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Le principali implicazioni strutturali della povertà urbana

sull’organizzazione socio-spaziale sono state affrontate con le categorie

dell’isolamento sociale e dell’effetto concentrazione [Wilson 1987, 1993].

L’isolamento sociale fa riferimento alla carenza di relazioni e interazioni tra le

popolazioni povere che occupano una determinata porzione dello spazio urbano

37 Nella modernità radicale di cui ci parla Giddens [1994] i rapporti sociali sono interessati da processi di

disembedding (disaggregazione). Il termine fa riferimento alla dilatazione dei rapporti sociali: essi sono

estrapolati dal loro contesto e la società è stirata (streched) nelle sue dimensioni spazio – tempo. Secondo questa prospettiva, la despazializzazione e la frammentazione che caratterizzano l’esperienza spaziale nella modernità radicale, impediscono agli individui di radicarsi nello spazio e quest’ultimo perde i suoi connotati di luogo della relazione. Tuttavia, esso continua ad esistere e conosce sempre nuove forme di

e i settori centrali della società; l’effetto concentrazione è dato, invece, dalla

prossimità fisica tra gruppi sociali simili sullo stesso ambito territoriale.

Conseguenze non strutturali di entrambi i fattori sono individuate

nell’impoverimento del capitale sociale e delle reti relazionali degli abitanti

residenti. Questa prospettiva di analisi dell’organizzazione socio-spaziale della

povertà costituisce una parte centrale del dibattito sull’ underclass che poggia

sull’impianto culturalista proposto dall’antropologo Oscar Lewis [1973]. Il termine

«cultura della povertà» da lui coniato sulla base delle ricerche etnografiche

svolte in America Latina fa riferimento al modello di vita tipico della sub-cultura

della povertà. Un aspetto centrale in questo modello è il carattere

dell’ereditarietà della povertà, ovvero, la sua capacità di tramandarsi per via

intergenerazionale attraverso due canali principali: la socializzazione primaria in

ambito familiare e lo sviluppo di capacità di adattamento ai contesti di vita

deprivati in cui si vive. La famiglia povera socializza alla povertà i suoi membri e

li chiude ad ogni forma di scambio con la cultura prevalente del sistema sociale

di riferimento in un contesto territoriale e relazionale segregato.

Le appartenenze forti, in particolare famiglia e vicinato, costituiscono le

coordinate del «mondo a parte» del gruppo dei poveri il quale, adeguandosi allo

svolgersi della storia e del destino si autoesclude, allontanandosi e

distanziandosi dal resto della collettività. Come diversi autori hanno

sottolineato

38

, l’impianto culturalista ha il difetto di ridurre la complessità e la

circolarità con cui si presenta la produzione e la riproduzione della povertà nella

società richiudendo la sua analisi all’interno di una logica naturalista di gruppo,

che mentre esalta variabili di tipo culturale e comportamentale, sottovaluta,

invece le condizioni strutturali e i processi socio-economici che presiedono al

perpetuarsi dei processi di impoverimento [Saraceno 1986]. Le assunzioni

psicologico-comportamentali alla base del concetto di underclass fanno si che

quest’ultimo funzioni come un’etichetta e una categoria escludente per definire i

poveri come un gruppo sociale omogeneo al suo interno, portatore di una cultura

specifica e di valori propri e rintracciando nelle loro caratteristiche individuali e di

gruppo le cause della loro stessa condizione di povertà.

Isolamento sociale ed effetto di concentrazione assumono valenza

euristica se connessi non ad una visione patologica e ghettizzante della povertà

38 Ferrarotti ebbe a definire questo approccio come un esempio di «resoconto antropologico culturale e la

ma se inseriti in un quadro più articolato capace di contenere i diversi livelli

(sociale, istituzionale, economico, relazionale) che strutturano la povertà e sulla

base dei quali si possono comprendere i vincoli che predispongono la visione del

mondo di chi fa esperienza della povertà, le basi sulle quali si articolano

percezioni e rappresentazioni, il modo in cui sono interpretati i processi e le

strutture sociali che attraversano le loro vite, la maniera in cui essi elaborano le

prospettive per il futuro, raccolgono le scarse opportunità e risorse o le strategie

attraverso le quali ne creano di nuove e di diverse [Kazepov 1999]. Luoghi della

sovrapposizione tra insicurezza sociale e insicurezza civile, i quartieri sensibili

sono solitamente indicati come luoghi della povertà e della disaffiliazione nella

città in cui «la distanza spaziale riproduce, pure simbolicamente, altrettanti

fenomeni di distanza sociale» [Gasparini 2002: 215].

Nella sua grammatica delle relazioni spaziali, Hall [2001] fornisce una

prospettiva relazionale dello spazio che sottolinea l’aspetto dinamico delle

interazioni che in esso si producono e che consente di articolare le possibilità di

analisi delle relazioni di separazione e di distanziamento.

Secondo l’autore, la semiologia dello spazio (prossemica) può indicare in

che modo gli atteggiamenti, i comportamenti, gli stili di vita di ogni gruppo sociale

comunicano le caratteristiche del gruppo stesso ed esprimono le sue relazioni

con gli altri gruppi sociali. La premessa che fonda le considerazioni dell’autore è

che i comportamenti culturali, i vari atteggiamenti e i segni di distinzione sono

sistemi di comunicazione elaborati all’interno del gruppo sociale attraverso i quali

esso interagisce con l’esterno, attraverso i quali esso segna il confine e la

separazione con gli Altri: la distanza sociale è «una fascia nascosta che tiene

insieme il gruppo». E’ l’idea di distanza che riempie il concetto di spazio: «lo

spazio è quindi la vuota forma, che trova la sua materia nella molteplicità delle

distanze con le quali un individuo si colloca rispetto ad altri e che rappresentano

le pre-condizioni spaziali dei processi di interazione» [ivi:44]. Senza l’attività del

soggetto lo spazio resterebbe una cornice vuota; è l’attività del soggetto che dà

significato alla dimensione oggettiva dello spazio fisico, attraverso l’interazione

con altri spazi (sociale e simbolico) che avvicinano o allontanano.

Lo spazio

infatti può unire e dividere: è fonte di identificazione con il noi, ma allo stesso

tempo di distinzione rispetto agli altri; esso inoltre è ambivalente: «come

prolungamento dell’io e come distanziamento lo spazio diventa per un verso

riappropriazione e dominio, per l’altro difesa e protezione» [ivi: 52]. La vita del

gruppo e l’interazione tra gruppi è segnata da riferimenti spaziali: il centro, il

luogo dell’incontro, dello scambio, del confronto; il fluire simbolizzato dalla strada

che rappresenta il convergere di relazioni che si muovono, di legami deboli ma a

volte anche centro comunitario; i confini che spazializzano realtà sociali differenti

[Gasparini 2002].