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ORGANIZZAZIONE RELIGIOSA DEL TERRITORIO A SUD DI SALERNO

2.2. b La fase tardo-medievale: la nascita della diocesi caputaquense

Tra XI e XII secolo si infittiscono le notizie sui vescovi pestani: grazie a un’altra carta dell’archivio di Cava, citata dal Muratori nella sua opera Antiquitates italicae medii aevi composta tra il 1738 e il 1742, sappiamo che il vescovo Amato nel 1018 concesse alla badia cavense il possesso della chiesa di «santa Venere di Cornito». Nel luglio dello stesso anno egli decretò il passaggio di un’altra chiesa cilentana alle dipendenze del monastero di Cava; queste disposizioni sono la spia della crescita progressiva dell’influenza che l’abbazia benedettina di Cava andava esercitando nei territori diocesani cilentani, e non solo: l’espansione degli interesse benedettini in aree lontane come il Cilento e il Vallo di Diano finì per modificare assetti religiosi, ma anche socio-economici, presenti in queste zone, inserendosi, per esempio, nelle vicende degli enti monastici italo-greci che sorgevano nella parte più meridionale dell’attuale Campania. Altri vescovi che sedettero sul soglio episcopale pestano furono Giovanni III, vescovo nel 1019, Giovanni IV, passato nel 1047 alla sede salernitana, e Maraldo, che nel 1071 partecipò alla consacrazione della chiesa di Montecassino.

A partire dal XII secolo si può leggere nei documenti la nuova intestazione di “vescovi di Capaccio”, che sempre più frequentemente andava ad affiancare – e col passare del tempo a sostituire – quella di “vescovi di Pesto”. Alfano nel maggio del 1100 stipulò con l’abate di Cava «un atto di accordo e di pace», tramite il quale venivano ridisegnati i confini territoriali dell’area cilentana. Forse è proprio questo prelato, secondo il Cappelletti, che l’Ughelli cita erroneamente con il nome di Arnolfo, ritenendolo il primo religioso che avesse assunto il nuovo titolo di vescovo di Capaccio. Nel 1126, durante la cerimonia con la quale il conte Rogerio veniva nominato principe di Salerno per mezzo dell’unzione episcopale, Alfano è indicato come vescovo caputaquese. Anche dai suoi successori, in carica a metà del XII secolo, fu mantenuta tale consuetudine che vedeva un’alternanza costante dei due titoli: Giovanni V, prelato nell’anno 1142, iniziò a essere menzionato vescovo di Capaccio, perché era lì che ormai aveva spostato la sua dimora. Infatti, nel 1144 compariva con il nuovo titolo all’interno di una controversia – sorta tra il vescovo di Aversa Giovanni e «Gualterio abate di

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san Lorenzo di quella stessa città» – nella quale era stato chiamato a fare da arbitro5. Lo stesso discorso vale per Celso, vescovo durante il 1156 ed «esecutore testamentario di Roberto», signore del castello cilentano di Trentinara6. Anche lui adottò indifferentemente i due titoli, anzi fu l’ultimo a farlo, poiché dopo di lui nessun altro prelato venne definito vescovo di Pesto. Nel 1173, grazie a un atto di donazione, si ha notizia del vescovo Leonardo; il suo successore fu Arnolfo, proprio quel prelato che l’Ughelli aveva ritenuto potesse essere il primo ad aver assunto il titolo di vescovo di Capaccio. La confusione fatta dall’Ughelli appare più evidente se si pensa che egli aveva indicato Arnolfo come pastore della diocesi cilentana dal 1126 al 1179, addirittura per un arco temporale di oltre mezzo secolo, notizia che assolutamente non poteva essere fondata. Al contrario, il “vero” Arnolfo sedette sulla cattedra caputaquense negli anni ’70 del XII secolo: nel 1174 ricoprì il prestigioso incarico di ambasciatore di Guglielmo re di Sicilia presso il sovrano di Inghilterra e cinque anni dopo partecipò al concilio lateranense indetto dal pontefice Alessandro III. Nel pieno Medioevo, ormai, si era formata la nuova e vasta diocesi di Capaccio, che al suo interno vide convogliare le antiche sedi di Pesto, Velia, Agropoli e Marcelliana7. La nuova entità abbracciava un territorio molto ampio, dal fiume Sele a Capo Palinuro, inglobando Cilento e Vallo di Diano. La serie dei vescovi che si sono alternati agli inizi del Duecento non è affatto chiara, non possedendo alcun nome certo diventa quanto mai complicato azzardare una ricostruzione scientificamente accettabile e comprovata da fonti plausibili. Verso la metà del secolo troviamo come vescovo Benvenuto: la sua reggenza è testimoniata da una lettera inviatagli da papa Innocenzo IV nel 1251 e da alcuni monumenti recanti le iscrizioni che menzionavano il suo nome. Durante il suo episcopato la diocesi di Capaccio fu teatro di due importanti avvenimenti, di natura completamente diversa, praticamente opposta: la distruzione del castello di Fasanella per mano delle truppe di Federico II di Sicilia e il ritrovamento delle spoglie del monaco Cono da Diano nel 1261.

Nel Trecento si alternarono diversi prelati, ma il periodo non era certo dei più floridi: per alcuni anni la cattedra di Capaccio rimase con sede vacante, specchio della difficile situazione che rendeva stagnanti i diversi comparti della realtà campana e italiana in generale, da quello economico a quello politico, da quello sociale a quello amministrativo. Il periodo si sede vacante terminò quando venne eletto Tommaso da Sammagno (o San Magno), che nell’ottobre del 1377 confermò l’unione della cappella di Santa Lucia con la chiesa parrocchiale di san Pietro di Diano.

5 Ivi, cit., p. 338.

6 Ivi, cit., pp. 336-337. 7

V. D’AVINO, Cenni storici sulle chiese arcivescovili, vescovili e prelatizie (nullius) del Regno delle Due

Sicilie, cit., p. 132. Per alcune notizie su queste antiche diocesi cfr. F. LANZONI, Le diocesi d’Italia. Dalle origini al principio del secolo VII, vol. I, stabilimento grafico F. Lega, Faenza 1927.

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Tra i vescovi che si sono succeduti nel corso del XV secolo a Capaccio, dobbiamo menzionare Masello Mirto, in carica dal 1441 fino alla sua morte, avvenuta nel 1461 oppure l’anno dopo. Egli, al momento della sua nomina, era abate del cenobio basiliano di San Giovanni a Piro: l’elezione a vescovo di religiosi basiliani, nel Quattrocento, è riscontrabile anche nella vicina diocesi di Policastro. Anche qui, precisamente dal 1417 al 1438, la sede episcopale fu affidata a Nicola, abate del monastero sangiovannese. Non tutte le designazioni episcopali, però, venivano accolte sempre con favore ed entusiasmo dalla popolazione diocesana: pare che avvenne proprio ciò al momento dell’elezione di Ludovico Fonellet, arcivescovo di Damasco, resa effettiva il 20 marzo 1476 da papa Sisto IV. Non si spiegherebbe altrimenti la lettera datata 12 maggio dello stesso anno, spedita dal re di Napoli Ferdinando al conte Guglielmo Sanseverino e ad alti suoi funzionari, tra i quali Antonello de

Petruciis, segretario del re e conte di Policastro: con la sua missiva il sovrano si affrettava a

tessere le lodi del nuovo prelato, mettendone in risalto le qualità morali e ritenendolo il personaggio adatto alla gestione della giurisdizione sia spirituale che temporale, insomma un uomo «dignum et idoneum» alla conduzione della chiesa caputaquense. Qualora si fossero manifestate aperte opposizioni all’insediamento del nuovo vescovo che contraddicessero le disposizioni della lettera del maggio 1476, il sovrano stabilì la pena pecuniaria di mille ducati8.