Tuttavia, le indicazioni provenienti dai racconti ci spingono anche ad
andare oltre. Un’osservazione più ravvicinata sulle modalità dell’insorgere di
determinati disturbi (soprattutto di natura psichica) tra le donne intervistate,
permette di rintracciare la radice disagio nella sfera relazionale di queste ultime.
La riflessione sui deficit di salute, guardando alla povertà secondo la prospettiva
di analisi che abbiamo deciso di utilizzare, ovvero soprattutto come deprivazione
relazionale ed esclusione, suggerisce che oltre a tradursi in suffrance sociale,
quest’ultima si manifesta anche in sofferenza personale attraverso le forme del
disagio psichico e fisico.
Il malessere incontrato più volte dalle nostre intervistate nel corso della
loro vita si colloca al crocevia tra privazione materiale e relazionale. Un
sovraccarico di funzioni nel lavoro e nella famiglia prova fisicamente tutte loro
(prima nella famiglia di origine e poi in quella di elezione).
La fatica e lo stress fisico spiegano solo in parte il logorio delle loro
condizioni di salute. Quelle che abbiamo incontrato sono donne e madri forti che
lavorano da sempre, che sanno che cos’è la fatica e come le loro madri abituate
a “darsi da fare”, ad affannarsi, come si evince dalle parole di Francesca quando
dice “vabbè il lavoro non mi fa specie”, che resistono anche se poi in modo più o
meno consapevole ne scontano tutti gli effetti logoranti. Le storie di vita offrono
all’analisi un ulteriore importante elemento di riflessione, ovvero la centralità
delle dimensione relazionale e del suo peso attivo (o negativo ) di risorse messe
in circolazione sul livello di benessere psico-fisico delle nostre intervistate.
Depressione, “avvelenamenti di sangue” sono espressioni che ricorrono
frequentemente nei racconti e parlano di un disagio che è innanzitutto psichico,
prima che fisico, che si riallaccia a legami fragilizzati e ostili. Celato o trascurato
lo stress fisico è di solito affrontato in estrema solitudine e ad esso si
accompagna la preoccupazione di mitigarne gli effetti negativi sulla vita dei figli e
il resto della famiglia. Invece, nel caso in cui il disagio esploda in malessere
psichico, tanto le modalità con cui esso arriva a vulnerare le nostre intervistate,
quanto le sue conseguenze anche sul resto della famiglia hanno una portata
devastante.
Mirella nel brano che segue racconta di aver attraversato un lungo periodo
di depressione e nel fare ciò riferisce, innanzitutto delle conseguenze di questo
suo “stare al sonno”, come lo chiama lei sulla vita e l’equilibrio dei figli:
La caduta mia, lo stare nel letto a dormire, si è sfasciata tutta la famiglia /((sospirando))/ perché ero io, perché il padre non si è mai occupato dei figli- perché è stata una persona che dice tanto te la vedi tu, tanto ci sei tu! venendo a mancare io è venuto a mancare tutto, tutto, tutto! Quel sonno mio, i figli non andavano a scuola, perché mi vedevano dormire e dormivano pure loro, i figli non andavano a scuola ehhh, insomma (---) hanno perso tanto di quel tempo…» (Mirella)
Come la deprivazione materiale ferisce il corpo e la salute fisica,
umiliazione, diniego, relazioni laceranti, assenza di empatia attorno alla loro vita
alimentano una deprivazione relazionale che è alla base di un diffuso, a volte
tragico malessere psichico tra le nostre intervistate.
Le patologie depressive cui esse sono andate incontro nell’arco della loro
biografia sono l’esito di ferite profonde e fratture che si aprono in concomitanza
con il verificarsi di eventi stressanti. Tra questi, come le storie hanno rivelato,
non rientrano soltanto quelli inattesi e improvvisi che sconvolgono le capacità di
agency e di coping ma anche quegli eventi «quasi normativi» quando questi sono
imposti oppure disattesi. Le pressioni e le sanzioni psicologiche e sociali cui le
nostre intervistate incorrono sono alla base dell’accumularsi di un disagio che
sfocia nella malattia psichica e che arresta le loro possibilità e capacità di
reagire. Quando le parole feriscono, che siano quelle ricevute o anche solo
quelle necessarie ma assenti, si perdono le condizioni fondamentali per
esprimere desideri, bisogni che repressi nell’umiliazione e nella vergogna
scatenano il malessere e aprono fratture incolmabili. Parla Rosa.
Durante la maternità arrivavo a casa piangendo, piangevo prima di arrivare a casa, proprio piangevo strada facendo (---) perché sapevo le parole che mi aspettavano in casa, quello che mi potevano dire. Io al settimo mese di gravidanza di Angela ho avuto un avvelenamento di sangue (---) tenendo tutto dentro perché non potevo parlare, perché se parlavo «avevo anche il coraggio di parlare» e se mi stavo zitta e «perché mi stavo zitta». Non sapevo cosa potevo fare, quindi, quello che loro mi dicevano, io stavo zitta, le parole me le tenevo e basta e quindi ho avuto questo avvelenamento di sangue. Non parlando con nessuno, perché non è che poi ti credeva qualcuno quello che avevi in casa! (Rosa)