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Íiva e le ossa, le ceneri, la nudità e la processione

Nel documento Il bel matal (pagine 46-48)

1.8 Gli elementi del ma al „Â utal e del culto ßivaita

1.8.1 Íiva e le ossa, le ceneri, la nudità e la processione

Tanto nella tradizione devozionale tamil quanto in quella sanscrita, è noto che il dio Íiva, in molte delle sue manifestazioni, ama ornarsi di ossa, teschi, ceneri e serpenti36, accompagnandosi a demoni e spiritelli (v. tra gli altri Bae 2003; Brennan 1989; Nagar 1994; Sivaramamurti 19942; Smith 1998). L’immagine terrifica del dio, che danza sul terreno della cremazione, è sapientemente illustrata da questa stanza altamente figurativa:

mˆuåya muyalaka˜, mËkkap påmpu,

mu†ai nåÂiya veˆtalai, moytta palp„y, på†åvaru pËta∫ka¬, påy pulittØl,

paricu o˜Âu aÂiyåta˜a påri a∫ka¬, t؆u år malarkko˜Âaiyum, tu˜ erukkum;

tuˆai må maˆi nåkam araikku acaittu, o˜Âu å†åta˜av„ ceyt¥r; emperumå˜! –

a†ik„¬! umakku å†ceya añcutum„. (Tv 7.2.3)

Lo sciocco muyalaka˜, serpenti rabbiosi, bianchi teschi che emanano cattivo odore,

molti demoni che si affollano e fantasmi che vengono cantando, una pelle di tigre pronta all’attacco,

spiritelli che non conoscono alcuna regola,

ko˜Âai dai fiori ricchi di petali e fitto erukku,

e, legato alla vita, un serpente con un grande gioiello, o nostro Signore, voi fate tutte queste cose che non si fanno! O Maestro, noi abbiamo paura di servirvi!

Oltre agli attributi terrifici descritti in questo passo, Íiva è spesso raffigurato cosparso di cenere (n¥Âu) biancastra, la quale risalta sul corpo nudo del dio, così come nudo è il

36 I serpenti sono spesso menzionati nel T„våram, ad esempio in T„v 2.105.3 miku virica ai aravo u

“insieme a serpenti sulle trecce che si allargano molto”; T„v 3.74.2 kج aravu “velenoso serpente”; T„v 3.74.2 vå¬ aravu “lucente serpente”; T„v 5.79.1 aravam viravum ca ai “trecce miste al serpente”; T„v 7.2.3 må maˆi nåkam araikku acaittu “un serpente con un grande gioiello, legato alla vita”; T„v 7.2.3

talaiva˜ mentre cavalca nelle strade della città (v.§1.2). Numerosi sono i versi del

Tvåram in cui è menzionato questo elemento, tra tutti è significativo Tv. 6.74.5, in cui

il poeta dipinge il contrasto di colore tra il corpo divino e la cenere di cui è cosparso, in un’immagine pittorica molto bella in cui Íiva è il dio “dalla mescolanza del rosso corpo con la bianca cenere” (Tv 6.74.5 veˆn¥Âu cemm„˜i viravi˜å˜ai). Per quanto riguarda la

letteratura devozionale sanscrita, è di particolare interesse uno dei numerosi passi che celebrano Íiva come Signore della Danza di Cidambaram, città in cui si trova un famoso tempio dedicato al culto del dio. Il testo recita così (testo sanscrito e traduzione inglese in Sivaramamurti 19942: 123):

“Possano le particelle di cenere, sparse nell’entusiasmo della danza, mescolandosi con lo zafferano sul petto della figlia del Signore delle montagne, cadere sulle mie membra e rendermi puro”.

Anche l’iscrizione Cålukya occidentale di Tribhuvanamalla Vikramåditya VI, proveniente da Munirabåd (Sivaramamurti 19942: 136), ha un interessante verso che descrive la danza di Íiva: il dio, imbrattato di cenere, batte le mani, fa tremare il globo solare e lunare, schiaccia il serpente Íe∑a sotto il peso del suo passo e solleva l’oceano in tanti schizzi con i suoi vigorosi movimenti.

Le ossa37, indossate sulle spalle, e soprattutto i teschi, portati sulle trecce o in lunghe ghirlande attorno al collo, oltre a quello di Brahmå tenuto in mano38, sono una decorazione distintiva di Íiva che danza (Tv 2.109.6 po˜Âi˜år talai “teste di morti”; Tv 3.74.2 naku veˆ talai “bianchi teschi sogghignanti”; Tv 7.2.3 mu ai nåÂiya veˆtalai

“bianchi teschi che emanano cattivo odore”; Tv 7.36.8 moytta veˆtalai “fitti teschi”); i

teschi, decrepiti e rovinati, danzano insieme a lui, ornamenti magici e misteriosi, che

37 Ossa e resti umani (soprattutto dei nemici vinti) sono un elemento rituale nelle descrizioni terrifiche

degli esseri demoniaci, come ad esempio si legge in PuÂa 370.24-27 “mentre una diavolessa canta con voce querula e danza agitando in alto grandi mani ornate di braccialetti, che giacevano mozzate da un’arma affilata, e si mette addosso ghirlande di intestini che avvolgevano i piedi di uomini senza paura!” e in PuÂa 371.21-24 “dove danza nella polvere insanguinata la diavolessa terrificante che ha in capo un serto di budella e gusta bianco grasso attaccato alla sugna piantandovi i bianchi denti simili a zanne di cinghiale” (traduzione in Panattoni 2002: 311).

38 Il teschio, tenuto in mano da Íiva, è la quinta testa di Brahmå (Sivaramamurti 19942: 93) che, secondo

il mito, Íiva mozzò con un’unghia, quando il dio si rese colpevole di arroganza o di lussuria; per espiazione Íiva fu costretto a vagare, mendico, tenendo in mano, come ciotola delle elemosina mai piena, proprio la testa di Brahmå; Vi∑ˆu pose fine a questa punizione riempiendo con il proprio sangue il cranio mozzato, che finalmente si staccò dalla mano di Íiva.

sogghignano e perdono i denti mentre il dio scuote la testa (Sivaramamurti 19942: 93 e 101). In un’iscrizione proveniente da Bhubaneßvar, che risale al tempo di Aniya∫ka Bh¥ma della dinastia della Ga∫gå Orientale (Sivaramamurti 19942: 136), c’è un verso in cui sono menzionati scheletri e teschi che tornano in vita: mentre Íiva danza, le fiamme del terzo occhio riversano dalla luna un flusso di ambrosia che rianima i teschi indossati dal dio, spaventando la luna sulla testa del Signore della Danza.

Un altro elemento comune è rappresentato dall’insolito corteggio di Íiva, il quale è spesso accompagnato da gaˆa, demoni, fantasmi e spiritelli maligni, di piccola statura,

che si affollano agitandosi, gridando e danzando attorno al dio (Tv 1.41.2 pakkam pal pËtam på i a varuvår påmpura na˜ nakarår„ “il Signore della bella città di Påmpura, che viene mentre numerosi spiritelli affezionati cantano”; Tv 7.2.3 moytta palpy, på åvaru pËtaka¬, paricu o˜Âu aÂiyåta˜ påri aka¬ “molti demoni che si affollano, fantasmi che vengono cantando, spiritelli che non conoscono alcuna regola”) e che richiamano alla mente l’immagine della folla di ragazzini urlanti che seguono il talaiva˜

per le strade del villaggio (v. NaÂÂ 220.3-4; v.§ 1.2).

Nel documento Il bel matal (pagine 46-48)