venduti”; il fiore più frequentemente indossato è l’erukku / erukkam (Calotropis gigantea) (KuÂu 17.2 kuvi5 mukiÒ erukka kaˆˆiyuñ cË upa “indosseranno una ghirlanda di fiori di erukkam dai germogli a forma di

cono”; NaÂÂ 152.1-2 mi ai pË erukki˜ alar “erukku intrecciato ad altri fiori”; NaÂÂ

220.2 kuÂumukiÒ 6 erukkam kaˆˆi cË i “indossando una ghirlanda di erukkam dai

3 Le ghirlande di fiori sbocciati (e non di germogli) sono nella tradizione tamil comunemente usate nelle

cerimonie religiose e nuziali. Manickam (1962: 102-06), facendo riferimento a vari componimenti del

Ca∫kam (Ai∫ 294; Aka 86, 180; NaÂÂ 143; KuÂu 312; Kali 107, 115), osserva che i fiori sono ornamento esclusivo delle donne sposate, e non delle ragazze ancora vergini, e che il portare fiori nelle trecce poteva rivelare la presenza di un uomo amato quando ancora l’amore era segreto.

4 L’erukku, frequentemente usato nella pratica del ma al, è menzionato come fiore di nessun valore anche

in PuÂa 106, in cui il poeta Kapilar, elogiando la generosità dell’eore V„l Påri, la paragona all’atteggiamento degli dèi, quando ricevono in offerta un mazzo di erukkam, fiore né desiderabile né indesiderabile:

nallavun t¥yavu malla kuviyiˆarp pullilai yerukka måyi˜u mu†aiyavai ka avu¬ p„ˆ„ me˜˜å vå∫ku

ma avar melliyar celli˜um ka ava˜ påri kaivaˆ maiy„ (PuÂa 106)

Anche se il fiore dell’erukkam dai fitti grappoli non è considerato né desiderabile né indesiderabile,

gli dèi non diranno ‘Non ci piace’, quando viene loro offerto. Così è Påri nella sua generosità

sia nei confronti dell’ignorante che del meschino che va da lui.

L’erukku è qui detto essere un fiore da poco, di nessun valore, insignificante in quanto non rientra né fra le cose buone né fra quelle cattive. Il dio, quando gli vengono offerti fiori di erukku, non dice di non gradirli, non li rifiuta, ma non sono certo i classici fiori offerti per compiacere la divinità. L’erukku è, infatti, nel mondo delle piante, il corrispettivo di ciò che nel mondo umano è rappresentato dall’uomo ignorante e di bassa casta.

Tra gli altri fiori del ma al„Âutal anche il pˬai (Bombax malabaricum) non è un fiore positivamente connotato in quanto ha la caratteristica di appassire molto velocemente.

5 Kuvi, derivando dalla radice verbale kuvi dai significati di 1.“chiudersi (come fiori di notte)”,

2.“assumere forma circolare (come labbra nel baciare o nel pronunciare vocali labiali)”, 3.“diventare rotondo, globulare” (TL 1029), indica la particolare forma a cono dei germogli di erukkam, simili ad una mano in cui le dita vengano raccolte a grappolo. L’erukkam, quindi, a differenza, dei fiori più comunemente usati in cerimonie religiose o nuziali, sembra non sbocciare ma rimanere germoglio, spesso e duro, proprio come l’amore che provoca il ricorso al ma al„Âutal (v. KuÂu 17.4 kåma∫ kåÒkko¬i˜„ “Quando l’amore si indurisce come un nocciolo”).

6 Il composto kuÂumukiÒ “dai piccoli germogli” (formato da kuÂu “piccolo” e da mukiÒ “germoglio”) è

spesso usato come attributo del fiore dell’erukkam, e si riferisce a boccioli piccoli in quanto non sviluppati. L’aggettivo kuÂu infatti si riferisce a ciò che è piccolo in quanto imperfetto, perché non ha avuto il tempo o la possibilità di crescere e svilupparsi in modo appropriato o perché è difettoso, ed è usato in opposizione a ciÂu che invece significa “piccolo”, ma senza la connotazione di “imperfetto, non

(16)

piccoli boccioli”; Kali 137.9 aˆip pˬai åvirai erukko u “insieme all’erukku, l’åvirai

e il bel pˬai”; Kali 138.8-9 aˆi alaku åviraip pËvØ u erukki˜ piˆaiyal am kaˆˆi milaintu “indossando una bella ghirlanda intrecciata di erukku e di lucente åvirai”),

ma sono menzionati anche anche l’åvirai (Cassia auricolata) (KuÂu 173.1-2 po˜˜„ råvirai putumalar mi ainta pa˜˜Ë˜ målai “adornato con ghirlande dai molti fili,

fittamente intrecciate di freschi fiori di dorato åvirai”; Kali 137.9 v. sopra; Kali

138.8 v. sopra; Kali 139.7 a ar po˜ avir ykkum åvira kaˆˆi “ghirlande di åvirai

lucente come oro battuto”), il pˬai (Bombax malabaricum) e l’uÒiñai

(Cardiospermum halicacabum) (Kali 137.9 v. sopra; Kali 137.18 pˬai, pola malar åvirai “il pˬai e il dorato åvirai”; Kali 139.4 pˬai uÒiñaiyØ u yåtta “intrecciato con

l’uÒiñai e il pˬai);

ƒ le collane di ossa bianche (ve¬-¬-e˜pu), indossate dall’innamorato (KuÂu 182.3 ve¬¬e˜ paˆintu “indossando bianche ossa”); Ramachandra Dikshitar (1983: 275) afferma

che le ossa sono di gatto, ma l’affermazione non viene motivata né sostenuta dal riferimento ai testi e quindi poco probabile almeno per quanto riguarda il periodo classico;

ƒ le penne di pavone (p¥li) che adornano il corpo dell’uomo (Kali 137.8 maˆi p¥li cË  iya nËlo u “con un filo adornato di penne di pavone simili a zaffiri”; Kali 139.5 pu˜a varai i  a vayaku tår p¥li “ghirlande di splendide penne di pavone dalle

regioni collinari”);

ƒ i canti, le grida di dolore e gli strilli di disperazione, emessi dall’innamorato mentre cavalca in pubblico per rivelare la sua frustrazione e l’identità della donna amata (KuÂu 32.5 teÂÂe˜a tËÂÂalum “facendo sapere apertamente la sofferenza (provocata

dalla donna)”; KuÂu 173.4-5 a  aÒipa a ruˆˆØy vaÒivaÒi ciÂappa i˜˜a¬ ceyta tituve˜a

“gridando: è lei la donna che mi ha fatto ciò, facendo crescere sempre piú la malattia che mi distrugge”; Kali 137.10 iva  på um i˙atu otta˜ “qui c’è un uomo che canta di questa donna”; Kali 138.12-13 v¥∫ku iÒai måtar tiÂattu o˜Âu n¥∫kåtu på uv„˜

“canterò, senza esitare, divulgando la verità su questa donna dai fini ornamenti”;

Kali 139.14-16 på ukØ e˜ u¬ i umpai taˆikkum maruntåka na˜˜utal ¥tta im må

“canterò questo cavallo, che la donna dalla bella fronte mi ha dato, come rimedio sviluppato” (da notare che l’espressione ciÂukuÂu måkka¬ significa “gente piccola”, quindi “ragazzini”, che sono piccoli in quanto non ancora sviluppati). L’erukkam è quindi un fiore “imperfetto”, proprio come il tipo di amore provato dall’amante che lo indossa.

(17)

che cura la sofferenza del mio cuore?”; Kali 140.22 maÂuki˜kaˆ på a “cantando

nelle strade”) o, talvolta, per inneggiare alla sua straordinaria bellezza (NaÂÂ 377.3

o¬ nutal arivai nalam pårå  i “celebrando la bellezza della donna dalla splendida

fronte”; Kali 140.5-6 orutti aˆi nalam på i “cantando le virtú della bellezza della

donna”);

ƒ l’amore che causa sofferenza, e che è rappresentato come qualcosa di vivo (v. anche Hardy 1983: 337) che nasce, si sviluppa e diventa una malattia (nØy) (KuÂu 173.4-5 aruˆˆØy vaÒivaÒi ciÂappa “facendo crescere sempre piú la malattia che mi

distrugge”; Na 377.9 melikkum nØyå ki˜Â„ “è una malattia che mi indebolisce”;

Kali 137.15 niÂai aÒi kåma nØy n¥nti “nuotando nella malattia della passione

amorosa che distrugge il mio autocontrollo”; Kali 57.20-21 innØy poÂukkalåm varaittu a˜Âi peritåyi˜ “se questa malattia superasse i limiti della mia sopportazione”; Kali 137.21 paricu aÒi paital nØy mËÒki “annegando nella dolorosa

malattia che distrugge la mia dignità”; Kali 138.10-11 e˜ evva nØy tå∫kutal t„ÂÂå i umpaikku uyirppåka “come sollievo alla mia sofferenza divenuta un’insopportabile

malattia”; Kali 138.18 uyyå aru nØykku uyavåkum “sarà la cura per la mia grave

malattia che non trova sollievo”; Kali 138.29 aÒal ma˜Âa kåma aru nØy niÒal ma˜Âa

“è il rifugio a cui aggrapparmi contro la grave malattia del fuoco della passione”;

Kali 139.18-20 i˜ cåyal oˆ o i nØy nØkkil pa  a e˜ neñca nØy kaˆ um “pur vedendo

la malattia del mio cuore che soffre alla mortale vista della bella donna dagli splendidi bracciali”; Kali 139.31-32 i˜˜a maru¬uÂu nØyo u mammar akala “ponendo

fine al mio dolore e alla malattia che mi confonde a tal punto”);

ƒ la vergogna e il pudore (nåˆ) che l’eroe deve superare per abbandonarsi al rito (KuÂu 14.6 nåˆukam “sono imbarazzato”; KuÂu 32.6 våÒtalum paÒiy„ “la vita sarebbe una vergogna”; KuÂu 173.3-4 nåˆa  aÒipa a “quando abbandonerò la

vergogna”; KuÂu 182.4 perunåˆ ¥kki “messa da parte la grande vergogna”; Kali

57.22 maÂuttu “vergognandomi”; Kali 137.3 nåˆo u “insieme alla vergogna”);

ƒ il villaggio / la città (Ër), in generale (Na 146.2 pal Ër tiritaru “andando di

villaggio in villaggio”; NaÂÂ 377.2 vaippi˜ nå um Ërum “di villaggio in villaggio, di

regione in regione in questo esteso mondo”) o in particolare dell’uomo o della donna (KuÂu 14.4 aÂikatil lamma ivvËr “farlo sapere a tutta la città”; NaÂÂ 342.3-4

(18)

tua”; Kali 57.22 ivvËr ma˜Âattu “nella pubblica piazza di questa città”; Kali 60.22 mallal Ër å∫kan pa um “si mostrerà là, nella prospera città”; Kali 139.20 kaˆ um kaˆˆØ åtu ivvËr “questa città, pur vedendo, non si dispiace”); il villaggio è spesso

menzionato come “strade” (KuÂu 32.4 måve˜a ma alo u maÂukiÂÂؘÂi “andando per

le strade cavalcando il ma al come cavallo”; Kali 137.10 mallal Ër maÂuki˜kaˆ

“nelle strade della prospera città”; Kali 140.22 maÂuki˜kaˆ på a “cantando nelle

strade”), ma anche come “abitanti/spettatori” (kåˆunar, kaˆ avir) (Kali 138.20 kåˆunar e¬¬ak kalaki “rendendomi confuso per lo scherno degli spettatori”; Kali

139.1 kaˆ avir ellåm “voi tutti che mi avete visto”), o come “corteo di ragazzini”7

che accompagna l’uomo nella sua cavalcata (NaÂÂ 220.3-4 emmu a˜ maÂuku a˜ tiritarum ciÂukuÂu måkka¬ “insieme a me ragazzini vaganti nelle strade”).

Strettamente collegati al villaggio troviamo altri tre elementi importanti:

ƒ i pettegolezzi (alar) degli abitanti del villaggio8, senza i quali il rituale perderebbe gran parte del suo significato in quanto non costituirebbe una reale minaccia per la ragazza amata (KuÂu 14.4-6 maÂukil nallج kaˆava˜ iva˜ e˜a pallØr “nelle strade

tutti direbbero: costui è il marito di questa donna virtuosa”; Na 152.1-2 alar mi ai pË erukki˜ alar tanta˜Â„ “i pettegolezzi del villaggio mi hanno dato ghirlande di

erukku intrecciato ad altri fiori”);

ƒ la derisione e lo scherno che colpiscono l’uomo per il suo gesto vergognoso (KuÂu

17.3 maÂuki˜ årkkavum pa upa “saranno perfino sbeffeggiati nelle strade”; KuÂu

182.3-4 piÂar e¬¬a tؘÂi orunåˆ marukil “andando un giorno nelle strade

sottoponendomi allo scherno degli altri”; NaÂÂ 146.2 nal muÂuval e˜a “essendo

guardato come un pazzo”; Kali 60.24 e¬¬i naki˜um “anche se disprezzato e deriso”; Kali 138.20 kåˆunar e¬¬a kalaki “rendendomi confuso per lo scherno degli

spettatori”); talvolta, invece, gli spettatori mostrano benevolenza (aru¬) e sostegno

7 Tale corteggio si pone chiaramente in antitesi allo schiamazzo festoso dei bambini in occasione di feste

o anche di visite da parte di occidentali nei villaggi indiani. Ed è proprio nei racconti di viaggio in India da parte di occidentali che spesso si trova riferimento al corteggio di bambini curiosi che accompagnano il nuovo arrivato con grida e schiamazzi di gioia (v. a tal proposito Scialpi 1991, dove si menziona più volte il corteggio dei bambini durante le visite da parte dell’autore a dei villaggi del Tamil Nadu).

8 I pettegolezzi (soprattutto femminili) sono un elemento interessante che influisce sul rapporto amoroso

tra i due giovani, soprattutto quando questo è ancora segreto; in generale, i pettegolezzi non sono graditi ai due amanti in quanto costituiscono un impedimento alla loro unione clandestina, costringendoli a progettare il matrimonio (Manickavasagom 1964: 332) o inducendo la madre a sorvegliare da vicino i movimenti della figlia. Anche la madre e la nutrice della ragazza non gradiscono le chiacchiere in quanto considerano impertinente da parte del villaggio parlare della giovane e quindi coinvolgere, di riflesso, il prestigio di tutta la famiglia (Manickam 1962: 47-48).

(19)

(tuˆai) nei suoi confronti (NaÂÂ 146.7 aru¬i kË um årva måkka¬ “ci saranno uomini che si raccoglieranno attorno a te, mostrandoti la loro benevolenza”; Kali 137.24-25

i¬aiyårum tilavarum u¬aiya yå˜ uÂÂatu ucåvum tuˆai “giovani e stranieri, venendo a

conoscenza della mia sofferenza, mi hanno sostenuto”);

ƒ la vergogna per il gesto e quindi il biasimo (paÒi) nei confronti della donna che l’ha

causato e dell’uomo stesso la cui debolezza lo ha indotto a tale degrado (KuÂu

32.4-6 maÂuki˜ tؘÂi teÂÂe˜a tËÂÂalum paÒiy våÒtalum paÒiy„ “se io andassi per le strade proclamando apertamente la mia sofferenza sarei per lei motivo di vergogna, e la vita stessa sarebbe una vergogna”; KuÂu 173.5-6 mu˜˜i˜Âu ava¬paÒi nuvalum ivvËr

“il villaggio la biasimerà apertamente”; Na 377.9 kaÒaÂum melikkum nØy åki˜Â„ “è una malattia che mi indebolisce tanto da attirare il biasimo”; Kali 57.23 n¥ pa u paÒiy„ “e il biasimo ricadrebbe su di te”).

1.3 Cause e scopi del ma al„Âutal

La causa scatenante del ma al„Âutal è la sofferenza dell’innamorato respinto, la cui

passione, non potendo essere appagata, diviene insopportabile e induce il giovane ad un gesto estremo (v. ad esempio KuÂu 17.4 kåma kåÒkko¬i˜„ “Quando l’amore si indurisce come un nocciolo”). Il ma al„Âutal è quindi in primis l’espressione della frustrazione

amorosa e soprattutto sessuale dell’uomo che con la minaccia di far ricorso a questo rito spera di ottenere da parte della ragazza amata e dei suoi genitori il consenso alle nozze e quindi il coronamento sentimentale e fisico del suo sogno d’amore (v. a proposito Kali 137.28-29 ma al i˜i iva¬ peÂa i˜pattu¬ i ampa al e˜Âu “da ora in poi, avendola ottenuta,

il ma al non troverà ragione di esistere nell’appagamento sessuale”). Il rituale è diretta

conseguenza di questa frustrazione: in termini antropologici può essere spiegato come stimolazione erotica masochista con simultaneo rifiuto della propria sessualità, da considerare anche nel contesto di altre usanze tribali, frequentemente descritte nei resoconti antropologici ed etnografici, come la perforazione della lingua o delle guance con piccoli aghi e altri oggetti appuntiti. Zvelebil (1986: 24) fa notare che, sebbene questi riti appartengano a culture diverse ed abbiano differenti motivazioni, la loro modalità psicologica può essere confrontata con quella del ma al„Âutal: i rami aguzzi di

borasso, di cui è costituito il cavallo, infatti, nel movimento feriscono le zone erogene dell’uomo, suggerendone la castrazione. Anche il fiore di erukku, ornamento rituale

(20)

dell’uomo (v.§1.2), può avere connotazione sessuale in quanto il liquido viscoso e biancastro, stillato dalle sue foglie, nell’immaginario comune rimanda probabilmente al seme virile.

Dai testi del Cakam emergono essenzialmente due fattori che acuiscono la sofferenza

dell’uomo a tal punto da indurlo a proclamare l’intenzione di cavalcare il ma al:

ƒ il rifiuto da parte della confidente della giovane di esaudire la richiesta dell’uomo di organizzare l’incontro con l’amata, come esplicita KuÂu 182.5-7, in

cui si legge måma al ... teruvi˜ iyalavum taruvatu kollØ ... nåmvi aÂku amainta tËt„ “forse il messaggio spedito, respinto da colei che non si intenerisce, ci farà cavalcare il ma al nelle strade?”;

ƒ l’acuirsi della passione amorosa che non trova appagamento, come chiarisce

NaÂÂ 152 che attribuisce all’amore (kåmam) la risoluzione di ricorrere al ma tal„Âutal (NaÂÂ 152.1 ma al kåmam tantatu “L’amore mi ha dato il ma al”).

Takahashi (1995: 110) fa anche giustamente notare che la parola kåmam (TL

872) non si riferisce esclusivamente al sentimento amoroso, ma anche all’oggetto di questo sentimento e quindi alla donna stessa: la ragazza, la sua bellezza o la sua sola esistenza provocano il climax della passione amorosa dell’uomo; ciò è chiaramente menzionato in KuÂu 173, in cui l’eroe afferma: “E’

lei la donna che mi ha fatto ciò, facendo crescere sempre più la malattia che mi distrugge” (KuÂu 173.4-5 nØy vaÒivaÒI ciÂappa i˜˜a¬ ceyta titu), intendendo che

la donna è così bella da farlo soffrire e per questo “il villaggio la biasimerà” (KuÂu 173.6 ava¬paÒi nuvalu mivvËr). Ugualmente in Kali 137.12-13 si dice pa arum pa˜ai ¥˜Âa måvum cu ar iÒai nalkiyå¬ nalkiyavai “il dolore e il cavallo

di borasso, queste sono le cose che la donna dai lucenti bracciali mi ha dato”. Questi versi potrebbero anche far supporre che la donna abbia trattato malamente l’uomo, ma, come osserva anche Takahashi (1995: 110), in nessun testo che tratta l’amore pre-matrimoniale, si fa mai menzione al maltrattamento dell’eroe da parte della donna, non essendo questo ipotetico tema contemplato dalle convenzioni degli aintiˆai.

La bellezza della donna e il rifiuto della confidente sono dunque le due cause del

ma al„Âutal che sembrano operare in concomitanza e non distintamente come sostiene

(21)

il fatto di non poterla avere subito fa sì che il suo amore si accenda sempre più per il desiderio, nell’attesa di un possibile incontro che sembra sfumare.

Dopo aver indagato le cause che portano l’uomo a proclamare il ma al, passiamo adesso

a vagliarne i possibili scopi:

ƒ minacciare la confidente della ragazza di rendere la situazione nota al villaggio, al fine di costringerla ad organizzare un incontro con l’amata (ma al kËÂÂu

“proclamazione del ma al”) (per una dettagliata trattazione, v. sotto);

ƒ attirare l’attenzione del villaggio su un’unione ancora clandestina per costringere la ragazza e ancor piú i suoi genitori a combinare il matrimonio, come si legge in

KuÂu 14 in cui lo scopo del rito non è tanto ottenere la donna, con la quale c’è

già un rapporto segreto, quanto rivelare al villaggio l’amore ancora clandestino (KuÂu 14.3-4 peÂukatil amma y嘄 peÂÂu å∫ku aÂikatil amma ivvËr„ “Potrei

avere questa donna e, dopo averla ottenuta, farlo sapere a tutta la città”); secondo Mariaselvam (1988: 110) anche gli anziani del villaggio potrebbero mediare per il matrimonio tra i due giovani, e questa ipotesi potrebbe essere confermata da Kali 138.33-37 cå˜Âavir ... e˜ tuyar nilai t¥rttal num talai ka a˜„

“nobili, il vostro principale compito è di porre fine al mio dolore”, e da Kali 139.33-34 iru¬uÂu kËntalå¬ e˜˜ai aru¬uÂa ceyi˜ (rivolgendosi ai passanti) “se fate in modo che la donna dalle trecce brune mi tratti con benevolenza”. Tuttavia l’eroe sa anche che, se cavalcasse il ma al, il villaggio lo apostroferebbe

ironicamente e malignamente dicendo: “Costui è il marito della gentile donna” (KuÂu 14.5 nallج kaˆava ˜iva˜ e˜a), avendola sposata secondo un rito

inappropriato e ridicolo e non secondo il regolare corso degli eventi;

ƒ risolvere una situazione divenuta ormai insostenibile per l’innamorato, raggiungendo il matrimonio con la donna desiderata (v. punto precedente), o comunque trovando rifugio e sollievo da un sentimento nocivo, come dimostrano i componimenti del Kalittokai in cui il ricorso al ma al„Âutal è

considerato l’unico rimedio verso la devastante malattia dell’amore (v. ad esempio Kali 138.10-11 ma al Ërntu e˜ evva nØy tå∫kutal t„ÂÂå i umpaikku uyirppåka “cavalcando il ma al come sollievo alla mia sofferenza divenuta

un’insopportabile malattia”; Kali 138.18-19 uyyå aru nØykku uyavåkum ... immå

(22)

Kali 138.24-25 mam ... immå “questo cavallo è il rifugio”; Kali 139.14-16

på ukØ e˜ u¬ i umpai taˆikkum maruntåka na˜˜utal ¥tta immå “canterò questo cavallo, che la donna dalla bella fronte mi ha dato, come rimedio che cura la sofferenza del mio cuore”). Secondo Ramachandra Dikshitar (1983: 275) il rituale del ma al„Âutal si risolve con il matrimonio tra i due giovani o altrimenti

con la morte per esecuzione dell’innamorato, tuttavia non troviamo menzione di questa usanza nei testi del Cakam (per alcune considerazioni su questo tema,

v.§1.6), nei quali gli unici riferimenti alla morte sono semmai interpretabili come un desiderio di suicidio da parte del giovane (Na 377.5 atupiˆi åka vi¬iyalam kollØ “come è grande il desiderio di morire di questa malattia!”; Kali 138.26-27 e˜ år uyir eñcum vakaiyi˜ål “mentre anche la mia vita che lotta

disperatamente sarà spezzata”; KuÂu 32.6 våÒtalum paÒiy„ “la vita stessa sarebbe una vergogna”, che può essere letto come volontà di porre fine all’esistenza dopo essersi abbandonati ad un’usanza degradante)9. Non viene tuttavia fornita dai testi nessuna descrizione dell’effettiva realizzazione del suicidio in caso di fallimento dell’impresa e, anzi, gli unici componimenti che fanno riferimento alla fase risolutiva del ma al ne mostrano la riuscita e la conquista della donna

(Kali 137 e 140).

1.4 Il contesto letterario del ma al„Âutal

Dopo aver passato in rassegna le cause e gli scopi del ma al„Âutal, è interessante

analizzare questa usanza all’interno del contesto letterario in cui si inserisce, cioè i testi del Cakam di genere akam (per una descrizione delle sue principali caratteristiche v.

glossario alla voce Cakam), e soprattutto all’interno delle situazioni convenzionali che

lo regolano.

Nella letteratura amorosa classica sono individuabili tre modalità di presentazione di questo tema (v. anche Indra 1997: 323):

9 Può qui essere preso in considerazione anche KuÂu 17.4 piÂitum åkupa che letteramente significa

“diventeranno anche un’altra cosa” e che da alcuni studiosi è interpretato “gli uomini perfino si uccideranno” (Zvelebil 1986: 99 n.56).

(23)

1. l’eroe parla del ma al, proclamando la volontà di cavalcarlo (ma al kËÂÂu

“proclamazione del ma al”) (KuÂu 14, 32, 173, 182; NaÂÂ 146, 152, 22010, 377;

Kali 57);

2. la confidente cerca di convincere la giovane ad incontrare l’amato, prospettandole la possibilità che lui altrimenti compia questo gesto vergognoso (kuÂai nayappu “consenso a soddisfare le esigenze (di qualcuno)”) (KuÂu 1711;

NaÂÂ 342; Kali 60);

3. l’eroe mette realmente in atto la minaccia e cavalca il ma al nelle strade della

città (Kali 137, 138, 139, 140).

Nei sedici componimenti del Cakam analizzati, è dunque quasi sempre (il rapporto è di

nove a tre) l’eroe a parlare del ma al, rivolgendosi a se stesso o al proprio cuore,

menzionato tuttavia in modo esplicito solo in NaÂÂ 146 (NaÂÂ 146.10-11 aˆakiya maiyal neñcam e˜ “O mio povero cuore che soffri per amore”). Così facendo, egli spera che la confidente della donna possa sentirlo e, temendo una reale attuazione del proposito e quindi le maldicenze del villaggio su quell’amore ancora segreto, convinca l’amata ad incontrarlo. Il tema del ma al„Âutal si inserisce quindi nelle convenzioni

letterarie degli aintiˆai e in particolare nella fase del ka¬avu, cioè dell’amore

pre-matrimoniale e dell’unione clandestina fra i due giovani. Secondo Zvelebil (1986: 17), il ka¬avu consiste di quattro fasi principali: iyaÂkaippuˆarcci (“primo casuale incontro

dei due giovani”), i antalaippå u (“secondo incontro degli innamorati nel luogo in cui si

sono incontrati la prima volta”), på∫kaÂkË  am (“incontro del giovane con l’amata

grazie all’aiuto del suo amico”) e på∫kiyiÂkË  am (“incontro del giovane con l’amata

grazie all’aiuto dell’amica di lei”), l’ultima delle quali è suddivisa a sua volta in numerose sotto-fasi che partendo dalla descrizione dei sintomi dell’innamoramento nella ragazza e la scoperta da parte dell’amica dell’amore clandestino, terminano con la rivelazione di esso ai genitori della fanciulla e i preparativi del matrimonio. Nel

10 Il curatore dell’edizione (Dakshinamurthy 2001: 401) commenta NaÂÂ 220 con tØÒi kËÂÂu (“eloquio

della confidente della donna”), tuttavia è evidente che sta parlando il giovane innamorato.

11 Non univoca è l’opinione su chi parla in KuÂu 17. Anche se non è improbabile l’ipotesi che a parlare sia

la confidente della donna, secondo Takahashi (1995: 108-09), sta invece parlando il giovane innamorato, rivolgendosi non a se stesso o al suo cuore, come piú spesso succede, ma all’amica dell’amata; lo studioso osserva infatti che, mentre negli altri testi, l’eroe è dubbioso e riflette se abbandonarsi a questa degradante usanza prendendo in considerazione più ipotesi, in KuÂu 17, egli non fa menzione ad alcuna esitazione parlando della natura degli uomini che, quando l’amore diventa insopportabile, ricorrono al ma al (l’eroe si riprometterebbe dunque di cavalcare il ma al come ultima alternativa per rivelare il suo amore clandestino al pubblico, piochè la sua passione amorosa è ormai divenuta insopportabile).

(24)

på∫kiyiÂkË  am sono comunemente riconosciute almeno le seguenti cinque sotto-fasi

(Takahashi 1995: 99)12:

1. irantupi˜˜iÂÂal (“richiesta di aiuto”): l’eroe supplica la confidente di organizzare

un incontro con l’amata;

2. c„ pa ai (“allontanamento dell’eroe”): l’amica della ragazza scoraggia

l’innamorato presentandogli le insormontabili difficoltà di un amore clandestino e sollecitandolo ad affrettare le nozze;

3. ma al kËÂÂu (“proclamazione del ma al”)13: l’eroe minaccia di cavalcare il

ma al;

12 E’ difficile trovare fra gli studiosi pieno accordo sulle fasi del på∫kiyiÂkË  am (per un’approfondita

trattazione del problema, v. Takahashi 1995: 103-113). Le cinque fasi riportate da Takahashi (1995: 99) sono comunemente riconosciute all’interno di una gamma molto più ampia e varia. Ad esempio, Zvelebil (1986: 17-18) individua due modelli di på∫kiyiÂkË  am, ciascuno dei quali suddiviso in 12/13 sotto-fasi. Il modello A si divide in: irantu pi˜˜iÂÂal (“richiesta di aiuto da parte dell’innamorato”), c„ pa ai (“allontanamento del giovane innamorato”), ma aÂkËÂÂu (“proclamazione del ma al”), ma alvilakku (“proibizione di cavalcare il ma al”), u a˜pa al (“consenso all’aiuto”), ma aÂkËÂÂoÒital (“interruzione della proclamazione del ma al”), kuÂainayappittal (“consenso alla richiesta dell’innamorato”), nayattal (“supplica”), kË  al (“incontro”), kË al (“unione”), åya∫kË  al “(incontro della famiglia della ragazza”),

v„  al (“matrimonio”). Il modello B (che Zvelebil individua come più antico) si divide in: matiyu ampå u (“scoperta dell’amore segreto da parte della confidente”), c„ pa ai (“allontanamento dell’eroe”), ma al (“minaccia di cavalcare il ma al”), kuÂainayappu (“consenso alla richiesta dell’innamorato”), kuÂain„rtal (“consenso della giovane alla richiesta”), pakaÂkuÂi (“appuntamento diurno”), iravukkuÂi (“appuntamento notturno”), iruvakaikkuÂi piÒaippu (“ostacoli agli appuntamenti notturni”), allakuÂi (“cancellazione dell’appuntamento”), pirivu (“separazione”), varaivu ka åtal (“premura di sposare la donna amata”),

aÂatto uniÂÂal (“rivelazione dell’amore segreto ai genitori della donna”), varaivu (“matrimonio”).

13 Secondo Indra (1997: 325), che discute le difficoltà di individuazione degli stadi dovuta alla mancanza

di accordo nelle fonti, il ma al kËÂÂu può essere ulteriormente suddiviso in quattro stadi: 1. il talaiva˜ manifesta l’intenzione di cavalcare il ma al;

2. la confidente cerca di dissuaderlo usando varie tecniche, ad esempio sottolineando l’impossibilità di catturare la bellezza della donna in un dipinto;

3. il talaiva˜ si vanta delle sue doti pittoriche;

4. la confidente riesce a dissuadere il talaiva˜ dal suo intento alludendo alla sua disponibilità ad aiutarlo.

Nel secondo stadio la confidente tenta di dissuadere il talaiva˜ dal suo proposito:

ƒ facendo appello alla grande misericordia dell’eroe, che non gli permetterà di tagliare gli alberi di borasso privando così gli uccelli del loro nido;

ƒ spiegando che il nobile portamento e la dolce voce della donna amata non possono essere riprodotti su una tela;

ƒ sottolineando che le differenti parti del corpo della donna non possono essere perfettamente imitate in un dipinto.

Nel quarto stadio, la confidente cerca di dissuadere il talaiva˜ dal suo proposito secondo due modalità: ƒ acconsentendo apertamente ad aiutarlo (la confidente dice all’eroe che la donna, essendo sua

grande amica, accetterà la richiesta dell’uomo purchè venga per suo tramite);

ƒ facendogli soltanto intuire la sua disponibilità a cooperare (la confidente chiede all’eroe di attendere finchè lei non abbia riportato alla donna la richiesta e non abbia saggiato i suoi desideri).

Va tuttavia osservato che, essendo state usate fonti antiche e medievali, senza distinzione, è probabile che nella suddivisione siano stati mescolati elementi appartenenti a diversi periodi, come, ad esempio, sembra

(25)

4. kuÂai nayappittal (“consenso alla richiesta dell’innamorato”): la confidente cede

alle suppliche del giovane innamorato e fa in modo che la ragazza acconsenta ad incontrarlo;

5. kË  am (“incontro”): organizzazione dell’incontro da parte della confidente e

incontro tra i due giovani.

L’incontro segreto tra gli amanti ha luogo più di una volta, ma in genere nelle grammatiche14, che costituiscono una delle principali fonti per lo studio dei testi letterari classici, è descritto soltanto il primo di questi incontri. Differentemente dalle grammatiche medievali, quelle piú antiche, come il Tolkåppiyam Poru¬atikåram e

l’Akapporu¬, non inseriscono il ma al kËÂÂu nelle fasi che scandiscono l’organizzazione

del primo incontro. Takahashi (1995: 112-13) osserva che nei componimenti di

NaÂÂinai e KuÂuntokai il ma al„Âutal è soltanto immaginato dall’innamorato e non

realmente messo in atto e quindi è discutibile l’opinione degli scoliasti secondo cui il primo incontro con la donna si realizza in seguito alla minaccia di abbandonarsi a questa usanza. L’ipotesi non è accettabile in quanto la proclamazione della volontà di cavalcare il ma al, se pronunciata in modo che la confidente possa sentire (v. KuÂu 173; NaÂÂ 146, 152, 377; Kali 57), può sortire l’effetto di una minaccia; tuttavia, anche se nessuno dei testi dice esplicitamente ciò, è probabile che il ma al„Âutal non sia effettivamente

collocabile all’inizio del ka¬avu, ma dopo che i due giovani si sono incontrati già alcune

volte, come lascia supporre il riferimento alle maldicenze in NaÂÂ 152 (NaÂÂ 152.1-2

alar mi ai pË erukki˜ alar tanta˜Â„ “i pettegolezzi del villaggio mi hanno dato ghirlande di erukku intrecciato ad altri fiori”), in quanto i pettegolezzi del villaggio ricorrono solo in un stadio avanzato dell’amore clandestino. Il fatto che le grammatiche più tarde attribuiscano il ma al kËÂÂu ai primi stadi del ka¬avu può dipendere dal fatto

che esse hanno probabilmente preso in considerazione gli sviluppi più tardi del genere

ma al e non i componimenti antichi.

essere il caso del riferimento al dipinto della donna su un lembo di vestito, che non compare nei testi classici, ma solo in quelli medievali (v. Cittira ma al invocazione e distico 164).

14 Le principali grammatiche che trattano le teorie letterarie di genere akam sono Tolkåppiyam, IÂaiya˜år

Akapporu¬, TamiÒneÂi vi¬akkam, Ka¬aviyaÂkårikai, V¥racØÒiyam, Akapporu¬ vi¬akkam, MåÂa˜akapporu¬,

Ilakkaˆa vi¬akkam, Cuvåminåtam, Muttuv¥riyam; oltre a queste le altre fonti che ci permettono di studiare la letteratura amorosa classica sono i commenti a tali grammatiche e certa letteratura di genere kØvai (Indra 1997: 184-85).

(26)

1.4.1 Il ma al„Âutal negli aintiˆai e nel peruntiˆai

L’usanza del ma al trova collocazione sia nelle convenzioni dell’amore armonioso

(aintiˆai) (KuÂuntokai 14, 17, 32, 173, 182 e NaÂÂiˆai 146, 152, 220, 342, 377), sia in

quelle dell’amore eccessivo e inappropriato (peruntiˆai) (Kali 137-14015; v. anche Indra 1997: 323); la differenza consiste nel fatto che mentre nel primo caso il ma al„Âutal è

soltanto proposto come soluzione possibile alle sofferenze maschili, nel secondo è effettivamente messo in atto. Negli aintiˆai, grazie alla proclamazione del ma al, il

giovane riesce a convincere la confidente della donna ad aiutarlo nella realizzazione del suo amore; molti studiosi (v. ad esempio Zvelebil 1986: 22) interpretano questa proclamazione come una minaccia nei confronti della confidente della donna, che, spinta dal timore che l’amore ancora clandestino venga rivelato a tutto il villaggio, gettando discredito sulla ragazza e sulla sua famiglia, cede alla richiesta dell’uomo di facilitare gli incontri con l’amata. Il ricorso al discutibile mezzo della minaccia non è quindi fatto per forzare la donna ad acconsentire ad un amore non desiderato (talaiva˜ e

talaivi sono già uniti da un sentimento), ma per forzare la confidente ad aiutarli;

essendoci quindi amore reciproco (u¬¬appuˆarcci) fra i due giovani il ma al solo

minacciato può trovare collocazione nelle convenzioni degli aintiˆai. Takahashi (1995:

111) propone un’interpretazione differente: se l’eroe minacciasse veramente la confidente, il risultato della sua azione, cioè l’unione con la donna, sarebbe comunque “contaminato” dalla presenza di un elemento deplorevole come la minaccia e di un rito così degradante e inappropriato come il ma al„Âutal; la proclamazione, che ha

comunque l’effetto di una minaccia sulla donna, non viene realizzata come tale dall’innamorato, il quale non si rivolge direttamente a lei, ma a se stesso o al proprio cuore, e per questo essa non ricade direttamente sull’unione (comunque appropriata) tra i due giovani.

Nel peruntiˆai, invece, i genitori della donna amata, scoperta la tresca, si rifiutano di

concedere la figlia in matrimonio (Indra 1997: 322), e per questo l’innamorato non ha altra possibilità che il ma al. Anche Tolkåppiyam (TP 1000, v. appendice) include il

cavalcare realmente il maal tra i quattro tuÂai di questa sezione (v. anche Manickam

15 I quattro testi del Kalittokai sono attribuiti al paesaggio costiero del neytal (Murugan 1999: 608-23);

come fa notare Marr (1985: 25), i compilatori antichi delle raccolte del Ca∫kam, essendo le sezioni del

kaikki¬ai e del peruntiˆai considerate inappropriate, hanno omesso i testi che appartenevano a tali sezioni o li hanno classificati sotto uno dei cinque paesaggi dell’amore armonioso.

(27)

1962: 72-73; Indra 1997: 584)16. Nel momento in cui gli amanti, incapaci di frenare i propri istinti, si abbandonano ad azioni eccessive, allora quelle azioni e i sentimenti che le hanno provocate non trovano più posto nelle convenzioni dell’amore armonioso, ma vengono inserite nel peruntiˆai (Indra 1997: 322-23; Manickam 1962: 40). Manickam

(1962: 141) osserva che la funzione del peruntiˆai è proprio quella di descrivere quattro

tipi di comportamento eccessivo da parte degli stessi protagonisti degli aintiˆai, e che

per questo perum lett. “grande” (TL 2883) denoterebbe il superamento di certi limiti enunciati nella sezione degli amori decorosi.

Secondo Manickam (1962: 143), anche nel peruntiˆai, come negli aintiˆai, il cavalcare

il ma al non è intrapreso dall’uomo per costringere una ragazza a cedere, contro la sua

volontà, alla propria passione, e non è quindi un atto di violenza o di intimidazione verso una donna, come è anche dimostrato dagli appelli agli uomini saggi e di nobile sentire, a cui l’eroe chiede aiuto e compartecipazione (Kali 138, 139). L’eroe, afflitto, non riesce a concretizzare il desiderio suscitato in lui dalla bellezza della donna amata: i genitori di lei, che hanno avvertito un cambiamento nella ragazza, la controllano e le impediscono di uscire, interrompendo il regolare corso degli eventi, come sviluppato negli aintiˆai. Sono quindi i genitori e i parenti di lei che si oppongono all’innamorato,

non la ragazza stessa il cui affetto verso l’uomo è testimoniato, secondo Manickam (1962: 143), anche in Kali 140.23 tiruntiÒaikku otta ki¬avi “parole che si addicevano alla

ragazza dai bei gioielli”. Tuttavia, anche se gli amori non corrisposti rientrano meglio nella sezione del kaikki¬ai, in base ai testi del Kalittokai non è possibile affermare che la

donna ricambi effettivamente l’amore del giovane, come dimostrano Kali 137.7 ta˜ nalam karantå¬ai “la donna che si rifiuta di concedermi le sue grazie”; Kali 138.16-17 måtar uÂåatu uÂ¥iya kåma ka al akappa  u “perso nel mare della passione in cui questa

donna, rimanendo sulla riva, mi ha gettato”; Kali 139.33-34 iru¬uÂu kËntalå¬ e˜˜ai aru¬uÂa ceyi˜ “se fate in modo che la donna dalle scure trecce mi tratti con benevolenza”; anche il verso citato da Manickam a sostegno della sua ipotesi non è

16 Gli altri tre tuÂai sono:

ƒ la separazione prolungata tra gli amanti causata dall’eccessivo desiderio di ricchezze e per questo l’indulgere al piacere sessuale in età avanzata;

ƒ l’indulgere ad amore eccessivo che causa struggimento e non trova soddisfazione; ƒ il fare ricorso ad atti audaci causati da amore eccessivo.

I primi due tuÂai fanno riferimento al comportamento dell’uomo, gli altri due a quello della donna. Manickam (1962: 73) sostiene che tutti i componimenti, che trattano il kaikki¬ai e il peruntiˆai, si trovano in Kalittokai e non nelle altre antologie.

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facilmente interpretabile in tal senso in quanto “le parole che si addicevano alla ragazza” potrebbero riferirsi al canto dell’innamorato che, mentre cavalca il ma al,

esalta la bellezza della donna con parole che realmente si addicono al suo fascino. Non trovando altra soluzione al suo dolore e non potendo neppure sperare di vedere la donna tanto amata, l’eroe cavalca dunque il ma al, come mezzo riconosciuto dalla

società al fine di proclamare agli abitanti del villaggio il suo sentimento e ottenere così l’oggetto dei suoi desideri (v. Kali 137.7 in cui l’unica risposta possibile alla domanda dell’uomo che retoricamente si chiede ta˜ nalam karantå¬ai talaippa um åÂu eva˜kolØ

“come poter ottenere questa donna che si rifiuta di concedermi le sue grazie?”, è il

ma al„Âutal). L’uscita dalla sfera intima e la manifestazione dei sentimenti di fronte al

pubblico caratterizza molti temi del peruntiˆai. I sentimenti che nelle sezioni dedicate

all’amore armonioso rimangono confinati nella sfera privata, in questa sezione vengono esternati, rivelati agli altri a causa dell’eccesso degli stessi e dell’abbandono di quel senso di pudore e vergogna che frena invece gli istinti dei protagonisti della poesia dei cinque paesaggi (riguardo all’importanza del villaggio e del pudore come elementi del

ma al„Âutal, v.§1.2). L’esternazione di passioni irrefrenabili si trova ad esempio anche

nel terzo tema del peruntiˆai (TP 1000, v. appendice), in cui una donna sposata,

sopraffatta dal desiderio per la prolungata assenza del marito, si sfoga pubblicamente proclamando di essere preda di una passione che può trovare soddisfazione soltanto nelle braccia del suo uomo e, rivolgendosi direttamente ai presenti, chiede di non essere da loro derisa ma di essere aiutata a scoprire dove costui si trova. Anche il quarto tema del peruntiˆai (TP 1000, v. appendice) è caratterizzato dall’uscita del sentimento dalla

sfera privata: la donna, che soffre per la lontananza del marito, si dirige nel villaggio dell’uomo per incontrarlo. Benché nessun componimento espliciti che l’audacia dell’eroina stia proprio nel compiere tale gesto, ciò si può inferire dal fatto che negli

aintiˆai talvolta costei esprima il desiderio (ma non lo realizzi) di fare proprio questa

azione (v. Aka 147, v. Manickam 1962: 150). Negli aintiˆai invece, la donna, pur

sofferente, non perde mai il controllo e il pudore, la sofferenza rimane intima e discreta, come sentenzia anche TP 984 (v. appendice), “nessuno dei sette tiˆai raccomanda alle

donne di cavalcare il ma al, questo va contro alle norme del decoro femminile”.

L’abbandono della sfera intima fa sì che i componimenti del peruntiˆai in cui il ma al„Âutal trova effettiva realizzazione si collochino a metà tra il genere dell’akam e il

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genere del puÂam, dedicato alla vita esteriore, pubblica e politica, e in particolare ad

ogni aspetto dell’eroismo e della guerra. Rispetto ai componimenti di KuÂuntokai e NaÂÂiˆai17, i testi più tardi del Kalittokai testimoniano proprio uno sviluppo in chiave eroica del tema, presentando un eroe che, pur sopraffatto dal dolore, si lancia in questa cavalcata (Kali 138.26 e˜ år uyir “la mia vita che lotta”) come un guerriero si

lancerebbe su un campo di battaglia (Kali 140.8-9 pØru¬ a al måml åÂÂuv„˜ “guiderò il vincente cavallo sul campo di battaglia”) per conquistare il bottino in palio (Kali 140.24-25 poruntåtår pØr val vaÒutikku arun tiÂai pØla ko uttår tamar “i parenti mi

dettero la sua mano, come i nemici danno ricchi tributi al potente re Påˆ∂ya”). Il nemico (Kali 138.24 pakai “nemico”) da sconfiggere è il dio dell’amore Kåma, che ha già dato inizio alla battaglia scagliando le sue frecce (Kali 138.20-23 talai vantu ... kåma˜atu åˆaiyål vanta pa ai “Kåma˜, affrontandomi a testa alta, ha scagliato la sua freccia”; Kali 138.24 kåma ka um pakaiyi˜ tؘÂi˜„Âku “mentre mi oppongo a Kåma˜, mortale

nemico”). Questa componente eroica maschile si rintraccia negli stessi elementi impiegati nel rito (v.§1.2), usati anche in contesto bellico: i cavalli dei guerrieri (v. ad esempio PuÂa 377), i campanelli legati agli scudi o alle zampe degli elefanti (v. ad

esempio NaÂÂ 177; PuÂa 165), le ghirlande di fiori intrecciate sul petto degli eroi (v. ad

esempio PuÂa 10), le ossa dei nemici vinti disseminate sul campo di battaglia (v. ad

esempio Tirumuru 56-60), le penne di pavone che ornano scudi e tamburi di guerra (v. ad esempio NaÂÂ 177; PuÂa 50) e il fiore di uÒiñai legato al tamburo o tipicamente

indossato dal guerriero nella fase di assedio alla fortezza (v.§1.6; v. anche Panattoni 2002: XI)18. Vale la pena notare che le penne di pavone e il fiore di uÒiñai sono menzionati per la prima volta proprio in Kalittokai; inoltre in NaÂÂ 220, nella descrizione del contesto cittadino in cui è cavalcato il ma al, vengono menzionati i

tamburi (Na 220.5-6 cå˜ÂØr ma˜Âa vicipiˆi muÒavukka¬ pularå “non cessando di suonare i tamburi dalle cinghie di pelle dell’assemblea degli uomini illustri”), strumenti che scandiscono anche le gesta eroiche sul campo di battaglia (v. ad esempio PuÂa 68,

288) o che suonano ritmi funebri per i morti (v. ad esempio PuÂa 389).

17 Nei componimenti degli aintiˆai, l’unico accenno alla sfera bellica è l’espressione matil e˜a matittu

veˆt„r „Âi “scalando un semplice miraggio come se fosse una fortezza” in NaÂÂ 342.2.

18 Anche il carro, elemento del ma al„Âutal di epoca medievale (v.§1.5), richiama il contesto bellico (v. ad

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