Per comporre il Citra ma al celebrando sulla terra Teyva∫ka¬ Perumå¬ della prospera
città meridionale di Påvai, la mia invocazione è rivolta a Yå˜aimuka˜ dalla violenta furia, il dio nato insieme a Kumåra˜ da Umaiyå¬, lui il buon animale con le zanne.
kåppu: invocazione alla divinità posta all’inizio di un poema al fine di facilitare il suo
completamento con successo; tipica è l’invocazione a Gaˆeßa, dio ritenuto rimuovere ogni ostacolo e abitualmente invocato dagli indiani prima di dare inizio ad una nuova attività.
påvai: nome di una città, non facilmente identificabile, situata nella regione CØÒa (che
corrisponde all’odierna costa del Coromandel), in cui al tempo di Kå¬am„ka Pulavar era governatore Teyva∫ka¬ Perumå¬, l’eroe protettore del componimento (v. distico 5), e nella quale è ambientata la storia del Cittira ma al.
teyva∫ka¬ perumå¬: “Il Supremo degli dèi”, appellativo con cui Kå¬am„ka Pulavar designa l’eroe protettore del poema, che il commento al testo definisce “persona di grande liberalità che vive nella città di Påvai nella regione CØÒa” (va¬¬al cØÒanå aic cårnta påvaiye˜˜um Ëril våÒntiruntår, p.1); nel distico 170 costui viene definito maˆ al¥kara˜, cioè “re, governatore” (TL 3030) della città di Påvai. L’appellativo di
teyva∫ka¬ perumå¬ viene usato anche per il dio Vi∑ˆu, con cui dunque nasce un sottile gioco di richiami e allusioni, che coinvolge anche la parola Påvai, nome della città in cui è ambientata la vicenda ed epiteto (“La bambola”) comunemente riferito alla dea Lak∑m¥, consorte del dio (v. distico 5). Non è da escludere che l’epiteto di teyva∫ka¬ perumå¬ si riferisca a Cå¬uva Tirumalairåya˜ “Re della Sacra Montagna della dinastia Cå¬uva” (v.§2.1), vicerè della città di Vijayanagara nella regione CØÒa, sotto la cui protezione fu poeta Kå¬am„ka Pulavar (v. distico 169); in tal caso il nome della città di Påvai potrebbe essere fittizio e scelto proprio per i suoi richiami allusivi alla dea. Anche la forma Paravai del toponimo (v. distico 62) farebbe propondere per il suo carattere fittizio, richiamando il nome della moglie di Cuntarar, ballerina del tempio ßivaita di TiruvårËr, dove il mistico poeta incontrò la donna che poi sposò; questa vicenda ricorda l’esperienza personale di Kå¬am„ka Pulavar che si convertì allo ßivaismo proprio dopo essersi innamorato di MØka˜å∫ki, ballerina del tempio ßivaita di Tiruvå˜aikkå (v.§2.1).
m¥t-il: locativo del sostantivo m¥tu “cima, parte superficiale, luogo elevato” (TL 3213),
che, già nella lingua classica (Rajam 1992: 378), veniva usato come marca di locativo; la forma m¥til, rideterminata dal suffisso di locativo -il, ha la stessa funzione.
citra ma al: titolo dell’opera, è interessante notare la grafia del primo elemento del
composto, che soltanto qui, probabilmente per svista del curatore dell’edizione o per esigenze metriche, è presentato nella forma sanscrita citram 1.“qualcosa di lucente o colorato”, 2.“ornamento”, 3.“ aspetto straordinario”, 4.“dipinto, ritratto” (MW p. 396). Prestito dal sanscrito è ta. cittiram, regolarmente usato nel titolo dell’opera. Il
composto70 cittira ma al, formato dalla base71 del sostantivo cittiram 1.“dipinto, pittura”; 2.“eccellenza”; 3.“bellezza”; 4.“decorazione, ornamento”; 5.“oggetto di meraviglia, sorpresa” (TL 1414) + il sostantivo ma al, non è di semplice interpretazione
ma è molto probabile che il primo membro del composto richiami alla mente del lettore esperto molti dei suoi significati. Il titolo Cittira ma al può essere, infatti, interpretato
come “Il bel ma al” o “Il ma al eccellente” con un giudizio di valore sul poema, ma può
anche essere letto come “Il ma al del dipinto” riferendosi al fatto che il cavaliere, prima
di montare il ma†al, usava dipingere l’immagine della donna su un lembo di stoffa
(v.§1.5) o anche al fatto che la donna, apparsa all’uomo come un dipinto tanto la sua immagine era bella, fugace e inavvicinabile quanto silenziosa (v. distico 64), viene nel corso del poema minuziosamente ritratta in tutte le sue parti del corpo (v. distici 11-61 e 164). Infine l’inaspettata e meravigliosa apparizione della donna, descritta nei distici 64- 68 e comunque tema sotteso a tutta la trama, ha certamente suscitato “sorpresa” nel protagonista del poema.
70 In tamil la composizione nominale e verbale è molto produttiva. La parola composta, differentemente
da quella semplice, ha una base complessa che è formata dalla giustapposizione di due o più basi semplici. La base del nome composto può essere costituita da (Andronov 1989: 353-54):
1. due o più basi nominali semanticamente coordinate, ad esempio ta. v¥rat¥racåkacamka¬ “audacia, coraggio e valore” (v¥ra-m “valore” + t¥ra-m “coraggio” + cåkacam “audacia” + la desinenza di plurale ka¬) (composto coordinativo);
2. due basi nominali, la prima delle quali qualifica semanticamente la seconda o dipende semanticamente da essa, ad esempio perumku˜Âu “grande collina” (perum “grande” da perumai “grandezza + ku˜Âu “collina”);
3. una radice verbale e una base nominale, la prima delle quali modifica semanticamente la seconda, ad esempio ku itaˆˆ¥r “acqua fresca da bere” (ku i- “bere”, unito al sostantivo taˆ “freschezza, qualità d’essere freddo” in posizione attributiva rispetto a n¥r “acqua”);
4. una base nominale e una radice verbale, la prima delle quali dipende semanticamente dalla seconda, ad esempio payamko¬¬i “codardo” (paya-m “paura” + ko¬- “acquisire”, “tenere”, “contenere”).
I composti verbali sono caratterizzati da una base composta che può essere formata da (Andronov 1989: 354-55):
1. una base nominale e un tema verbale, in cui la base nominale dipende semanticamente dal verbo, ad esempio palappa uttal “rafforzare” (pala-m “forza” + pa utt-al “compiere, realizzare”); 2. due temi verbali semanticamente connessi, ad esempio to¬¬å utal “indebolirsi” (to¬ “divenire
debole” + å u “andare”).
71 In tamil ci sono vari tipi di base:
1. la base coincide con il nominativo singolare nei nomi che terminano in consonante (eccetto i nomi neutri bi- o polisillabici in –am e i nomi maschili in –a˜, v. casi 3 e 4) o in vocale (eccetto –u, v.caso 2) o nei nomi bisillabici che terminano in –u con sillaba iniziale breve aperta (nåy “cane”, base: nåy);
2. il limite della base precede la vocale finale nei nomi che terminano in –u (katavu “porta”, base:
katav-);
3. il limite della base precede la consonante finale nei nomi neutri bi- e polisillabici che terminano in –am (maram “albero”, base: mara-);
4. il limite della base precede la consonante finale nei nomi maschili bi- e polisillabici che terminano in –a˜ (ma˜ita˜ “uomo”, base: ma˜ita-).
å-˜-a: participio atemporale, molto diffuso nel tamil tardo medievale e moderno, del
verbo å “essere”, formato dalla radice del verbo + l’incremento vuoto -˜- + il suffisso di participio –a.
kampa-mata-yå˜aimuka˜: “Yå˜aimuka˜ (Gaˆeßa) dalla furia che scuote” quindi “Yå˜aimuka˜ dalla violenta furia”, composto formato dalla base del sostantivo kampam “lo scuotere” (TL 725) + la base del sostantivo matam “furia” (TL 3052) + l’appellativo tamil “lui dal volto di elefante” che designa il dio Gaˆeßa (yå˜ai “elefante” (TL 3405) + mukam “volto” (TL 3225) + la terminazione personale di 3° persona maschile singolare
-a˜); l’espressione, oltre che a Gaˆeßa, può essere riferita a tutti gli elefanti maschi che nel periodo dell’accoppiamento, quando dalle loro tempie cola una sostanza viscosa chiamata matam (TL 3052), sono particolarmente violenti.