Il quadro appena tracciato conferma la centralità assunta nelle strategie di
fronteggiamento delle nostre intervistate dal tipo e dalla qualità di servizi offerti
sul territorio e per il territorio [Saraceno 2003 b]. La debolezza con cui si
presenta il sistema dei servizi nelle nostre città meridionali e la difficoltà con cui
esso risponde o tenta di rispondere ai bisogni sociali, nonché l’incapacità di
presentarsi come un insieme di strutture funzionali al soddisfacimento dei bisogni
accentua un circolo vizioso tale per cui l’assenza materiale e/o il cattivo
funzionamento dei quelli esistenti alimenta una distanza dai servizi che si
riproduce anche nelle aspettative, con un conseguente approfondimento della
povertà progettuale e reale degli spazi pubblici. Come osserva Siebert [1991]:
«La sfera pubblica non offre mezzi complementari al consumo privato, non
predispone strutture collettive che proprio per il loro carattere collettivo possono
soddisfare bisogni diversi da quelli che possono essere soddisfatti in famiglia. Ma
ciò, in effetti, non fa nemmeno parte essenziale delle aspettative dei singoli
cittadini nei confronti delle loro amministrazioni. L’atteggiamento nei confronti
degli spazi pubblici è impersonale, si tratta cioè di terra di nessuno» [341].
Come abbiamo detto in precedenza, la possibilità di usufruire di strutture
per il tempo libero dei propri figli che da un lato li allontanino dalla strada e
dall’altro, funzionino da supporto per la frequenza della scuola assume per le
donne intervistate un’importanza centrale nelle loro strategie di cura.
La significatività di queste strutture è connessa non tanto o non solo
all’esigenza di gestire in modo meno problematico e meno stressante il loro
tempo, liberare il proprio tempo, ma soprattutto di controllare l’incertezza
connessa con il loro contesto di vita e la loro difficoltà di accompagnare i figli nel
loro percorso scolastico. Rispetto a quest’ultimo ambito e solo per questo, esse
delegano volentieri ad altri l’assistenza dei loro bambini. È l’età scolare dei figli,
quella vissuta con maggiore ansia e apprensione e la possibilità di disporre di
servizi di supporto per il doposcuola e il tempo libero dei figli, attraverso strutture
e servizi che possano riorganizzare innanzitutto i tempi del quartiere è
considerata cruciale per tutte le nostre intervistate:
Fuori i figli non ce li faccio stare, no, non ci sono spazi, alla villetta manca la pulizia, manca tutto, ma soprattutto la pulizia, c’è sporco, sporco, sporco, non c’è niente, la pulizia qui non esiste!Pure nella scuola c’è sporco, io metto il pannolino al piccolo così non prende un’infezione, non me ne frega niente, per giocare i bambini li mando alla ludoteca che è una cosa importante, li fanno giocare, li fanno studiare, li fanno fare i compiti, ci sono insegnanti che gli vogliono bene, non sono quegli insegnanti che li sgridano. Speriamo che non chiude e che gli fanno di nuovo il contratto, mio figlio sennò già sta piangendo, piange che non vuole che chiude, esce pazzo per la ludoteca, la si diverte, speriamo bene, perché sennò tolgono una cosa ai bambini. Fuori non ce li puoi tenere, dentro non è che possono stare dentro (Elena)
Più che risorse per l’individualizzazione, nei contesti deprivati in cui
abbiamo svolto la ricerca, le storie ci hanno restituito un significato differente
dell’uso dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza che da un lato rimanda ad una
strategia per affrontare l’insicurezza e l’incertezza, e dall’altro una delega per
l’assistenza dei figli rispetto ad un ruolo, l’unico che esse come madri non sono
capaci di assolvere. Fungono, inoltre, da risorse di prossimità e relazionalità,
come si evince da quello ci dicono Elena e Francesca:
Alla ludoteca mia figlia piccola c’è andata per moltissimi anni, ero tranquilla che mia figlia andava li, il pomeriggio faceva doposcuola, si assolutamente si! anche perché è un modo buono, davvero buono per raccogliere i bambini della strada. Io la lasciavo, me l’andavo a riprendere (--) è un buon appoggio perché anche a livello di personale sono persone bravissime, certe volte se non avevo un lavoro di pomeriggio ci andavo anche io, parlavo, stavo con loro, sono cose buone per questi quartieri, perché si aprono a tutti (Francesca)
Il benessere non è un concetto solo soggettivo o psicologico ma è anche
benessere sociale. Quando si guarda al soggetto non come un’isola ma come
social embedded, inserito cioè in un contesto socio-comunitario di appartenenza,
il ruolo del contesto è centrale nella definizione del livello di integrazione sociale
e del benessere individuale. La ricerca ha messo in evidenza come le nostre
intervistate in occasioni diverse possano contare sul supporto delle realtà
associative presenti nel loro ambito relazionale esclusivo, ovvero il quartiere di
residenza. Attraverso alcune realtà di Terzo Settore presenti e radicate sul
territorio le nostre intervistate possono circondarsi di fonti di sostegno del coping,
che accompagnano e sostengono le loro capacità di fronteggiamento rendendo
meno ostile il contesto e l’adattamento quotidiano ad esso meno difficile e
problematico. In quanto attori di care in vece degli attori istituzionali assenti e
soprattutto incapaci di fare rete attorno al soggetto, le associazioni presenti sul
territorio si rendono protagonisti di un importante social support che abbiamo
visto funzionare in più casi come importanti risorse su cui «poter contare e fare
affidamento».
La territorializzazione è il principio attraverso cui le associazioni di volontariato radicate nei contesti della ricerca si fanno vicine alle donne e ai loro bambini innestando sul territorio di riferimento occasioni e opportunità di relazionalità e accompagnamento.
Contro il disagio e la dispersione scolastica, nel centro storico e nel
quartiere di San Vito operano da circa un ventennio due associazioni che si
configurano sul e per il territorio soggetto attivo e attori politici nel restituire
vivibilità e socialità ai due quartieri. Le realtà del privato sociale di cui ci
occupiamo fanno della territorialità e del radicamento nello spazio del quartiere
una componente essenziale della loro storia e attività, rendendosi protagonisti di
iniziative di inserimento e di rottura dell’isolamento delle aree, restituendo e
valorizzando la dimensione locale e comunitaria che solo una conoscenza diffusa
nel tempo del territorio garantisce: «è all’interno di quel territorio, con quelle
caratteristiche e con quelle risorse, che è possibile sviluppare, oppure, al
contrario, ostacolare legami sociali, iniziative collettive, così come innescare
forme di segregazione e discriminazione tra gruppi» [De Piccoli, Colombo, Mosso
2003: 11]. L’associazione svolge attività ludiche e di doposcuola e si presentano
innanzitutto come risorse per la sociabilità
91e il contrasto all’esclusione.
La cosa più difficile all’inizio è stato entrare nelle case, nelle famiglie, alcuni pensavano che era il Comune che ci pagava. Abbiamo cominciato intorno al 1990 l’attività di doposcuola, tentando di instaurare una relazionalità e un rapporto il più vicino possibile alla loro esperienza, offrendo una proposta di vivere il quartiere insieme, di stare nel contesto nel modo migliore, in qualche modo con l’idea di costruire una comunità rispondendo a tante esigenze inespresse (Mario, responsabile di associazione)
91 Secondo Gallino [1996]: «questo termine (…) si è affermato nel lessico sociologico contemporaneo, in
luogo di “socialità” e “associazione”, per designare sia la disposizione generica degli esseri umani a stabilire con gli altri un qualche tipo di relazione sociale (…) sia le molteplici manifestazioni concrete di tale disposizione sotto forma di gruppo, associazione, comunità, massa, sulla base di determinati tipi di bisogno e di interessi».
Per quanto riguarda San Vito, la presenza delle suore è stata una
presenza costante per il quartiere, organizzando da circa quindici anni un
incontro quotidiano di doposcuola, e tutta una serie di attività ludiche e ricreative,
di attività pittoriche, piccole cose che hanno tenuto uniti i piccoli. Negli anni più
recenti, anche il centro sociale, rimasto per anni una struttura fantasma nel
quartiere è stato abitato dalla ludoteca comunale, gestita da una cooperativa
sociale, così che bambini e bambine, ragazzi e ragazze del quartiere possono
essere mobili tra le due strutture. Presenza, vicinanza, in una parola prossimità
sono le risorse che le associazioni mettono in circolo, attraverso modalità
propositive di affrontare il disagio che caratterizzano la natura del privato sociale
nell’ambito dei servizi alla persona:
L’impegno dell’ associazione ha sempre tentato di rispondere alle carenze delle istituzioni, come luogo di riflessione, di cultura, di accompagnamento che passa nella quotidianità in modo molto, molto semplice (suor Elvira, responsabile di associaizone)