La storia di vita costituisce una preziosa risorsa per attingere
all’esperienza quotidiana. In particolare, essa offre la possibilità di mettere a
fuoco il peso assunto da quegli eventi traumatici destabilizzanti, quelle fratture
più o meno micro la cui diversa gestione individuale, relazionale e istituzionale,
pur in presenza di condizioni simili, orienta in maniera differente le traiettorie di
impoverimento. Gli eventi critici, che fanno da guida nel ricostruire i percorsi
biografici nella povertà, secondo l’approccio dinamico che abbiamo inteso
utilizzare sono spesso concentrati nel breve arco di tempo che copre l’infanzia e
l’adolescenza delle nostre intervistate. È qui, infatti, che si innesta la radice
dell’esclusione, intesa appunto, come negazione e rifiuto del proprio particolare
modo d’essere, dell’isolamento e della sofferenza personale e sociale ad essi
conseguenti. Le storie sul percorso scolastico delle nostre intervistate messe in
evidenza nel paragrafo precedente hanno consentito di focalizzare l’attenzione
su questo aspetto e di individuare forme di esclusione e un misconoscimento che
partono da dentro le relazioni familiari. Le condizioni di deprivazione economica
e relazionale che si sono vissute durante l’infanzia producono effetti di lungo
periodo che solo l’indagine retrospettiva consente di porre in risalto poiché: «il
successo o il fallimento nella vita è prevalentemente funzione di meccanismi di
selezione che, in buona parte, si manifestano molto precocemente nella vita degli
individui. Quasi sempre, essi intervengono prima del momento in cui effettuiamo
le nostre osservazioni» [Esping-Andersen 2005: 186].
L’approccio dinamico utilizzato per guardare ai processi di impoverimento
ed esclusione sociale suggerisce, inoltre, di incrociare gli eventi traumatici che
tappezzano le biografie delle nostre intervistate, (e che da soli non sarebbero in
grado di orientare un’intera vita), con altri fattori di vulnerabilità, di contesto e di
background che possono differenziare la risposta individuale di ciascuno e
diversificare quindi la maggiore o minore gravità degli effetti che essi producono
su eventuali traiettorie di deriva o risalita. Eventi e condizioni simili in percorsi
biografici diversi possono produrre esiti differenziati e diverse modalità tramite
cui si presenta la crisi, a seconda del contesto non solo materiale, ma anche
relazionale e istituzionale di riferimento.
Nelle ricerche sulla povertà il sistema delle relazioni familiari costituisce
un fattore di primaria importanza quando si vuole guardare alla capacità degli
individui di affrontare il disagio e prevenire l’esclusione. Il ruolo della rete di
supporto e di solidarietà primaria è, tuttavia, dato per scontato. Quando si
sostiene la centralità della dimensione relazionale nello studio dei processi di
esclusione sociale, si fa riferimento innanzitutto, alla importanza di disporre di
una rete di relazione nel prevenire isolamento e ulteriore impoverimento,
mettendo in risalto la debolezza e la scarsa densità della rete per i soggetti in
condizione di povertà. Il peso della rete relazionale è considerato solo nel suo
significato positivo, come possibilità di ottenere sostegno, supporto e assume
connotazione negativa solo qualora questo elemento nella relazione sia assente
o deficitario, quando la rete cioè non si attiva oppure non è sufficientemente
densa.
Quello che spesso si trascura invece, quando si guarda al sistema delle
relazioni del soggetto, è il gioco in negativo che la rete familiare può assumere
nella biografia individuale, quando essa più che da rete si configura come
retaggio con funzioni tutt’altro che favorevoli o neutre. Come è stato messo in
evidenza nel paragrafo precedente in merito ai percorsi scolastici processi di
impoverimento ed esclusione possono scaturire anche a partire dal contesto
relazionale familiare in cui le nostre intervistate sono inserite e che si riflette
anche in altri ambiti di vita delle stesse. L’approccio di lungo periodo, ci consente
di porre al centro dell’analisi il peso delle relazioni familiari in un’ottica diacronica
e dinamica che lo descrive nelle diverse fasi di vita, nelle tappe più importanti e
nelle transizioni, intrecciando, più che scandendo la storia familiare delle nostre
intervistate nella famiglia di origine con la storia personale e familiare attuale.
Le relazioni sociali giocano un ruolo fondamentale e decisivo nella
biografia individuale ma non possono intendersi come risorse esclusivamente
positive. Come suggerisce la teoria del capitale sociale [Pizzorno 1999, Piselli
1999] esse possono avere valenza positiva e negativa, quindi, costituiscono solo
capitale sociale allo stato potenziale. Perché questo si sviluppi e si trasformi in
capacità aggiuntive per il soggetto è necessario che sussistano
contemporaneamente diverse condizioni. Oltre alla relazione stabile tra i soggetti
del rapporto (Ego e Alter) è necessario da un lato che Ego richieda il supporto ad
Alter e soprattutto che Alter sia disposto ad attivare e mobilitare risorse di vario
tipo (materiali, di supporto e aiuto, informativa) nei confronti di Ego.
Sulla possibilità di attivare capitale sociale in situazioni di deprivazione
economica e sociale, incide di certo la scarsità delle risorse da poter scambiare,
ma le storie non dicono solo questo. Le risorse in termini di sostegno e supporto
possono mancare o essere scarse, ma possono essere anche volontariamente
disperse. Questo aspetto è connesso con la natura profondamente ambivalente e
contraddittoria dei rapporti di scambio e di aiuto, delle relazioni interpersonali in
genere, che si instaurano tra i soggetti e che stanno alla base di quei meccanismi
inversi che presiedono alla distruzione delle relazioni di aiuto e sostegno.
L’ambivalenza ruota attorno al rapporto tra dipendenza e autonomia insito in ogni
rapporto di scambio. La mobilitazione di capitale sociale implica, infatti, un
controllo molto forte da parte della rete. Quando il controllo si estende alla sfera
personale, sentimentale e affettiva di chi riceve aiuto, il bisogno di affermare la
propria autonomia spinge in direzione della chiusura, dell’allontanamento, della
distruzione della relazione.
Questo elemento emerge con forza dai racconti delle nostre intervistate.
Data la natura spesso coercitiva e oppressiva delle reti relazionali in cui sono
inserite, non è difficile riscontrare un rapporto gioco-forza tra bisogno di
relazione, sostegno e affermazione della propria autonomia. In questi casi, «non
contare su nessuno», «farcela da sola», significa, affermare innanzitutto il
proprio essere persona, dichiarare di esistere, con desideri propri e affermare la
propria libertà. Data la scarsità delle opzioni biografiche che le nostre intervistate
possono perseguire, la sfera affettiva e sentimentale è ciò in cui esse investono
di più l’ambito di vita più importante e quello che c’è da difendere, rispetto al
quale affermare la propria autonomia. Al riguardo le parole di Caterina e Rosa
sono particolarmente significative:
Si può dire che sono la pecora nera della famiglia /((sorridendo))/ e con loro non vado d’accordo. Cioè (--) non li ho visti mai vicini, mia madre ogni tanto viene qua però non mi trovo bene perché quando sono stata in difficoltà non li ho visti vicino e quindi questo mi da fastidio (---) ho avuto mio figlio a 14 anni e mi sono trovata sempre sola, ho saputo affrontare qualunque cosa. Non credevano che io riuscissi a farcela, invece sono una ragazza che non mi perdo, sono forte, anche se una cosa non la so fare mi impegno perché ci devo riuscire, perché la devo vincere io. Ho buona volontà. (Caterina, 31 anni, nubile, 2 figli)
Adesso, dopo la mia separazione ho un compagno da due anni, le mie figlie lo hanno accettato, perché prima di farlo entrare ho parlato con loro, prima ai miei figli, nel momento in cui loro hanno detto di si ed erano sicuri del passo che io volevo fare e loro pure, ho fatto entrare in casa questa persona. Al chè è subentrata una zia di mia figlia, cioè si è intromessa una mia sorella e a mia figlia più grande gli iniziava a dire che «lui non è nessuno, non è niente, perché ti da consiglio, perché ti deve comandare, e digli questo, e digli quello, e fagli questo e fagli quello». Purtroppo a me dispiace ma ho dovuto proibirgli di andare da questa zia, gliel’ho proprio proibito di andare da questa zia.! Io quando gliela toccavo questa zia lei sembrava una diavola, non la voleva toccata. Poi le ho detto di non andarci più per vedere se il problema era il nostro rapporto o erano loro che davano fastidio. In effetti poi ho visto i risultati e c’è stato un miglioramento (Rosa).