• Non ci sono risultati.

må målai-y-il piÂav-å våca vaˆ†u kåma åri bello ghirlanda LOC essere nato GER dimora ape Kåma nemico

Nel documento Il bel matal (pagine 123-126)

5. ghirlanda di fiori non ancora indossati, statua d’oro non foggiata,

ta  -åt-a: “che non è battuto/foggiato”, participio negativo (formato dal primo tema ta  - + il suffisso negativo -åt- + il suffisso di participio –a) del verbo ta  u “battere,

martellare”, riferito in particolare al lavoro dell’artigiano che foggia metalli, come dimostra il sostantivo corradicale ta  å˜ “fabbro che lavora oro e argento” (TL 1720;

DEDR 3039).

pؘ-påvai: “statua d’oro”, composto formato dalla base del sostantivo po˜ “oro” + il

sostantivo påvai 1.“bambola”; 2.“immagine, dipinto, ritratto”; 3.“donna, signora” (TL

2635; DEDR 4107); il composto può quindi significare “bambola o statua d’oro” o anche, più genericamente, “donna bellissima” visto che po˜ significa anche “bellezza, eleganza” (TL 2944). La prima interpretazione è, tuttavia, più probabile in quanto è un

topos della tradizione letteraria tamil più antica il paragone della donna con una statua,

spesso di oro lucente, finemente foggiata da un artigiano o talvolta da una creatura divina (v. ad esempio Aka 62, 209, 212; NaÂÂ 185, 192, 201, 362; Ai∫ 221). Il commento (p.2) glossa con poÂpatumai, formato da po˜ + patumai 1.“Lak∑m¥”; 2.“bambola” (TL 2479) e questo offre lo spunto per un’ulteriore riflessione sulla parola

påvai che dà origine ad un interessante gioco di evocazioni in cui il poeta vuole

coinvolgere il lettore esperto. Il termine påvai “bambola”, infatti, evoca la dea Lak∑m¥,

la bambola divina, con cui la donna viene quindi paragonata, e la Påvai di Kolli, cioè una statua, a forma di donna, posta sulle montagne di Kolli e ritenuta essere stata foggiata dagli dèi e avere il potere di affascinare con il suo sorriso tutti coloro che la guardano (per i riferimenti nella letteratura del Cakam, v. ad esempio NaÂÂ 192, 201;

KuÂu 89, 100; Aka 62, 209). Sono, inoltre, dette påvai anche le statue di sabbia plasmate

per gioco dalle fanciulle e le figure di dèa, sempre di sabbia, venerate dalle ragazze in un rito molto antico, ripreso e reinterpretato dalla tradizione devozionale più tarda. E’ a tal proposito significativo fare riferimento al Tiruppåvai “Il sacro idolo” (ma

interpretabile anche come “(Canto per) l’immagine di sabbia di Tiru”)72 di Óˆ å¬, opera di devozione vi∑ˆuita, in cui alcune giovani donne parlano di una particolare pratica religiosa da compiere nel mese di mårkaÒi (dicembre-gennaio), al fine di portare pioggia

e fertilità alla regione e essere accolte al servizio del dio. Secondo Hardy (1983: 415-16) il rito ha origini molto più antiche, sulle quali, come spesso avviene nella letteratura

72 Per l’interpretazione del titolo e per un’analisi più accurata della trama v. Hardy 1983: 414-17 e 513-15

devozionale, si è imposta una reinterpretazione in chiave k¤∑ˆaita: K¤∑ˆa stesso, di colore scuro, è la fertile nuvola portatrice di pioggia e il rito ha lo scopo di indurre il dio a rimuovere gli antichi peccati. La fase più antica di questa usanza era centrata sul

påvai, statua di sabbia, rappresentazione di una figura femminile, molto probabilmente

una dea73, la quale veniva plasmata e adorata dalle ragazze non ancora sposate con canti74, preghiere e bagni all’alba in acque sacre, al fine di trovare presto un marito e di procacciare pioggia e fertilità (Panattoni 1993: 37-38; Murugan 1999: 227). Infine è da ricordare che påvai è anche il nome della città in cui si svolge la vicenda (v. kåppu). våca-vaˆ u: lett. “ape dalla dimora”, composto formato dalla base del sostantivo våcam

“dimora” (TL 3577) + il sostantivo vaˆ u “ape”; våcam può significare anche

“profumo”, significato che suggerisce l’immagine delle api che si godono il profumo dei fiori di kaÂpakam. Il rapporto fra ape e donna è molto interessante, soprattutto se

valutato all’interno delle convenzioni letterarie della poesia più antica. Dal punto di vista descrittivo, la donna viene spesso raffigurata come attorniata da api che sono attratte dal profumo della sua pelle, dei suoi capelli o delle ghirlande di fiori da lei indossate (v. ad esempio Aka 58, 158, 198). Dal punto di vista simbolico, l’ape che vola di fiore in fiore succhiandone il polline diviene metafora dell’amore umano, sia nella fase del corteggiamento sia in quella del rapporto sessuale; l’immagine dell’ape che succhia il polline simboleggia chiaramente il rapporto fra due amanti ed è immagine associata al tema della fecondità e della fertilità vegetativa ed umana (v. ad esempio

KuÂu 2, 3, 21, 175, 179, 211, 220, 239, 306, 370; Aka 21, 71, 134; v. anche Hart 1975:

166 e 262-63; Varadarajan 1969: 382; la tecnica della “suggestion” in Hart 1975: 161- 169). Il commento al distico spiega che come le api fanno sbocciare i fiori, così la donna fa sbocciare all’amore il cuore degli uomini (å avar u¬¬amåkiya malarai malarvikkum kåraˆattål vaˆ e˜ap pa  a¬ “E’ detta ape per il fatto che fa sbocciare i fiori che sono il cuore degli uomini”, p.2). La donna, tuttavia, proprio come l’ape succhia il polline dei fiori, beve avida la linfa vitale di quegli uomini che l’hanno fatta entrare nei loro cuori; è quindi da notare una differenza rispetto ai testi del Cakam dove l’immagine dell’ape

73 L’interpretazione di quale dea fosse rappresentata dalle statue di sabbia non è unitaria: potrebbe trattarsi

di Lak∑m¥, dea della prosperità ma anche, secondo l’interpretazione del Bhågavata puråˆa, di Durgå. Per una trattazione più dettagliata, v. Hardy 1983: 513 e Panattoni 1993: 37-38.

74 Il termine påvaippå  u “canti delle påvai” si riferisce ai canti che le donne eseguono durante il rituale di

adorazione delle bambole di sabbia. Successivamente, durante il periodo di composizione degli inni devozionali, questi canti divennero patrimonio da cui attinsero i poeti nella stesura degli inni in onore alle divinità (Ramakrishna, Gayathri, Debiprasad Chattopadhyaya 1983: 344).

che passa da un fiore all’altro simboleggia la parte maschile nel rapporto amoroso, l’egoismo dell’uomo che seduce e maltratta la donna, allontanandosi da lei in cerca di ricchezza e, talvolta, avvicinandosi a delle prostitute. Qui, invece, il rapporto risulta essere rovesciato: è la donna che fa soffrire l’uomo, rovinandone il cuore proprio come le api sgualciscono i fiori su cui si posano75.

kåma-åri: “nemico di Kåma”, cioè Íiva, composto, da legare al distico successivo,

formato dal sostantivo di origine sanscrita kåma + il sostantivo ari “nemico” (TL 124).

Da notare che il TL (124) riporta una voce ari, omografa ad ari “nemico”, con il significato di “ape”; questo significato non risulta essere qui appropriato ma possiamo supporre che il poeta abbia scelto questa parola consapevole del fatto che anche questo significato non sarebbe sfuggito al lettore, contribuendo al continuo gioco di richiami simbolici, ma anche semantici e prosodici, che si snoda lungo tutto il componimento.

Nel documento Il bel matal (pagine 123-126)