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ORGANIZZAZIONE RELIGIOSA DEL TERRITORIO A SUD DI SALERNO

2.1. a Origini e sviluppo durante l’alto Medioevo

Due ipotesi sono state formulate dagli storici sull’istituzione della sede vescovile di Policastro. La prima sostiene la tesi di una fondazione apostolica. Dopo l’emanazione del famoso editto dell’imperatore Claudio (54/55 d.C.), in cui si ordinava l’espulsione da Roma di tutti i giudei perché ritenuti destabilizzatori dell’ordine pubblico e fautori di congiure contro l’Impero, i “principi degli Apostoli” raggiunsero l’antica regione lucana (di cui facevano parte anche l’odierno Cilento e Vallo di Diano). Si ritiene che qui san Paolo abbia fondato le cattedre episcopali di Vibonati, Velia e Bussento, e che san Pietro avesse fatto lo stesso a Napoli, Benevento e Pozzuoli.

La seconda e più verosimile ipotesi, invece, fa risalire la fondazione della diocesi agli anni successivi al concilio di Nicea del 325, primo concilio ecumenico del mondo cristiano. Infatti soltanto nel 502 si trova menzione nel III concilio romano di un certo Rustico con l’appellativo di vescovo bussentino (episcopus ecclesiae Buxentinae). E nel 649, durante il concilio lateranense contro i monoteliti, compare il nome di Sabazio, anch’egli vescovo di Bussento. Questa tesi è avvalorata dalla maggiore possibilità della fondazione di una diocesi in un periodo in cui aumentò il numero dei fedeli e si rafforzò il sentimento religioso, rispetto a un periodo segnato da una violenta persecuzione contro la Chiesa nascente24.

Secondo le notizie raccolte dal Cappelletti le città di Policastro e di Capaccio sarebbero sorte dalle ceneri della distrutta Pesto e, tra le due, quella di Policastro sarebbe notevolmente più antica, come si può dedurre da quanto ci dicono resti e rovine presenti nei pressi del centro abitato25.

Le prime notizie riguardanti la città sono presenti in Strabone, il quale ritiene che essa derivi dall’antichissima Pitunzia. Mentre pare che nella seconda metà del III secolo giunsero i primi cristiani in questo territorio. Notizie più precise sulla presenza cristiana risalgono al rescritto costantiniano del 319, nel quale si parla dell’esistenza di chiese organizzate nel sud della penisola italiana. Il Vangelo veniva predicato in greco e solo più tardi, in parte anche grazie all’influenza esercitata da papa Vittore I (186-198), fu assorbito dal latino26. Con il passare del tempo le prime comunità cristiane assunsero un’organizzazione più stabile per merito della formazione di assemblee guidate da ecclesiastici, presbiteri o vescovi. Lentamente le singole chiese iniziavano a raggiungere una certa autonomia e si andava formando una normativa che doveva essere rispettata dagli ecclesiastici. Nel 305 con il concilio di Elvira fu reso obbligatorio il celibato sacerdotale; più tardi, nel 528, Giustiniano dispose che non

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V. D’AVINO, Cenni storici sulle chiese arcivescovili, vescovili e prelatizie (nullius) del Regno delle Due

Sicilie, dalle stampe di Ranucci, Napoli 1848, p. 537.

25 G. CAPPELLETTI, Le chiese d’Italia dalla loro origine sino ai giorni nostri, vol. XX, Giuseppe Antonelli

editore, Venezia 1866, p. 367.

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poteva essere ordinato sacerdote chi avesse figli. Il concilio di Cartagine del 398 stabilì che i presbiteri che vivevano grazie al lavoro manuale dovessero ricevere un cospicuo assegno prelevato dalla “cassa comune”, la quale era costituita da oblazioni, decime e rendite di beni donati. La “cassa comune” era amministrata dai vescovi ed era suddivisa in quattro parti: una per il vescovo, una per il clero, un’altra per la manutenzione degli edifici e un’altra per la beneficenza.

Secondo il Cappelletti la sede episcopale, e quindi la città tutta di Policastro, deriverebbe da quella di età romana di Bussento (Buxentum). Di questa città si hanno scarsissime notizie: sappiamo che per due volte il senato di Roma vi mandò colonie. Fu sede vescovile, ma ci sono giunte soltanto poche informazioni su tre vescovi del VI e del VII secolo. Del primo si conosce il nome, un certo Rustico – come già segnalato dal D’Avino –, che nel 501 (o nel 502, per il D’Avino) fu al concilio romano indetto da papa Simmaco (498-514). Del secondo vescovo non sappiamo il nome, ma solo l’anno della sua morte, il 532. Il terzo vescovo di Bussento di cui abbiamo conoscenza fu Sabbazio (o Sabazio), che nel 649 partecipò al concilio romano presieduto da papa Martino I contro i monoteliti.

L’ipotesi della derivazione dei vescovi di Policastro da quelli della distrutta Bussento è rafforzata dall’esistenza di una lettera scritta dal metropolita Alfano nel 1079. Questa lettera, inviata al clero di Bussento, annunciava l’avvenuta elezione a vescovo di Policastro di Pietro Pappacarbone, monaco del monastero benedettino di Cava dei Tirreni27.

Nella storia della diocesi policastrese, purtroppo, c’è un lungo periodo di oltre quattro secoli, dal 649 al 1079, offuscato dall’oblio e dal silenzio delle fonti. Infatti di questo periodo non conosciamo i nomi dei vescovi che si sono alternati sulla cattedra busentina, e ignoriamo anche l’anno esatto della nascita della nuova diocesi e del paese di Policastro dalle ceneri di Bussento. Ma qualche notizia di carattere generale riguardante la diocesi ci è comunque pervenuta.

Durante la dominazione longobarda la diocesi bussentina fu testimone di un massiccio spopolamento che indusse papa Gregorio Magno, per mezzo della lettera apostolica Quoniam

Velina del 592, a darla in commenda insieme alle diocesi di Velia e Blanda a Felice, vescovo

pestano che si era rifugiato ad Agropoli per sfuggire ai nuovi invasori. Ma ricostruire la struttura diocesana fu opera ardua e complicata: solo alla fine della seconda metà del VII secolo, infatti, abbiamo notizia della presenza di un vescovo, un certo Sabbazio, presente al

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Sull’elezione del Pappacarbone si veda V. D’AVINO, Cenni storici sulle chiese arcivescovili, vescovili e

prelatizie (nullius) del Regno delle Due Sicilie, cit., p. 538; e G. CAPPELLETTI, Le chiese d’Italia dalla loro origine sino ai giorni nostri, cit., 368-369.

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concilio lateranense del 64928. La diocesi rimase in questa condizione fino al 1079. Inoltre, nel VI e VII secolo, pesanti alluvioni resero paludosa la gran parte dei territori di Paestum, Velia e Policastro. Quella del 589 mutò la conformazione del paesaggio, dando inizio a un periodo segnato da una maggiore solidarietà tra la popolazione, una sorta di “comunismo agrario” in cui i singoli potevano usufruire liberamente dei beni della collettività (raccolti, terreni). Questo libero uso del bene comune era regolato dagli anziani, che avevano anche la funzione di partecipare ai processi come esperti o di fare da testimoni durante le stipulazioni di contratti (questi anziani erano detti boni homines).

Agropoli, in questo periodo, vide sul suo suolo la presenza di un’altra minaccia per la già precaria sicurezza degli abitanti cilentani, specialmente quelli della costa. Costoro dovettero far fronte alle scorrerie di quei musulmani assoldati da Radelchi e Siconolfo in guerra tra loro. I musulmani decisero di fermarsi nel Principato di Salerno per oltre un trentennio, dall’ 882 al 915, dopo la formazione del ribât di Agropoli: il mare e la costa di questa porzione del Cilento divennero un dominio arabo. Ma non mancarono città che, mettendo da parte differenze culturali e religiose, strinsero convenienti legami commerciali con i seguaci di Maometto: così i marinai-mercanti di Napoli, Amalfi e Salerno ottennero grandi guadagni dall’esportazioni di legname in Siria e in Egitto.

Nel primo periodo della loro dominazione i Longobardi monopolizzarono il possesso fondiario, adoperandosi nella ricostituzione di molte villae con fundi coltivati da contadini liberi (libellari, massari), semiliberi (i coloni) e schiavi29.

Nelle campagne continuarono le difficoltà di coloro che si impegnavano nel recupero di terreni che erano stati trascurati o abbandonati: i coloni, considerati semiliberi (aldiones), dovevano concedere la terza parte dei raccolti ai nuovi invasori, come avevano fatto in precedenza con i vecchi proprietari. I dazi e le terre pubbliche vennero assegnate ai duchi e a ogni singolo longobardo cui spettava un terreno come parte del bottino conquistato.

La presenza di un clima moderato, con inverni miti ed estati lunghe ma non eccessivamente calde, favorì la produzione di grano, segale, orzo e avena. L’incremento della produzione agricola causò un miglioramento delle condizioni di vita e un aumento del valore dei terreni, alcuni dei quali erano stati completamente abbandonati durante la fine agonizzante dell’Impero romano.

La situazione riguardante il numero del clero non era certo delle migliori. A eccezione della Valle del Tanagro, tutto il resto del territorio fu attraversato da una grave carenza di assistenza

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G. VOLPI, Cronologia de’ vescovi pestani ora detti di Capaccio, G. Riccio, Napoli 1752 (riproduz. anast., Ist. Anselmi, Napoli 1994), p. 3.

29 P. EBNER, Economia e società nel Cilento medievale, vol. I, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1979, pp.

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religiosa. Le condizioni migliorarono con l’arrivo dei religiosi d’Oriente, in andate diverse, dopo l’istituzione delle leggi iconoclaste.

Non abbiamo documenti dell’VIII secolo relativi alla chiesa bussentina perché questo è il periodo della dura lotta condotta dall’imperatore Leone l’Isaurico contro le immagini sacre. Ne derivò una rottura tra Roma e l’imperatore orientale, che decise di sottrarre alla giurisdizione papale tutti i territori di più diretta dipendenza da Costantinopoli, tra i quali figurava anche il Mezzogiorno d’Italia (oltre le Cicladi, l’isola di Creta, il Peloponneso, l’Illirico e la Sicilia). Così il patriarca Anastasio, con l’aiuto imperiale, pose sotto la sua giurisdizione molte chiese cilentane. La chiesa di Bussento, anche se ancora retta dal vescovo di Agropoli e con la diocesi quasi del tutto spopolata, rimase sotto l’amministrazione della Santa Sede romana. Pare che allora Bussento assunse il nome greco-latino di Polycastrum30. Forse alcune chiese meridionali non sopravvissero una volta spezzato il legame con la sede romana e questo, probabilmente, fu il caso anche di Buxentum. La classe ecclesiastica del territorio versava in uno stato di fragilità economica a causa degli scarsi introiti derivanti dalle decime. Così i presbiteri non riuscivano a provvedere alla manutenzione delle chiese e al rinnovo degli arredi31.

L’imperatore bizantino Leone VI detto il sapiente, nell’887, confermò l’atto di violenza attuato nel secolo precedente dal patriarca Anastasio, il quale prevedeva l’accorpamento perpetuo alla sede costantinopolitana di chiese appartenenti a quella romana. Anche Bussento fu tra quelle diocesi che sperimentò questo passaggio forzato di signoria.

Dopo pochi anni un’altra sventura colpì la diocesi: nel 915 i saraceni sbarcarono sulle coste cilentane e per la prima volta distrussero completamente Policastro. Niceforo Foca, dopo poco più di mezzo secolo, fece gli ultimi tentativi di sostituire il rito greco a quello latino per consolidare il suo potere in questi territori.