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CAPITOLO IV LA BADIA DI PATTANO

LE FONDAZIONI BASILIANE IN PIENA ETÀ MODERNA

6.2. a I beni del cenobio di San Giovanni a Piro

Gli storici che hanno affrontato negli anni il difficile compito di narrare le vicende del cenobio sangiovannese non si sono soffermati, inspiegabilmente, sulla platea dei beni del 1696. Purtroppo, questa omissione si è rivelata una costante storiografica anche in quei lavori che hanno proposto lo studio di altri monasteri di fondazione italo-greca. Un solo studioso, il Tancredi, ha riprodotto un prospetto schematico della composizione delle ricchezze fondiarie, presente nell’Archivio Diocesano di Policastro, che riportiamo fedelmente (Tabella 1). Tabella 1: Prospetto riassuntivo della platea dei beni secondo il Tancredi

PAESI (N. 11) Terreni vari castagneti oliveti vigneti orti n.

San Giovanni a Piro 850 63 245 220 66 1444

Bosco 45 - - - - 45 Maierà 7 - - 22 - 29 Grisolia - - - - Maratea 5 - 15 454 - 67 Trecchina 15 - - 3 - 18 Rivello 25 - - 20 - 45 Lentiscosa 52 - - - - 52 Torraca 48 - - - - 48 Roccagloriosa 2 - - - - 2

4 Con buona probabilità questo dato è soggetto a un errore di trascrizione: per cui, come si evince dalla somma

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Policastro 1 - - - - 1

Totale 1050 63 260 312 66 1751

Fonte: L. Tancredi, L’Abbadia Basiliana di San Giovanni a Piro, cit., p. 74.

Dopo aver confrontato questo quadro riassuntivo con quanto, in effetti, ci dice la platea, si sono manifestati diversi errori e incongruenze, alcuni davvero importanti. Così, seguendo lo schema di fondo del Tancredi, abbiamo catalogato di nuovo tutti i beni. La nuova situazione d’insieme appare sensibilmente cambiata (Tabella 2):

Tabella 2: Analisi quantitativa e qualitativa del patrimonio immobiliare del cenobio sangiovannese PAESI (N. 11) terreni misti beni “vari”

castagneti oliveti vigneti orti querceti n.

San Giovanni a Piro 792 45 73 290 337 188 19 1744 Maierà 9 - - - 20 - - 29 Grisolia 24 - - - 24 Maratea 12 4 - 9 46 - - 71 Trecchina 18 1 1 - 3 - - 23 Rivello 26 1 2 - 16 - - 45 Lentiscosa 43 - - - 9 - - 52 Bosco 34 - 3 5 2 1 - 45 Torraca 26 8 - 1 12 - 1 48 Roccagloriosa 2 - - - 2 Policastro - 1 - - - 1 Totale 986 60 79 305 445 189 20 2084

Fonte: elaborazione da ADP, Platea dei Beni, e Rendite della Badia di S. Giovanni del 1695.

La realtà che viene fuori da questo prospetto descrittivo è profondamente diversa rispetto alla precedente. La prima e più forte discrepanza è quella relativa al totale dei beni: la badia di San Giovanni a Piro, infatti, non possedeva solo – per così dire – 1751 beni immobiliari sparsi in un’area compresa tra la parte meridionale della Campania, la Basilicata tirrenica e l’alta

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Calabria, ma ben 2084. Questo nuovo dato rende chiara ancora meglio la ricchezza del cenobio in piena età moderna e avalla la considerazione, fatta a inizio di questo lavoro, che il fenomeno del monachesimo basiliano conservava una vitalità, quanto meno dal punto di vista finanziario, sufficiente alla sua sopravvivenza.

Beni territoriali

Il cenobio sangiovannese possedeva beni sia territoriali che extraterritoriali, beni ubicati all’interno del proprio territorio oppure in paesi diversi e a volte anche lontani. I beni presenti nella “Terra” di San Giovanni a Piro ammontavano a 1744, mentre quelli che ricadevano al di fuori del comprensorio sangiovannese erano 340, un numero comunque rilevante (Figura 1).

A questo punto una precisazione è doverosa: nell’inventariare tutto il vasto patrimonio abbiamo raccolto i dati utili a un’analisi quantitativa all’interno di 7 categorie descrittive. Sotto la dicitura “terreni misti” sono stati raggruppati quei beni che all’interno della fonte documentaria venivano denominati «terra», «loco», «possessione», oppure quei terreni su cui sorgevano più colture: per esempio quando si legge di «terrae cum castaneiis, et olivis»5, possedute da Francesco Magliano, o quando apprendiamo che Francesco Sagaria gestiva una

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terra «cum Vinea, et olivis»6. Abbiamo ritenuto interessante, poi, creare due sottoinsiemi che non erano presenti nel prospetto offertoci dal Tancredi: tra i beni “vari”, indicazione apparentemente un po’ vaga a causa della natura eterogenea dei beni inseriti in questa sezione, è stato raccolto principalmente il patrimonio edilizio. I basiliani, infatti, possedevano all’interno del territorio di San Giovanni a Piro 26 case, 4 “casalini” e un magazzino, concessi agli abitanti locali che, per il godimento dei beni, pagavano all’abbazia un censo annuo. Il magazzino era stato affidato, dietro il pagamento di dieci grana annue, al reverendo don Francesco Pignataro e si trovava dentro le mura della struttura cenobitica, «intus Abbatiam prope eius Vineam»7. La maggior parte di queste abitazioni, se non l’intero numero8, erano situate all’interno del paese, come si legge dall’indicazione, intus Oppidum, che spesso le accompagna. Ma sotto la dicitura di beni “vari” abbiamo indicato anche beni che non sono di carattere strettamente edilizio, inglobando anche difese, chiuse, pagamento di decime e – come vedremo più avanti nel caso di Maratea – anche l’utilizzo di un mulino.

Il secondo sottoinsieme che abbiamo creato ex novo è quello in cui si è scelto di schedare i querceti. Lo sforzo prodotto per poter presentare anche questo dato non è stato fine a se stesso, anzi è teso a mostrare come fosse presente in buon numero, a San Giovanni a Piro, la disponibilità del cibo preferito dai maiali. L’allevamento e la lavorazione dei suini era un’attività nella quale si cimentavano molte persone, come si evince dagli “Statuti” quattrocenteschi promossi da Teodoro Gaza e dalla descrizione ottocentesca del Cirelli, risultando una costante per tutta l’epoca moderna.

Le coltivazioni maggiormente presenti, invece, sono i vigneti e gli oliveti: la produzione di vino e olio non doveva rispondere soltanto a esigenze alimentari, ma era funzionale anche per scopi di carattere religioso e liturgico. Ma sull’importanza – culturale e, per così dire, pratica, materiale – del vino e dell’olio ritorneremo più avanti.

Beni extraterritoriali

Soffermiamoci adesso ad analizzare la consistenza del patrimonio immobiliare extraterritoriale: i beni appartenenti a questa tipologia erano situati in cinque località campane (Bosco, Lentiscosa, Torraca, Roccagloriosa e Policastro), in tre lucane (Maratea, Trecchina e Rivello) e in due calabresi (Maierà e Grisolia) e venivano affidati a vassalli e custodi, addetti al loro uso. Il fatto che il cenobio possedeva beni anche in territori molto distanti da esso sottolinea l’importanza economica che l’ente aveva ricoperto negli anni passati.

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Ivi, f. 46v.

7 Ivi, f. 52r.

8 Non possiamo essere certi fino in fondo di questo dato perché manca l’ubicazione esatta di due case, ma se ci

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L’11 novembre 1696 a Maierà si riunì una commissione formata da religiosi9, con il compito di registrare tutti i «bona stabilia, Vina, Olea, Redditus» che erano posseduti dal cenobio di San Giovanni a Piro, ente passato in commenda alla Cappella del SS. Presepe di Roma. Una volta giunta in Calabria, la commissione iniziò ad ascoltare le dichiarazioni dei coloni: per prima cosa, però, furono nominati tre testimoni locali per accertare e confermare che la badia sangiovannese possedeva a Maierà una grancia, la chiesa di San Pietro a Carbonaro, a un miglio di distanza dall’abitato. Questa grancia gestiva un territorio, detto “la foresta”, che dal 1° di novembre al 24 dicembre era una «Chiusa», nel senso che era interdetto agli usi civici della popolazione ed era di piena e assoluta disponibilità della grancia di San Pietro a Carbonaro10. I beni annotati ammontano a 29 (20 vigneti e 9 terreni misti), la maggior parte ubicati nella località detta “la Cetra”. Una particolarità riguarda il censo annuo che i possessori versavano al monastero sangiovannese per il godimento del bene: dalla lettura della platea risulta che nessun possessore pagava in denaro, preferendo versare una quantità di grano o di vino. «Pietro Salemme» per una vigna in località «La cetra» pagava un tomolo di grano all’anno, «Don Gregorio Pignataro» sempre per una vigna nello stesso luogo, invece, versava quattro salme di vino. Purtroppo non siamo a conoscenza dell’estensione di queste proprietà, anche se un’idea approssimativa vien fuori osservando il maggiore o minore peso del tributo versato annualmente11.

L’altra località calabrese in cui si trovavano beni appartenenti al cenobio di San Giovanni a Piro è Grisolia. Il Tancredi, nel suo quadro riassuntivo, non riporta alcun dato numerico per quanto riguarda questo paese dell’alta Calabria tirrenica. In effetti, la platea non indica espressamente le descrizioni dei diversi tipi di beni, ma solo i nominativi dei coloni e la qualità e la quantità del canone annuo corrisposto. Ma questa omissione presente nei documenti può essere colmata se si pensa che l’ente sangiovannese possedeva a Grisolia un territorio chiamato San Nicola, che molto probabilmente deriva il suo nome dalla piccola cappella che sorge nel suo centro, dedicata, appunto, a San Nicola. Quando veniva svolta l’attività seminativa in questo fondo il colono era tenuto a pagare il terraggio alla cappella e tutti i possessori di beni che ricadevano in quest’area dovevano pagare i censi annui che

9 La commissione era formata da don Egidio Surrentino di San Giovanni a Piro, da don Vincenzo Petra,

dall’abate Angelo Leto, e da alcuni religiosi – don Venanzio de Cornis, don Giuseppe de Rossis, don Gaspare Fabrino – che provenivano da Roma, rappresentanti della Cappella del SS. Presepe (ADP, Platea dei Beni, e

Rendite della Badia di S. Giovanni del 1695, cit., f. 139r).

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Il notaio Magliano ci informa che il territorio «vulgarmente chiamato la foresta […] è una foresta arborata di cerquale, quale foresta dal dì, di tutti i Santi insino alla Vigilia di Natale s’intende Chiusa, et chi ci va a pascolare, o dannifica per detto tempo paga alla detta Chiesa di pena carlini quindeci per ciascheduna volta, et per detto tempo è patrona venderla, et alienarla a sua sodisfatione, et a giuditio di detto Signore Procuratore è di capacità sopra tommola cento ottanta, et le terre seminatorie, che sono in detta furesta quando si seminano se ne paga il terraggio a detta Grancia» (Ivi, f. 139v).

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potevano essere «di musto, oglio, denari, et grano»12. In conclusione, i beni fondiari erano sicuramente dei terreni: mancando le descrizioni specifiche delle colture presenti, si è deciso di catalogare tali beni tra i terreni misti.

A Maratea, il 16 maggio 1696 fu compilato l’inventario degli introiti e delle rendite che la grancia di San Nicola – «unita, et annexa Reverendae Abbatiae Terrae Sancti Ioannis ad Pyrum» – otteneva dai pagamenti fatti da quei coloni che possedevano beni appartenenti alla badia sangiovannese. Maratea è il paese in cui vi era il maggior numero di beni extraterritoriali: nella località lucana che si affaccia sul Mar Tirreno furono registrati dalla commissione 71 beni totali, divisi in 12 terreni misti, 9 oliveti, 46 vigneti e 4 beni “vari”. Questi ultimi consistevano in una casa e in tre usi di un mulino: le strutture erano entrambe situate nella località «Campo del molino», ma sulla casa gravava un censo annuo in denaro, mentre sugli usi del mulino censi in grano. L’utilizzo del mulino era consentito a tre proprietari diversi: due erano cittadini di Maratea, Carlo di Biase e il reverendo don Giovanni Battista d’Armenio, i quali – per l’uso della struttura fissato a dodici settimane per il primo e a sei per il secondo – pagavano, rispettivamente, un canone di un tomolo e mezzo di grano e uno di tre quarti di grano, entrambi alla piccola misura. La natura del terzo possessore è invece del tutto diversa, poiché si trattava non di una persona, ma di un ente monastico, il monastero di San Francesco di Paola, che corrispondeva un censo annuo di 3 tomola e ¾ di grano alla piccola misura per un utilizzo di ben 30 settimane. Questa rendita, tra quelle in natura, è di gran lunga la più consistente che l’ente basiliano otteneva tra tutti i suoi beni, sia territoriali che extraterritoriali.

Patrimonio edilizio

L’analisi della consistenza del patrimonio edilizio è un altro indicatore della ricchezza dell’ente basiliano. Il cenobio possedeva un buon numero di fabbricati di diversa natura, alcuni tra i beni territoriali, quindi a San Giovanni a Piro, altri tra quelli extraterritoriali, in località campane e lucane. La badia, nel territorio del casale sangiovannese, riceveva il censo sulla concessione di 26 case, 4 “casalini” e un magazzino; inoltre, possedeva una casa a Maratea13, una casa a Trecchina e un palazzo a Policastro, per un totale di 34 beni di carattere edilizio.

Sommando i dati numerici relativi ai canoni riscossi annualmente, si presenta questa situazione: a San Giovanni a Piro dalla concessione dell’utilizzo delle abitazioni si guadagnavano 179 grana e 4,5 cavalli annui, mentre per il fitto dei “casalini” e del magazzino

12 Ivi, f. 142v.

13 Tra i beni che compongono il patrimonio edilizio del cenobio sangiovannese abbiamo inserito anche l’uso del

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15 grana e 4 cavalli. Il patrimonio edilizio extraterritoriale – rappresentato dalla casa a Maratea e di quella a Trecchina – fruttava 4 grana e 6 cavalli, per un totale complessivo di 199 grana e 2,5 cavalli14. Il palazzo policastrese, invece, non produceva rendite a causa delle condizioni fatiscenti e dello stato di abbandono in cui versava15.

TABELLA 3: Composizione del patrimonio edilizio del cenobio di San Giovanni a Piro

Località Case Casalini Mulini Magazzini Palazzi

San Giovanni a Piro 26 4 - 1 - Maratea 1 - 1 - - Trecchina 1 - - - - Policastro - - - - 1 Totale 28 4 1 1 1