2.4 Il periodo Tokugawa (1600-‐1867)
2.5.1 Izumi Kyōka: fuga nella fantasia
l’immaginazione e la fantasia vengono completamente messi in secondo piano, ma alcuni autori sembrano “resistere” a questa ondata di realismo, primo fra tutti Izumi Kyōka.
L’affermarsi di un pensiero scientifico, razionale aveva creato critiche sul pensiero tradizionale, cosparso di credenze e superstizioni; se da un lato esse potevano facilmente essere superate a livello ufficiale, più difficile era sradicarle dalla credenza popolare e dalle usanze delle classi più umili, spesso “dimenticate” dal processo di modernizzazione; essa portò allo sviluppo, a partire dal 1872, della rete ferroviaria che collegò per la prima volta paesi e regioni sempre più lontane dalla capitale, «sferrando un’offensiva inarrestabile contro i mondi dell’immaginario»(Ruperti, 1991, p. 22). I viaggi persero così il senso della fatica e del pericolo, sensazioni che avevano ispirato vari capolavori letterari, per diventare un qualcosa di più comune, semplicemente svago e turismo.
2.5.1 Izumi Kyōka: fuga nella fantasia
Mentre gli aderenti al naturalismo erano intenti a descrivere la realtà e a fuggire dalla fantasia, le opere di Kyōka riflettono «il mondo più emotivo, le voci più recondite, gli animi più restii, i sentimenti più radicati di quella parte di popolo che nel suo profondo ha nutrito una passiva resistenza nei confronti degli indirizzi assunti dalle autorità e dalla nuova epoca»”(Ruperti, 1991, p. 304). Fin da giovane si era appassionato ai racconti fantastici dello Shihuzhuan, delle opere di Bakin e di Akinari, ma, in particolare fu attratto dalle opere di Ozaki Kōyō, scrittore emergente che diventerà il suo maestro.
La componente fantastica appare già in Kaisen no yowa 海戦の余波 (Le scie della battaglia navale, 1894); occasione della stesura furono le ambizioni imperialistiche che sfociarono nella
guerra contro la Cina, le cui vicende portarono in auge la letteratura di guerra. Nel racconto vi è un passaggio dal mondo degli uomini a quello magico, che rievoca le leggenda di Urashima Tarō e del castello del drago in fondo al mare, oltre che sogni e apparizioni di fantasmi. Kaisen no yowa inaugura un periodo di scritti in cui l’elemento fantastico è utilizzato come critica del presente, in particolare sulla guerra e sulla situazione della donna nel matrimonio, definito come kannen shōsetsu, cioè romanzi ideologici. A questo periodo segue come una fuga dal reale, dove la società appare celata dietro vicende misteriose, «rivelando un distacco che via via si allarga sempre di più non solo rispetto alla realtà, ma anche rispetto al mondo letterario e alle sue mode» (Ibidem, p. 309). Tracce di questa fuga si trovano ad esempio nel racconto
Ryūtandan 龍潭譚 (Il racconto degli abissi del drago, 1896): il protagonista supera il limite imposto dalla sorella e si ritrova in un mondo magico, dove una dea lo ospiterà per la notte, stringendolo fra le sue braccia. Questo incontro tuttavia, è solamente un sogno e il ritorno nel mondo degli umani sarà disastroso, pervaso dalla follia e soltanto la sorella potrà salvarlo.
Kyōka utilizza tre tipologie di figura femminile (Inouye, 1998, p. 117): la prima è Hariti (divinità buddhista che, da divoratrice di bambini, ne diverrà la dea protettrice), Maya (la madre di Siddartha) e infine la donna-‐drago della tradizione asiatica (da qui il titolo dell’opera). La barriera d’acqua che separa la dea-‐demone dal mondo umano è di fondamentale importanza per il racconto, poiché solo coloro che osano oltrepassare il pericolo dell’acqua potranno raggiungere il suo abbraccio. Infatti, nel folklore e nella tradizione shintoista, l’acqua è simbolo di purificazione, ma il fondo del mare era associato al culto dei morti; nel racconto la troviamo in diverse forme: cascate, il secchio in cui Chisato vede la sua faccia deformata, il luogo dove appare la dea, la palude dove il protagonista viene ritrovato, la pioggia ecc.
Il motivo dell’acqua, della natura, della figura femminile e del suo abbraccio materno assumono ancora più importanza nelle opere successive, in particolare in Kōya hijiri (Il monaco del monte Kōya, 1900).
Quest’opera, oggi considerata una tra i suoi maggiori capolavori, all’epoca fu poco apprezzata; essa narra le vicende di un giovane monaco, del suo viaggio e dell’ incontro con una donna bellissima e seducente; il racconto ha la struttura di una quest, dove il protagonista deve superare delle prove (in questo caso tentazioni buddhiste), giunge a una morte simbolica per poi tornare alla vita.
Oltre che per il richiamo alle figure del folklore, il testo fu criticato per l’ambientazione: un luogo incantato, sfuggito alla trasformazione del bunmei kaika, luogo dove neppure le mappe possono essere d’aiuto e la natura rivela quel suo lato oscuro ormai dimenticato. Anche a questo mondo incantato si accede grazie (o a causa) al superamento di un limite, qui rappresentato da un bivio che conduce a una strada abbandonata e in una foresta oscura popolata da serpenti, sanguisughe e altri elementi spaventosi che portano il monaco quasi alla pazzia. Una volta superata tale foresta e superato un altro corso d’acqua, il monaco giunge a una vecchia casa dove vive una donna che si offre di accompagnarlo al fiume per darsi una rinfrescata. Ancora una volta Kyōka unisce l’immagine dell’acqua alla figura femminile, allo stesso tempo bellissima ma letale; la donna nei confronti dell’”idiota” (che si rivela essere suo marito) si comporta con compassione, mentre quando tenta di sedurre il monaco sfodera le
sue doti ammaliatrici e magiche da demone. Difronte a questa tentazione nessun uomo può resistere e anche il monaco stesso sembra essere sul punto di cedere, tanto da non accorgersi dei segnali attorno a lui che lo avvisano del pericolo. Tutti gli animaletti che si gettano contro la donna durante il cammino e il cavallo imbizzarrito venduto dal vecchio altro non sono che gli uomini che la donna ha sedotto e trasformato. Altro elemento liminale è rappresentato dalla figura del vecchio che fa da tramite tra il mondo degli esseri umani e quello magico; sarà lui stesso, inoltre, a svelare tutta la verità al monaco:
Che cosa fa? Preso dalla passione per la nostra signorina, le sono sorti desideri mondani? Suvvia, non lo nasconda. I miei occhi, anche se arrossati, sanno distinguere perfettamente il bianco dal nero. Un individuo di ordinaria costituzione, una volta toccato dalla mano della signorina e trattato con quell’acqua, non è possibile che rimanga essere umano. Un toro o un cavallo, una scimmia, un rospo, o un pipistrello: in ogni modo ne avrebbe fatto qualcosa che vola o che salta. Quando è risalito dal torrente di montagna, alla vista che mani e piedi e viso erano ancora umani, sono rimasto attonito: sembra che abbia potuto salvarsi grazie all’ammirevole fermezza delle sue convinzioni. (Ruperti, 1991, pp. 220-‐221)
Il vecchio racconterà successivamente la vita passata della donna, del suo incontro con il marito e della decisione di vivere soli sulle montagne. Dal racconto il lettore capisce l’origine dei poteri della donna, la quale ha vissuto in prima persona la morte. In altri racconti di Kyōka, come Yashagaike (Il lago demoniaco, 1913) e Tenshu monogatari (Il racconto della torre del castello, 1917) le donne sono direttamente classificate come esseri soprannaturali (Napier, 2005, p. 27): nel primo, la principessa che vive sul fondo del lago evoca un’alluvione che colpisce gli abitanti del villaggio che si rifiutavano di credere nella sua esistenza; ancora più spaventose sono le azioni delle donne-‐demone del secondo racconto, in grado di provare piacere solamente quando divorano le loro vittime. Tali figure femminile sono associate alla yamauba 山姥 (strega della montagna), figura dei racconti tradizionali simbolo di erotismo e aggressività. Erotismo e aggressività sono al centro della scena in cui la ragazza del racconto del Monte Kōya si spoglia per eseguire un rito magico, sciamanico:
La donna, gli occhi intenti, le labbra serrate, le sopracciglia vibranti, sembrò andare in estasi. La sua affascinante piacevolezza, la sua leggiadria, le sue maniere disinvolte e senza riserve, svanirono all’istante: la si sarebbe detta una divinità o un demone. In quel momento, le montagne circostanti, le mille cime svettanti laggiù in ogni dove, a una a una drizzarono il
capo come spiassero ammirate la figura della bella immobile sotto la luna, in piedi di fronte al cavallo, con il vecchio in secondo piano – un mondo diverso da quello degli umani – mentre all’intorno, calando la penombra, tutto fu pervaso dallo spirito cupo del profondo dei monti. (Ruperti, 1991, pp. 203-‐204)
Il racconto si conclude con il ritorno alla contemporaneità, dove l’anziano monaco, allontanandosi in mezzo alla neve, si separa dal suo giovane compagno di viaggio. In questo suo allontanarsi, il senso di nostalgia trasmesso al lettore è forte: essa non riguarda solamente il periodo della giovinezza, ma come sostiene Napier «it is also an acknowledgement of the unattainability of desire on a sociocultural level, the desire to deny the workings of history by escaping into a fantasy world of ”old Japan”» (2005, p. 34). Si può quindi paragonare il sentiero che il monaco compie ad un percorso a ritroso nell’epoca premoderna, priva dei valori Meiji così avversati da Kyōka. È interessante anche notare come ciò che tradizionalmente era considerato diverso e mostruoso sia qui associato alla nostalgia per la “vecchia patria”. Tuttavia, la natura che la caratterizza non è poi così innocente; nei racconti di Kyōka la natura e tutto ciò che le appartiene (animali, piante, minerali, uomini) è soggetto a continue metamorfosi che la rendono fantastica e paurosa: rocce che diventano pesci, alberi serpenti, uomini animali, cascate donne ecc. Nonostante ciò, egli ha deciso di adorarla piuttosto che scappare, personificando la natura in donne bellissime e forti (Poulton, 1995, p.89).
Kyōka non fu l’unico a reagire in questo modo; la corsa alla modernizzazione ebbe anche un effetto contrario, fornendo uno stimolo alle ricerche sul soprannaturale, fosse esso ripreso nella letteratura, studio di miti (nel caso di Orikuchi Shinobu) e di tradizioni (studi e opere di Yanagita Kunio). Durante il periodo Taishō la produzione di opere fantastiche da parte di Kyōka si sposta verso il teatro, come per i già citati Yashagaike e Tenshu monogatari, dove la narrazione e lo sviluppo dei racconti si ispira all’andamento del nō. Come sostiene Ruperti «nel confronto con quel vasto e complesso intreccio di gruppi, mode e personaggi che disegna le linee generali del mondo letterario del tempo, i lavori di Kyōka, il suo mondo e la sua arte risaltano in piena luce per un’originalità e bellezza che la critica più recente […] va via via alfine analizzando e riproponendo» (1991, p. 327).
2.5.2 Akutagawa Ryūnosuke 芥川龍之介 (1892-‐1927): il fantastico come critica della