2.4 Il periodo Tokugawa (1600-‐1867)
2.5.2 Akutagawa Ryūnosuke 芥川龍之介 (1892-‐1927): il fantastico come critica della società
Akutagawa è considerato uno degli scrittori più rappresentativi del bundan (circolo letterario) del periodo Taishō e rientra in quella cerchia di autori che, tra gli anni dieci e trenta del ‘900, si opponevano alla corrente dello shizenshugi, sperimentando nuove tecniche narrative riconosciute oggi come appartenenti alla corrente del modanizumu (modernismo).
Nato nel 1892 a Tokyo, non avrà un’infanzia felice; la malattia mentale della madre gli impedisce di starle accanto e l’assenza di questo amore segnerà fortemente la sua vita e le sue opere. Lo zio materno, Akutagawa Michiaki, si prenderà cura di lui, dandogli l’opportunità di frequentare la scuola e soprattutto di avere accesso alla sua ricca biblioteca. Akutagawa iniziò così ad appassionarsi alle fiabe, ai classici cinesi e giapponesi, ai romanzi di Mori Ōgai e Natsume Sōseki oltre che alla letteratura europea e russa, in particolare Poe, Baudelaire, Dostoevskij e Strindberg. I suoi racconti sono infatti caratterizzati da continui riferimenti non solo al mondo di Edo e altri contesti storici nipponici, ma anche da riferimenti alla cultura classica greca e al cristianesimo.
Come accennato prima, il rapporto con la madre condizionò la sua arte: la sua inquietudine si rifugia nel mondo fantastico, dove rivela la sua vena più onirica e, spesso, ironica. Le storie fantastiche corrispondono al primo periodo della sua attività, in contrasto con gli ultimi anni, dove prevale l’autobiografismo; in linea con la sua personale visione della letteratura (Ceci, 1995, p. 15), l’autore deve rimanere il più possibile nascosto, oggettivo, deve lasciare che la storia si sviluppi da sé e per fare ciò sceglie il racconto fantastico, o meglio, la riscrittura di opere già esistenti, siano esse opere letterarie o folklore, a volte inventando la fonte come espediente letterario: Momotarō (1924) è una delle fiabe più radicate nell’immaginario collettivo, Rashōmon (1915), Hana (1916) e molti altri racconti sono tratti dal Konjaku monogatari, mentre il Tasso (1917) è un animale tradizionalmente associato alle metamorfosi. In questo periodo Akutagawa si distacca completamente dalla corrente dello shizenshugi ponendo enfasi su situazioni grottesche, surreali ed evitando di inserire nei racconti i propri sentimenti e la tecnica della confessione.
Come sostiene Cristiana Ceci, Akutagawa “è un maestro nel confondere le acque” (1995, p. 12). Nella fiaba originale, Momotarō è coraggioso e altruista, mentre nel suo racconto viene rappresentato come un ragazzino arrogante e, al contrario, gli oni sono un popolo tranquillo che continua a subire le angherie degli uomini. Pur mantenendo le caratteristiche tipiche della
fiaba, essa non è più quella conosciuta da tutti i bambini e, con il ribaltamento dei ruoli e del finale, diventa una critica all’egoismo e alla violenza14.
È possibile suddividere i racconti fantastici nelle seguenti categorie: – Ōcho mono: storie ambientate nel periodo Heian (794-‐1185); – Kirishitan mono: racconti con argomenti legati al cristianesimo;
– Nanban mono: episodi legati alle opere missionarie cristiane in Giappone fra il 1549 al 1600;
– Kaika mono: racconti legati al periodo Meiji e al bunmei kaika; – Dōwa: cioè fiabe;
Ovviamente, la classificazione non è definitiva, in quanto molte storie non rientrano specificatamente in una categoria o, al contrario, potrebbero entrare in più di una. Nonostante Akutagawa sostenesse l’obiettività dell’autore rispetto al racconto, in alcune storie sono innegabili indizi sulla sua vita: l’atmosfera dei racconti è cupa, il finale rimane spesso ambiguo, come sospeso.
Il 1924 segna un punto di rottura nella vita e nello stile dell’autore; l’amore per la poetessa Muramatsu Mineko e l’impossibilità di poterla incontrare pubblicamente (poiché già sposato) non fecero che peggiorare il suo stato di inquietudine e malessere, sentimenti che si riflettono ora come una nota autobiografica nei racconti; durante questo periodo egli si sentì più poeta che autore di romanzi, come testimoniano le ultime opere, tra tutte Aru aho no isshō (Vita di uno stupido, 1927) e Haguruma (La ruota dentata, 1927). L’unica eccezione è costituita da Kappa (anch’essa del 1927), con la quale ritorna nel mondo fantastico e delle creature immaginarie.
Tuttavia, esse ormai non potranno più salvarlo dalle sue incertezze; nel luglio 1927, a soli trentacinque anni, ingerisce una dose letale di Veronal, suicidandosi. Nel 1935, su suggerimento di Kikuchi Kan, viene istituito il Premio Akutagawa (芥川賞 Akutagawashō); assegnato due volte l’anno (gennaio e luglio), è ad oggi uno dei più prestigiosi premi letterari di tutto il Giappone.
14 Il racconto è stato visto come una possibile critica nei confronti delle mire espansionistiche che pervasero il
Paese in quegli anni; i demoni (metafora dei paesi invasi) chiedono a Momotarō (metafora del Giappone) perché li abbia invasi, ma egli non sa spiegare un motivo particolare: era da qualche tempo che pensava di conquistare l’isola, così ha radunato le truppe offrendo come ricompensa dei kibidango (dolcetti di pasta di riso) e ora è pronto anche ad uccidere tutti i demoni, se proveranno ad opporre resistenza.
2.5.3 Kappa 河童(1927)
In Kappa, Akutagawa mette in atto una critica severa, ma al tempo stesso ironica, della società e dell’economia giapponese dell’epoca, creando un mondo-‐specchio popolato da una delle creature più conosciute e amate del folklore: i kappa. Secondo le leggende -‐ e gli avvistamenti -‐ essi sono creature acquatiche, alte come un bambino di circa dieci anni, con la pelle squamosa, dita di mani e piedi palmate, dotate di becco e di un guscio come quello delle tartarughe. L’aspetto più curioso è la testa: sulla sommità, circondata da capelli ispidi, vi è una chierica, una sorta di rientranza che ricorda un piatto (chiamata appunto sara 皿), la cui funzione è raccogliere acqua, elemento di vitale importanza. Negli antichi testi viene spesso descritto come una creature dispettosa, a volte malvagia e persino mortale, mentre nella contemporaneità è un essere benevolo, amico dell’uomo.
Questo «salto di qualità» (Miyake, 2014, p. 87) avrebbe avuto origine proprio dal breve romanzo di Akutagawa: il protagonista, un giovane ricoverato in una clinica per malati mentali, racconta la sua avventura nel Paese dei kappa a chiunque vada a trovarlo; N° 23 (così ci si riferisce al giovane) accede a questa terra cadendo in un buco mentre stava inseguendo una di queste creature nelle montagne di Nagano. Con sua grande sorpresa, il posto in cui atterra non è la riva di un fiume o una palude, come narrato nelle antiche leggende, ma è una città simile in tutto e per tutto a quelle moderne: case, palazzi, fabbriche, un moderno sistema di trasporti, linguaggio che assomiglia al verso delle papere, sistema parlamentare, polizia e addirittura un quartiere che ricorda la lussuosa Ginza15; è, in poche parole, una miniatura del
Giappone reale.
Il racconto rivolge tre principali critiche alla società:
1. Critica al capitalismo: il capitalismo è personificato da Gael (ゲエル), “kappa d’affari”,
proprietario di un’impresa produttrice di vetro e carbone; questo dettaglio non è inserito a caso: durante la Restaurazione Meiji carbone e vetro furono i prodotti maggiormente lavorati dalle industrie giapponesi. Gael invita spesso i suoi amici e n° 23 a cena nella sua lussuosa casa, ma finisce per impressionare il protagonista in senso contrario, al punto di disgustarlo: il suo ostentare ricchezza e l’enorme pancia (non si era mai visto un kappa tanto grasso) altro non sono che avarizia e
15 「僕の両側に並んでいる町は少しも銀座通りと違いありません。」(Boku no ryōsoku ni narandeiru machi
ha sukoshimo ginzadōri to chigai arimasen – il quartiere che si vedeva su entrambi i lati era senza dubbio Ginza) Testo in lingua originale disponibile al link: http://www.aozora.gr.jp/cards/000879/files/45761_39095.html