Diverse sono le ricerche che hanno messo in evidenza come la povertà e
il rischio povertà sia molto più consistente per le famiglie monogenitore,
soprattutto per le madri nubili le quali risultano più dipendenti oltre che dal
mercato del lavoro anche dal sistema di welfare, quest’ultimo completamente
inefficace e inefficiente in termini sia di sostegno economico fornito, sia di
strutture e servizi sociali realizzati [Zanatta 1996, 1997].
Questo aspetto è emerso anche dalle interviste realizzate, tuttavia, in un
modo meno netto di quanto non fosse possibile immaginare per l’operazione non
scontata e non banale di distinguere tra donne sole e non. Infatti, anche le donne
povere in coppia risultano sole, se si fa riferimento alla loro necessità di
dipendere dal mercato del lavoro anzi, spesso sono loro a dover trovare le
risorse anche per i loro compagni.
Difficile inoltre, non ritrovare una condizione di “solitudine” in un contesto
familiare caratterizzato da una rigida segregazione dei ruoli com’è quello delle
nostre intervistate in cui il carico di cura si riversa solo su di loro. Donne “sole”
quindi anche in presenza di un compagno e in concomitanza con una diffusa
debolezza della rete familiare e parentale e in un contesto territoriale di estrema
povertà delle risorse pubbliche destinate ai servizi alla persona e per il sostengo
delle responsabilità familiare. La condizione di donna sola, o madre sola è
riferibile anche a chi, tra le nostre intervistate, sposata o convivente, affronta in
completa solitudine i compiti di cura, il lavoro extra-domestico e i bisogni
quotidiani. Distinguere, quindi, tra donne sole e non costiuisce un’operazione
meno banale di quanto non sembri. Anche se in coppia, infatti, la debolezza
occupazionale dei loro compagni, o l’ abuso di alcool o droga di questi ultimi, la
vulnerabilità economica può manifestarsi in maniera anche più acuta per cui sia
nel caso esse siano madri nubili, sia in coppia esse non sono immuni al rischio e
alla vulnerabilità che viene affrontata soprattutto attraverso il lavoro, non
garantito, faticoso, anche doppio o triplo. Risorse aggiuntive ma solo per qualche
spesa extra provengono dalla percezione degli assegni per i figli minori a carico.
Gli assegni familiari per i figli minori a carico di cui le nostre intervistate
usufruiscono, seppure di minimo impatto sul bilancio familiare costituiscono delle
entrate comunque certe che seppure scarse e parziali vanno a definire quel mix
di risorse poco articolato, che abbiamo visto derivare soprattutto dal lavoro,
mentre del tutto irrilevanti, se non inesistenti gli aiuti economici provenienti dalla
rete parentale e amicale.
Come ci racconta Elena, vedova e con tre figli a carico.
Poi mi arrivano gli assegni per i tre figli minori. Quasi 700 euro ogni sei mesi. Fino a 18 anni. È poco ma è comunque un aiuto. Alcuni me li conservo e poi ho fatto cose che non potevo fare sennò. Mo li ho finiti che ho pagato altre cose. Il fatto dei soldi non è tanto bello. Io mi vedo normale, tranquilla, ci sono casi peggiori dei miei. Alla fine come dio me la manda me la prendo (Elena)
Come abbiamo messo in evidenza nel paragrafo precedente, un dato
interessante che emerge dalle interviste realizzate è l’importanza assegnata dalle
donne intervistate al sistema scolastico nel garantire, attraverso le attività di
doposcuola possibilità di supporto e sostegno nella cura dei figli nei contesti di
vita quotidiani. Manca, invece, qualsiasi tematizzazione rispetto ad altri e meno
tradizionali servizi per l’infanzia e il tempo libero. La mancanza di asili nido e di
strutture pubbliche per la cura della prima infanzia nei quartieri è un dato
strutturale che si scontra però con una variabile di tipo culturale ovvero, con la
difficoltà delle donne intervistate di separarsi dai loro bambini quando questi
sono ancora troppo piccoli. Quello relativo alla carenza di asili nido, infatti, non
costituisce un dato con significato univoco. Dalle interviste, infatti, emerge un
quadro differenziato dei bisogni e delle necessità di sostegno per le attività di
cura che coinvolge i figli, e che sono diverse a seconda che questi siano in età
scolare, o quando si trovano nei primi anni di vita. Sebbene tutte le donne
intervistate nei loro racconti sottolineano il carico e la solitudine affrontate nel
crescere i loro figli più piccoli, paradossalmente, rispetto a servizi quali gli asili
nido, la distanza progettuale è ancora più grande perché gestire la cura dei più
piccoli «è cosa loro». Accudire i bambini quando sono ancora piccoli, significa
«essere madre». È in questa fase della vita dei loro figli che esse possono
svolgere il loro ruolo principale nel modo più completo e totalizzante. In questo
aspetto, possiamo riconoscere oltre che la centralità dell’esperienza della
maternità per le donne intervistate anche l’entrata in gioco e il permanere, in
termini più rigidi e statici, di quell’orientamento etico di tipo integrativo-
espressivo attraverso cui l’identità delle donne si è costruita attorno alla
centralità ad alcuni valori femminili (lavoro di cura e solidarietà primaria)
[Ginatempo 1994].
Io non capisco quelle che fanno i figli e poi li fanno crescere da qualcun altro, dalla nonna, dalla baby sitter. La mamma è la mamma. Fare i figli non significa partorirli, ma crescerli, dargli la prima pappa, vedergli spuntare il primo dentino, insomma seguirli su tutti i punti e tutte le cose. Per esempio io non avrei mai mandato mio figlio all’asilo nido. Fino a tre anni, quando sono piccoli piccoli, devono stare con la mamma, questo significa fare la mamma, non solo partorirli, se li lasci all’asilo nido quando la fai la mamma? Per me i figli sono tutto, sono la prima cosa, prima del lavoro, prima di me, io posso finire pure al terzo, quarto, quinto posto, non mi interessa (Annetta)
I miei figli io non li ho mai lasciati, per nessun motivo, sia momenti di difficoltà, sia momenti di (---) non li ho mai lasciati, sono sempre riuscita a fare tutto, a pulire, a cucinare a badare a loro, i miei figli sono sempre stati con me, dove vado, non li lascio, sempre con me /((si commuove))/. Ho lasciato il mio primo figlio solo quando sono andata a partorire il secondo, sennò mio figlio mai, dove vado io vengono loro, prima vengono i miei figli poi vengo io (Elena)